PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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ALLOCUZIONE DEL GRAN MAESTRO GUSTAVO RAFFI

Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani
Divenire uomo è un’arte, affermava con convinzione Novalis nei suoi Frammenti antropologici. La Massoneria Universale, scuola che inizia ai grandi misteri della vita, lo sa bene. E da almeno tre secoli lavora instancabilmente a testimoniare la pratica di quest’arte, che nessuno è in grado di insegnare poiché si può imparare solo individualmente. Osservando, intuendo, seguendo negli altri, nel mondo, i segni di una misteriosa orditura che, come faceva dall’alba al tramonto la mitica Penelope, va pazientemente ricostruita come una mappa in grado di condurci a battere, senza timore di perdervisi, i difficili ed accidentati sentieri della vita. Proprio per sviluppare quest’arte il massone ha bisogno, non solo di penetrare nella propria, ma anche nella altrui dimensione interiore. Ha bisogno, come l’aria, del dialogo con gli altri, per apprendere ma anche per contribuire, col proprio bagaglio di esperienze, di conoscenze, di saperi, maturato appunto in una vita illuminata dalla luce della Tradizione, al loro benessere. In questo modo, da muratore esperto nell’arte della edificazione, concorre, recando il proprio simbolico mattone, a costruire il grande Tempio sotto la cui volta celeste si riunirà l’umanità tutta. Ovviamente le modalità di questo lavoro cambiano coi tempi.
Ed in tempi di comunicazione di massa, di villaggio globale, di incontri e di scontri di culture anche la Massoneria non poteva fare a meno di scegliere strade nuove per attualizzare la propria naturale vocazione al dialogo. Il Forum dedicato alla complessa e delicata tematica dei Valori Universali si inquadra esattamente in questo ambito. E la chiamata al lavoro di tutti i Fratelli non solo perché esibiscano, con la propria testimonianza, la profondità dei valori di cui sempre la Massoneria si è fatta portatrice, come la tolleranza, la comprensione dell ‘altro da sé, la difesa intransigente della dignità dell’uomo, ma perché facciano molto di più. Si confrontino, a viso aperto, e senza alcuna reticenza o timore, col così detto mondo profano, sviluppando coram populo quella loro propensione al dialogo con lo stesso metodo del confronto, aperto e leale, tipico del lavoro di Loggia. Tanto più importante appare questa operazione dal momento che il tema affrontato si presenta, considerati i travagli che affliggono la nostra vecchia e cara Terra, sicuramente utile, oltre che, sul piano intellettuale ed umano, straordinariamente stimolante.
E mi fa particolarmente piacere che tutto questo sia maturato in una terra, la Toscana, nella quale è sorta la prima Loggia massonica — che vide la luce nella, per l’epoca, tollerante Firenze nel 1731, lo stesso anno in cui a L’Aja veniva iniziato Francesco Stefano di Lorena, futuro Granduca di Toscana — e dove tuttora opera, nel senso massonico che questa parola possiede, la più numerosa famiglia di liberi muratori del nostro Paese. Per di più questo Forum sui valori, che non si limiterà alle sole problematiche delle Nazioni Unite e della loro (possibile ed auspicabile) Riforma ma toccherà anche, in successive fasi, le identità religiose e culturali, nonché l’identità terrestre, cade in concomitanza con una ricorrenza quanto mai carica di significati per noi Liberi Muratori. Si celebra, infatti, quest’anno il secondo centenario della fondazione del Grande Oriente d’Italia, che ebbe come suo Gran Maestro Eugenio de Beauharnais, viceré d’Italia e sodale di Napoleone Bonaparte. Una occasione imperdibile per mostrare il vero volto di una Massoneria che, ancora una volta, sa stare al passo coi tempi, una Massoneria che è, ieri come oggi, progettualità e azione al servizio dell’uomo, al di là di ogni frontiera, oltre ogni angusta limitazione. Proprio per questo, proprio nella consapevolezza dello straordinario “facere ” al quale le Logge ed ogni singolo Fratello vengono ora chiamati, sarebbe oltremodo significativo se, al termine della sessione di questo primo Forum, scaturisse, per mano di coloro che parteciperanno ai lavori, massoni o profani, ma comunque tutti uomini animati dalla buona volontà del bene operare, un documento di intenti da mettere a disposizione di altri uomini di buona volontà che, come noi, intendono agire molto semplicemente per la costruzione di un mondo migliore. Uomini che non possiedono ovviamente la verità, uomini come noi “dalle granitiche incertezze”, ma proprio per questo più autentici e credibili.
Si tratterà di un primo contributo che, auspichevolmente, potrà, dovrà innescare un dialogo aperto a tutte le voci diverse, secondo il tradizionale metodo massonico della ricerca condotta, come recita il nostro rituale, in piena libertà di pensiero da uomini di fede religiosa, di credo politico, di condizione sociale diversa, ma animati dal forte spirito dei costruttori. Il nostro è un piccolo ma non unico passo. Altri ne seguiranno, perché il cammino da percorrere è lungo e la meta, come sanno bene gli iniziati, sfugge di continuo, specialmente quando sembra più che mai a portata di mano. Ci piacerebbe comunque che, iniziative come queste, ed altre che lievitano e stanno lievitando sotto l’azione potente della fiamma di una antica e nobile Tradizione, contribuissero alla realizzazione di un grande sogno che cova nel cuore dei liberi muratori: quello di consentire alla Massoneria universale, di testimoniare, all’interno delle Nazioni Unite, nel consesso dei popoli della terra, nato e formato dalla volontà di grandi liberi muratori quali furono il Fratello Winston Churchill ed il Fratello Franklin Delano Roosevelt, i suoi grandi valori quali la liberazione dal flagello della guerra; la fede nei diritti fondamentali di ogni individuo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne; la giustizia, il progresso sociale, la libertà di tutti; la tolleranza e la pace. E questa per noi l’arte della vita, o Arte Reale, che esprime la nostra condizione di uomini di desiderio impegnati a lavorare senza sosta per onorare l’impegno preso quando varcammo, per la prima volta, le soglie del Tempio

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ESSENZA DEL LIBERO MURATORE

ESSENZA DEL LIBERO MURATORE:
riflessioni interiori e spunti per rapportimsociali fraterni
Gianmichele Galassi i mendichi diventano fratelli dei princi

iabbbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.»
Inno alla Gioia, F. Schiller)
Per il Libero Muratore (massone), probabilmente, l’Etica rappresenta l’apice della gerarchia valoriale, un principio universale non imposto, ma acquisito. In questo senso, conviene fare una distinzione che, sebbene attenga più al campo specifico della Filosofia, risulta propedeutico ad una comprensione più profonda e dettagliata del tema, perciò, pur rimandando alla discussione più ampia contenuta in letteratura, possiamo così brevemente parafrasare le diversità concettuali utilizzando un passaggio dell’Accademia della Crusca, basato sulle varie definizioni esistenti: “… esiste una riflessione tecnica che tende a distinguere il concetto di morale, più direttamente legato al giudizio di valore su ciò che è giusto e sbagliato, da quello di etica, che richiamerebbe invece una dimensione teorica più astratta, capace di riflettere sulla morale stessa e farvi ordine concettuale. Il problema, nell’etica, non sarebbe più dunque quello assiologico di capire se qualcosa è giusto, ma quello ontologico di definire che cosa è giusto, o come in generale è possibile indirizzare l’agire.” Dalle citazioni precedenti, è facile comprendere come non possa esistere un percorso iniziatico massonico di perfeziona mento se questo non è pervaso da un modo di “essere”, “esistere” basato sull’Etica. Specificatamente, quella massonica, poggia tutto il proprio costrutto sull’essere “Uomini liberi e di buoni costumi” e, di conseguenza, sul concetto di “rispetto”: delle opinioni e convinzioni religiose, dottrinali, morali, politiche, o anche letterarie, artistiche, ecc., di una persona”. (Voc. Treccani) 2 J. Anderson. The Constitutions of the Free-Masons. W. Hunter, Lon-don 1723, p. 50. Nella traduzione italiana: “Un Muratore è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della Religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando ad essi le loro particolari opinioni; ossia, essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e di onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti.” (Fonte: Simona Cresti. Etica e morale: c’è differenza? in rispetto delle idee altrui, rispetto del mondo naturale, della vita e della persona umana con la propria dignità che si sostanzia nella benevola accettazione dell’altro, addirittura come un “fratello” con cui si agevola la costruzione di un dialogo sereno e pacato4.Questa base Etica fa, poi, da pietra angolare al lavoro iniziatico che permette a coloro che lo abbiano compiuto, anche solo in parte, di cominciare ad automatizzare i processi mentali e le reazioni alla condizioni di stress per divenire resilienti ai vizi e debolezze personali nelle sfide che l’esistenza stessa ci mette di fronte.
Per un altro aspetto, la Libera Muratoria ed il suo dettagliato percorso iniziatico dovrebbero, almeno in sostanza, condurre gli attori a considerare la realtà da più punti di vista, fino a scegliere quello che in qualche modo possa rappresentare quello più alto, esprimendo e suscitando i sentimenti migliori. La realtà, infatti, come abbiamo già ripetuto più volte, consta di due parti: l’una “oggettiva”, quindi indipendente da noi, e l’altra “soggettiva” su cui invece possiamo intervenire, lavorando sui noi stessi e la nostra percezione di essa. Naturalmente, questo concetto, è valido per tutti gli esseri umani e, spesso, proprio la percezione “soggettiva” della realtà-verità è alla base dei contrasti sociali che si ripercuotono sulla vita ed il pensiero di molti.
Non è facile e neppure naturale educare noi stessi ad esaminare la realtà per ciò che è, i nostri sensi e l’interpretazione dei segnali che essi inviano al nostro cervello sono sovente distorti dai processi mentali dettati dall’abitudine e dal punto di vista appreso dall’esperienza vissuta, vuoi sociale vuoi personale, dandoci così una visione distorta dei fatti. A questo punto, quando consapevoli della propria fallacità interpretativa, volgiamo l’attenzione alla rieducazione dei meccanismi mentali alla base della capacità percettiva, cercando di abituare la mente ad una nuova conoscenza ed interazione con la realtà interna ed esterna all’organismo; più in generale, dovremmo intervenire sull’intera sequenza di eventi che va dal presentarsi dello stimolo, al realizzarsi e l’oggettivarsi della sensazione, fino al suo modo di essere avvertita. Reputo su questo tema che tutto si risolva, almeno in larga parte, nell’approccio all’esistenza che ognuno di noi genera e modella durante la vita. Le difficoltà, le paure, lo smarrimento provati talvolta durante la vita divengono il banco di prova per il superamento del preconcetto derivante da una singola esperienza fino ad elevarsi a personale legge morale scevra dai condizionamenti momentanei e circoscritti del proprio percepire e dall’esperienza. Tutto ciò, dovrebbe condurci ad esaltare i punti in comune, sentendoci tutti più vicini ed uniti dallo stesso ineffabile “destino”, sentirci “Fratelli” vivendo infine come tali. Fratellanza, particolare ed universale.
Qui di seguito conviene riportare un piccolo estratto di quanto già ho scritto nella “Simbologia Massonica” (Vol.I-2019, pagg.109-112) a proposito dell’argomento: “Potere, vendetta, rancore, odio ed invidia sono i “lupi” ovvero i maggiori antagonisti dell’Amore e della Benevolenza che, guidando le nostre azioni, ci rendono effettivamente fratelli. Non dimentichiamo la paura, una Proprio come spiega chiaramente e magistralmente Lessing nei suoi “Dialoghi massonici” fra Ernst e Falk, più dettagliatamente neecondo.
Questo termine ha una lunga tradizione, basti ricordare le tre fiere che Dante incontra prima dell’Inferno: la lonza, il leone e la lupa ostacolano il viaggio di Dante che è bloccato dalla paura, esse rappresentano allegoricamente rispettivamente la lussuria (la lonza, un felino simile al leopardo o alla pantera, più probabilmente una lince che Dante aveva visto esposta a Firenze), la superbia (il leone) e, infine, la cupidigia e l’avarizia di potere più che di denaro (la lupa). Permettendomi una chiosa curiosa, a questa allegoria è associata quella del “veltro”, una delle più discusse e controverse dell’opera dantesca. Se in precedenza Giovanni Getto (nel suo “Aspetti della poesia di Dante”, Sansoni, Firenze, 1966, pp.13-14.) aveva ipotizzato che dietro l’allegoria del veltro si trovasse il Sommo Poeta stesso, Lamberto Vaghetti (nel suo Il veltro non è più un mistero, in «Nuova Antologia», diretta dal prof. Cosimo Ceccuti, Fascicolo 2229, anno 139°, Gennaio-Marzo 2004, pp. 356-359, Felice Le Monnier, Firenze) avrebbe adesso individuato l’opera stessa, ossia la Commedia, quale elemento “dottrinale” che potrà condurre qualsiasi uomo dallo stato di vizio a quello di virtù, salvandolo dalla lupa. Questo per dire che analogamente il “veltro” massonico è rappresentato dalla sua ritualità significata proprio dal variegato linguaggio simbolico utilizzato. potente molla che riesce ad avvampare i peggiori istinti umani, impedendo così ai migliori sentimenti di guidare le nostre azioni. Spesso, purtroppo, la vita ci riserva sorprese terribili capaci di destabilizzare anche gli animi più bonari e placidi; atrocità, terrore e morte riecheggiano nelle pieghe della storia quali indelebili marchi della bestialità umana: amici, parenti, vicini di casa si scagliano l’un contro l’altro per i più futili e banali motivi, mentre Amore, Misericordia e Benevolenza piangono amare e silenti lacrime di sofferenza. Se tutto ciò fosse determinato, allora ben poco potremmo fare, mamvisto che l’Uomo ha facoltà di libero arbitrio allora tocca ma ciascuno individuo far trionfare i più alti sentimenti.
Questo è il compito dell’Apprendista, salire quella scala di valori, come quella sognata da Giacobbe, che lo porti a vivere sempre più in Alto verso quell’ideale Amore he, per Dante, “move il Sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v. 145). Ecco quindi che non importa se la natura umana sia quella descritta dall’adagio hobbesiano o meno, è con il lavoro iniziatico, introspettivo e riflessivo che l’Uomo deve giungere a comprendere che l’esistenza all’insegna dell’Amore fraterno è di gran lunga migliore da vivere che quella marchiata da vizio, odio e
terrore, visto che è il modo per ottenere l’agognata “felicità”.
E poi:,“La Fratellanza poi, nel trinomio rivoluzionario francese settecentesco, ha un altro aspetto, direi più sottile, che ben si associa all’idea stessa del Compagno d’Arte che per sua stessa etimologia 6 prevede una condivisione ovvero compagno è chi si trova insieme con altri in particolari circostanze, chi è legato ad altri da un comune,vincolo spirituale, o segue la medesima sorte.” Infine: “Infine per il Maestro, la Fratellanza dev’essere caratteristica specifica dello spirito, la più alta e difficilmente raggiungibile in quanto irrealizzabile senza Libertà, quella assoluta, svincolata dal pensiero e, come dire, divenuta automatica per natura, e senza l’Uguaglianza universale, convinta e radicata nel proprio sé, scevra da qualsiasi forma distintiva. La Fratellanza, non si limita più agli esseri umani, ma diviene quindi parte sostanziale dell’armonia con il Tutto: riuscendo così a riunire ciò che è separato attraverso l’Amore, conquistando infine senza ulteriore ostacolo il miraggio della “perfezione”.”
Concludendo, possiamo affermare – con un certo grado di cetezza – che quando ci troviamo sopraffatti dalla vita, smarriti nella “selva oscura”, il modo migliore per superare i problemi è quello di contare su noi stessi, su quanto abbiamo appreso nella via iniziatica, su ciò che professiamo all’interno dei nostri templi, lavorando al bene nostro, dei nostri compagni e fratelli ed al progresso dell’Umanità intera, senza mai perdersi negli assurdi ed inutili conflitti che già rendono difficile o, addirittura impossibile, la pacifica convivenza nel mondo profano. Nella speranza che un giorno non lontano fratellanza, empatia, amore e benevolenza guidino l’umanità intera verso un’alba luminosa.
Che ricordo derivare dal latino medievale companionis, composto di cum «insieme con» e panis «pane», propriamente «colui che mangia il pane con un altro» (dal Voc. Treccani) L’essenza del Libero Muratore

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QUANDO SARAI PICCOLA

Testo “Quando sarai piccola”, Simone Cristicchi

Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei,
Ti starò vicino come non ho fatto mai.
Rallenteremo il passo se camminerò veloce,
Parlerò al posto tuo se ti si ferma la voce.
Giocheremo a ricordare quanti figli hai,
Che sei nata il 20 marzo del ’46.
Se ti chiederai il perché di quell’anello al dito
Ti dirò di mio padre ovvero tuo marito.
Ti insegnerò a stare in piedi da sola, a ritrovare la strada di casa.
Ti ripeterò il mio nome millle volte perché tanto te lo scorderai.
Eeee… èe ancora un altro giorno insieme a te,
Per restituirti tutto quell’amore che mi hai dato
E sorridere del tempo che non sembra mai passato.
Quando sarai piccola mi insegnerai davvero chi sono,
A capire che tuo figlio è diventato un uomo.
Quando ti prenderò in braccioù
E sembrerai leggera come una bambina sopra un’altalena.
Preparerò da mangiare per cena, io che so fare il caffè a malapena.
Ti ripeterò il tuo nome mille volte fino a quando lo ricorderai.
Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te,
Per restituirti tutto, tutto il bene che mi hai dato.
E sconfiggere anche il tempo che per noi non è passsato.
Ci sono cose che non puoi cancellare,
Ci sono abbracci che non devi sprecare.
Ci sono sguardi pieni di silenzio
Che non sai descrivere con le parole.
C’è quella rabbia di vederti cambiare
E la fatica di doverlo accettare.
Ci sono pagine di vita, pezzi di memoria
Che non so dimenticare.
Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te,
Per restituirti tutta questa vita che mi hai dato
E sorridere del tempo e di come ci ha cambiato.
Quando sarai piccola ti stringerò talmente forte
Che non avrai paura nemmeno della morte
Tu mi darai la tua mano, io un bacio sulla fronte
Adesso è tardi, fai la brava
Buonanotte.
Significato di “Quando sarai piccola”, Simone Cristicchi: una lettera per la mamma

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2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. . .?

2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. . .?

L’uomo odierno, come del resto i suoi progenitori della preistoria, vive immerso in un’atmosfera di propensione religiosa nei confronti di forme e cose che non riesce a spiegarsi razionalmente.
Le scatenanti e incontrollabili manifestazioni della Natura, pur nel rispetto di una certa ciclicità, come per le stagioni, e ciò pertanto in parte prevedibili, sfuggendo al controllo umano, furono per l’uomo delle caverne collegate al volere di una Entità superiore e, di conseguenza, intese come messaggi del divino creatore d’ogni cosa.
L’innato atteggiamento mentale umano ad accostarsi al mondo dell’inspiegabile, poi, ancor più stimolato dal recondito desiderio di tramandare ai posteri le tracce delle sue progressive conquiste, dalle incisioni rupestri dei cavernicoli ai monolitici menhir, dai templi e le Piramidi di Gizah e quelle Maya, dal labirinto di Creta con le architettoniche testimonianze dell’antica Grecia alle cattedrali, ha fatto sì che tutto il percorso evolutivo dell’uomo fosse contrassegnato da segnali chiari e forti, difficilmente decodificabili dai più, ma accessibili soltanto da coloro che non ne fossero stati degni.
L’uomo, ad un certo punto, si accorse di poter occultare in ogni opera realizzata non solo il potenziale immaginativo che scaturiva dal prodotto C) artistico ma, cosa ancor più stimolante, un arcano messaggio che solo pochi eletti, e in possesso della giusta chiave di lettura, avrebbero in un giorno lontano decodificato. L’impiego di questo selettivo metodo di comunicazione con i posteri, da quel momento, divenne sempre più utilizzato anche, e soprattutto, per difendere le individuali conquiste sapienziali dei Maestri.
La chiave d’interpretazione dell’opera divenne così il passe-partout di lettura di ermetici segreti. E, ciò pertanto, figure geometriche, come quelle tracciate sulle pareti di caverne, dolmen, omphalos ed imponenti realizzazioni architettoniche, entrarono a far parte, come era logico che fosse, dell’infinita catena di simboliche testimonianze che costellano il lungo percorso dell’umanità.
In verità, l’influenza di sconosciute forze positive e avverse, potenziate soprattutto dall’intenzionale apporto emotivo conferito dall’esecutore di quel tempo, interagiscono misteriosamente. Malgrado i secoli trascorsi, infatti, l’opera-simbolo continua ad esercitare il suo iniziale magnetismo al punto tale da influenzare, talvolta, persino il percorso evolutivo dell’uomo. Ed ecco che Il simbolo, rafforzato ancor più dal misterioso messaggio che in esso si racchiude, diventa una “porta arcana” di accesso verso una dimensione spazio-temporale in cui presente, passato efuturo sono un tutt’uno.
Non è casuale l’esigenza di rivisitare, anche se spesso lo facciamo con la mente, episodi e luoghi legati agli anni di vita vissuta. La cosa strana è che avvertiamo un inspiegabile impulso, quasi un’attrazione fatale, che ci spinge ad andare oltre, l’esigenza forse, di oltrepassare la barriera convenzionale di quel primo giorno di nostra vita per scoprire da dove proveniamo, chi veramente siamo, e qual è la nostra meta futura.
A questo punto, però, ci accorgiamo stranamente del fascino inspiegabile che certi luoghi emanano, degli inspiegabili stati emozionali che essi producono, decisamente estranei all’ambiente circostante. Immersi
nel particolare stato di animazione sospesa che ne consegue, quasi per incanto, tutto ciò che ci è intorno diventa nebuloso, e svanisce. Ad un tratto, l’opera-simbolo che è dinanzi a noi, immersi nel ruolo di moderni temponauti, austera per il segreto in sé racchiuso, risveglia nella nostra mente quel messaggio iniziale inciso sul portale del Tempio di Iside: “Sum quidquid fuit, est et erit…nemoque mortalium velium detraxit”.
Questi simboli meravigliosi, che tanti segreti hanno ancorao da svelare, sono l’incommensurabile patrimonio di verità velate che i grandi maestri sapienziali, iniziati nei sacri templi della , hanno voluto tramandare all’umanità.
Il linguaggio silente delle pietre, il magnetismo dei siti eretti in luoghi mai scelti a caso, le raffigurazioni simboliche, le allegorie, gli indecifrabili crittogrammi, la collocazione delle opere nel preciso rispetto dell’orientamento degli astri, l’osservanza e l’applicazione della geometria e della matematica nel calcolo dei rapporti di costruzione, non sono semplici coincidenze, come qualche sprovveduto vorrebbe far credere…
Migliaia di anni sono ormai trascorsi, secondo il calcolo del tempo terrestre, dalla comparsa dell’homo sapiens di quest’ultima preistoria, e l’uomo contemporaneo ha appena sfogliato le prime pagine del grande libro della storia dell’uomo.
Il 2001, potrebbe, a mio modesto avviso, essere il simbolico appuntamento di quel radicale cambiamento, tanto atteso dall’Umanità, soprattutto alla luce delle eclatanti conquiste della scienza – tasselli di antiche verità dimenticate – che si susseguono a ritmo sempre più incalzante.
E’ utopistico sperare di vedere debellati, una volta per sempre, gli endemici mali che affliggono i popoli della Terra come, ad esempio, la violenza che dilaga senza sosta, la fame, l’inquinamento ambientale, e così via. ?
Sono tanti, troppi forse, e di vitale importanza, i quesiti in attesa di risposte chiare ed inequivocabili dall’Uomo del terzo millennio, come ad esempio per la clonazione e l’eutanasia.
Sono altresì fermamente convinto, e non potrebbe essere altrimenti, che il presupposto iniziale per affrontare con serietà i problemi primari dell’Umanità, e soprattutto senza dispersive dietrologie, non prescinda dal decisivo accantonamento di tutte le ideologie che imprigionano il libero pensiero e la libertà, come quelle che si legano alle religioni ed agli interessi personali di coloro che praticano la politica.
Dal sereno confronto di pensieri, idee, e conoscenze individuali, che potremmo definire il primo gradino di un’ascesa collettiva e responsabile nel rispetto degli altrui convincimenti, potrà nascere quella volontà fortemente protesa verso il miglioramento ed il benessere di tutti, senza più sopraffazioni ed egoismi personali.
Le testimonianze del nostro passato, frattanto, immobili nei siti che gli antichi maestri scelsero per la loro edificazione, osservano silenziose il frenetico dimenarsi degli uomini che inseguono, come nel passato, effimere ed illusorie conquiste.
All’alba del 2001, stranamente, il segreto di un antico nostro progenitore forse venuto dalle stelle, ermeticamente racchiuso nel simbolo più complesso ed arcano dell’Universo che noi chiamiamo “uomo”, ci appare meno lontano…e, come sempre in occasione di un nuovo anno che nasce, ci riscopriamo più ricchi di proponimenti buoni, e di speranza…
Silvio Nascimben

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LA SACRA ARTE DELL’ALCHIMIA

– Paolo Galiano (Edizioni Simmetria)

Nella sua impresa di rivalutazione della figura di Frate Elia, Generale dell’Ordine Francescano ed uno dei primi alchimisti occidentali, Galiano con questo terzo lavoro, dopo la traduzione dello Speculum alchemiae nella sua forma abbreviata da un manoscritto del XVI sec. e del Pretiosum donum Dei nella redazione del XV sec., offre la traduzione dello Speculum alchimiae in forma integrale trascritto da un codice del XV sec. della Biblioteca Nazionale di Firenze, un’opera cospicua che si potrebbe per diversi motivi attribuire a Frate Elia ed invece quasi sconosciuta ai lettori interessati come agli specialisti di storia dell’Alchimia, i quali quasi ignorano questo autore e che solo negli ultimi anni, grazie soprattutto a studiosi italiani come Partini, Capitanucci, Pereira e Rossetti, ha cominciato ad essere conosciuto.

Questo testo, ampiamente citato in manoscritti ben più noti come il Pretiosum donum Dei e i Rosarium philosophorum, ha la peculiarità di essere un’opera di Alchimia “teorica” più che “tecnica”: pochissime le cosiddette ricette presenti nel testo, nel quale sono esposti i sette gradi dell’Opera alchemica con la precisazione dei tempi, dal Solstizio d’Inverno al Solstizio d’Estate, in cui attuare le operazioni che devono essere eseguite da chi vuole giungere all’Oro alchemico, non oro materiale, come spesso specifica l’autore dello Speculum, ma Oro trascendente, fusione del corpo, dell’anima e dello spirito in una sola entità in cui il corporeo è spiritualizzato e lo spirito è corporeificato nella realizzazione del “corpo di gloria” o Androgine perfetto.

Paolo Galiano – La sacra arte dell’Alchimia

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ATTUALITÀ DEL PENSIERO ROSACROCIANO

VIAGGIO NEL MONDO DEI RITI

ATTUALITÀ DEL PENSIERO ROSACROCIANO
di
Riccardo Gandolfi
Premessa
Il pericolo maggiore che, oggi, corre colui che vuole parlare dei Rosa+Croce è quello di ripetere alcuni dei tanti luoghi comuni che circolano sulla Confraternita.
Per cercare di evitare questo rischio, non mi dilungherò nell ‘ analisi storica, né sulle tante interpretazioni tentate sui pochi scritti disponibili, né cercherò di dimostrarne la veridicità storica. Il punto di partenza di questa breve disamina, sarà, invece, il ruolo che va riconosciuto alla confraternita nell ‘evoluzione dell ‘istituzione massonica, partendo da una domanda: “Perché I ‘ istituzione massonica sentì la necessità di richiamarsi ad una tradizione sotterranea, poco conosciuta, contrastata come quella dei Rosa+Croce?”
Cerchiamo di ricordare quale fu il clima culturale nel quale maturò l’ideale massonico e, più tardi, quali furono le correnti filosofiche che incisero profondamente sia nell ‘evoluzione delle società occidentali che dell’ istituzione massonica.
A partire dal diciottesimo secolo si andarono affermando, sempre di più, tendenze culturali che esaltavano la ragione, intesa come facoltà intellettiva superiore ad ogni altra, tendendo, quindi, a valutare negativamente le altre manifestazioni dell ‘ intelletto umano, soprattutto di carattere sentimentale ed istintivo.
Alla luce di queste tendenze, si tendeva a spiegare tutto alla luce della ragione, persino I’ esistenza di Dio, non essendo più sufficiente il semplice atto di fede, inteso, al contrario, come manifestazione di bigotta superstizione.
Questo fideismo cieco nelle capacità razionali dell’uomo arrivò al paradosso di inventarsi un dio laico, la Dea Ragione, che, nell’intenzione dei rivoluzionari francesi, avrebbe dovuto sostituire il culto divino, rappresentando un mezzo per l’ affermazione di un ateismo del tutto anomalo, dato che non si spingeva ad affermare la negazione di Dio, ma semplicemente la sua sostituzione con un altro ente astratto ed artificiale.
In conseguenza di questo culto della ragione, si esaltò la capacità tecnica dell’ uomo, delineando scenari di sviluppo inarrestabile.
L’uomo laico, finalmente, poteva riaffermare la propria capacità di pensiero, utilizzare l’ intelletto in maniera libera, senza doversi confrontare con gli scritti aristotelici e con i dettati della Chiesa.
Le scoperte scientifiche si andavano coniugando alle fantasie di fervidi scrittori come Verne, creando il mito della scienza e della tecnica, intese come uniche attività intellettuali degne di essere esplorate dalle menti dei filosofi.
In quest’ ambito culturale si sviluppò prima l’Illuminismo ed in seguito la filosofia positivista che, in poco tempo, divenne un vero e proprio metodo d’ approccio ai maggiori temi culturali e sociali.
La metafisica, che apparteneva alla speculazione filosofica fin dalla sua nascita, era accantonata, cedendo il passo allo studio delle metodologie scientifiche. Mentre tutto questo accadeva, i migliori intelletti dell’ epoca si ritrovavano fra le colonne dei templi massonici.
Scienziati, filosofi, ma anche uomini d’azione, militanti rivoluzionari, si ritrovavano a rispettare rituali ricchi di simbolismi arcaici, aprendo sull’ ara la Sacra Bibbia e deponendo su di essa la squadra ed il compasso.
Uomini che affermavano la superiorità della ragione, che studiavano i processi chimici e fisici, che progettavano rivoluzioni ed intrighi, al coperto della volta celeste della loggia ritrovavano un linguaggio perduto.
Proprio queste persone contribuivano allo sviluppo del rituale massonico, all’introduzione dei gradi superiori, quelli del Rito Scozzese, nello stesso momento in cui si impegnavano per poter realizzare la più grande impresa culturale fino ad allora tentata, la scrittura dell’Enciclopedia universale, ovverosia un libro, seppur composto da vari volumi, all ‘ interno del quale poter rifrovare il compendio di tutti i libri fino ad allora esistiti.
Ricordiamo, a proposito di quest’ avvenimento, che ancora oggi è comunemente riconosciuto come evento rivoluzionario per la sua vasta portata, le parole che ritroviamo in uno dei testi principali prodotti dalla Confraternita dei Rosa+Croce, la Confessio Fraternitatis.
Non sarebbe forse un ‘ ottima cosa poter leggere tutto in un unico libro e leggendolo ricordare e capire ciò che è stato, che è e che sarà appreso e scoperto in tutti gli altri libri conosciuti e pubblicati finora ed in quelli che si pubblicheranno in futuro?
Certo, chi lo avesse letto con l’occhio dell’uomo del 1600, avrebbe interpretato le parole in maniera letterale, sicuramente le avrebbe derise, ritenendole frutto di fantasia; ma così non era.
Cosa rappresentavano, dunque, le opere dei Rosa+Croce da suscitare l’interesse di uomini così tesi alla ricerca di riscontri razionali, legati al mito della tecnica e del progresso inarrestabile illuminato dalla Dea Ragione? Secondo alcune interpretazioni, gli alti gadi della massoneria, I’ infroduzione dei mid Templare e Rosacrociano all’ interno della gerarchia massonica, coincisero con I’ ingresso di borghesi in cerca di promozione sociale.
In pratica, si dice da parte di qualcuno, la borghesia desiderava sostituirsi in tutto alla nobiltà, non solo nella gestione del potere, ma anche nella considerazione sociale; il poter esibire, seppur solo nel chiuso delle logge, i gradi di Principe o di cavaliere, soddisfaceva questo desiderio, gratificando l’ infantilismo di questi personaggi.
Sinceramente, appare difficile pensare ad un Voltaire che si sente gratificato per così poco, certo non sembra credibile che persone come Proudhon, Bakunin, Malatesta, Costa, Pisacane e Garibaldi, rivoluzionari e demolitori di idee e di regimi, ricercassero, fra un carcere e l’altro, una lotta civile e l’altra, la magra consolazione di un ‘ insegna artificiale.
Appare in tutta evidenza che, nella scelta di introdurre il mito templare e rosacrociano all’interno dei templi massonici, agirono motivazioni e ragioni ben più profonde, tanto da costituire, ancora oggi, la ragione d’ essere e d’ esistere dell ‘ Istituzione massonica.
A questo punto, I ‘unico modo per cercare di comprendere la causa di questo stretto legame nonché le ragioni della persistenza e del vigore del mito rosacrociano, è cercare di individuare alcune idee guida fra le tante che si trovano disseminate negli scritti ufficiali della Confraternita.
L’Umanesimo e la religiosità — Templari e rosacroce
Nei loro scritti, i Rosacroce si riferiscono, in molte occasioni, all’Ordine del tempio, in particolare, nella Fama si legge che la filosofia della Confraternita è: l’ornamento della Chiesa e l’onore del Tempio
Nelle Nozze chimiche, Christian Rosenkreuz, prima di iniziare il proprio viaggio iniziatico, indossa il suo: Bianco abito di lino e si cinse i fianchi di una fascia vermiglia che s ‘incrociava dietro le spalle e, più aVanti, il settimo giorno del suo viaggio, nel ricordare l’onore che gli fu tributato, ricorda che a lui venne permesso di cavalcare accanto al re e, scrive:
ciascuno di noi portava uno stendardo bianco come la neve, con sopra una croce rossa.
Non possono esistere dubbi sul fatto che la Confraternita dei rosacroce intendesse operare seguendo il solco tracciato dai Templari, considerazione peraltro rafforzata dalla descrizione della vita e delle opere dei primi confratelli, monaci e costruttori, come riportato dalla Fama, di un:
Edificio dedicato allo Spirito Santo
Per quale motivo i fratelli rosacroce decisero di ricercare un legame con il Tempio e, ancora, perché mai i massoni dell ‘ illuminismo e del positivismo continuarono a ricercare questo legame, senza mai rinnegarlo come ciarpame irrazionale?
Intanto, come ricorda René Guénon, la tradizione esoterica ha un fine ultimo, uno scopo preciso, quello di completare la Grande Opera.
Simbolicamente, essa è rappresentata dal tempio di Salomone e, altrettanto simbolicamente, per poterla completare occorre trovare un numero sufficiente di pietre levigate e squadrate.
58 Agorà settembre – ottobre 1997 Durante la costruzione, il Tempio appare senza difese, perché le mura non sono ancora costruite e per difenderlo occorre, dunque, che vi siano uomini in armi, uomini che ne comprendano l’ importanza e che per esso siano disposti a sacrificare la propria vita.
I Templari fecero questo, difendendo in Palestina le vie d’accesso alla Terra Santa, ricercando, al tempo stesso, di far proseguire il cammino della Grande Opera, acquisendo le necessarie nozioni spirituali e tecniche per cosfruire la rappresentazione terrena dell’ impegno sovrannaturale, ovverosia le grandi Cattedrali gotiche.
Dunque, richiamarsi all’ esempio ed alla tradizione templare significa, prima di tutto, ricordare il compito dell’uomo, la sua funzione, la sua missione.
L’uomo deve progredire verso una spiritualità profonda, deve liberarsi dalle incrostazioni della materia ilica, deve levigare e squadrare la propria anima per renderla sempre più simile all’ essenza di Dio, per poter contribuire alla costruzione del Tempio interiore.
Templari e Rosacroce, dunque, rappresentano un esempio che deve essere seguito da tutti coloro che credono nel vero progresso umano e che comprendono che il fine ultimo di questo non è la sostituzione di Dio, quanto il ricongiungimento dell’Uomo con Esso.
Da quest’ impegno discendono il precetto massonico di rifiuto dell’ ateismo, il voto monastico dei templari, l’ affermazione di fede da parte dei rosacroce, ma, soprattutto, la necessità di riportare l’ impegno spirituale sul piano pratico.
Quest’ultima necessità è dimostrata dalla critica che, nella Fama, è rivolta a Paracelso, del quale, si dice:
Perse il suo tempo con una vita troppo autonoma ed incurante della società, lasciando il mondo ai suoi sciocchi piaceri.
D’ altra parte, a Paracelso viene riconosciuto un grande merito, quello di aver dato:
Maggior valore al cielo ed ai suoi cittadini, cioè agli uomini, che non ad una qualsiasi altra gloria.
L’intenzione di concorrere allo sviluppo dell’umanità traspare ancora più decisa dalla lettura della Riforma universale e generale dell’intero mondo, nella quale si presenta, sotto forma di allegoria paradossale, l’ impossibilità di procedere ad una riforma vera senza partire dalla riforma delleèoscienze individuali.
Insomma, esattamente lo scopo che si prefigge la massoneria, quello di elevare l’ individuo per renderlo capace di influenzare lo sviluppo ordinato, democratico e libertario della società.
I limiti della scienza
Uno dei punti cardine della filosofia rosacrociana è rappresentato dalla necessità di mantenere l’unione inseparabile che deve esistere fra progresso scientifico e conoscenza della natura.
Nella Confessio Fraternitatis si legge, infatti, nel capitolo undicesimo, che, spesso:
Si opera la trasmutazione dei metalli senza abbinarla ad un’ adeguata conoscenza della natura, mentre è proprio questa ultima che, non solo ci può svelare la scienza della medicina, ma anche molti altri segreti e meraviglie. Perciò — scrivono — è meglio che coloro che possiedono ingenia, prima di occuparsi della tintura dei metalli, si esercitino ad approfondire lo studio della natura.
Nella Confessio si invitano gli uomini di ingegno a rifuggire dai falsi alchimisti, da coloro, cioè, che, dietro pagamento, si offrono per far svelare i segreti dell’arte sacra.
Di contro, si invitano tutti gli studiosi, gli scienziati, i sapienti, ad abbandonare la propria superbia ed ambizione, l’ esempio di arabi ed africani, che usavano incontrarsi per discutere sui temi della conoscenza.
Essi auspicano la nascita di una società che si impegni ad educare i governanti ad apprendere ciò che Dio ha concesso all’uomo di conoscere e, dunque, si rivolgono ai sapienti affinché:
Con umiltà ed amore essi ci aiuteranno ad alleggerire le pene di questo mondo invece di continuare ad essere ciechi di fronte alle meravigliose opere di Dio.
Soffiatori ed Alchimisti — L’anima e la procreazione — manipolazione genetica
Il significato del messaggio rosacrociano appare ancora più chiaro solo che si rifletta sulla conclusione delle Nozze Chimiche alle quali partecipa Rosenkreutz.
Solo Lui, insieme ad altri tre, riesce ad assistere alla nascita, prodotta attraverso un procedimento chimico, della giovane coppia regale che, come si direbbe oggi è nata dalla clonazione dei vecchi re. Gli altri, non puri e non degni, sono rimasti al piano inferiore, cercando, inutilmente, di riprodurre la vita senza comprendere che, senza l’ intervento divino, non è possibile il congiungimento della materia con l’ anima, elemento essenziale per la nascita della vita.
Mi riservo di approfondire in altra occasi one il significato simbolico e scientifico delle nozze chimiche, qui mi preme solo sottolineare una cosa: sicuramente ai lettori delle Nozze chimiche del seicento ma, presumibilmente, anche del primo novecento, tutta la descrizione del procedimento di riproduzione della vita sarà sembrata il frutto di una fervida fantasia. A noi, lettori di fine millennio, tutto appare molto meno favoloso di quanto possa sembrare, avendo presente i progressi della scienza genetica e biologica di questi ultimi anni.
Proprio le scoperte scientifiche di questi anni ci inducono a riflettere meglio sul significato profondo di questo scritto, soprattutto sul ruolo che, all’interno di questo, riveste il sangue e l’essenza genetica che da questo viene tratta nel lungo procedimento alchemico.
Con questo non voglio dire che i rosacroce conoscessero i segreti che oggi permettono la manipolazione genetica e la clonazione, però appare chiaro che essi ritenevano possibile creare in maniera artificiale la vita.
Ma proprio perché ritenevano questo possibile, si preoccupavano di mettere in guardia gli scienziati dal farlo, riservando, metaforicamente, solo agli eletti la possibilità di sapere, possibilmente per non fare, se non in casi eccezionali. Sicuramente, mai nessun rosacrociano, consapevole del valore della vita, della dignità umana e della pietas, componente essenziale dell’essenza umana avrebbe creato migliaia embrioni per poi procede, scientificamente e sistematicamente, con poche gocce di alcool, alla loro distruzione.
La scienza deve assecondare la natura, non sostituirsi ad essa. Questo il loro messaggio. Tant’è che, ricorda Rosenkreutz, fra le regole da rispettare, egli ed i suoi compagni di viaggio, onorati del titolo di Cavalieri della Pietra D’ oro, ce n’ era una che ritenevano quasi uno scherzo, dato che recitava: Non desidererete vivere più a lungo di quanto vi abbia concesso la volontà di Dio Cosa che viene richiamata nella Fama, quando viene scritto che:
Sebbene i loro corpi fossero immuni da ogni malattia e dolore, tuttavia le loro anime non potevano oltrepassare i termini stabiliti ad esse dalla morte.
Ecco dunque che per i massoni, uomini razionali, studiosi, scienziati, l’esempio rosacrociano appare come un simbolo necessario per rafforzare, nello stesso tempo, la fiducia nelle di conoscenza dell’uomo e la fede nella trascendenza.
Senza fede, senza la consapevolezza dell’umana precarietà, la scienza non produrrà progresso, ma solo ricerca dell’ oro e soddisfazione della vanità personale.
Come scrivono i fratelli rosacroce:
Per i veri filosofi la fabbricazione dell’oro è cosa di scarso valore, e che oltre ad essa si possono fare mille cose migliori.
La Lingua ed il simbolo
Nel loro impegno per la diffusione della conoscenza e nel loro appello per la nascita di rapporti stretti, di collaborazione, fra sapienti di tutto il mondo, più volte i fratelli rosacroce trattano il tema della lingua, intesa come veicolo di dialogo e di fratellanza. Nel capitolo nono della Confessio, essi scrivono che:
Abbiamo creato un nuovo linguaggio, tramite il quale è possibile esprimere ed interpretare la natura delle cose.
A proposito delle lingue parlate, essi dichiarano di non essere in grado di esprimersi chiaramente attraverso di esse, perché, scrivono:
Queste lingue non possono venir paragonate a quella di Enoch e di Adamo, nostro padre originario, perché esse fürono completamente contraffatte quando avvenne la confusione delle lingue babilonese.
Nei manifesti affissi a Parigi nel 1623, essi affermano di poter rivelare come parlare le lingue dei paesi dove vogliamo essere. E’ di tutta evidenza che per poter diffondere la conoscenza è necessario che, per prima cosa, sapienti e discenti si comprendano.
II rito come metalingua internazionale
La massoneria, universale per scelta e necessità, ha cercato di tradurre in realtà l’insegnamento rosacrociano attraverso il rito. Attraverso la ritualità simbolica, il significato del simbolo, essa ha realizzato una metalingua, che può essere compresa ad ogni latitudine e longitudine e che consente a chiunque la conosca, di poter seguire i lavori rituali, in qualsiasi parte del mondo esso si trovi e qualunque lingua egli parli.
Oggi abbiamo Garcia Marquez che invita, paradossalmente e provocatoriamente, ad abbandonare la grammatica, per cercare un modo più immediato di comunicazione. E”ovvio che questa affermazione è priva di valore, se non valesse come testimonianza di un sintomo reale di inadeguatezza dei linguaggi, non del tutto idonei ad assolvere alle funzioni a cui sono chiamati.
60 Agorà settembre – ottobre 1997 Non è, però, rinunciando alla grammatica che si può ovviare al problema, quanto diffondendo la conoscenza ricercando una lingua comune.
Conclusione
Al termine di questa breve e mi auguro non troppo noiosa disamina, ritengo opportuno sintetizzare quelli che ritengo essere i principi cardini del pensiero rosacrociano che, attraverso la ritualità e la tradizione, sono stati inglobati dal pensiero massonico e che, ancora oggi, mostrano una notevole vitalità.
Per rispondere alla domanda che ci siamo posti all’ inizio, ovverosia quali motivi potrebbero aver indotto uomini legati al pensiero illuminista e positivista a rifarsi al mito rosacrociano, possiamo affermare che il simbolismo rosacrociano risponde ad impegni che trovano una con•ispondenza nel pensiero e nell’ azione massonica.
Questi impegni possono essere sintetizzati come segue:
— Impegno individuale
— Impegno sociale
Impegno culturale e linguistico
Impegno scientifico
Impegno religioso
Per prima cosa, dunque, vi era, sia per i rosacroce che per i massoni, la necessità di difendere ed espandere i principi umanistici, ponendo l’attenzione allo sviluppo dell’individuo e della sua personalità, difendendolo da ogni tentativo culturale teso a subordinarlo a principi sovraindividuali, propri di culture totalitarie e totalizzanti.
Quindi, tutelare il progresso scientifico e culturale da ogni tentativo di compressione da parte del potere costituito, sia esso di carattere politico o religioso, pur riconoscendo che un limite deve essere imposto dalla coscienza stessa dei sapienti, consapevoli del fatto che non deve essere turbato il rapporto fra microcosmo e del macrocosmo e che ogni progresso deve essere in armonia con la natura.

Da questi principi discende la consapevolezza che l’uomo non può mai sostituirsi a Dio, che non deve arrogarsi il ruolo di demiurgo e che, soprattutto, non può alterare il ciclo della vita, cercando di ritardare la morte oltre ogni limite accettabile o generando la vita al di là delle naturali possibilità.
In definitiva, l’ uomo rosacrociano e massonico ricerca I ‘ equilibrio, la propria e l’ altrui perfezione per essere in sintonia con un universo del quale fa parte ed al quale appartiene.
Per assolvere a questo impegno, per contribuire alla realizzazione della Grande Opera, egli non può, però, limitarsi a curare il proprio perfezionamento, perché altrimenti potrebbe essere oggetto di critiche come Paracelso.
Egli deve operare come i Templari, agendo sul piano anche terreno, cercando di condizionare la realtà che lo circonda, al fine di renderla pronta per accogliere il completamento della Grande Opera.
Dunque, deve cercare di coinvolgere i sapienti e gli studiosi in un grande impegno culturale universale, ricercando una lingua comune, seguendo, in questo, l’esempio del fratello Zamenhoff, il doctor Esperanto.
Se questo sapremo comprendere, avremo compreso molti dei motivi che indussero i migliori uomini del secolo scorso ad adottare la simbolica discendenza della massoneria dai rosacroce e, soprattutto, avremo adempiuto al nostro principale dovere, quello di contribuire al progresso ed allo sviluppo dell’umanità ed al rafforzamento della spiritualità laica e massonica.
Fra questi compiti, vi è anche quello di difendere la libertà di studiare la storia, il rivendicare il diritto dei giovani e dei meno giovani di conoscere culture e racconti storici oggi esclusi dall’ufficialità
Mi riferisco proprio allo studio della cultura templare, rosacrociana e massonica, oggi esclusa dallo studio, non figurando alcun accenno nei libri di filosofia, storia, letteratura, quasi la loro influenza non fosse stata determinante per la formazione culturale di persone come Dante Alighieri, Giuseppe Garibaldi, Giovanni Amendola, Giacomo Matteotti, Einstein e tanti altri.
Se tutti avremo ben compreso il vero insegnamento, sapremo sicuramente come comportarci.

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AD UNA FUTURA INTEGRAZIONE RAZZIALE Opportunità e difficoltà di VITTTORIO VIANN

INTEGRAZIONE RAZZIALE Opportunità e difficoltà
di
Vittorio Vanni
on vi sono, oggi, argomenti, più difficili a trattare come quello dell’integrazione razziale, in quanto l’irrazionalità, l’emotività, l’egoismo, la xenofobia, inconsci o meno che siano, fanno parte del bagaglio psicologico di ognuno. Nessuno può dirsi veramente immune da impulsi biologici potenti come il sospetto, la paura, il rifiuto dell’altro, dell’alieno, dello straniero.
Chi afferma con sdegno di esserne privo molto spesso dimostra con i fatti una violenta preclusione verso alcune categorie umane o un’intolleranza, spesso feroce, verso delle categorie ideologiche che non collimano con le sue. Chi vive attivamente nelle nostre città deve riconoscere che la tentazione dell’insofferenza, del rigetto, dell’intolleranza, è spesso messa a dura prova dalle varie forme di mendicità, a volte violenta, che gli extracomunitari esercitano.
Chi subisce sulla propria pelle lo stillicidio quotidiano degli scippi, dei borseggi, dei furti, deve dimostrare continuamente a sé stesso di avere, tenacemente, la volontà di non generalizzare, di comprendere, di tollerare.
Questo, a volte, può esser più facile per chi ha dei mezzi economici per la difesa di se stesso e della propria famiglia, ma per le classi meno fortunate questo non sempre è possibile.
Quando, nei mass-media, i protagonisti di raid, punitivi o preventivi, o comunque esprimenti sentimenti di avversione contro gli extracomunitari sono intervistati, ognuno respinge con sdegno l’accusa di razzismo e nella maggior parte dei casi le affermazioni sono senz’altro sincere.
Può nascere così, in una nazione come la nostra, nel complesso bonaria ed ospitale, una forma nuova di razzismo, non più basata sul pregiudizio etnico, ma sulla paura di esser sottoposti ad atti di piccola o grande criminalità.
Ignorare le ragioni, a volte giustificate, di questi sentimenti della popolazione, o addirittura criminalizzarle, è un errore fatale alla convivenza ed alla comprensione dei popoli.
La volontaria cecità delle autorità politiche ed anche religiose di fronte al disagio della popolazione, cecità indotta da motivi ideologi spesso obsoleti, può produrre, alla fine, ulteriori lutti ed atrocità di cui l’umanità farebbe finalmente a meno. Il riconoscimento dei diritti dell’umanità nasce dall’equilibrio, dalla razionalità, dalla conoscenza, e non solo dal sentimento, che spesso è acritico ed a volte volubile.
Nella difficile opera dell’inte-
grazione razziale, che attende l’Europa futura, non potranno essere misconosciuti i diritti della cittadinanza, che pretende di mantenere un benessere economico ed un’identità personale e di gruppo, che ha acquisito a prezzi altissimi, pur senza farne, nel suo complesso, concetti ideologici.
L’ansia acritica dell’immediata integrazione degli extracomunitari, a tutti i costi, sia economici sia politici, è forse l’ultima, in ordine temporale, delle confessionalità nella storia del pensiero.
Quest’ansia, che può assumere dei caratteri funesti, contrasta nei fatti con la ragionata e cosciente affermazione del diritto d’ogni membro dell’umanità alla sussistenza ed alla dignità personali.
L’accoglienza calda, umana e gioiosa che noi italiani, in particolare, vorremmo riservare ai nostri fratelli d’ogni luogo e razza, non può prescindere da una valutazione e pianificazione dei mezzi d’ospitalità.
Vi sono tuttavia dei valori che, pur non dimenticando le difficili realtà economiche e sociali della nostra patria, italiana ed europea, vanno comunque affermati e difesi.
Il principio dell’uguaglianza e della fratellanza fra i popoli non è oggi comunemente contestato, al contrario è divenuto un archetipo psicologico e spirituale della stragrande maggioranza dell’umanità.
Ben diverse e sottili sono le variazioni dei principi con cui l’istinto primordiale, presente in tutti gli esseri umani, vorrebbe rideologizzarsi.
L’accusa di razzismo, sempre portata agli altri, naturalmente, è oggi più concettualmente rozza del razzismo stesso.
Per combattere le nuove forme dell ‘intolleranza, per procedere evolutivamente e civilmente verso l’integrazione, è necessario studiare e quindi conoscere le sue nuove maschere, le sue nuove variazioni concettuali ed ideologiche.
Le parole chiave di queste variazioni attuali, che degenerano sentimenti popolari rispettabili sono: personalità ed individualità: spiritualità genetica.
La dottrina della razza, tipica della prima metà del XIX secolo, era dapprima considerata come dominio dell’antropologia e dell’etnologia, quando queste consideravano i popoli primitivi o più arretrati come selvaggi da ammansire e addomesticare con usanze tipiche di una civiltà superiore.
Le supposte inferiorità di fatto erano quindi soggette ad igiene sociale, ma anche etica e spirituale. L’identità occidentale, affermata con la forza dal colonialismo, con la conoscenza dallo scientismo, con i concetti dalla speculazione filosofica, non aveva. in principio, dubbi di sorta sulla necessità etica della propria supremazia.
Il “bagaglio dell’uomo bianco”, il cui peso e gloria Kypling aveva epicamente cantato, faceva parte dell’immaginario collettivo che nessuno, se non pochissimi, avrebbe messo in dubbio.
I mezzi che l’occidente evoluto usava verso i popoli ancora nell’infanzia erano la brutalità dei fucili, i bastoni e le fruste.
Il giudizio verso i dominati era lo stesso che gli antichi romani riservavano agli schiavi e, in parte, alle donne, esseri che bisognava proteggere, dominandoli.
Il positivismo ed il razionalismo scientista di quegli anni confermava gli aspetü biologici ed antropologici della mentalità corrente, che si creava un mito, un’idea forza, una cristallizzazione d’energie creatrici relative agli istinti di un’epoca.
Le nazioni europee, tutte più o meno implicate nel colonialismo, si creavano così una sua giustificazione, razionale ed etica nel contempo, ai loro interessi anti-universalistici ed anti-individualistici.
Per affermare il concetto di stato etico, tipico delle oligarchie di ogni colore politico, era necessario collegare il sentimento di nazionalità a quello, più energetico e biologico, di razza, attraverso la creazione di un “mito” cioè ad un’idea che è più valida per la sua suggestione possibile che per la sua verità e fondatezza.
In questo senso il razzismo è un nazionalismo potenziato, che supera i confini territoriali, giuridici, culturali. Pur opponendosi all’universalismo, non si esaurisce in semplice unità di civiltà, ma può estendersi senza limiti geografici alla ricerca, o all’affermazione, del “proprio sangue”.
Questo mito, che ha segnato con una striscia di sangue il volto del nostro secolo, ha però delle evidenti limitazioni.
I popoli europei sono formati geneticamente da un meticciato bianco di cui sarebbe impossibile determinare la principale origine, sempre ammesso che questa vi sia o che sia importante ravvisarne le tracce.
Sarebbe oggi impossibile rilanciare l’idea di “purità o di contaminazione razziale”, ma variazioni ideologiche del razzismo, più insidiose, potrebbero ben cavalcare il disagio delle popolazioni europee di fronte all’immigrazione sempre più pressante dal Terzo Mondo.
Queste variazioni, già presenti “in nuce” nel razzismo classico, ma ripresentate insidiosamente sin dalla fine degli anni 70, potrebbero essere il maggior ostacolo all’affermazione dei diritti dell’umanità al libero spostamento e all’integrazione razziale.
Vi è, negli archetipi mentali e biologici dell’umanità, un istinto inestinguibile di sopravvivenza attraverso la specie, di mantenimento delle proprie caratteristiche fisiche e psicologiche.
Quest’istinto di natura legittimamente egoistica ha, naturalmente, delle fondate e legittime basi naturali, e si dovrebbe applicare oggi non più alla propria appartenenza “razziale” ma a quella dell’intera specie umana.
Può essere, al contrario, usato in termini opposti, per il rifiuto dell’altrui individualità, e per l’affermazione della propria maniera di vita e cultura particolare.
Se vi fosse, veramente, una civiltà superiore in termini oggettivi, è solo il contatto fra i popoli di diversa tradizione e la loro competizione non violenta che potrebbe affermarla e confermarla.
Sappiamo invece, oggi, che ogni civiltà possibile è il prodotto di una compromissione naturale fra diverse culture e modi di vivere, anche se i principi etici fondamentali devono essere comunque comuni.
Il nuovo razzismo non si lega più alle differenze genetiche, che elude come mere appartenenze materiali, ma si collega a considerazioni più sottilmente spirituali.
In quest’ambito si presenta come una volontà di stabilire, miticamente, • delle forme, dei limiti, delle individualità.
Il globalismo ed al mondialismo che si presentano insistentemente al nostro futuro, e che certamente hanno in sé dei pericoli, sono visti come l’indice di caos etnico e di snaturamento delle individualità, considerate come valore assoluto ed eterno.
Da questo punto di vista vi è una contraddizione dei termini, in quanto l’individualità è considerata, paradossalmente, come una forma comunitaria. Il razzismo, biologico o spirituale che sia, si rifiuta di considerare il singolo, in nome di un’astratta concezione di stirpe, di sangue, di tradizione. Queste hanno, in realtà, una vitalità, un’essenzialità, una sopravvivenza, quanto mai variabili, mobili, transeunti e trascendenti.
Rispettare ed affermare l’individualità di un popolo che ha, comunque, i suoi diritti non significa negare quelli dell’individualità del singolo, che nella scala dei valori etici ha valori primari, legati all’unicità momentanea della sua vita presente.
Il razzismo attuale, nel presentare la sua scala di valori etici, sociali ed economici, fa prevalere l’idea di “personalità” sull’individualità, intendendo così che il “merito” può prevalere sui diritti di ognuno, anche su quelli minimali.
Il valore personale dell’intelligenza, dell’operosità, della dirittura morale non può esser messo in discussione, ma il concetto di eguaglianza non si basa su questo parametro, ma su quello degli inalienabili diritti individuali di chi ha meno intelligenza, meno operosità, meno dirittura morale.
La confusione “meritocratica” diventa razzismo quando si attribuisce agli extra-comunitari minori valori di personalità, utilità e correttezza sociale, il che può anche esser vero, ma non in relazione ai diritti minimali.
Il razzismo attuale si contrappone poi al cosiddetto “mito” democratico ed illuminista, e si schiera contro la civiltà laica e profana della società borghese, affermando che la virtù, la nobiltà, la dignità non s’impara, ma si possiede o non si possiede, secondo la razza, la stirpe, la tradizione.
E’ la consueta teoria delle élite, che, conservatrici o rivoluzionarie che siano, si autodefiniscono tali solo in valenza del successo, della forza, dell’abilità, elementi, a volte, puramente casuali, non indotti dal merito individuale e soprattutto non innati.
L’autoaffermazione del sentimento elitario, in un periodo d’estrema crisi morale, politica ed economica come il nostro, è una tentazione che può affermarsi anche in relazione al fastidio che la presenza aliena degli extracomunitari, anche se non eccessivamente numerosa, può provocare.
Ancora più pericoloso è lo scambio dialettico fra i concetti di personalità e di individualità che può diffondersi nella mentalità comune; ma il concetto di maggior efficacia del nuovo razzismo è quello di spiritualità genetica.
Le forze dell’umanità che si richiamano all’istinto, al sangue, all’ereditarietà, insomma a tutto ciò che dà forma e sostegno alla personalità, non sono viste come un’espressione individuale, ma come appartenenti oggettivamente alla natura.
Ad esempio, l’aggressività psico-zoologica dell’uomo – che Conrad Lorenz ha evidenziato essere componente naturale ed indispensabile – come espressione individuale può esser controllata, diretta, raffinata e sublimata.
Come espressione della natura ha invece un valore innato in sé e può e deve esser usata coscientemente come forza egoica opprimente sugli altri, come un impulso inarrestabile di vita, ed in questo caso la personalità trascende la natura materiale stessa, divenendo spiritualità.
Non è più, quindi, la razza, un fattore meramente biologico, un puro dato, estraneo a qualsiasi azione creatrice dell’uomo, ma un’essenza spirituale che si manifesta sì biologicamente, ma che, intrinsecamente, si rende visibile in qualità, atteggiamenti, inclinazioni, sensibilità.
La nobiltà, come confessa Dante Alighieri, è fondamentalmente “antica ricchezza e bei costumi”, ma, essendo i bei costumi molto spesso una creazione generazionale indotta dal censo, è questo, e solo questo, che forma l’élite.
Ed è questo, fondamentalmente, il nuovo ed antico razzismo contro i diritti dell’umanità e contro l’integrazione dei popoli.
La povertà è, nello stesso tempo, inferiorità economica, intellettuale, morale. Un povero mansueto ed inoperoso è considerato la feccia dell’umanità, ma un povero ribelle ed attivo è sempre negativamente negro, albanese, marocchino, come una volta era italiano.
Il censo è considerato sintomo di criminalità, ma una criminalità “sui generis”, corretta, civile, superiore, dotata di qualità, d’educazione, di superiorità. Un ricco è pulito, quindi puro, quindi spirituale, anche se di quell’ambigua spiritualità moderna delle classi privilegiate chiamata New Age. Questa afferma i diritti altrui coltivando i propri privilegi, ama profondamente la povertà ed i poveri quando quella e questa sono ben lontani, e disprezza profondamente il razzismo triviale di chi incolpa gli zingari per i furti subiti.
Ed è proprio a questa forma di neo-razzismo pseudo-spirituale cui bisogna riferirsi come al rifiorire di nuove forme d’intolleranza.
In questo torbido fine millennio le speranze di qualche decennio fa sembrano impaludarsi, la nuova realtà europea, sperata e sognata da generazioni, sembra fagocitata dal pragmatismo delle banche e delle multinazionali.
Le nuove generazioni, che in parte non accettano il cinismo imperante nel nuovo ordine, si rivolgono illusoriamente alla cosiddetta nuova spiritualità.
Movimenti neo-mistici, pseudo-religioni, sette sponsorizzate dalle industrie che necessitano di sempre nuovi bisogni, ricreano universi chiusi e falsamente elitari, volgendosi spesso ad un improbabile oriente, ad una metafisica grossamente ciarlatanesca.
Il movimento della NewAge è come fiaccato da improbabili ansie escatologiche, non derivanti dalla profondità dell’inconscio collettivo quanto dall’introiezione d’archetipi prima rimossi dal consumismo degli anni ’80, e poi frustrati dalla crisi economica degli anni ’90.
I suoi corifei, apparentemente contrari alla tecnocrazia, all’inquinamento ecologico, al consumismo, al predominio delle considerazioni economiche su quelle etiche, ne rappresentano invece la loro giustificazione metafisica, dimostrando un’opposizione rivolta solo a finalità materialistiche, mentre vorrebbero così combattere l’arido positivismo delle multinazionali.
Il sacrificio della razionalità, secondo i neo-guru, è indispensabile alla scoperta della fede, dimostrando così che la New e la Old Age concordano nella volontà di controllo delle coscienze e nello sfruttamento del prossimo.
Il razzismo evoluto della post-filosofia della New Age ieri, e della Next Age oggi, è rappresentato dal presentare l’umanità come getta ad evoluzione spirituale individuale, il cui assommarsi, nel turo, diverrebbe l’evoluzione spirituale dell’intera umanità.
L’indifferenza, e la riprovazione, verso le necessità razionali ed organizzative della società, lungi dal rappresentare un’ascetismo, ostentato ma mai dimostrato, dimostrano un fideismo incontrollato nei confronti di una fatalità preordinata verso il meglio.
Le preoccupazioni quotidiane dell’umanità, di fronte ad una realtà poco felice, diventano una discriminante fra gli esseri evoluti e quelli che lo saranno in un lontanissimo futuro.
Il responsabile senso di colpa che ogni essere umano ha nei fronti dei miliardi di esseri umani senza libertà, senza cibo, senza medicine, viene così rimosso e sublimato nel concetto che ognuno deve comunque evolvere nel suo ambito e nelle sue condizioni, interventi ed aiuti esterni.
La povertà, il disagio, l’ignoranza, divengono così il segnacolo di un’esistenza precedente rivolta verso la materialità e il male. Le sponsabilità sono così dirette, individuali, senza attenuanti, senza pietà se non formale, con indifferenza totale e sostanziale.
Neanche le deliranti teorie sulla superiorità biologica razziale arrivarono mai a discriminare l’essenza interiore dell’umanità, a condannare implicitamente una vita umana, spesso più infelice che colpevole.
Cos’è dunque possibile fare per professare ed attuare il diritto alla sussistenza, alla libertà, alla dignità di ogni uomo in quanto tale, e non soltanto come appartenente ad una particolare razza, cultura o civiltà?
Aumentare, prima di tutto in noi stessi, la conoscenza e la consapevolezza della “charitas” come la consideravano i romani, che non è la semplice pratica dell’elemosina, ma la coscienza profonda che gli uomini differiscono enormemente per intelligenza, cultura, maturazione, ma che sono uguali nei sentimenti, nei bisogni, nei desideri, negli affetti, nella capacità di gioire e di soffrire.
Praticare la “virtus”, che è soprattutto moderazione ed equilibrio delle passioni e, oggi, dei consumi, godendo più della propria personalità che del proprio status.
Esercitare la “fides”, che è speranza ed azione assieme, per l’affermazione di principi che, negati spesso dalla realtà esteriore, devono essere tenacemente riconquistati nella realtà interiore.
Bisogna esser consapevoli, come un buon padre di famiglia, che non sempre possiamo soddisfare i bisogni materiali di tutti, come vorremmo, ma possiamo dare a tutti dignità, offrendo attenzione e considerazione, aggiungendo alle mille lire dovute al lavavetri uno sguardo, un sorriso, una parola.
Non dovremo attribuire agli ospiti delle nostre nazioni europee più diritti di quelli che godono i nostri concittadini, perché la “bontà” o meglio il “buonismo” molto spesso è solo fittizio, e nasconde l’egoismo di chi vuol esorcizzare i propri complessi di colpa o ignorare, senza giustizia, l’equilibrato diritto di ognuno.
Dovremo pretendere dai nostri ospiti che compiano i loro doveri, e che si adattino ai costumi ed alle leggi locali con la diligenza e la pazienza dell’ultimo arrivato, nell’attesa di una generazione che possa imparare ed insegnare nuovi valori e quindi nuove tradizioni.
Solo allora avremo il diritto e la capacità di organizzare, produrre, legiferare, in favore del nostro prossimo più alieno, perché senza equilibrio, prudenza, equità, maturazione personali le nostre opere produrranno soltanto nuovi errori, dolori e tragedie all’umanità.

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I MASSONI E IL GIUBILEO DEL’ANNO 1900

I massoni e il Giubileo del 1900
di
Anna Maria Isastia
ue grandi storici del novecento hanno scritto che la storia è sem pre storia contemporanea qualunque sia l’argomento trattato, perché lo studioso lo affronta con la cultura, la sensibilità, gli strumenti conoscitivi del suo tempo e non dei secoli passati.
Anche la scelta degli argomenti di ricerca non è mai casuale, ma è dettata da uno stimolo o da una motivazione che deriva dall’attualità, e questo sia nel caso che il ricercatore sia consapevole, sia nel caso che la scelta si presenti apparentemente occasionale.
In questo primo scorcio di 2000 due temi si sono imposti all’attenzione degli studiosi: l’anniversario della morte di Giordano Bruno, avvenuta a Roma il 17 febbraio 1600, di cui cadono i quattrocento anni, e la storia dei Giubilei.
La vastissima bibliografia degli scritti di e su Giordano Bruno non ha impedito la pubblicazione di nuovi volumi e una particolare attenzione al personaggio, anche a motivo del pentimento manifestato dai vertici cattolici per gli eccessi del passato.
Quanto al Giubileo non si contano più le pubblicazioni sul tema, che è stato ed è affrontato da tutte le possibili angolature, con articoli su quotidiani e periodici, opuscoli, libri di tutti i prezzi e tutte le dimensioni.
In questo oceano di parole, la mia attenzione è stata attratta da una notizia che ho letto più volte in differenti contesti, riferita sempre con lo stesso taglio critico, su un preteso contro giubileo che sarebbe stato organizzato dal Grande Oriente d’Italia nel 1900 a Roma.
La notizia viene riportata in un libro sul Giubileo pubblicato da Francesco Sisinni; dal “Corriere della sera” in un articolo del 25 aprile 1999 intitolato 1900, lo sberleffo dei Massoni al Papa; dalla rivista “30 Giorni” che, a fine novembre, ha proposto, in una storia a puntate dei Giubilei, la stessa ricostruzione dei fatti.
Si tratta di un fatto marginale cui viene però dagli autori attribuita una importanza tutt’altro che secondaria. Ed è proprio questo aspetto a renderlo interessante per lo studioso della storia della massoneria.
Si può dunque leggere che “il Pontefice e la sua Corte sono stati oltraggiati da un controgiubileo profano, e le timidissime aperture (vaticane e della politica cittadina) per raffreddare la “questione romana” non sono riuscite a raffreddare il forte spirito anticlericale che serpeggia in città. Il peggio accadde il venti settembre, quando la Massoneria festeggiò la ricorrenza dell’ingresso delle truppe italiane a. Roma, avvenuto trenta anni prima, con un corteo che, motteggiando i riti giubilari, si spostò in pellegrinaggio tra “quattro basiliche laiche” della città.
L’irriverente processione partì dal Pantheon, perché ospitava la tomba di Vittorio Emanuele II re d’Italia, puntò sul colle del Gianicolo rendendo omaggio a Giuseppe Garibaldi che aveva dato una spallata definitiva ai papalini, proseguì fino a Porta Pia, cioè proprio allàbreccià aperta dai bersaglieri di Lamarmora nel cuore del potere temporale, e infine si raccolse sul Campidoglio, sotto la statua del tribuno Cola di Rienzo, per onorare la-sede del laico governo capitolino.
Chi osò sprezzante il Gran Maestro della massoneria Ernesto Nathan, che fu anche sindaco di Roma dal 1907 al 1913: “Questi monumenü sono più maestosi di quelli che una turba di gente raccogliticcia visita per ottenere indulgenza”.
Questo il testo, da cui traspare chiaramente una malcelata censura nei confronti di una istituzione che irrideva ai sentimenti, agli usi, alle credenze di un’altra istituzione facendone una sorta di caricatura.
Non a caso una studiosa attenta come Maria I. Macioti in un saggio sui controgiubilei pubblicato sulla rivista “Iter” ha riproposto a sua volta questi avvenimenti del 1900.
Cosa c’è di vero in tutto ciò?
E’ nota la difficoltà di rapporti che vennero ad instaurarsi tra lo Stato italiano, nato ufficialmente nel 1861, e lo Stato della città del Vaticano che rifiutò di riconoscerne la legittimità fino alla firma dei Patti lateranensi del 1929. Ed è altrettanto noto come queste vicende abbiano reso estremamente complessa la storia dei primi decenni dell’Italia unita dando origine a quel movimento che va sotto il nome di anticlericalismo. Movimento di opposizione al potere politico gestito dalla chiesa cattolica in Italia e non già al cattolicesimo come religione.
Proprio per problemi di politica interna il Vaticano celebrò il Giubileo del 1875 in tono molto minore, mentre l’organizzazione di quello del 1900 provò la lealtà del governo italiano che, trovandosi per la prima volta di fronte ad un evento religioso di carattere internazionale, dimostrò la sua tolleranza favorendo in ogni modo il libero svolgimento delle celebrazioni. Questura, Comune e Vicariato lavorarono insieme permettendo la riuscita dell’anno giubilare.
In questo contesto due forze avrebbero cercato di impedire un quieto svolgimento degli eventi: i cattolici intransigenti e la massoneria. Gli uni e gli altri impegnati a criticare gli aspetti conciliatoristi dell’Anno Santo. Una serena ricostruzione degli eventi non sembra suffragare questa tesi.
In quel 1900 il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia era Ernesto Nathan appena rieletto per il secondo mandato. Presentando alla Giunta il programma che intendeva perseguire, all’11 0 punto si legge:
“In presenza dell’anno santo prendere in considerazione i diversi progetti messi innanzi dai vari partiti liberali e scegliere quelli che abbiano una nota eminentemente nazionale e diano speranza di felice successo”.
Nessuna crociata dunque veniva suggerita ai fratelli dal loro Gran Maestro che sperava invece di riuscire ad inaugurare ufficialmente nel corso di quell’anno la nuova sede di Palazzo Giustiniani, significativo punto di approdo di una Istituzione in piena espansione.
In quelle stanze avrebbero trovato collocazione gli uffici del Grande
Oriente, del Supremo Consiglio, della Gran Loggia del Rito Simbolico, le Sale e il Tempio per le Camere Superiori, il Tempio massimo, la grande sala delle conferenze. In realtà i lavori si protrassero ben oltre il previsto e l’inaugurazione avvenne il 21 aprile del 1901, con un anno di ritardo.
Qualche mese dopo, il 22 aprile 1900, parlando innanzi a quello che oggi è il Consiglio dell’Ordine, Nathan ribadì che la Massoneria non restringe la sua azione alla lotta anticlericale [.. .]; di ben altra ampiezza erano infatti i suoi progetti.
La prima grande manifestazione anticlericale prevista nell’anno giubilare era la celebrazione del terzo centenario del rogo di Giordano Bruno cui repubblicani, socialisti, massoni e liberi pensatori diedero ampio risalto.
Antonio Labriola, il caposcuola del socialismo scientifico in Italia, tenne all’interno dell’università un ciclo di lezioni “Sul destino storico di Giordano
neaAgorà gennaio – marzo 2000 19 Bruno” che accese gli animi degli studenti che cercarono di raggiungere Campo dé Fiori scontrandosi con gli agenti di polizia. Ci furono colluttazioni e alcuni arresti.
Il 17 febbraio, si legge su un quotidiano, a campo dé Fiori, attorno al monumento a Giordano Bruno v’erano pattuglie di carabinieri e di guardie. Gli ordini, a quel che pare, erano severissimi, perché se qualcuno si fermava per poco presso la cancellata del monumento era invitato a circolare. Tuttavia fu permessa l’apposizione di qualche corona.
Da questi brevi cenni sembra chiaro che l’autorità politica era ben decisa a non permettere alle forze anticlericali di turbare le celebrazioni giubilari, né d’altro canto il GOI intervenne ufficialmente, anche se appare indubbio che tra le 1500 persone accorse ad ascoltare il fratello Labriola i massoni non dovevano essere pochissimi.
I mesi successivi trascorsero senza altri incidenti fino al 20 settembre, data particolarmente sentita dalla massoneria italiana che ha voluto sempre celebrarla con particolare solennità.
Era prassi organizzare un corteo che raggiungeva Porta Pia dove, davanti alla “breccia”, si tenevano i discorsi ufficiali. Diventato sindaco di Roma, Nathan tenne alcuni celebri discorsi in quelle occasioni, il più discusso dei quali fu quello del 1910 che creò un serio incidente diplomatico con il Vaticano.
Non sembra però che il GOI abbia sfruttato la coincidenza per creare l’incidente. Se andiamo a leggere il resoconto degli eventi di quella giornata riferito dal quotidiano cattolico intransigente “La vera Roma” possiamo constatare che tutto si svolse senza incidenti e senza grande affluenza di gente. Alcuni massoni, si può leggere, parodiando a loro modo le visite giubilari, si recarono nelle “quattro basiliche civili” che erano rappresentate dal Pantheon, dal Gianicolo, da Porta Pia e dal Campidoglio, eletti per l’occasione luoghi di culto del mondo laico.
Anche in questa occasione la polizia vegliò perché nulla turbasse i pellegrini presenti in città
Due mesi dopo, durante un breve soggiorno in Sardegna, Nathan sarebbe tornato sull’argomento affermando che sarebbe forse stato opportuno indire un giubileo laico.
Tutto qui? Sembrerebbe di sì stando ai documenti. E allora come si spiega il fatto che a cento anni di distanza è stata data tanta importanza ad un evento tanto trascurabile?
A me sembra che la notizia sia proprio l’assenza di una vera notizia.
Mi spiego meglio. Un certo intransigentismo cattolico ha “gonfiato” l’azione, la potenza, la reale possibilità di incidere nella società dei massoni ben oltre ogni più ottimistica o pessimistica possibilità.
Si sono segnalate posizioni di potere improponibili, come, ad esempio i presunti 300 deputati massoni del parlamento italiano, reali solo nella denuncia di Civiltà Cattolica.
La contrapposizione ottocentesca tra queste due realtà è stata tanto radicale che ancora oggi ne viviamo culturalmente le conseguenze.
Ecco perché studiando il giubileo del 1900, il primo giubileo svoltosi dopo l’unità, si è voluto trovare a tutti i costi una opposizione della massoneria a questo rito cattolico. Opposizione che in verità non mi sembra ci sia stata.

20 neaAgorà gennaio – marzo 2000

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I MASSONI E IL GIUBILEO DEL 2000

I massoni e il Giubileo del 1900
di
Anna Maria Isastia
ue grandi storici del novecento hanno scritto che la storia è sem pre storia contemporanea qualunque sia l’argomento trattato, perché lo studioso lo affronta con la cultura, la sensibilità, gli strumenti conoscitivi del suo tempo e non dei secoli passati.
Anche la scelta degli argomenti di ricerca non è mai casuale, ma è dettata da uno stimolo o da una motivazione che deriva dall’attualità, e questo sia nel caso che il ricercatore sia consapevole, sia nel caso che la scelta si presenti apparentemente occasionale.
In questo primo scorcio di 2000 due temi si sono imposti all’attenzione degli studiosi: l’anniversario della morte di Giordano Bruno, avvenuta a Roma il 17 febbraio 1600, di cui cadono i quattrocento anni, e la storia dei Giubilei.
La vastissima bibliografia degli scritti di e su Giordano Bruno non ha impedito la pubblicazione di nuovi volumi e una particolare attenzione al personaggio, anche a motivo del pentimento manifestato dai vertici cattolici per gli eccessi del passato.
Quanto al Giubileo non si contano più le pubblicazioni sul tema, che è stato ed è affrontato da tutte le possibili angolature, con articoli su quotidiani e periodici, opuscoli, libri di tutti i prezzi e tutte le dimensioni.
In questo oceano di parole, la mia attenzione è stata attratta da una notizia che ho letto più volte in differenti contesti, riferita sempre con lo stesso taglio critico, su un preteso contro giubileo che sarebbe stato organizzato dal Grande Oriente d’Italia nel 1900 a Roma.
La notizia viene riportata in un libro sul Giubileo pubblicato da Francesco Sisinni; dal “Corriere della sera” in un articolo del 25 aprile 1999 intitolato 1900, lo sberleffo dei Massoni al Papa; dalla rivista “30 Giorni” che, a fine novembre, ha proposto, in una storia a puntate dei Giubilei, la stessa ricostruzione dei fatti.
Si tratta di un fatto marginale cui viene però dagli autori attribuita una importanza tutt’altro che secondaria. Ed è proprio questo aspetto a renderlo interessante per lo studioso della storia della massoneria.
Si può dunque leggere che “il Pontefice e la sua Corte sono stati oltraggiati da un controgiubileo profano, e le timidissime aperture (vaticane e della politica cittadina) per raffreddare la “questione romana” non sono riuscite a raffreddare il forte spirito anticlericale che serpeggia in città. Il peggio accadde il venti settembre, quando la Massoneria festeggiò la ricorrenza dell’ingresso delle truppe italiane a. Roma, avvenuto trenta anni prima, con un corteo che, motteggiando i riti giubilari, si spostò in pellegrinaggio tra “quattro basiliche laiche” della città.
L’irriverente processione partì dal Pantheon, perché ospitava la tomba di Vittorio Emanuele II re d’Italia, puntò sul colle del Gianicolo rendendo omaggio a Giuseppe Garibaldi che aveva dato una spallata definitiva ai papalini, proseguì fino a Porta Pia, cioè proprio allàbreccià aperta dai bersaglieri di Lamarmora nel cuore del potere temporale, e infine si raccolse sul Campidoglio, sotto la statua del tribuno Cola di Rienzo, per onorare la-sede del laico governo capitolino.
Chi osò sprezzante il Gran Maestro della massoneria Ernesto Nathan, che fu anche sindaco di Roma dal 1907 al 1913: “Questi monumenü sono più maestosi di quelli che una turba di gente raccogliticcia visita per ottenere indulgenza”.
Questo il testo, da cui traspare chiaramente una malcelata censura nei confronti di una istituzione che irrideva ai sentimenti, agli usi, alle credenze di un’altra istituzione facendone una sorta di caricatura.
Non a caso una studiosa attenta come Maria I. Macioti in un saggio sui controgiubilei pubblicato sulla rivista “Iter” ha riproposto a sua volta questi avvenimenti del 1900.
Cosa c’è di vero in tutto ciò?
E’ nota la difficoltà di rapporti che vennero ad instaurarsi tra lo Stato italiano, nato ufficialmente nel 1861, e lo Stato della città del Vaticano che rifiutò di riconoscerne la legittimità fino alla firma dei Patti lateranensi del 1929. Ed è altrettanto noto come queste vicende abbiano reso estremamente complessa la storia dei primi decenni dell’Italia unita dando origine a quel movimento che va sotto il nome di anticlericalismo. Movimento di opposizione al potere politico gestito dalla chiesa cattolica in Italia e non già al cattolicesimo come religione.
Proprio per problemi di politica interna il Vaticano celebrò il Giubileo del 1875 in tono molto minore, mentre l’organizzazione di quello del 1900 provò la lealtà del governo italiano che, trovandosi per la prima volta di fronte ad un evento religioso di carattere internazionale, dimostrò la sua tolleranza favorendo in ogni modo il libero svolgimento delle celebrazioni. Questura, Comune e Vicariato lavorarono insieme permettendo la riuscita dell’anno giubilare.
In questo contesto due forze avrebbero cercato di impedire un quieto svolgimento degli eventi: i cattolici intransigenti e la massoneria. Gli uni e gli altri impegnati a criticare gli aspetti conciliatoristi dell’Anno Santo. Una serena ricostruzione degli eventi non sembra suffragare questa tesi.
In quel 1900 il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia era Ernesto Nathan appena rieletto per il secondo mandato. Presentando alla Giunta il programma che intendeva perseguire, all’11 0 punto si legge:
“In presenza dell’anno santo prendere in considerazione i diversi progetti messi innanzi dai vari partiti liberali e scegliere quelli che abbiano una nota eminentemente nazionale e diano speranza di felice successo”.
Nessuna crociata dunque veniva suggerita ai fratelli dal loro Gran Maestro che sperava invece di riuscire ad inaugurare ufficialmente nel corso di quell’anno la nuova sede di Palazzo Giustiniani, significativo punto di approdo di una Istituzione in piena espansione.
In quelle stanze avrebbero trovato collocazione gli uffici del Grande
Oriente, del Supremo Consiglio, della Gran Loggia del Rito Simbolico, le Sale e il Tempio per le Camere Superiori, il Tempio massimo, la grande sala delle conferenze. In realtà i lavori si protrassero ben oltre il previsto e l’inaugurazione avvenne il 21 aprile del 1901, con un anno di ritardo.
Qualche mese dopo, il 22 aprile 1900, parlando innanzi a quello che oggi è il Consiglio dell’Ordine, Nathan ribadì che la Massoneria non restringe la sua azione alla lotta anticlericale [.. .]; di ben altra ampiezza erano infatti i suoi progetti.
La prima grande manifestazione anticlericale prevista nell’anno giubilare era la celebrazione del terzo centenario del rogo di Giordano Bruno cui repubblicani, socialisti, massoni e liberi pensatori diedero ampio risalto.
Antonio Labriola, il caposcuola del socialismo scientifico in Italia, tenne all’interno dell’università un ciclo di lezioni “Sul destino storico di Giordano
neaAgorà gennaio – marzo 2000 19 Bruno” che accese gli animi degli studenti che cercarono di raggiungere Campo dé Fiori scontrandosi con gli agenti di polizia. Ci furono colluttazioni e alcuni arresti.
Il 17 febbraio, si legge su un quotidiano, a campo dé Fiori, attorno al monumento a Giordano Bruno v’erano pattuglie di carabinieri e di guardie. Gli ordini, a quel che pare, erano severissimi, perché se qualcuno si fermava per poco presso la cancellata del monumento era invitato a circolare. Tuttavia fu permessa l’apposizione di qualche corona.
Da questi brevi cenni sembra chiaro che l’autorità politica era ben decisa a non permettere alle forze anticlericali di turbare le celebrazioni giubilari, né d’altro canto il GOI intervenne ufficialmente, anche se appare indubbio che tra le 1500 persone accorse ad ascoltare il fratello Labriola i massoni non dovevano essere pochissimi.
I mesi successivi trascorsero senza altri incidenti fino al 20 settembre, data particolarmente sentita dalla massoneria italiana che ha voluto sempre celebrarla con particolare solennità.
Era prassi organizzare un corteo che raggiungeva Porta Pia dove, davanti alla “breccia”, si tenevano i discorsi ufficiali. Diventato sindaco di Roma, Nathan tenne alcuni celebri discorsi in quelle occasioni, il più discusso dei quali fu quello del 1910 che creò un serio incidente diplomatico con il Vaticano.
Non sembra però che il GOI abbia sfruttato la coincidenza per creare l’incidente. Se andiamo a leggere il resoconto degli eventi di quella giornata riferito dal quotidiano cattolico intransigente “La vera Roma” possiamo constatare che tutto si svolse senza incidenti e senza grande affluenza di gente. Alcuni massoni, si può leggere, parodiando a loro modo le visite giubilari, si recarono nelle “quattro basiliche civili” che erano rappresentate dal Pantheon, dal Gianicolo, da Porta Pia e dal Campidoglio, eletti per l’occasione luoghi di culto del mondo laico.
Anche in questa occasione la polizia vegliò perché nulla turbasse i pellegrini presenti in città
Due mesi dopo, durante un breve soggiorno in Sardegna, Nathan sarebbe tornato sull’argomento affermando che sarebbe forse stato opportuno indire un giubileo laico.
Tutto qui? Sembrerebbe di sì stando ai documenti. E allora come si spiega il fatto che a cento anni di distanza è stata data tanta importanza ad un evento tanto trascurabile?
A me sembra che la notizia sia proprio l’assenza di una vera notizia.
Mi spiego meglio. Un certo intransigentismo cattolico ha “gonfiato” l’azione, la potenza, la reale possibilità di incidere nella società dei massoni ben oltre ogni più ottimistica o pessimistica possibilità.
Si sono segnalate posizioni di potere improponibili, come, ad esempio i presunti 300 deputati massoni del parlamento italiano, reali solo nella denuncia di Civiltà Cattolica.
La contrapposizione ottocentesca tra queste due realtà è stata tanto radicale che ancora oggi ne viviamo culturalmente le conseguenze.
Ecco perché studiando il giubileo del 1900, il primo giubileo svoltosi dopo l’unità, si è voluto trovare a tutti i costi una opposizione della massoneria a questo rito cattolico. Opposizione che in verità non mi sembra ci sia stata.

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BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO

BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO
di
Francesco Guida
In Puglia, secondo lo storico A. Luccarelli, la Massoneria viene introdotta negli anni 1788-89 dai Principi di San Severo di Napoli. Secondo lo storico P. Palumbo, in particolare, il primo insediamento massonico si ha in Martina Franca ad opera di due emissari di Padova e Roma.
Ed a Taranto? Secondo lo storico Tommaso Pedio, già nella seconda metà del Settecento, si segnala la prima presenza di una loggia. Allo stato delle ricerche, è possibile sapere che in questo periodo l’unico massone risulta Filippo Ceci.
La visibilità del movimento massonico si manifesta in occasione dei moti del 1799, per la repubblica partenopea, che portarono a Taranto l’ albero della libertà.
Uno dei principali artefici di quella brevissima stagione di libertà, durata appena un mese, fu il sacerdote don Giovanbattista Gagliardo, giacobino, ritenuto massone da qualche storico, unitamente alla sapiente quanto diplomatica regia dell ‘ arcivescovo Giuseppe Capecelatro.
Nel periodo napoleonico, inviato da Giuseppe Bonaparte, Re di Napoli, venne a Taranto il generale bresciano Giuseppe Lechi, quale comandante del Terzo Reggimento della seconda “Armata di osservazione del Mezzogiorno” e tra la fine del 1804 e gli inizi del 1805 fondò due logge: “Della Filantropia”, loggia militare che venne trasferita nel 1805 a Lecce, e riconosciuta dall ‘appena costituito Grande Oriente d’Italia, con sede a Milano.
Giuseppe Lechi dette incarico a Giuseppe La Gioia, già coinvolto nei fatti repubblicani del 1799 e successivamente tra i capi carbonari protagonisti dei moti del 1821, in Terra d’ Otranto.
La Gioia riunì in breve tempo “sei compagni tra parroci, monaci rinomati e giovani di letteratura e soda morale”, con questi fu ricevuto dal Fratello Rossi, e quindi elevato agli alti gradi della “Della Filantropia”. Tra i Fratelli fondatori è doveroso citare il sacerdote Giuseppe Ceci, anch’egli coinvolto fatti del 1799, noto repubblicano, che lasciò un museo di reperti storici, andato poi distrutto, ed il sacerdote Saverio Trippa, di Carosino.
Questa loggia ebbe sin dall’inizio enormi difficoltà di operare, stretta tra il timore di infiltrazioni spionistiche e le persecuzioni della polizia borbonica.
Con la costituzione del Grande Oriente d’Italia, retto dal viceré Eugenio Bonaparte, a Taranto risulta operante solo la loggia “L’ Amica dell’Uomo” rappresentata dal venerabile La Gioia. Con Gioacchino Murat, che costituisce nel 1810 il Grande Oriente di Napoli, a Taranto nasce la loggia “La Nemica dell’Ambizione” ad opera di Nicola Libetta e don Saverio Trippa, che assume la carica di Venerabile ed anch’ egli successivamente capo carbonaro.
Con il termine dell’avventura napoleonica nel 1815, anche la Massoneria, già in una fase critica col regime francese che voleva asservirla ai propri disegni di controllo del potere, subisce una battuta d’ arresto. L’ideale di una patria indipendente accantona l’ impegno di ricerca esoterica a favore dell’ azione politica. La massoneria che era stata finora retaggio della classe aristocratica ed alto borghese cede il passo alle sette di azione politica, che richiedevano strutture agili ed adepti di ogni condizione sociale.
E’ il momento della Carboneria, le cui radici, in parte riferibili alla Massoneria, diventa un movimento trasversale nella società del tempo.
Anche a Taranto dal 1816 al 1848 si registrò una proliferazione di sette rivoluzionarie, quali quella degli “Agricoltori del Galeso” e quella dei “Figli di Pitagora” per citare le più note e numerose. Nel 1837 si costituisce una setta della federazione della Giovine Italia, la creatura di Giuseppe Mazzini, fondata da massoni tarantini quali Nicola Mignogna, Giuseppe Carbonelli, Tommaso De Vincentis, oltre al Fratello Brindisino Cesare Braico ed al noto massone leccese Giuseppe Libertini, e organizzata a Taranto da Giuseppe e Raffaele Cimino. Nel 1848 si costituì un comitato liberale presieduto dall’ avv. Giuseppe De Cesare e composto dall’avv. Domenico Savino, dai fratelli Raffaele ed Ignazio Lucarelli, da Pietro Acclavio, Luigi Carbonelli, Luigi Ayr, Nicola Galeota, Orazio Carducci Atenisio.
Faceva parte di una delle due sette (qualcuno afferma “logge” postulandone l’esistenza) operanti a Taranto, con sede in palazzo Carducci, mentre l’ altra era Sita a palazzo Buffoluti (l’ odierno Palazzo Galeota).
Anche l’impresa dei Mille a Marsala vide la partecipazione dei patrioti tarantini, tra i quali i noti massoni Nicola Mignogna e Vincenzo Carbonelli, che mandarono una delegazione di 44 volontari al massone Garibaldi.
La cronaca ci tramanda i nomi di alcuni di essi: il padre cappuccino Aurelio Perrone da Massafra, l’ architetto Gaetano Piccione, Francesco Valente, l’ avv. Egidio Pignatelli, Antonio Petruzzi, i fratelli de Gennaro, Francesco Jurlaro, Nicola Galeandro, Tommaso Catapano, Riccardo Agostinelli.
AEsaurita la sua spinta rivoluzionaria con l’ Unità d’Italia l’ ambiente patriottico diventa l’humus ove ritrova vigore la Massoneria. A seguito della costituzione del Grande Oriente d’Italia nel 1859, la Massoneria si ramifica organicamente in tutto il regno.
La prima loggia nel periodo post-unitario fu fondata l’ 1.8.1865 col titolo di “Archita” da Giuseppe Libertini, leccese, segretario di Mazzini, alto esponente della massoneria e deputato al Parlamento. Retta dal patriota Pietro Acclavio, con l’ ausilio dell ‘ avv. Domenico Savino, riunì nel suo ambito la nuova generazione dei notabili tarantini, quali l’ avv. Carlo Primicery, Luigi Carbonelli, i fratelli Nicola e Francesco Portacci, Francesco Paolo Carelli, Francesco De Bellis.
Anche a Taranto si avvertì nella società civile I ‘ influsso di massoni che operarono per il miglioramento delle condizioni di vita ad ogni livello. Parlamentari massoni contribuirono alla istituzione dell’ Arsenale e della Ferrovia. Grande attenzione è stata indirizzata verso il progresso attraverso la cultura e la lotta all ‘ ignoranza, vedendo in prima linea massoni come il preside del Regio Liceo “Archita” Edoardo De Vincentiis, 33 del R.S.A.A. e membro della Giunta dell’Ordine nel 1912 sotto la Maestranza di Ettore Ferrari, il preside dell’Istituto “Pitagora” Emidio Ursoleo, il docente di storia Pasquale Ridola, il docente di scienze Luigi Ferrajolo, il prof. Attilio Cerruti, il massimo poeta tarantino contemporaneo Emilio Consiglio. Massoni sono stati promotori e fondatori della sezione della Società “Dante Alighieri”, della sezione della Croce Rossa Italiana, della Umanitaria Croce Verde, dell ‘ Università Popolare “Nazario Sauro”, del Comitato di Assistenza e Beneficenza, per citare le maggiori e più longeve, insieme a molteplici iniziative minori, come la prestazione professionale a favore dei poveri (ad esempio si cita l’opera del dott. Matteo Fago, che riservava due giorni alla settimana per visitare gratuitamente i poveri), oltre che di varie società di mutuo soccorso tra lavoratori.
A cavallo del nuovo secolo la Massoneria assunse la fisionomia di movimento transpartitico, consentendo I ‘ adesione dei propri esponenti in ogni schieramento politico. E’ un periodo di profonda trasformazione della società italiana, rappresentato anche dalla proliferazione dei partiti.
A Taranto i massoni furono tra i fondatori ed i promotori di quasi tutti i parHi tranne quello clericale: I ‘ avv. Aurelio Marchi per i radicali, Guglielmo Baldari per gli anarchici, Luigi Ferrajolo e Pompeo Lorea per i socialisti, Cesare Mormile per i nazionalisti, l’ avv. Pasquale Imperatrice per il primo Fascio da combattimento.
Massoni furono deputati al Parlamento, sindaci, consiglieri comunali anche di schieramenti differenti, che nella diversità di idee politiche si ritrovavano la sera nell ‘unità iniziatica della comune ricerca esoterica nel tempio massonico.
Dopo la loggia Archita, che sciolta dopo qualche anno di operatività, ricostituita nel 1874 e poi ancora sciolta nel 1880, sorse nel 1882 la loggia Archimede, da questa nacque nel 1907 la loggia Giulio Cesare Vanini, che nel 1911 gemmò la loggia Prometeo, nel 1913 la ricostituita loggia Archita. Per ultima, nel 1921 sorse la loggia Nazario Sauro.
La crisi della Massoneria esplose con il periodo giolittiano, da allora iniziò un’ agonia che il regime fascista non fece altro che accelerare spegnendo la fiaccola delle libertà.
Il 14 settembre 1924 alle ore 14,30 una squadraccia fascista devastò la casa massonica Sita al primo piano di palazzo Marturano in via Giovinazzi angolo via Pitagora, distruggendo mobili, suppellettili e documenti.
Ma, come il mitico uccello della Fenice che risorge dal fuoco così la Massoneria riaccese la fiaccola dopo il lungo sonno fascista e la tragedia della seconda guerra mondiale.
Il grave danno prodotto dal lungo oblio consistette soprattutto nella confusione sulla identità e sulla legittimità massonica. La Massoneria italiana aveva vissuto nel 1908 una dolorosa scissione, dando vita ad un’ altra Obbedienza, la Serenissima Gran Loggia d’Italia, detta di Piazza del Gesù, dal toponimo della sua sede per distinguersi dall’ altra, detta di Palazzo Giustiniani.
Con la ripresa del dopoguerra la famiglia giustinianea tenne sostanzialmente salda la propria identità ed organizzazione mentre quella di Piazza del Gesù si frantumò in mille rivoli, ciascuno dei quali rivendicava legittimità di unica depositaria della tradizione muratoria. Anche a Taranto, accanto alle due logge giustinianee, “Prometeo”, che riprese i lavori nel 1944, e “Vanini” nel 1947, oltre alla loggia “Archita”, che nata dalla scissione del Fera nel 1908 fu ricostituita nel 1946 sotto l’obbedienza di Raoul Palermi, e successivamente si sciolse per dar vita alla loggia “Raoul Palermi”.
D’ altro canto sorsero altre cinque logge di cui un’ altra Obbedienza di discendenza di Piazza del Gesù, via della Mercede n. 12. Prima fra queste logge fu la “Garibaldi” fondata dal Fr. Giuseppe Vozza, 33 del R.S.A.A. cui seguì la “Fiume” nell’aprile del 1946, la “Nazario Sauro” e la “Battisti” nello stesso anno, la “Mazzini” nel 1947.
Le vicende delle logge tarantine sono un’alternanza di dissoluzioni e ricostituzioni, di fusioni e di
scissioni. Le cinque suddette logge passarono nel 1950 all’Obbedienza di Palazzo Giustiniani, ma la convivenza non fu tra le più serene considerando anche che avevano sedi differenti per le riunioni (le giustinianee il tempio di via Leonida e le altre quello di via Gorizia).
Nei primi anni 60 lo scenario massonico vide fra i protagonisti più attivi il Prof. Terenzio Lo Martire, direttore didattico di scuola elementare, iniziato durante il fascismo nella clandestinità, affiliato nel dopoguerra alla loggia Battisti, prima all’ Obbedienza di Piazza del Gesù poi in Palazzo Giustiniani. Lasciata quest’ ultima fondò una propria Obbedienza, la Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia e Lucania “Stella d’ Oriente” alla Valle dell’Ofanto, riconosciuta dalla Federazione Massonica Europea di R.S.A.A., con sede in Genova e retta dal duca Attilio Armandi di Levissano. Deluso anche da questa famiglia, fonda nel 1960 la Serenissima Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia, Lucania e Calabria, aderendo all ‘ Associazione Federativa Massonica europea con sede in Ginevra, per il riconoscimento internazionale, oltre da alcune Grandi Logge Statunitensi, e dal Movimento Italiano per la Riunificazione Massonica, a livello nazionale. Fu altresì fondatore di una rivista massonica a diffusione interregionale che fu pubblicata dal 1958 al 1963.
Con la riunificazione delle due maggiori Obbedienze nel 1972, a Taranto, alla famiglia di Palazzo Giustiniani si aggiunse la loggia “Giuseppe Vozza”, l’unica di provenienza da Piazza del Gesù.
A seguito della nuova scissione del 1974, a livello nazionale, non si verificarono particolari sconvolgimenti dell’ assetto massonico. Infatti, a Taranto la situazione rimase immutata.
Col tempo, comunque, venne ricostituita ed è tuttora operante una loggia della discendenza di Piazza del Gesù, un gruppo capeggiato dal generale Ghinazzi, distaccatosi nel 1961 dall’ originario ceppo, retto poi dal commercialista Renzo Canova ed attualmente dal dott. Franco Franchi. Il cosiddetto scandalo P2 non provocò nelle logge tarantine alcun serio sconvolgimento oltre alla naturale e consueta necessità dialettica, in quanto fedeli all ‘ impegno di perfezionamento iniziatico e di miglioramento dell ‘ umanità.
Con la crisi del 1991 , dovuta all’ abbandono della Comunione di Palazzo diustiniani da parte del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo, la massoneria tarantina visse un momento di particolare sofferenza per il tradimento del suo massimo vertice.
Divenne, però, salutare occasione che, seppur dolente nel vedere una decina di Fratelli allontanarsi (per costituirsi non in loggia, ma in un gruppo trasfertista fedele al transfuga, e che ogni mese doveva raggiungere a proprie spese una città centro-meridionale per partecipare ai lavori rituali) rinsaldò I ‘ Oriente di Taranto nell ‘ impegno e nei fini della più pura Tradizione Muratoria. Con comprensibile soddisfazione e con serena conferma della giustezza della propria scelta di coerenza I’ Oriente di Taranto ha constatato il rientro di un fratello e I’ iniziazione di un profano proveniente dalla Gran Loggia Regolare d’Italia, a fronte di altre attenzioni di pari delusi.
Nella Famiglia di Palazzo Giustiniani sono sorte dagli anni 70 la loggia “Pitagora”, la “Enea Crucioli” (sciolta nel 1995), la “Fenice” (sorta nel 1995) e per ultima, la ricostituita “Archita” (1997). •

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