PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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LA PERLA DELL’IDEALE

LA PERLA DELL’IDEALE

di

Kabalicus

Contrariamente all’opinione comune non bisogna credere che tutte le gemme più bel le siano maledette, anzi, alcune di esse sono state considerate per secoli delle vere e proprie panacee, capaci di cose mirabolanti fino al punto di conservare il corpo dei defunti dalla corruzione della morte. Quella stessa essenza divina che le permea, come può rendere pericolosissime, può anche fame una benedizione per chi le possiede, una sicura protezione da ogni pericolo, una cura infallibile per qualsiasi male.

La perla, per esempio, che pur non essendo una pietra preziosa è sempre stata considerata come tale per la sua bellezza. purezza e rarità, ha rivestito in molte e diverse tradizioni un carattere simbolico quasi esclusivamente positivo. ricco e complesso.

Mircea Eliade, che ha diffusamente studiato il simbolismo della perla, dice in proposito: “…Sono state trovate perle, conchiglie, nelle sepolture preistoriche: la magia e la medicina le utilizzano; si offrono ritualmente alle divinità dei fiumi, occupano un posto privilegiato in alcuni culti asiatici; le donne le portano per ottenere fortuna in amore e fecondità.

Vi fu un tempo in cui la conchiglia, la perla, avevano dappertutto un significato magico religioso: gradatamente il loro campo si è ristretto alla stregoneria e alla medicina.

Perché la perla ha un significato magico, medicinale o funerario’?

Perché è “nata dalle acque”, perché è “nata dalla Luna”, perché rappresenta il principio femminile, yin, in quanto si trova dentro ad una conchiglia simbolo, appunto, della femminilità creatrice.

Tutte queste circostanze trasfigurano la perla in “centro cosmologico” nel quale coincidono i prestigi della Luna, della Donna, della Fecondità, del Parto. La perla è carica della forza germinatrice dell ‘acqua in cui si è formata; “nata dalla Luna” ne divide le virtù magiche e per questo si impone come ornamento femminile; il simbolismo sessuale della conchiglia le comunica tutte le forze che implica; infine la somiglianza tra perla e feto [e conferisce le proprietà genitali e ostetriche (l’ostrica pang “gravida di una perla, è simile alla donna che ha il feto nel ventre”, dice un testo cinese).

Da questo triplice simbolismo (Luna, Acqua, Donna) derivano tutte le proprietà magiche della perla, medicinali. ginecologiche e funerarie.

Nel Cristianesimo e nello Gnosticismo il simbolismo della perla si arricchisce e si complica senza tuttavia allontanarsi mai dall’ originario significato.

Sant’ Efrem, padre e dottore della chiesa siriaca, utilizza il mito antico della perla per illustrare tanto l’Immacolata Concezione quanto la nascita spirituale di Cristo nel battesimo del fuoco. Anche Origene, filosofo e teologo cristiano di Alessandria, insieme ad altri numerosi autori riprende l’identificazione di Cristo con la perla.

Nell’Inno della Perla degli Atti di Tommaso, celebre scrittore gnostico, la ricerca della perla simboleggia il dramma spirituale della caduta dell’uomo e della sua salvezza, e finisce per significare il mistero trascendente reso sensibile, la manifestazione di Dio nel Cosmo.

La tradizione mistica cerca sempre di raggiungere il suo ideale e il suo fine: ciò è chiamato “la perla dell’ideale”. 

 La ricerca della perla rappresenta la vera e propria ricerca dell’ essenza sublime nascosta nel profondo dell’ uomo, la sua immagine simbolica evoca la purezza, ciò che è nascosto, ciò che è perduto negli abissi e che è difficile da raggiungere.

Nella storia naturale, Plinio afferma che la bianca lucentezza delle perle è tanto maggiore quanto più è profondo il mare in cui esse nascono: in quei fondali, dove per la scarsa profondità delle acque riescono ad arrivare i raggi del sole, le perle nascono giallognole e imperfette; ma negli oceani, sul fondo dei quali regna un’eterna profondissima notte, si sviluppano gli esemplari più belli, di un candore impareggiabile.

La perla in ogni tradizione simbolica gioca un ruolo di centro mistico, rappresenta la sublimazione degli istinti, la spiritualizzazione della materia, la trasfigurazione degli elementi, il positivo compimento dell’evoluzione. Può essere facilmente connessa con l’androgino, l’uomo sferico di Platone, immagine dell’ideale perfezione delle origini e della fine dell’uomo. così come essa è il frutto della congiunzione del fuoco e dell’acqua secondo i musulmani, che immaginano anche l’eletto al paradiso racchiuso, insieme alla sua Urì, dentro a una perla.

Secondo alcune leggende, la perla nasce all’interno della conchiglia per effetto di un lampo o di una goccia di rugiada, e i miti persiani l’associano alla manifestazione primigenia, la divinità avvolta nell’oscura notte primordiale. L’Atharva-Veda la definisce figlia del Soma, che è tanto la Luna, quanto la bevanda di immortalità, e le attribuisce la virtù di allungare la vita.

Nella Cina antica vi era la convinzione che essa subisse una mutazione parallela a quella delle fasi lunari, ed era ritenuta simbolo di vita eterna. Analogo è il simbolismo delle perle infilate in un filo: sono il rosario, il sutratma, la catena dei mondi penetrata e tenuta unita dall’ Atman, lo Spirito universale.

La collana di perle rappresenta quindi l’unità cosmica del multiplo, l’integrazione delle componenti diverse di un essere nell’unità della persona: quando però è spezzata, essa diviene allora immagine di disgregazione, dell’ uni verso disordinatamente sconvolto, dell ‘ unità infranta.

Molteplici sono le maniere nelle quali si esplicano le virtù curative delle pietre, alcune bastava portarle come amuleti, altre era necessario ingerirle come medicine, ma qualunque fosse il modo. aiutavano sempre il corpo ad espellere il morbo che lo tormentava. o a tenerlo lontano.

La perla è un prodotto organico; essa nasce e si sviluppa nelle profondità del mare e soffre se non viene trattata con cura, e può deteriorarsi perdendo lentamente il suo splendore.

La medicina orientale la utilizzava per le emorragie, l’itterizia e per guarire indemoniati e folli. La luna, anche in Occidente, era considerata la maggiore responsabile di tutte le malattie mentali e quindi quale medicamento poteva essere migliore del frutto stesso dei raggi lunari?

In un trattato di medicina orientale del 1240 circa, la perla è consigliata per i mali che affliggono gli occhi, come antidoto per gli avvelenamenti, per guarire dalla tisi e come salutare ricostituente.

In Cina veniva usata per gli scopi curativi solo la perla vergine, cioè non perforata, perché il fatto che non fosse stata manipolata dall ‘uomo assicurava che anche le sue virtù erano rimaste intatte, non si erano disperse né indebolite.

A partire dal] ‘ottavo secolo il suo uso medicinale si diffonde anche in Europa e immediatamente la richiesta di perle aumenta, e con questa il loro prezzo.

Viene raccomandata da numerosi autori in special modo per l’epilessia, chiamata anche mal lunatico; per la pazzia, per la malinconia, per fortificare il cuore e come elisir di lunga vita.

Essendo stata per millenni l’ emblema della forza generatrice, della fecondità, la perla venne, in epoche più moderne. considerata un potente afrodisiaco. un ottimo rimedio contro la sterilità e un buon mezzo per facilitare i parti.

Presso i Greci le perle furono sempre in stretta relazione con divinità femminili, particolarmente Afrodite, nata anche Ici dalla spuma del mare, divenendo l’emblema dell ‘amore e del matrimonio. In Siria, Afrodite era chiamata “Signora delle perle” e a Antiochia “Margarita”. che vuol dire. appunto, perla.

Nella medicina araba le perle erano ritenute efficaci per eliminare Ie  macchie della cornea e quelle dei denti, usandole come dentifricio. per curare le palpitazioni cardiache, le paure e le angosce derivanti dal sangue intossicato.

Se si riesce a sciogliere le perle così da ricavarne un liquido trasparente, questo, frizionato sulle parti del corpo macchiato dalla lebbra. fa tornare la pelle sana e perfetta.

     Se invece si versano alcune gocce di questo stesso liquido nel naso, sparisce il mal di testa conseguente all’infiammazione dei nervi che si trovano nella zona oculare.

Nel Medio Evo si usava questa gemma per riuscire a scoprire i ladri: quando in una casa veniva a mancare qualche oggetto, la padrona recitava delle formule magiche particolari tenendo in mano una perla. poi la metteva dentro una coppa di vetro rovesciata e, fissandola. elencava i nomi di tutte le persone che conosceva o che sospettava: al solo pronunciare il nome del colpevole la perla si sarebbe improvvisamente mossa come se volesse fuggire, denunciando così infallibilmente il ladro.

Accanto alla tradizione che vede le perle come apportatrici di salute, amore e fecondità. ce n’è una che Ie considera portatrici di lacrime e disgrazie, in particolar modo per le donne sposate. ed è una credenza questa che in alcuni paesi è ancora avvertita e radicata.

Era ipotesi comune che a generare le perle fossero state le lacrime e che quindi dal dolore non potesse derivare altro che dolore. Una leggenda dice che Adamo ed Eva, dopo la morte di Abele, abbiano a lungo sconsolatamente pianto il loro amato figlio e che queste lacrime, cadendo nel mare, si siano trasformate in perle.

A seconda del colore le perle hanno un diverso influsso su chi le porta; quelle dalle sfumature azzurre rendono volubili e leggeri, quelle rosate donano costanza e perseveranza nei propositi, che saranno poi coronati dal successo, e assicurano fedeltà in amore.

Infine, quelle nere. tanto rare a trovarsi. portano grande fortuna e sono I ‘emblema della più leale amicizia e della più totale devozione.

“Herbis, verbis et lapidibus” (con le erbe con le parole e con le pietre), questo motto latino. usato di frequente nel Medio Evo, riassume efficacemente il concetto di terapia degli antichi: era soprattutto a questi tre elementi che ci si rivolgeva per portare soccorso all’uomo.’

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LA MASSONERIA A TARANTO: NELL’OCCUPAZIONE FRANCESE (1803-1805

LA MASSONERIA A TARANTO

NELL’OCCUPAZIONE FRANCESE (1803-1805)

di

Francesco Guida

Taranto è stata sempre un’ ambita meta strategica per la politica militare di qualunque potenza. Napoleone Bonaparte apprezzò in modo particolare la sua collocazione geografica e la sua disposizione che ben si prestava ad essere un punto di riferimento per la strategia militare nel Mediterraneo. Ed è proprio a Napoleone che la città deve uno dei suoi maggiori tributi per lo sviluppo che ricevette in quel periodo. Dopo la prima fase dell’occupazione. conclusa nel maggio 1802. l’anno successivo, il 18 maggio 1803, con la dichiarazione di guerra dell’Inghilterra alla Francia, Napoleone ordinò che fosse nuovamente occupata la Puglia. nominando il generale Laurent Gouvion Saint Cyr comandante del Corpo d’Osservazione del Mezzogiorno. In questo periodo, il 3 settembre 1803, morì P. A. Choderlos de Laclos.

Laurent Gouvion de Saint Cyr

Laurent, marchese de Gouvion Saint Cyr, Maresciallo ( 1 8 1 2) e Conte dell’ Impero (1 8 1 5), nacque a Toul il 13 aprile 1764, morì a Hyères il 17 marzo 1830.

Non ha perduto una sola battaglia e si distinse tra i Marescialli napoleonici per la sua fermezza e la sua indipendenza di carattere. Figlio di un conciatore, non aveva che tre anni quando sua madre abbandonò la famiglia. Dopo un viaggio di due anni in Italia, diventò maestro di disegno a Toul e successivamente a Parigi. Nel 1792 decise di aderire all’esercito repubblicano. E la che aggiunse “Saint Cyr” al suo nome, per distinguersi dai suoi cugini. Combatté nell’esercito della Mosella.

Intelligente, istruito, capace, aveva un eccellente colpo d’occhio. Gouvion. Saint. Cyr guadagnò rapidamente i galloni militari. Il 16 giugno 1794 era già Generale di Divisione. un record di rapidità, comandò una divisione dell’esercito a Rhin c Mosella. Nel 1798, ricevette il Comando provvisorio dell’esercito a Roma che invase gli stati pontifici c creò la Repubblica Romana. Gouvion ripollò la disciplina nei ranghi degli ufficiali. che erano in procinto di essere destituiti da Massena.

Il 26 luglio 1798: risultava nei ranghi dell’Armata d’Italia e partecipò . sotto Joubert, alla battaglia di Wom, il 15 agosto 1799. Dopo la battaglia, si ricongiunse al resto del]’ armata. Quando Massena va a rimpiazzare Joubert. ucciso a Novi. Gouvion ottiene d’essere destinato all’ armata d’ Italia e batté l’esercito austriaco. Per le sue vittorie in Italia Napoleone gli conferì il brevetto di primo tenente dell’ armata e la spada d’onore.

Destinato all’armata di Germania sotto Moreau. conquistò Friburgo e partecipo” alla battaglia d’ Hohenlinden, il 3 dicembre 1800. Nel 1801, venne incaricato di accompagnare Luciano Bonaparte in Spagna. Due anni dopo, fu tenente del Corpo di occupazione a Napoli, sotto Murat.

Comunque. si rivelò un po’troppo indipendente sul piano politico. secondo le impressioni dei suoi superiori. Nel 1804, non sarà nominato maresciallo, ma diventò Colonnello Generale dei Corazzieri. Nel 1 805, entra nei ranghi dell ‘esercito che deve sottomettere il Regno di Napoli, ove Giuseppe è il nuovo Re. Comandò un corpo d’armata durante la campagna di Polonia nel 1 807, e venne nominato governatore di Varsavia. Nel 1808 prende il comando del VII corpo con carta bianca per operare in Catalogna. Gouvion guadagnò vittoria su vittoria. Malgrado la carenza di artiglieria e di munizioni, giunse  a conquistare il forte di Roses il 4 dicembre 1808 e Barcellona. Ricevette allora degli ordini che considerava irrealizzabili, enza gli valse gli arresti ed una nuova quarantena.

Nel 1811 Napoleone lo richiamò al Consiglio di Stato affidandogli il comando del VI corpo della Grande Armata. Gouvion si rituffò nelle battaglie: sconfiggendo nuovamente Wittgenstein a Poiotsk. Il 18 agosto 1812 e ricevette il bastone di Maresciallo con il titolo di Conte.

Partecipò alla battaglia di Dresda il 26-27 agosto 1 813. con l’incarico ricevuto da Napoleone di difendere la città, ma dovette  arrendersi per mancanza di munizioni e di viveri, capitolando l’ I i novembre 1813. Fu prigioniero sino al giugno 1814. Quando ritornò in Francia. Luigi XVIII lo nominò Pari di Francia. Al ritorno di Napoleone dall’sola d’Elba, Gouvion a Orleans fa portare la coccarda bianca al suoi uomini in segno di lealtà al re. Seguì Luigi XVIII a Gand e fu incaricato per diversi affari dal Ministero della Guerra tra il 1815 e 1821, contribuì a far avvicinare alla monarchia molti ufficiali di Napoleone. Fece votare l’ importante legge militare del IO marzo 1 8 1 8 per la riorganizzazione del] “esercito, che regolava la materia dell ‘ arruolamento e dell ‘ avanzamento nella carriera (avanzamento di grado per anzianità  e abrogazione del privilegio dei nobili di entrare nell’esercito direttamente con i gradi di ufficiale). Ma dovette affrontare l’ostilità degli estremisti che la esclusero definitivamente nel 1821. Luigi XVIII l’ aveva fatto Marchese nel 1816.

Scrisse numerose opere di storia militare sulle campagne della Rivoluzione e dell Impero.

Dalla sua sposa c cugina Anne Gouvion ebbe dopo vent’ anni di matrimonio un figlio, Laurent François i . Per la storia massonica la figura di Gouvion Saint Cyr non è da ignorare in quanto proprio per il suo avallo si innalzarono le prime colonne del Tempio massonico d’Otranto. organizzate da un controverso personaggio della storia politica dl tempo nonché uno dei protagonisti della costituzione del Grande Oriente d’Italia, il generale bresciano Giuseppe Lechi.

Il massone Lechi e l’indipendenza Italiana

Giuseppe Lechi nato ad Aspes presso Brescia il 5 dicembre 1766, venne avviato giovanissimo alla carriera militare a Vienna dal padre. conte Faustino Lechi, affiliato ad una loggia bresciana intorno al 1770. Nel 1793, congedatosi dall’esercito austriaco e rientrato nella città natale, fu tra i promotori del circolo “Buoni Cugini”, che aveva assorbito le idee di libertà, uguaglianza e fratellanza della rivoluzione francese, e venne arrestato il 4 maggio 1794. Dopo l’esperienza della Repubblica Cisalpina, Lechi fuggì in Francia, ove tra il 1799 e il 1800 costituì la Legione Italica partecipando alla seconda occupazione di Napoleone in Italia. Dopo la pace di Luneville tornò a Milano ove probabilmente fece parte della Loggia la Concordia prima ed alla L’ Hereuse Rencontre successivamente. Con la nuova guerra anglo-francese del 1803 fu nominato comandante del terzo reggimento del Corpo di Osservazione del Mezzogiorno, giungendo a Bari l’ I l luglio 1803 con una colonna di Polacchi2 . Quella di Giuseppe Lechi si può definire una famiglia intrisa profondamente di spirito massonico, Oltre al padre Faustino, erano massoni anche i fratelli Teodoro Lechi. Colonnello della Guardia Reale. nominato I Sorvegliante tra i 28 Grandi Ufficiali “in esercizio” della Gran Loggia Generale Simbolica del Grande Oriente d’ Italia; Angelo Lechi, Vice Comandante, Scuo, nominato tra i suddetti come Cerimoniere: Giacomo Lechi, legislatore, nominato Porta Stendardo tra i 28 Grandi Ufficiali in esercizio del Gran Capitolo Generale del G. O. I.

Giuseppe Lechi fu un personaggio molto controverso. Taluni storici lo considerano di dubbia moralità per via del{e accuse di ricatti ed estorsioni che avrebbe compiuto quando era di stanza a Barletta. a Bari. a Lecce: avido di denaro che non si peritava di procurarsi nei modi più disinvolti. Altri invece lo considerano. seppur con un carattere impulsivo ed impetuoso, uno dei precursori dell ‘unità italiana. Tale giudizio scaturisce dalla polemica sorta sulla presunta congiura di Lechi contro i francesi a favore del re borbone. Il 5 ottobre 1803 il Capitano Carlo Maml!i, si presentò al ministro borbone Acton. in nome e per conto di Lechi. proponendogli un patto segreto secondo il quale Lechi e il generale Ver. suo intimo amico c fratello massone, disgustati dal comportamento dei Francesi. tesi a depredare il regno d’ltalia dei suoi teson e noncuranti delle esigenze dei patrioti italiani di indipendenza. erano disposti, con congruo compenso. ad attuare un colpo di mano contro i francesi, impegnati nelle campagne contro I’Inghilterra. lasciando il suolo italiano dal dominio straniero e ponendovi a capo proprio il re borbone. quale garante dell’unità nazionale.

Essendo tristemente nota la fama di Lechi, Acton organizzò un incontro in gran segreto in una stazione postale nella campagna di Cerignola tra questi ed un suo fiduciario, i! Colonnello Giovanbattista Colaianni. AI Colaianni Lechi confermò il suo piano pur con molta prudenza dialettica. Tale proposta non venne accolta positivamente dalla corte napoletana che. anzi, considerandola una provocazione dei francesi per far manifestare sordo livore nei loro confronti informarono l’ambasciatore Alquier a Napoli. Della situazione venne informato lo stesso Napoleone, che conoscendo I .echi come un “grande rivoluzionario si rifiutò di credere a tale verità, preferendo invece supporre una macchinazione della corte napoletana. Alla fine chi passò i guai fu solo il capitano Mameli. che venne arrestato e ritenuto l’autonomo ideatore della truffa tentata alla corte borbonica per spillare quattrini. Come interpretare il comportamento di Lechi?

Carlo Di Somma Circello; ipotizzò che effettivamente Lechi avesse tramato con Ver ma non per I ‘indipendenza italiana bensì per lucro. Quaranta anni dopo invece “un altro storico. il grande pugliese Antonio Luccarelli di Acquaviva delle Fonti. con maggiori fonti documentarie risolse che “al di sopra di ogni dubbio e di ogni preconcetto sta il fatto indiscutibile che un insigne italiano – quantunque esuberante dalla probità morale che non sempre. purtroppo, si accompagna alla dirittura politica – ammirato per esimio valore. posto dal Bonaparte a capo di nunzerose truppe ed elevalo ad eminenti onori, va formulando un audace piano per la redenzione della Patria, e già intravede la necessità di capitanare il moto unitario. all’infuori di ogni straniera in fratellanza, da un sovrano nazionale, che la sua autorità e la sua .forza – premio il regno dell’Italia una e indipendente – ponga a servizio del nostro Risorgirnenlo.”

Filippo Severoli

Altro personaggio insigne fu il generale Filippo Severoli, nato a Faenza nel 1766 ed ivi morto nel 1822. Arruolatosi nelle truppe cisalpine si distinse per l’alto valore dimostrato tanto da essere nominato presto colonnello e nel 1 800 generale di brigata. Partecipo” nel 1803 alla spedizione del generale Massena all’occupazione del Regno di Napoli, ed ad altre campagne militari. Il 25 ottobre 1804 Severoli era di stanza a Taranto. Nell’aprile del 1805 risultava affiliato come Secondo Sorvegliante alla Loggia Della Filantropia all’Oriente di Lecce, una loggia castrense formata da ufficiali dell e Armata Francese.

L’abate Antonio Tanza, vicario arcivescovile reggente la diocesi di Taranto. scrisse a tal riguardo una gustosissima lettera al suo arcivescovo. Mons. Giuseppe Capecelatro. autoesiliatosi a Napoli (a seguito della sua ambigua condotta per i fatti del 1799), che merita di essere riportata integralmente per la sua tipica vena:

Taranto. 17 febbraio 1805

E’ partita questa mattina con tutte le benedizioni una diavola americana che stava in questo palazzo da camerata col Sig. generale (Severoli) : una vera puttana errante, una diavola porca e sporca, una voragine. Nell ‘assenza del generale si sfrenò tanto che tornato lui ed informato la cacciò via a calci in culo e questa mattina sopra un legno sdruggito  la fatta partire. questa porca stava nel quarto inferiore al mio, non soffriva che posassi l’orinale dopo essermi servito. Il ‘*mio chierico. il mio domestico, i miei cursori erano in una suggestione di dover camminare colla punta dei piedi sino a tardi perché la noia fino a tardi altum stendebat. Il generale  l’amava e la trattava da quella che non era e duolsi che un prete vedeva e pensava meglio di lui: perché qualche cosa gli .fu detto anche a nome mio.”

Il buon abate Tanza era di spirito molto disincantato. e pratico dei fatti della vita. Fu sempre lui. in altra corrispondenza con Capecelatro, a descrivere il felice approccio dei tarantini con i francesi con rara efficacia:

“Io, “minchione, andavo affligendomi per le signorine che avrebbero voluto entrare nei monasteri

(che erano il ricovero delle ragazze di buona famiglia). Niuna ha mostrato tal desiderio: eunbabus ulnis

(trad. a braccia aperte) direbbe il “mio Pisino, e qualche altro: divaricatis coxist

Le Logge “Della Filantropia” e “L’Amica dell’uomo”

Tra la fine del 1804 e gli inizi del 1805 Lechi costituì in Taranto due logge: Della Filantropia e L’ Amica dell’uomo. La loggia “Della Filantropia” era composta da militari italiani, francesi, polacchi. corsi, che facevano parte dell’ Armata Francese, come si nota dal piedilista qui riprodotto:

Francesco Jovy, nato a Corfù il 30.9. 1772, capitano nella V        Maestro Venerabile.

Giacinto Provana. nato a Torino il 12.6.1775, tenente, Maestro Prilno Soprintendente, Alpidio Ponte, nato io    Corsica nel 1760, Capo Batt. ne. Maestro Secondo Soprintentente.

Pietro Grosso. nato a Casale l’ l . I l . 1780, Furiere, Segretario.

Paolo St. Paul, nato a S. Croix il 25.4. 1773. Aiut. di campo del gen. Severoli, M. Oratore.

Cesare Gini. nato a Bologna il 1776, Pagatore della Divisione. Maestro Tesoriere,

Pietro Manini, nato a Bologna 1’8. IO. 1779. Militare, Maestro.

Filippo Severoli. nato a Faenza nel 1776. Generale. Maestro.

Gaetano Stokolski, nato in Polonia il } 9.7.1779. Tenente di Cavalleria polacca. Maestro.

Luigi Albini, nato a Villafranca il 22.9.1777. Aiutante M. e nella V, C01npawno.

Luigi Allegro. nato a Napoli il 13. I . 1 775, Sergente dei Granatieri. Apprendista,

 Antonio Scassi. nato in Corsica il 19. i 0.1771. marinaio impiegato nella Divisiuone,

Carlo Rossi, nato a Reggio. Aiutante di campoi del gentile. Apprendista

Pasquale Ghidini. nato a Parnlail 7.3. 1779, segretario del gen. Severoli. Apptrendista.

Giuseppe Milanesio, nato a Savigliano il 1 7.1.1771 , Capitano, Apprendista,

Antonio Gout, nato a Napoli il 21.6.1779, Tenente, , Apprendista.

Bertrand, Capitano del Genio, Apprendista.

Cesare Varrone, nato a Bologna il 15.1 ()-1781. Segretario, Apprendista. (Fonte E Bramato)

Essa quindi non era stanziale ma seguiva i movimenti della truppa, tanto che nel marzo del 1805 la loggia si trovava di stanza a Lecce ove erano stati trasferiti i suoi componenti militari 7 . Considerazioni diverse merita la loggia “L’ Amica dell’ Uomo” in quanto formata da Tarantini. Come si rese possibile la costituzione di due logge massoniche se la Massoneria era proibita e perseguitata nel Regno di Napoli?

Essi facevano capo al Grande Oriente presso la Divisione dell ‘Armata d’ Italia retta dal Gran Maestro Giuseppe Lechi, ed in quel momento politico re Ferdinando aveva dovuto accettare suo malgrado le guarnigioni militari in Abruzzo ed a Taranto. ln quale ambito Lechi individuò i costituenti’? Quale tipo di persona poteva condividere un’ impostazione massonica se non chi aveva partecipato pochi anni prima, nel 1799, alla rivoluzione che aveva come ideali la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza? Lechi contattò uno di questi reduci, Giuseppe La Gioia, tramite l ‘ Aiutante di campo de] gen. Severoli Carlo Rossi, affidandogli l’incarico di costituire la loggia a Taranto.

La Gioia, già noto per i fatti del 1799. fu giudice del Tribunale di Prima Istanza di Lecce, e tra i capi della Carboneria in Terra d’Otranto tra il 1817 e il 1821.

Non una mezza figura quindi ma un personaggio di primo piano nella società del tempo.

La in breve tempo riuscì a coinvolgere altri sci interessati, individuati nell’ambito del clero e della buona borghesia cittadina. I sette “bussanti” furono iniziati nella loggia “Della Filantropia” e subito elevati agli alti gradi. Quindi costituirono formalmente la loggia ‘ ‘L’Amica dell’Uomo”.

Oltre Rossi e La Gioia, che ricoprivano la carica di Esperto e Maestro Venerabile facevano parte della loggia i sacerdoti mons. Saverio Trippa, Segretario e don Giuseppe Ceci, Primo Sorvegliante oltre a Bitetti. Secondo Sorvegliante e Rinaldi. Oratore, ed il fr. Ponti.

Dalla lettera del 20 Agosto 1804 del Venerabile La Gioia al G. M. Lechi, si desume che l’Amica dell’Uomo avesse una serie di difficoltà, che rappresentava al G. M. chiedendone aiuto: aspettava la bolla di fondazione. che non era ancora pervenuta; mancavano i rituali di elevazione al secondo e terzo grado; non sapevano come mantenere i contatti, considerato che  non c’era da fidarsi delle Poste reali; comunque ‘ •L’ Amica dell ‘Uomo” riuscì a resistere almeno sino al 22 giugno 1805. quando compare nel Tableau delle Logge del Grande Oriente d’Italia, otto logge, di cui cinque a Milano. una a Bergamo e Verona. oltre quella Tarantina, ed oltre a cinque logge castrensi, tra cui quella de “La Filantropia”.

Dopo tale data non si ha alcuna notizia. E quindi probabile che L’ Amica dell’Uomo non abbia resistito a lungo. Le difficoltà non erano di poco conto se si considera il timore espresso dal Venerabile La Gioia nella corrispondenza con Lechi. Probabilmente ne L’ Amica dell’Uomo si era verificata una fuga di notizie da parte di qualche affiliato di non provata fiducia. Lo stesso Lechi in una lettera da Mola di Bari del 1 8 febbraio 1 805 raccomandava “Gran circospezione nell’ammettere i profani, i frusti esempi di traditori che introdotti furono al Travaglio del Tempio siano sotto i vostri occhi”.

Bisogna considerare che la Massoneria era proibita per i sudditi del Regno di Napoli per via dell’editto di Ferdinando ancora in vigore, sebbene le autorità chiudessero tutti c due gli occhi per le logge castrensi formate da militari alle dipendenze dell’ Armata Francese, ma li tenevano aperti per quelle formate dai sudditi.

Il timore di essere scoperti trapela dalla lettera del Venerabile La Gioia del 28 febbraio dove precisa che “siamo sotto un Governo, che invigila tutte le ore sulla nostra condotta: e perciò non ci è permesso eseguire quanto vorremmo”. Tale doveva essere la conseguenza della fuga di notizie che si può dedurre non solo che la loggia non poteva far proselitismo ma che le riunioni dovevano altresì essere infrequenti. Sc si considera inoltre che la situazione politica internazionale mutò rapidamente quadro. di modo tale da attirare l’attenzione francese su altri fronti e quindi abbandonare il Regno di Napoli’, ben si può comprendere l’affievolirsi della struttura massonica anche a Taranto.

Come si può notare prima del 2() giugno 1 805 esisteva già una Obbedienza in territorio italiano retta dal generale Giuseppe Lechi. le cui logge miste di italiani e francesi erano accomunate nella realizzazione dei principi massonici di libertà. forza e prosperità.

Filantropismo, cosmopolitismo e nuovo umanesimo furono altrettanti aspetti che dal 1804 si dette per struttura in Grande Oriente l

Quindi nel periodo 1804-1805 esistevano in Italia due tipi di strutture massoniche,  una dipendente del Grande Oriente di Francia e installata nei territori direttamente annessi all’impero o da Napoleone Imperatore dal 2 dicembre 1804, affidate ai suoi vicari; e quella inglobata nella Gran Loggia Generale Scozzese di rito Antico e Accettato, “che comunque voleva comprendere tutti i riti”.

Durante l’ installazione della Gran Loggia Generale del 20 giugno 1805 venne approvata la proposta di Lechi di riunire i due Grandi Orienti per fare “un solo e medesimo centro luce “

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IL GRANDE ORIENTE Dl NAPOLI E LA LOGGIA TARANTINA

IL GRANDE ORIENTE Dl NAPOLI

E LA LOGGIA TARANTINA

“NEMICA DELL’AMBIZIONE” (1810-14)

di

Francesco Guida

Il Rito Moderno o Unito o Riformato francese del 1802

Napoleone considerò ed organizzò la Massoneria come uno strumento di sostegno e controllo politico. Doveva, però, fare i conti con il rito scozzese, che riconosciuto dall’Inghilterra, non dava garanzie di fedeltà e docilità assoluta. Ragioni squisitamente politiche lo indussero a creare in Francia un nuovo rito indipendente.

L’Assemblea Generale del Grande Oriente di Francia istituì nel 1802 il Rito Unito, conosciuto all’estero come Rito Moderno o Riformato, perché voleva essere una “riforma” del rito scozzese. Infatti, la sua “piramide” contava undici scalini invece degli scozzesi trentatré, ed erano:

Apprendista

Compagno

Maestro

Eletto Segreto

Grande Eletto Scozzese

Cavaliere d’Oriente

Sovrano Principe Rosa-Croce

Cavaliere Kadosh

Cavaliere Templare

Cavaliere Templare Maestro o Principe del Regio Senato

Illuminatissimo Gran Maestro (1)

Gran Maestro fu nominato Giuseppe Bonaparte, Luogotenente Cambacérès, Rappresentante particolare Roittiers de Montaleau.

Tale rito si rese caratteristico per l’istituzione di alcune commemorazioni come la Festa del Risorgimento della Natura fissata al 21 maggio, e quella del Riposo della Natura fissata a fine novembre. Ovviamente l’Inghilterra non riconobbe tale rito e vennero a cessare i rapporti massonici con la Francia. (2)

Penetrato nel regno di Napoli, il 24 giugno 1809 sorse nella capitale il Grande Oriente di rito riformato comprendente tutte le logge del regno, retto dal Gran Maestro Gioacchino Murat, re di Napoli. (3) Murat fu iniziato il 26 dicembre 1801 nella loggia “Hereuse Rencontre” di Milano, costituita il precedente 26 giugno all’obbedienza del Grande Oriente di Francia; loggia costituita da 18 elementi, di cui 11 provenienti dall’esercito o dall’amministrazione pubblica; (4) a seguito del suo trasferimento a Parigi fu eletto Venerabile della loggia “La Colombe” del Grande Oriente di Francia, (5) quindi nominato nel 1803 Primo Gran Sorvegliante dello stesso Grande Oriente di Francia (6)

Completamente differente era la massoneria di rito scozzese, ormai indebolita dal nuovo corso ma non estinta se l’11 giugno 1809 riusciva a costituire il Supremo Consiglio del 330 grado, ma proprio la posizione di fragilità la indusse ad un concordato con Murat conferendogli il Titolo di Sovra no Gran Commendatore.

Secondo il marchese Orazio De Attellis, massone scozzese, nel 1810 i vecchi scozzesi fondarono la società dei Carbonari, complottando con i borboni e gli inglesi contro i francesi.

Nel 1812, in occasione della campagna di Russia che allontanava Murat dal regno di Napoli, molte logge rientrarono nel rito scozzese, ed in breve tempo si ricostituì il Supremo Consiglio autonomo, in antitesi al Capitolo del rito riformato.

I massoni di rito scozzese si affiliarono alla Gran Loggia di Edimburgo, costituendo il 23 febbraio 1814 la Gran Loggia Madre di Rito Scozzese. Ormai lo scozzesismo napoletano aveva assunto apertamente il ruolo dell’opposizione antinapoleonica e anglofila. Allarmati da tale minaccia, la regina Maria Carolina fece demolire la Gran Madre

Loggia, ed il marito, Gioacchino, emanò il 4 aprile 1814 1’editto contro le vendite carbonare, anche se l’anno successivo tentò una disperata riconciliazione per fini politici. (7) Nel 1815, ultimo anno dell’epopea napoleonica, crollò il rito riformato, , ma il rito scozzese continuò a svilupparsi sino al 1820-21. (8) In Francia, nel 1816 venne ricostituito il Grande Oriente ed eletto Gran Maestro il Maresciallo Macdonald, che adottò il rito scozzese. Nel regno di Napoli alla fine del 1820 regnava sotto il versante massonico lapiù grande confusione, al punto tale che, seppure per breve tempo, si contarono tre grandi orienti massonici: il primo di Giuseppe Zurlo, già alto dignitario di rito riformato, di tendenza aristocratica; il secondo di rito scozzese, di tendenza borghese e costituzionale; il terzo formato da carbonari di Salerno. (9)

La Loggia “Nemica dell’Ambizione’

Dal Quadro delle logge regolari del Grande Oriente di Napoli per l’anno 1813 risulta che a Taranto esisteva dal 1810 la loggia “Nemica dell’Ambizione” di rito riformato, retta dal Venerabile Saverio Trippa e con l’indicazione del deputato nella persona di Nicola Libetta. (10) Chi erano gli altri componenti? Non disponendo di un piedilista possiamo considerare qualche ipotesi. Nell’Archivio di Stato di Lecce si rinviene un elenco di 19 attendibili (=sospetti) di Carosino, redatto dall’Intendente di Terra d’Otranto il 10 maggio 1829. Il primo della lista è Saverio “Trippa, arciprete di Carosino, antico settario prima del 1820, massone e carbonaro, Gran Maestro della seconda, fu “effervescente” (=ribelle, incontrollabile) e promotore di sette. Tale rapporto indica solo un altro nominativo come massone, Giuseppe Capriulo, proprietario, antico settario prima del 1820, effervescente. (11) Stessa ipotesi può applicarsi ad un altro personaggio citato dall’Intendente nella lista degli “attendibili” di Taranto, Filippo Mazza, definendolo “Gran Cordone di Massoneria”, installatore di Vendite. (12) Sempre su tale elenco si ritrova la setta di Roccaforzata, denominata dei ‘Massoni e Carbonari”, che contava tra gli elementi più significativi il parroco Vincenzo Martino, effervescente, partecipante all’assemblea generale dell’Alta Vendita di Terra d’Otranto, tenutasi a Galatina nel 1817, installatore di sette. (13) Viene inoltre segnalato l’arciprete di Faggiano Angelo Lenti, antico settario, massone e carbonaro, organizzatore della Vendita dei “Massoni e Carbonari” di Faggiano; (14) Salvatore Mendutti di Massafra, canonico, massone e carbonaro (15); Pietro Luccarelli di Taranto, sacerdote, già Massone, capo della setta “La Repubblicana” dei Patriotti di Taranto. (16)

A questo punto, possiamo verosimilmente iscrivere costoro al piedilista della loggia Nemica dell’Ambizione, tenuto conto che non sorsero altre logge nel periodo 1814-15. Inoltre la qualificazione di antico settario era riferita a chi era nota l’appartenenza in setta da lungo ternpo.

E quindi quale era la setta che da lungo tempo minacciava l’ordine

borbonico se non la Massoneria? Trippa, Lenti, Luccarelli, Martino, Mendutti, oltre ad avere in comune l’appartenenza massonica presentavano un’altra  affinità: appartenevano al basso clero. La storia massonica di Taranto è contraddistinta da questa particolare presenza già a partire dal 1799 con don Giovambattista Gagliardi, proseguendo con i prelati della loggia Amica dell’Uomo, esistita negli anni 1804-1805. (17) A questo punto non sarà troppo azzardato ipotizzare che questi prelati sono gli stessi che componevano prima la loggia Amica dell’Uomo e dopo la Nemica dell’Ambizione. Già il titolo di questa loggia appare inconsueto rispetto a quello delle altre improntate a valori come l’amicizia, l’amore, la perfezione, la costanza, a mentre quello della loggia tarantina inneggia all’umiltà, che è nemica dell’ambizione. Virtù non molto considerata dalla massoneria dell’epoca ma 0 che ben si concilia con esponenti del basso clero in loggia, quei prelati che sono a contatto quotidiano con la gente, ne conosce ansie e umori.

Un clero che, profittando della pausa quindicinale di condanne papali 6 ritrova in loggia “la stessa dirigenza con la quale interagisce quotidianamente nel sistema imperiale (18) E sarà proprio quel “clero massonizzante dell’età napoleonica ad affiancare poi i liberali e democratici del protorisorgimento nella richiesta di costituzioni e nell’assecondare il proti cesso di unificazione nazionale”. In altri termini, era l’istanza di “evangelismo o, cristiano” (19) che questo tipo di clero portava utopicamente e se profeticamente avanti, ed il percorso settario dei sopra citati prelati vuole esserne un eloquente esempio.

Il Venerabile Arciprete Figlio di Raffaele e Anna Lacava, Francesco Saverio Trippa nacque a Carosino, piccolo paese in agro di Taranto, il 15 gennaio 1766. Abbracciato l’abito sacerdotale fu dapprima parroco, poi arciprete di Carosino. Dotato di grande cultura partecipo’ alla rivoluzione del 1799 accettando la carica di deputato della municipalità ed in concorso con altri deputati  e col presidente piantò l’Albero della Libertà nella piazza del paese.  Rubricato tra i rei di stato riuscì ad evitare il carcere e beneficiò dell’indulto del febbraio 1801. (20) Ma l’indole libertaria dell’arciprete non si sopiva dinanzi ad un provvedimento di clemenza. Durante il periodo dei Napoleonidi, regnando Giuseppe Bonaparte, proponendosi come  municipalista (figura affine all’odierno consigliere comunale), Trippa, fece notare per spregiudicatezza politica, al punto tale da suscitare le prime occupazioni di monsignor Capecelatro, l’enigmatico arcivescovo di Taranto, discusso protagonista del moto repubblicano autoesiliatosi a Napoli, finissimo dialettico. Capecelatro in una lettera inviata alfedele vicario abate Tanza, confidò questa preoccupazione innanzitutto per Trippa  e poi per lo stesso vicario che da questi aveva ricevuto doni e denaro te (paventando quindi un tentativo di corruzione da parte di Trippa), suga gerendo la sottile soluzione di presentare l’effervescente arciprete non come candidato bensì come cooptato dalla municipalità di Carosino alla e carica di municipalista. (21)

Col tempo Saverio Trippa maturò come il buon vino la sua vocazione e        rivoluzionaria.

Tra la fine del 1804 e gli inizi del 1805 in Taranto operavano due logge massoniche, una castrense “Della Filantropia” e l’altra ordinaria “L’Amica dell’Uomo”, comprese nel piedilista del Grande Oriente presso la Divisione edell’Armata d’Italia, retta dal generale bresciano Giuseppe Lechi, dipendente dal Grande Oriente di Francia.

Nella loggia L’Amica dell’Uomo ritroviamo Saverio Trippa con la carica di Segretario. La loggia cessò di operare dopo il 1805 ma monsignor Trippa

proseguì l’attività massonica come Venerabile della loggia “Nemica dell’Ambizione” (1810-1815) all’obbedienza del Grande Oriente di Napoli, retto da Gioacchino Murat.

Conclusa l’epopea napoleonica anche la massoneria subì una battuta d’arresto, ma l’esperienza settaria accumulata consentì a Saverio Trippa di fondare una Vendita carbonara a Carosino, e di organizzare attentati e insurrezioni nel 1817 e nel 1820, al punto tale da meritare l’attenzione del generale borbonico (e massone di affiliazione inglese) Riccardo Church. (22) Trippa si serviva di una struttura di occultamento della setta massonica prima e della vendita carbonara dopo: la Confraternita del SS Rosario di Carosino. Gran parte dei rubricati del 1801 e del 1829 erano iscritti alla Confraternita: “L’opera diplomatica di sensibilizzazione condotta dal clero locale e da don Saverio Trippa in particolare, con la complicità degli intellettuali confluiti in gran parte nel sodalizio del Rosario aveva scosso le coscienze anche dei più increduli; le adesioni alla setta lievitarono rapidamente, soprattutto fra i confratelli, ed il loro numero, andando ben al di là dei rubricati sfuggiva ad ogni sospetto”. Gli uomini della vendita-confraternita erano inseriti saldamente al potere del decurionato, per cui si verificava paradossalmente che quando l’intendente ordinava la formazione di un corpo di polizia o di rappresentanza formato da persone di specchiata fede borbonica venivano indicati i settari della confraternita. “Il clero e la Confraternita del SS. Rosario continuarono ad avere un ruolo centrale, subendo sino all’ultimo (unità d’Italia) i sospetti della polizia che non perdeva occasione per colpire sodo”. (23)

Nel 1818 la commissione militare esiliò Saverio Trippa per 19 anni, di cui scontò appena un anno, godendo dell’indulto regio (24). Morì a Carosino il 18 novembre 1829. (25)

Nicola Libetta

Dottore in Legge, fu sindaco di Lecce dal 1792 al 1794. Secondo una fonte fu giacobino e per tale appartenenza venne coinvolto nel processo del 1793-94.

Nominato giudice venne trasferito a Catanzaro, e nel 1799 processò i rivoluzionari locali, ma il cardinale Ruffo, constatata la sua moderazione di giudizio, chiese al ministro Acton di processarlo. Nel 1806 fu nominato Procuratore regio del tribunale speciale straordinario di Trani-Lecce e Lucera. Nel 1809fu tra gli ideatori del codice penale. Da tale anno visse a Napoli ove esercitò l’avvocatura. Ben noto agli ambienti intellettuali di Terra d’Otranto, fu indicato quale deputato della loggia “Nemica dell’Ambizione” di Taranto, proprio perché residente a Napoli. Il Grande Oriente era strutturato in modo tale che i deputati (=rappresentanti) portavano le istanze delle logge di periferia. ln tal modo venivano conosciute fatti ed esigenze delle logge, che altrimenti non potevano esser note per via delle distanze, dei mezzi di comunicazione, e della sicurezza della comunicazione. Libetta nel 1813 era stato nominato Consigliere di Cassazione da Murat, e nel Grande Oriente di Napoli rivestì la carica prestigiosa di Gran Presidente della Gran Loggia di Amministrazione.

Con il ritorno dei Borboni non solo non cadde in disgrazia ma fu promosso, nel 1820, a Presidente della Suprema Corte di Giustizia. (26)•

NOTE BIBLIOGRAFICHE.

(l) Anonimo, Rituali e Società Segrete, Ed. Convivio-Nardini, Firenze 1991, p, 43;

(2)           Anonimo, Rituali e Soc. cit. p. 69;

(3)           Giuseppe Gabrieli, Massoneria e Carboneria nel regno di Napoli, Ed. Atanor; Roma

1981, pp. 23-25;

(4)           Vittorio Gnocchini, Almanacco Massonico, Ed. A, Pontecorboli, Firenze 1994, p. 26 giugno;

(5)           Vittorio Gnocchini, Napoleone e la Massoneria, in Agorà n. 3/97 p. 16;

(6)           Vitt0iio Gnocchini, Almanacco cit. p. 26 dicembre;

(7)           Renato Soriga, Le società segrete e i moti del 1820 a Napoli, in Le Società segrete, l’emigrazione politica ed i primi moti di indipendenza, Modena 1942, p. 80;

(8)           G. Gabrieli cit. pp. 23-25;

(9)           R. Soriga, cit. pp. 90-91;

(IO) Giuseppe Gabrieli, II Grande Oriente murattiano, in Rivista Massonica del G. O.

1. n. 7/1976p. 421;

( Il) Archivio Stato Lecce, Intendenza Terra d’Otranto, Atti di Polizia, Pacco 58, Attendibili, fasc. 1488 p. 291 anno 1829, integralmente riportato da Antonio Cinque Sopravvenienze storiche di una comunità in Carosino, Editore Mandese, Taranto 7988, P• 146;

(12) Vincenzina Zara, La Carboneria in Terra d’Otranto, Ed. E Ili Bocca, Tormo 1913,

p. 150 nota;

(13)         Ferrante Tanzi, VArchivio di Stato in Lecce- Note e documenti, Stabilimento Tipografico Giurdignano, Lecce 1902, p. 203;

(14)         C. Tanzi. cit. p. 204;

(15)         Aychivio Stato Lecce, Intendenza Terra d’Otranto, Atti di Polizia, Attendibili, fasc.

1237, riportato da Michela Pastore in Settari in Terra d’Otranto, Lecce 1961;

(16)         Salvatore Panareo, Dalle carte di Polizia all’Archivio Provinciale di Lecce, in Rinascenza Salentina, anno 1938, pp. 1-4; cfr. C. Tanzi, cit. , p. 206;

(17)         Francesco Guida, La Massoneria tarantina durante l’occupazione francese (1804-

1805) in Agorà, anno IV n. 4 dicembre 1999, p. 41;

(18)         Aldo Alessandro Mola, Le stagioni massoniche dell’età napoleonica: dal giacobinismo all’Impero, in Libertà e modernizzazione, Ed. Bastogi Foggia 1996, p. 105:

(19)         Gian Mario Carzaniga, La Religione dei moderni, Ed. FTS Pisa 1999, pp. 236-237;

(20)         Nicola Vacca, I Rei di stato Salentini del 1799, Trani 1944, p. 48;

(21)         Nicola Vacca, Terra d’Otranto fine settecento inizio ottocento, Soc. Storia Patria per la Puglia Bari 1966, p. 102;

(22)         Antonio Cinque, La Confraternita del SS. Rosario nei rapporti tra Chiesa e Società a Carosino, Ed. Mandese, Taranto 1993, pp. 53-57;

(23)         A. Cinque, La Confraternita cit. , idem;

(24)         Pietro Palumbo, Risorgimento Salentino, Lecce 1911, p. 303:

(25)         N. Vacca, Rei di Stato cit. , p. 48;

(26)         N. Vacca, Terra d’Otranto cit. , p. 219;

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X-FILES: LA VERITÀ È FUORI O DENTRO DI NOI?

X-FILES: LA VERITÀ È FUORI O DENTRO DI NOI?

di

Silvio Nascimben

Il prorompente progresso tecnologico dell ‘ era spaziale che incalza, febbrilmente e spasmodicamente proteso alla ricerca di risposte sempre più eclatanti ai tanti interrogativi che l’umanità si pone, si rifiuta, pur tuttavia, di accettare l’esistenza di una “suggestione satanica” che possa indurre a compiere un delitto, ispirato dalla “magia nera”.

Ad onor del vero, nel pieno rispetto della casistica della giurisprudenza contemporanea, non esiste un solo caso di “processo per magia”. ovvero per pratiche di occultismo nero.

Con lo spegnersi della brace degli ultimi roghi medioevali, e col perdersi nel vento delle urla di coloro che, accusati di stregoneria, venivano torturati, la “magia nera” e il “satanismo” non rappresentano più, oggi, un caso giuridico. Nessuno si sognerebbe mai, alla soglia del III millennio, di accusare un proprio simile di stregoneria, per il semplice piacere di farlo bruciare in una piazza, ovvero di vederlo torturato prima, e alla gogna poi, perché reo confesso di non credere in Dio.

La mutazione degli usi e dei costumi della società, che si modifica con un ritmo sempre più vertiginoso, unitamente alle esaltanti conquiste della scienza, non potevano non mettere a dura prova l’equilibrio di questa “umanità ” di fine secolo. L’ accadimento degli eventi, per il loro incessante e fatale sovrapporsi, ha determinato in tutti uno stordimento tale da non farci rendere conto che qualcosa di misterioso, di diabolicamente sottile, stava insinuandosi tra noi. negli usi e nei costumi della gente, senza distinzione di estrazione sociale e di censo.

“E’ il Maligno che si ripropone con la ben nota arte della mimetizzazione, per fare nuovi proseliti… sentenziano, stancamente, ripetendo a se stessi, i più anziani, quasi a voler giustificare l’inspiegabile e ciclico diffondersi dell’interesse verso tutto ciò che appartiene alla “sfera dell ‘inspiegabile ‘

Le pratiche di “satanismo” e di “vampirismo associate a quelle tipicamente legate ai presunti contatti con “entità aliene “, a detta di alcuni venute dallo spazio, non potevano non coinvolgere l’attenzione dei giovani, di questa società che si avvia stancamente verso il “Duemila”, delusi irrimediabilmente, purtroppo, dalle mille promesse fatte, e giammai mantenute, da politici egoisti e da cattivi amministratori della “cosa pubblica’ .

Essi, pur di assurgere agli onori del potere, non disdegnano mai di presentarsi come “illuminati messia”, pronti ad elargire benessere e giustizia, a tutti gli uomini di buona volontà.

Incessante e sistematico, poi, il bombardamento di notizie distorte, relative spesso ad accadimenti che coincidono con misteriosi e terrificanti riti, non solo non mette in guardia gli sprovveduti ma, alimenta, anzi, il diffondersi del “satanismo ” e con esso, una fatale propensione verso le pratiche magiche. Diventa, così, oltremodo difficile distinguere ciò che effettivamente appartiene all”‘arcano” dalle turbative di natura psichica quasi sempre legate a terrificanti rituali dove soltanto “orrore efollia ” sono le supreme dominanti.

L’ interesse sempre più crescente per il “mondo dell ‘arcano “, pur mettendo in moto il meccanismo micidiale e inarrestabile dell’indagine, riesce ad avviare un processo di attualizzazione del metodo interpretativo dell”‘inspiegabile”, tanto da presentare gli avvenimenti ad esso legati come se fossero la risultanza di uno “psichismo collettivo “, scaturito da un diffuso senso di insoddisfazione.

L’occulto, il satanismo, il vampirismo e tutto ciò che appartiene al mistero, entrano così a far parte del mondò degli X-files.

Per la moderna terrninologia, con questo nome in codice. entrano a far parte del mondo degli X-files anche i fenomeni psichici che, pur privi di spiegazioni razionali, liberano quelle forze represse, inconsce, che, una volta scatenate, sfociano sempre in aberranti e orrendi coinvolgimenti psicofisici.

Uno degli ultimi casi, quello della quindicenne Heather Wendorf di Eustis, piccolo centro nei pressi di Orlando, in Florida, che ha massacrato i suoi genitori con l’aiuto di quattro suoi coetanei, rappresenta l’esempio classico di questo particolare e pericoloso coinvolgimento. La ragazzina, faceva parte di una setta i cui componenti praticavano il vampirismo ed i diabolici rituali adottati dai proseliti, unitamente al plagio vicendevole, al pari di una droga micidiale, inducevano gli adepti a sacrificare topi e animali domestici con lo scopo di berne il loro sangue, ancora caldo. Altre volte, producendosi ferite, si scambiavano  generose succhiate di rossa linfa.

Superare il limite dell’impensabile, ed in particolare con pratiche che con il mondo dell’umano hanno ben poco, conferiscono al soggetto la consapevolezza di un apparente infinito potere di vita e di morte che si accompagna, quasi sempre, ad un completo distacco dalla sfera dei sentimenti e del socialmente lecito. Non si potrebbero spiegare altrimenti i tanti, purtroppo, avvenimenti del tipo di quello accaduto a Villa Polanski, anni addietro, e della strage che ne seguì, ad opera di un tale Charles Manson e delle sue adepte, chiamate “le schiave di Satana “. Ecco cosa avvenne. A Hollywood, Charles Manson, conosciuto come Satana Manson, al termine di un rito di stregoneria, si introdusse nella villa del regista Roman Polanski, a Beverly Hill, unitamente alle sue fedeli, con lo scopo di compiere un massacro rituale. La setta, in preda a un isterismo colletti vo, si accanì con particolare ferocia sui poveri corpi senza vita delle vittime tanto che Susan Atkins, amica e schiava prediletta di Manson, pugnalò ripetutamente il corpo dell’ attrice Sharon Tate, moglie di Polanski in attesa di una creatura, e di aver golosamente bevuto il sangue che zampillava copioso, dalle ferite.

Il rituale di magia nera non poté compiersi completamente per mancanza di tempo. La Atkins, infatti, aveva ricevuto l’ ordine dal suo “nero maestro” di strappare gli occhi delle vittime e lanciarli contro i muri, dopo aver effettuato il totale taglio delle dita di tutti.

Alla luce di episodi del genere, che ci riportano irrimediabilmente nell’oscuro Medioevo riesce difficile non considerare come la componente non umana, certamente diabolica, in particolari stati di animazione sospesa prenda il sopravvento sull ‘uomo inducendolo a compiere atti decisamente contrari al preordinato ordine della natura.

Si insinua a questo punto il sospetto, malgrado il sole splenda alto e luminoso nel cielo, dell ‘ esistenza di un mondo sconosciuto, nascosto, pieno di incubi e di irrisolti    interrogativi…: e se questo mondo misterioso, che vive accanto a noi, forse in noi, nel nostro inconscio, non più legato ad alcun condizionamento, si scatenasse da un momento all’altro, senza il volere del nostro Io cosciente… ?

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LA CATTEDRALE VERDE

LA CATTEDRALE VERDE

di

Diego Brancati

Tutti noi conosciamo il carciofo, pianta offense, della famiglia delle composite, che in Italia è coltivata su un’estensione di circa 60mila ettari, principalmente in Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il vegetale abbisogna per il suo sviluppo di terreni profondi, permeabili, impiegabili e di clima mite, in poche parole ciò di cui necessita è quell’ambiente mediterraneo che l’Italia di qualsiasi altro paese che si affaccia sul  mare e che fa dell ‘ Italia stessa la duttrice ed esportatrice di carciofo nel mondo (circa i 2/3 della produzione totale).

Il CYNARA SCOLYMUS, questo è i1 Suo nome scientifico, oltre che primo ingrediente di gustosi e innumerevoli piatti della nostra cucina è apprezzato per la sua azione terapeutica sulla ghiandola epatica. Come coleretico, diuretico e leggero lassativo, stimola beneficamente la funzione del fegato, esercitando un’azione-benefica sulle forme itteriche, subacute e croniche, e mente nei casi in cui l’insufficienza epatica manifesta sotto forma di stitichezza e oliguria; inoltre è antinfiammatorio ed antipruriginoso e gli amari è stato anche usato come lotta contro il paludismo.

Nell’ analisi della pianta tra i vari  zuccheri ed enzimi è stato individuato il principio attivo che è all’ origine di tale azione terapeutica: la CINARINA Con questo nome è indicato l’estere dicaffeico dell’ acido chinico ovvero una molecola organica nata dall’’unione dell’acido caffeico e dell’ acido chinico e che oggi è il componente principale di  pillole, fiale, sciroppi, bevande utilizzati nella terapia del fegato ammalato.

Ma il carciofo, umile e generoso  al quale  oggi si rivolge l’interesse scientifico ha una lunga storia, che si perde nelle nebbie del tempo e sfuma in mitiche lontananze da leggenda. Già il suo nome scientifico, CYNARA SCOLYMUS, richiama alla memoria la sfortunata e bella fanciulla di nome CYNARA, dai lunghi capelli color cenere (dalla quale il nome), che concupita da Giove, volle imporre il suo rifiuto al Dio, il quale sdegnato la mutò nella pianta, oggetto del nostro studio, spinosa, appuntita, pungente al tatto: (SKOLYMOS), in greco. Tale il mito, del quale peraltro non si rileva traccia nei maggiori autori antichi, ma che noi interpretiamo in tal senso: CYNARA SCOLYMUS è il simbolo della Dea Madre, sovrana assoluta della natura feconda, ovvero la bella fanciulla dai cinerei capelli, che è una probabile ninfa legata alla Madre Terra e al di Lei sposo Vulcano, dio delle manifestazioni endogene ed eruttive del nostro pianeta (ecco spiegati i capelli color cenere), rifiuta l’imposizione ordinatrice del Cielo che le si manifesta sotto le spoglie di un dio e sacrificando se stessa riafferma la -—ïofie non subordinata della Madre Terra e del

‘dLei sposo nei confronti del Cielo. Ma come vedremo inseguito gli esiti di simili vicende non sempre gli stessi.

Attori classici ed archeologi del nostro tempo, rispettivamente, trasmettono conoscenze sul carciofo a beneficio di noi uomini del XX secolo e che le avevamo perse quasi totalmente.

Veniamo a sapere che là nostra pianta è originaria ria dell’Etiopia ed attraverso l’Egitto giunge nel bacino in tempi remoti, precedenti alla nostra  era.. Essa, però non è il carciofo spinoso che noi  conosciamo, il quale prende il nome dalla  parola araba HARSCIOF o AL-KHARSHUF che significa “spina di terra” e “pianta che punge” e che fa la sua apparizione  definitiva in Toscana, nel 400, ad opera di agricoltori  italiani e sotto il patrocinio di Caterina de’ Medici. Il CYNARA dell’antichità è il caro, pianta allo stato selvatico, ovvero il CYNARA CARDUNCULUS coltura e selezione successiva deriverà il nostro

In campo medico-farmacologico Pedanio  Dioscoride con il suo “SCOLIMO”, galeno di Pergamo con il suo CYNARA  Teofrato  con il suo “Cactoo”, ci illustrano l’impiego terapeutico della pianta, descrivendone la collocazione sistematica, le caratteristiche, le droghe e le preparazioni.

Massimo Pallottino, archeologo insigne, ci testimonia la presenza e la coltivazione del cardo in terra di Etruria già durante il periodo di egemonia della Confederazione delle 12 città-stato.

 Afri autori antichi, fra tutti L.G.M. Columella, Plinio il vecchio, Esiodo ed Alceo, ci tramandano nozioni interessanti: Columella nel suo “De Re Rustica” da una descrizione sui tempi e i modi della coltivazione del carciofo spinoso e ci comunica che è bene piantarlo perché “…è il tempo che il mondo si scalda, che figlia il mondo e concepe Amo»; già s ‘affretta all ‘unione, già il grande respiro dell’orbe s ‘affanna per Venere, e spinto da desideri ardenti, i suoi parti carezza e riempie di vita…”; che caro sarà al bevitore Bacco e non ad Apollo canoro; che abbisognerà “di molta cenere, perché a questo ortaggio sembra adattarsi specialmente tale tipo di ingrasso“. Plinio il vecchio nel suo “Naturalis Historia” annovera diverse varietà di Cardui: lo Scolimo, schiacciato e spremuto prima della fioritura, fornisce un succo utile alla cura dell’ alopecia; lo Scolimo Orientale (Limonia) è diuretico, elimina il cattivo odore delle ascelle attraverso l’urina, unito all ‘ aceto è utile nella cura di alcune affezioni cutanee, nel vino ha effetto afrodisiaco. Inoltre la radice di qualsiasi varietà di Carduo, bollita in acqua, tonifica lo stomaco e l   ‘utero, sembra influire nel concepimento di figli maschi e provoca la sete ai bevitori.

Esiodo, in “Opere e Giorni”, ed Alceo, tratto dai frammenti, ci riferiscono che, quando questa pianta è in fiore, le cicale cantano più forte, e le donne sono più avide di piacere, mentre gli uomini sono più fiacchi nei riguardi del coito: per una sorta di provvidenza della natura, le proprietà eccitanti del carciofo sono allora massimamente attive.

Degli autori citati è bene mettere in evidenza alcune elle notizie forniteci:

  1. la pianta è particolarmente cara a Venere, l’ antica Dea italica, che Varrone e Plinio ci dicono divinità agricola, e quindi della fertilità, oltre che dell’ Amore, e che Etruschi e Romani conoscono ed identificano con i nomi di Turan e di Venere-Afrodite. Riappare in tal modo la Dea Madre in una delle sue tante identità e dona ai suoi figli mortali un frutto prodigioso (Pharmakon) per i dolci incontri amorosi e per la procreazione.
  2. Il carciofo abbisogna di cenere… Un ‘ulteriore ipotesi sul nome della pianta lo ritiene derivante dal vocabolo cenere, che ricca di potassio fertilizzante, ricopre la terra dove la pianta cresce. Ipotesi plausibile, ma a noi piace vedere, soprattutto in questa pratica concimante la più poetica ripetizione rituale e simbolica del connubio tra Venere e Vulcano.
  3. Il carciofo provoca la sete ed è caro al bevitore Bacco e non ad Apollo canoro… Sembra la descrizione dei sintomi provocati dall’eccessivo alimentarsi con il carciofo (molta sete e poca voce), ma come anche testimoniato da un rinvenimento archeologico presso la Città del Vaticano, evinciamo che il carciofo selvatico è caro allo stesso Dioniso e non solo a Venere. Il reperto, che suffraga la nostra tesi, è una fontana fatta costruire per la propria residenza decentrata dall ‘ imperatore Nerone e consacrata al dio del monte Nisa, del quale era adepto lo stesso imperatore. La fontana culmina con il tipico tirso bacchico, che tradizionalmente è un’ asta sormontata da un viluppo di foglie di edera, o di vite, o da una pigna, ma che in questo caso sembra essere proprio un carciofo spinoso (come da ipotesi degli stessi archeologi). Sappiamo che il tirso, oltre ad essere portato nei cortei dai seguaci del dio, era utilizzato nelle iniziazioni sessuali femminili durante i riti dionisiaci. Questo ci porta ad ipotizzare che pigna, carciofo o foglie che siano, in quanto simbolo del dio e del mondo vegetale a lui caro il tirso in ultima analisi è sacro alla divinità della natura feconda: Venere, appunto. Ogni forma vegetale che Etruschi e Romani sfruttano nella coltivazione è dono della Dea delle Messi, delf ‘ Agricoltura, della Fertilità e così anche ogni pianta che selvatica, cresce libemda ogni intervento umano. Ma per Dioniso il nesso con il mondo naturale è duplice ed innegabile. Lo stesso mito del concepimento e della nascita del Dio è altamente significativo: Semele, futura madre del Dio, che secondo due versioni distinte è figlia di Cadmo ed Armonia o Dea Madre di Frigia, viene concupita da Giove ed ella stessa accetta le attenzioni amorose del Dio, a patto che le si mostri nella propria pienezza. Allora il Padre Celeste, nell’ unione amorosa, si rivela nella sua piena potenza folgoratrice e al momento del concepimento Semele rimane incenerita dal la visione stessa del suo amante, che, pietoso, decide di salvare da morte certa e portare fino al momento della nascita protetto nella sua coscia il frutto del suo amore per la sfortunata Semele. Dioniso è il frutto, che nasce per così dire due volte: la prima come mortale sottoposto alle leggi di Madre Terra, la seconda come Dio, figlio della maggior potenza ordinatrice del Cielo. Questa volta Giove riesce, esprimendo la sua tremenda potenza, a vincere una già arresa Dea Madre. che aveva sì accettato I ‘ imposizione del Cielo, ma che l’aveva pur sempre sfidata volendone cogliere la pienezza qual pari divinità.

Giove vince e pone il suo ordine sul mondo naturale, che già aveva regole e leggi antecedenti alla stessa Forza Celeste. Ma qual figlio ha generato! Il Dio, nato due volte, conserva in sé il corredo genetico della madre sacrificata ed in tal senso non fa che manifestarsi come sovvertitore e vendicatore.

Primo passo di Dioniso, accolto tra gli Dei, è di condurre la Madre dall ‘ Oltretomba alle sedi celesti per restituire la dignità divina che le compete.

Successivo passo è quello di avvicinarsi al mondo della natura ed ai mortali. Dona agli uomini la viticoltura, la vendemmia e la preparazione del vino, ma principalmente reca il divino nella vita umana. Dioniso si presenta agli uomini sovvertendo con i suoi principi le leggi umane derivanti dall ‘ ordine superiore divino: viene soprannominato “Lo straniero in città”. Travolge le norme mortali e lo fa con la pazzia violenta ed incontrollata (vedasi a questo proposito la vicenda di Penteo, re di Tebe, ne: “Le Baccanti”), ma soprattutto con un contatto istintivo e diretto con il divino, senza bisogno di frapporre lunghi e stereotipati cerimoniafi per comunicare con il Superiore. Travolge in tal modo l’ordine divino che prevede gli uomini, e per prime le donne, alla base di una piramide senza possibilità di sottrarsi alla gerarchia e ai rituali religiosi. A Lui, inizialmente, si rivolgono ceti bassi o frustrati, ma soprattutto donne, che nello stile di vita e nella filosofia religiosa del Dio, vedono il modo di fuggire una realtà che le vede relegate, come per l’ordine divino, agli ultimi posti. Dioniso riporta a una dimensione naturale il divino e come reca il divino nella vita umana, altrettanto reca I ‘uomo nella vita divina. Ma il criterio e il percorso seguiti sono più semplici di quelli codificati in quanto il contatto è raggiunto con l’estasi, irrazionale, lontana dalla logica umana, che poco comprende di altri tipi di razionalità. Attraverso l’ebbrezza che il vino da al suo bevitore si raggiunge l’ acme di tale processo. Qui interviene il nostro carciofo, C YNARA, che secondo un etimo del nome potrebbe derivare dal verbo greco ” ” (Kineo), che vuol dire: eccitare, sconvolgere, agitare, scuotere. Qui interviene come predisponente al bere, come incrementante la sete, e spinge ad un più alto livello di ebbrezza estatica, lontano da ogni freno inibitorio stabilito dalle leggi scritte e non della società mortale, lontano dai criteri apollinei del quotidiano. Qui arriva la “Menade”, o comunque il seguace del Dio, che, come un asino (vedansi Apuleio ne “L’ Asino d’ oro”, Luciano in “Lucio”), sprofonda nell’ infimo per giungere al superno. Questa è la più grossa vittoria delle energie naturali, forze divine, ma sottoposte all’ ordine celeste. Forze che Dioniso condivide, ma che si rifanno tutte alla Dea Madre, madre del Dio e di tutti i mortali. per quanto riguarda l’Italia? In Italia il culto del Dio del Monte Nisa giunge prima in Etruria e in Italia meridionale, poi a Roma. Dai “Rasenna” Dioniso viene battezzato “FUFLUN” probabilmente dall ‘ appellativo greco ‘ . ‘ (della città di Biblos) e gli venne consacrata la città di Popluna (Populania). In breve il Dio acquista un notevole seguito perché nei suoi insegnamenti i Tirreni vedono la via di fuga da un edificio religioso che molto pessimisticamente non si sottrae in alcun modo al volere dei SUPERIORES INVOLUTI Dl (il fato greco e latino). FUFLUN e’ soprannominato PACHIE (Bacchico) e i suoi seguaci si riuniscono nei “PACHANA”.

A Roma, proveniente dall’Etruria e dall’Italia meridionale (Magna Grecia), Dioniso viene unificato con, Libero, dio italico della fecondità, con Bacco romano e con lacco, figlio di Cerere.

Dal sincretismo delle quattro divinità ne scaturisce la figura di Dioniso con caratteri che fondano spensierata allegria, benessere naturale e simbolismo filosofico-religioso.

Interessante e’ notare che il Dio ha contatti con Cibele di Frigia, Demetra greca e la figlia di lei Persefone, tutte divinità della natura feconda e personificazioni della vegetazione in tutto il suo rigoglio, tutte divinità che a lui sono associate o nei riti di origine agreste o nei Misteri a lui dedicati.

Ma ancor più interessante e’ dare un’occhiata al seguito divino di Dioniso. Intorno a lui si stringono le divinità naturali, che la religione del Panthen grecolatino ha emarginato o dimenticato del tutto. Sono i Daimones a cui si rivolgevano le popolazioni italiche prima che gli dei del cielo imponessero la loro supremazia unificatrice. Sono i Re-sacerdoti degli albori della civiltà, elevati a rango di divinità dopo la loro morte. Venerati come protettori dei campi, dei raccolti, delle foreste, aleggiavano come spiriti sorveglianti sulle comunità, ma in vita erano stati uomini dalle potenti doti soprannaturali, a lungo punto di riferimento per società che tramite loro si mettevano in contatto con il Superiore. Sciamani in grado di viaggiare lungo l’asse del Cosmo e attraverso i suoi molteplici piani, capaci di guarire le malattie dell’uomo non più in equilibrio con l’ Universo, dotati del dono della preveggenza. Questi saggi abitavano le foreste e le grotte, vivevano in piena sintonia con la Natura, con la Dea Madre, cogliendone i più intimi segreü. In simbiosi con gli animali (principalmente l’ orso, il lupo, il cervo e il capro) sentivano con loro e come loro lo scorrere dei flussi magici nell ‘Universo.

Ad essi da voce nuovamente Dioniso, recuperandoli ad un mondo divino che li ha accantonati, dimenticandone il valore.

Alla corte del Dio Bromio sono presenti:

Sileno, precettore e compagno del Dio, famoso per la saggezza, per il bel canto ed il dono della preveggenza.

Fauno Luperco, detto Fatuo ovvero il vaticinatore, che in sogno appariva agli oracoli dei boschi a Lui consacrati.

Pan l’arcadico, Dio dei pastori, dei cacciatori e del bestiame, preveggente e taumaturgo.

Silvano (l ‘ etrusco Selvans), protettore delle selve, dei fmtteti e della campagna,’abitatore del bosco sacro di Cerveteri, quel bosco sacro (Vipina in eù-usco) che Virgilio, nel libro VIII de “L’ Eneide”, nomina quando Enea inconÙa la madre Venere presso le rive del Caetiüs Amnis (Fosso Vaccina). Bosco che Silvano, annoverato tra gli antichi pelasgi, divide con Lasa Mpinas (la Dea della foresta – Diana la Dea), in connubio con ella: sua sposa, sua madre, sua sorella.

Insomma, Dioniso il sovvertitore, si oppone anche con i suoi cortigiani alle catalogazioni, alle norme, alle leggi scritte ed imposte; così fa contrapponendo all’Ars Haruspicina di Tagete, genio fanciullo dai canuti capelli, e all’ Ars Fulgatoria della ninfa Vegoia il sentire più istintivo e diretto degli DeiSciamani. Ai Libri Sibyllini, che impongono l’interpretazione catalogata dei segni divini, risponde con la comunicazione continua, con il rapporto naturale tra Uomo e Divino, attraverso “canali” che non necessitano della gestione di schiere di sacerdoti indottrinati. Alla lettura del fegato degli animali, come prescritto nella Disciplina Etrusca, che tanto influirà sulla divinazione romana, ribatte con la stimolazione diretta del fegato di ognuno dei suoi adepti. Stimolazione che si ottiene anche con il carciofo spinoso, che da quanto sappiamo oggi in merito alla “cinarina”, agisce sulla ghiandola epatica attivandone le funzioni. Funzioni che per gli antichi, e non solo, vanno ben oltre la consueta fisiologia medica, poiché il fegato è considerato sede delle passioni e del coraggio, generatore delle forze endogene e recettore delle esogene.

Dioniso ci indica che non v’è bisogno di ulteriori metodi, di ulteriori strumenti, nell’uomo è già insito “…(l’organon) che lo pone in diretto contatto con il divino…”

La caduta dell’impero romano d’occidente determina il crollo definitivo dell ‘edificio socio-politico-religioso del mondo antico, che peraltro già aveva dato segni di cedimento strutturale.

La sapienza, accumulata in secoli di civiltà, sembra sparire calpestata dalla violenza e dall ‘ ignoranza; incalzata dalla barbarie si nasconde, come un animale braccato, in rifugi lontani dalla luce, in attesa di tempi propizi…

Il carciofo, continua ad essere coltivato, o meglio raccolto, per la preparazione degli infusi, decotti tisane, misto al vino e all’aceto, oltre che per una alimentazione che già Eratostene di Cirene aveva definito ”per poveri” (e noi aggiungiamo, se il carciofo è alla base di tutta l’ alimentazione).

In tal modo la cultura contadina conserva tratti della sapienza di un tempo.

Ma per il resto?

Per il resto bisogna aspettare qualche secolo, attendere che il Medio Evo sappia esprimere un ordine  e se pur precario, dopo il caos della barbarie.

Ed ora spunta di nuovo il carciofo, ma come altrc da sé. Compare come motivo decorativo nei capitelli che sostengono le statue della Cattedrale di Chartres.

Se prestiamo fede agli scfitti di Fulcanelli, una cattedrale è un libro di alchimia scolpito nella pietra, dove ogni elemento architettonico è un simbolo con precisi riferimento alchemici. E allora, come interpretare il carciofo?

L’alchimista dopo aver colto nei “campi” il Cinabro, lo deve sottoporre nell’ Atanor alle operazioni di trasmutazione secondo il criterio del “solve et coagula”. Il Cinabro, in quanto sale minerale, è composto di mercurio e zolfo, sotto forma di solfuro. I solfuri in alchinua sono detti “fegati”.

Sappiamo che il carciofo agisce sul fegato, ovvero il solfuro nell’ Atanor umano. Il solfuro deriva dallo zolfo. Insieme mercurio, zolfo e sale hanno colori distintivi e rappresentativi in ambito alchemico: il nero, il bianco, il rosso, rispettivamente. Questi stessi indicano le tre fasi della “Grande Opera”. Nelle rappresentazioni pittoriche l’Opera alchemica è raffigurata come un alambicco che contiene tre colombe: una nera, una bianca, una rossa (evidente il significato, come sopra detto), ma che rappresentano anche il corpo (mercurio/nero), I ‘anima (zolfo/bianco), lo spirito (sale/rosso).

L’anima, dunque, è una colomba bianca derivante dai solfuri.

Jung, nella sua interpretazione dell’ Arte Regia, mette in evidenza che I ‘ anima è per I ‘ alchimista l’ architetto femminile presente nell ‘uomo, comunque è sempre presente.

Gli antichi ci hanno tramandato che la colomba è simbolo dell’Eros sublimato e in quanto sublimato e in quanto sublimato è puro, ovvero bianco. Per questo Dodona inviava una colomba quale messaggera per vaticini e presagi favorevoli nella foresta a lei dedicata. Nella stessa foresta la quercia di Dodona aveva accanto a sé le colombe sacre, simboli della Grande Madre Tellufica. Panmenti, ad Afrodite, Dea della fecondità, erano offerte in dono, dagli amanti, colombe, perché care alla Dea. Nei bassorilievi funebli si vede spesso una colomba bianca, simbolo dell’anima.

Allora, se il carciofo contribuisce a far reagire i solfufi, i fegati/solfuri derivano dallo zolfo, ovvero dall ‘ anima, possiamo, senza timore di smentita, affermare:

Comunque è sempre, ognuno ha in sé la Dea…

Bentornata, Dea!•

neaAgox•

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C L I M A

Clima

La fine di El Niño è arrivata. Ci darà un’estate meno calda? Se non succede abbiamo un problema

di Giacomo Talignani

Un’inondazione in Russia

Un’inondazione in Russia (reuters)

Secondo il fisico Pasini se l’esaurirsi del fenomeno non porterà ad un abbassamento delle temperature “dovremmo davvero preoccuparci. Credo e spero di non essere arrivati a una fase in cui il riscaldamento accelera a tal punto da non poter tornare indietro. Altrimenti saranno guai”

16 Aprile 2024

El Niño sta finendo. Anzi, per l’ufficio meteorologico australiano è “già finito”, mentre per il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) statunitense “si sta indebolendo”. Come sappiamo dai dati appena pubblicati da Copernicus climaticamente parlando gli ultimi dieci mesi – i più caldi di sempre e consecutivi, in grado di battere tutti i record precedenti – sono stati un vero e proprio incubo per il Pianeta. Il motivo principale dell’innalzamento delle temperature, con conseguenze drammatiche a livello di fenomeni meteo intensi, è da ricercarsi nella combinazione fra la crisi climatica innescata dall’uomo e il fenomeno naturale di El Niño .

Meteo, è stato il mese di marzo più caldo mai registrato: superato il record del 2016

09 Aprile 2024

Questo fenomeno, anche noto come ENSO, è periodico e provoca in generale un forte riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico centro meridionale innescando un cambiamento della circolazione e una serie di condizioni, dalle ondate di calore alla siccità, dalle inondazioni sino all’aumento delle temperature, che impattano profondamente sulla vita della Terra. Dopo alcuni anni del suo fenomeno opposto, La Niña – che tende al raffreddamento (a seconda delle zone) – la scorsa estate gli scienziati avevano annunciato il ritorno di El Niño prevedendo la durata di circa un anno. Un anno in cui il fenomeno ha contribuito a pesantissime siccità (dall’America all’Africa passando per l’Europa) e record di calore superati uno dietro l’altro.

L’intervista

“L’Europa tra 50 anni sarà bollente e ancora più fragile, dobbiamo adattarci”

di Matteo Marini

08 Settembre 2023

Ora però la maggior parte degli scienziati concorda su una netta fase di indebolimento, dopo il picco raggiunto a dicembre e gennaio, e nelle prossime settimane si entrerà in una fase neutra. Poi, a partire da agosto circa, dovrebbe subentrare La Niña e ci si attende un generale abbassamento dellle temperature, anche se non è affatto per scontato dato che negli anni precedenti a El Niño, quando c’era appunto il suo opposto, non c’è stato quel contenimento termico che ci si poteva aspettare.

“Il fatto che stia finendo è noto – commenta Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr – e da agosto dovrebbe, dopo una fase neutrale, iniziare La Niña, anche se per esempio gli australiani sono ancora dubbiosi e indicano un possibile perdurare della fase neutrale”. L’ufficio meteorologico dell’emisfero sud sostiene a suo dire che non ci siano certezze sulla formazione de La Niña entro fine anno o prima, come previsto invece per esempio dal Noaa.

Crisi climatica

El Niño, gli effetti che preoccupano gli scienziati: eventi meteorologici estremi e temperature record

di Matteo Marini

15 Giugno 2023

Per l’Australia i segnali forniti dalla superficie del mare e altri indicatori oceanici mostrano che “ENSO resterà neutrale sino a luglio 2024” e non è chiaro quando subentrerà La Niña mentre per gli statunitensi c’è “una probabilità dell’85% che El Niño finisca e che il Pacifico tropicale passi a condizioni neutre entro il periodo aprile-giugno. C’è  poi una probabilità del 60% che La Niña si sviluppi entro giugno-agosto. Continuiamo ad aspettarci La Niña per l’autunno e l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale (circa l’85% di probabilità)” scrivono gli americani.

L’alternarsi delle due fasi è estremamente importante per le vite, l’economia e l’agricoltura globale, sebbene in Europa gli effetti di questo passaggio siano meno diretti. Con El Niño, ricorda Pasini, “si verificano siccità, ondate di calore in Australia e precipitazioni intense per esempio in America meridionale. Con La Niña ci si aspetta maggiore umidità e alluvioni in Australia o in certe zone dell’Asia. In generale a livello globale il passaggio a La Niña dovrebbe portare a un abbassamento delle temperature nel mondo. Il dovrebbe è d’obbligo però perché negli ultimi anni, fra i più caldi di sempre, La Niña c’è stata (in precedenza per oltre due anni, ndr) ma le temperature sono risultate comunque elevate. Quello in arrivo sarà dunque un banco di prova, anche perché attualmente ci sono molte cose che non tornano e che dobbiamo capire”.

Il riferimento è agli ultimi dieci mesi risultati estremamente bollenti a livello globale, con un trend del riscaldamento che sembra addirittura accelerato rispetto alle previsioni. “Quello che sappiamo di certo come scienziati è che il surriscaldamento globale di origine antropica e El Niño insieme hanno contribuito a questi nuovi record, ma ci sono anche altri aspetti ancora molto dibattuti nella comunità scientifica. Per esempio ci sono fattori come il surriscaldamento in Europa che potrebbe essere dovuto anche alla sottostima degli effetti di alcune leggi ambientali passate, come quelle che hanno portato a dire addio e a combattere le polveri raffreddanti, come i solfati e quei combustibili pieni di zolfo. Queste leggi attuate anni fa, che hanno tutelato in maniera importante la salute degli europei, potrebbero nel tempo aver favorito il brightening, cioè il fatto che la luce solare – senza più strati inquinanti – penetri più profondamente arrivando tutta sino al suolo che si riscalda di più riscaldando a sua volta l’atmosfera. Prima questo stato di inquinanti, nei bassi strati, in qualche modo la rifletteva all’indietro non permettendo che tutta arrivasse. Ora però le cose potrebbero essere cambiate”. Un altro fattore potrebbe essere legato all’eruzione dell’Hunga Tonga nel 2022: “Studi indicano la possibilità che il vulcano, avendo emesso molto vapore acqueo, che di fatto è un gas serra, possa aver influito”.

Secondo Pasini, se uniamo tutti questi fattori, dagli impatti di El Niño alla crisi climatica in corso sino potenzialmente agli effetti del vulcano o delle leggi, allora “in parte è comprensibile l’eccezionalità del riscaldamento degli ultimi 10 mesi, anche se secondo me potrebbero esserci altri aspetti, sfuggiti, da capire. Sicuramente, con l’arrivo de La Niña, sarà importante osservare i cambiamenti: se le temperature non dovessero abbassarsi, sarebbe un bel problema” spiega.

In attesa di comprendere come e se la formazione de La Niña potrà cambiare gli equilibri globali, il ricercatore del Cnr spiega che negli ultimi mesi un aspetto preoccupante è il fatto che “i mari si siano riscaldati molto, in particolare l’oceano Atlantico a livello tropicale. Gli oceani hanno una capacità termica alta, fanno fatica a riscaldarsi velocemente, e allora perché si è verificato tutto questo riscaldamento marino? Abbiamo innescato qualche feedback finora non considerato? Credo sia molto importante indagare: se il surriscaldamento assurdo degli ultimi dieci mesi dovesse in qualche modo stopparsi un po’ con l’addio a El Niño, allora molto probabilmente le cause sono da ricercarsi proprio in quel fenomeno iniziato un anno fa. Ma se non dovessero iniziare ad abbassarsi le temperature allora dovremmo davvero preoccuparci. Personalmente, credo e spero di non essere arrivati a un tipping point, una sorta di soglia in cui il surriscaldamento accelera a tal punto da essere estremamente complesso poter tornare indietro. Altrimenti sarebbero guai.

ARTICOLO SEGNALATO DAL FR.’. A. F.

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LA QUANTISTICA… E IL TELETRASPORTO DELLA MATERIA

LA QUANTISTICA… E IL TELETRASPORTO DELLA MATERIA

La fantascienza è ormai una realtà! 11 teletrasporto della materia, si proprio quel che avviene nella serie cinematografica di “Star Trek”, quando il capitano Kirk e i suoi uomini entrati in quella strana cabina trasparente simile a una doccia si dissolvono nel nulla per poi riapparire, nello spazio di pochi secondi altrove, è la imminente conquista della scienza.

Oggi, la scienza – ed era ora – incomincia a muoversi verso la fantascienza, confrontandosi con tematiche che seppur fantasiose, e in apparenza impossibili a realizzarsi, non vengono liquidate più come assurdità, senza alcuna prova d’ appello.

Lo scorso anno, sulla autorevole rivista “Nature” è stato pubblicato un articolo riguardo agli studi sul “teletrasporto della materia” effettuato da un gruppo di ricercatori guidato dal prof. Anton Zeilinger dell’Università di Vienna. Seguendo un analogo itinerario di ricerca, un altro gruppo di studiosi, italiano questa volta, coordinato dal prof. Francesco De Martini, è giunto alla conclusione, dimostrando sia pur in via sperimentale, che è possibile “teletrasportare” gli atomi della materia. E’ imminente, pertanto, la pubblicazione dei risultati relativi ai scienziati stiano oggi ricercando, si rende necessario fare riferimento alla peculiare proprietà della meccanica quantistica: quella cioè che consente il passaggio istantaneo di informazioni da un corpo all’ altro. La teoria quantistica, che consente di descrivere il mondo dell ‘ infinitesimo piccolo, ha radici lontane e il suo proporsi negli anni “trenta” innescò un conflitto scientifico di tale portata che i suoi sostenitori, Hesenberg, Bohr e tantissimi altri, si contrapposero a coloro che sostenevano la fisica classica, tra cui Einstein e Schrodinger. Quest’ ultimi, infatti, s ‘impegnarono non poco nel tentativo di demolire il principio dei “quanti”, pur riconoscendo la validità della nuova teoria.

Tornando al teletrasporto applicato con successo sugli atomi, è pensabile che a breve termine la sperimentazione possa, grazie a potenti calcolatori, aprire nuovi sconfinati orizzonti della scienza.

Il teletrasporto degli atomi, in verità, non può che sollecitare la realizzazione di un sogno fino ad oggi ritenuto impossibile: la scomposizione di un corpo vivente e la immediata ricomposizione in altro luogo, dello stesso corpo.

Consapevoli del prevedibile sconvolgimento del sistema preordinato delle cose che arrecherà questa straordinaria conquista, come non immaginarci, anche per un istante, quali e quanti cambiamenti potrebbero verificarsi nella quotidianità. Quale impareggiabile emozione, pensate un po’, raggiungere in attimo persone, città, continenti, senza l’utilizzo di alcun mezzo di trasporto, senza perdite inutili di tempo, di voli cancellati per scioperi o maltempo e così via. E poi, senza fatica alcuna. aver la possibilità di partecipare ad una tornata di lavori sulla Terra, oppure di una Loggia di una lontana stazione spaziale orbitante nello spazio e, al termine degli stessi, senza fare un passo, prender parte a una “Agape bianca” su una base lunare. Che dire poi di una romantica cena, ovviamente in buona compagnia, in un caratteristico ristorantino all’aperto, sul pianeta Venere, a lume di candela, e sotto le stelle del firmamento… ?

Silvio Nascimben

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LE INSIDIE DELL’ILLUSIONE

LE INSIDIE DELL’ILLUSIONE

di

Archita Gagliardi

La via spirituale, iniziatica, mistica, ermetica. esoterica, in una parola la via del risveglio è un percorso disseminato di insidie. Chi si è lanciato nella lunga alla scoperta e conquista di sé stesso rischia spesso di incontrare delle trappole che possono incastrarlo e rinchiuderlo in oscure e pericolose identificazioni. Nella sua opera, “L’ uomo perfettibile”, Robert S. de Ropp mette in risalto otto insidie corrispondenti ad otto sindromi. Vi propongo di scoprirle in voi stessi invitandovi a riconoscerle quando le incontrerete. Ma sebbene possa apparire strano, non dimenticate che queste sindromi non appartengono solo agli altri. Non dimentichiamo di guardare in noi stessi…

Prima insidia: La sindrome della parola pensata

Si presenta come una insidia raffinata e sono numerosi coloro che si lasciano prendere. Parlano dell ‘Opera e vi si riflettono, ma pensare all’Opera e parlarne non da risultato maggiore come i discorsi sull’ amore non danno la nascita ad un bambino. L’Opera esige infatti che si metta fine al dialogo interiore ma, abituati come siamo ad un incessante chiacchiera interiore. non ci sentiamo a nostro agio di fronte al silenzio. E necessario che parliamo di qualcosa a qualcuno, e se non troviamo nessuno con cui parlare ci indirizziamo a noi stessi. Questa abitudine, che consiste nel parlare dell’Opera è incoraggiata da coloro che, immaginandosi di essere sul Cammino, tendono a costituire dei gruppi. All ‘inizio questi gruppi presumono di essere utili, di permettere scambi d’ opinione, di favorire l ‘ obiettività. la sincerità e via dicendo. E raro che le raggiungano perché, nella maggior parte dei casi, i loro membri non si augurano per niente di confrontarsi alle loro debolezze.

Si proteggono contro l’eventualità di tale confronto con un complesso sistema di difesa che non hanno alcuna intenzione di sacrificare. Per aggravare ancora la situazione. coloro che dirigono questi gruppi sono molto spesso totalmente ignoranti di ogni disciplina. Quindi non sono in grado di comprendere le regole personali che reggono il comportamento dei membri del gruppo. Tra l’ignoranza del dirigente medio e il timore provato dalla maggior parte dei membri del gruppo all ‘ idea di   i propri labirinti personali, ne consegue che questi gruppi si rivelano inutili.

Seconda insidia: La sindrome del discepolo

Nello stesso modo si può parlare a tal proposito della sindrome dell ‘ammirazione sconfinata, che suppone la dedizione fanatica e la fiducia cieca suscitata da un maestro o da una dottrina.

Tale dedizione priva il discepolo di ogni discernimento e abolisce ogni capacità di ragionamento obiettivo di cui può essere dotato. Ogni emozione è incentrata sul maestro che assume agli occhi del discepolo I ‘ importanza di un dio. Il maestro non può sbagliare, i suoi insegnamenti devono essere accettati totalmente ed alla lettera. Se il maestro afferma che nel cielo ci sono due lune. esse devono esserci, anche se nessuno ha mai visto la minima traccia della seconda luna. Se il maestro dichiara che una legge cosmica trasforma i pianeti in soli ed i soli in galassie, questo dovrà essere vero, anche di fronte all’impossibilità materiale. La sindrome di ammirazione sconfinata è un‘insidia potente e temibile. è all’ origine di un gran numero di disastri che la razza umana si è inflitta. L’essere umano più pericoloso non è il ladro, né lo stupratore, né il comune assassino, ma il fanatico meravigliato che, in nome di una ideologia politica o religiosa, è disposto a sterminare tranquillamente una intera popolazione perfettamente convinto della buona fondatezza delle sue azioni. Nella maggioranza dei casi, le atrocità del XX secolo sono state commesse da individui di questo tipo, la cui capacità distruttiva pare illimitata. Sono totalmente ciechi nelle loro convinzioni, incapaci di pensare obiettivamente, avendo abolito dentro di sé ogni traccia di coscienza critica. Questi fanatici hanno due punti deboli, sono creduloni ed influenzabili. Se un giorno dovesse scoppiare la terza guerra mondiale. non sarà per maldestri errori militari o per uomini politici dalle idee confuse, ma per fanatici pronti a far saltare in aria il pianeta in nome della dottrina cui aderiscono.

Terza insidia: La sindrome del falso Messia

Questa insidia è il contrario dell’ammirazione sconfinata. Chi vi cade si sente  certo dj essere un maestro, capace di trasmettere ad altri verità certe ed essenziali al soggetto della vita spirituale. La categoria dei falsi Messia non comprende chi potrebbe definirsi un truffatore dello spirito. Quest’ultimo crea in modo totalmente deliberato. e nel suo proprio interesse. una falsa religione e spesso ne trae considerevoli vantaggi, comportandosi come un connerciante e venditore di suoni, assimilando la sua attività a una branca dell’industria dello spettacolo. Le vittime antitetiche di questa terza insidia sono effettivamente sincere. credono nel suo messaggio, spesso ha vissuto un • esperienza religiosa, talvolta è stato in India ed ha raccolto qualche idea da un guru, può essere un drogalo ed aver conosciuto quella che viene definita un’esperienza psichedelica. Si può dire che si sia accontentato di raccogliere alcune idee, raccontate qua e là e presentate sotto forma di “sistema”.

Chi cade in questa insidia è in maggior misura impegnato sulla via dell ‘ego, vuole adepti, e più sono numerosi più è felice. In questo aspetto si distingue dall’autentico Maestro che non tenta Inai di fare proselitismo. Al contrario. si sforza di scoraggiarli mettendoli in guardia contro le difficoltà del cammino. dicendo loro che è meglio restare comodamente “in sonno’ • che risvegliarsi a metà.

Altra caratteristica delle vittime della sindrome del falso Messia è che non si privano mai dei loro discepoli che sperano di vedere per sempre in stato di dipendenza. E per questo che le scuole create  dai falsi Maestri hanno un punto comune: nessuno riesce mai a prendere un diploma, nessuno può lasciare la scuola a suo piacimento. Il falso maestro fa dei suoi allievi degli schiavi. esige  obbedienza totale. scoraggia ogni pensiero ed ogni azione indipendente. Chi dovesse tentare di affrancarsi da questa schiavitù viene considerato un traditore. Il comportamento dell’autentico maestro è completamente differente. Stimola l’ allievo a costruirsi da sé. a trovare il proprio cammino, a scoprire il maestro che porta dentro sé. Non dà consigli se non quando gli sono richiesti, può presentare uno specchio ove chi vorrà vedere potrà vedere ma non forza nessuno a specchiarsi, non fa nulla per trattenere i propri allievi. se vogliono andarsene li incoraggia ad andarsene, non ci tiene a circondarsi di un gres.  e di pecore ipnotizzate che aderiscono servilmente ad ogni sua parola. cerca la liberazione non la sostituzione di una forma di schiavitù con un ‘altra. Quei giochi dell’ego non lo interessano. Che abbia uno, cento o nessun allievo. che gli importa ? L’altra caratteristica del falso maestro è la vanità, che prende forme differenti: il Maestro si veste con abbigliamenti stravaganti e si orna di titoli altisonanti. si qualifica come uomo giusto. maharishi, grande iniziato. mago. Tutti i suoi adepti devono chiamarlo Maestro e devono testimoniargli il filassimo rispetto. Il maestro autentico si comporta in modo totalmente differente. Rifiuta ogni titolo e non porta abbigliamento articolare. non pensa minimamente di incoraggiare i suoi adepti a venerarlo. ma li scandalizza volontariamente comportandosi in un modo che sembra incompatibile con lo status di Maestro. Liberato dall’ego, g1i è completamente indifferente se la gente l’ammiri o meno, in quanto non ha affatto bisogno della ammirazione altrui avendo raggiunto un livello in cui non può sentire né le lusinghe né gli insulti.

Quarta insidia: La sindrome del gruppo

Si tratta di un’insidia molto pericolosa in cui interi gruppi rischiano di cadere. Gioca un ruolo importante nell ‘Opera dell ‘illusione di cui si potrebbe dire che costituisce la chiave di volta.

La sindrome del gruppo appare quando un vero Maestro muore. Allora i suoi allievi più anziani ritengono, come gli dicevano. di continuare la sua opera. Formano quindi un gruppo e si costituiscono in gerarchia. Il rango che vi occupano non dipende dal loro livello di conoscenza personale ma dal tempo che hanno consacrato all ‘opera e dal posto più o meno vicino che occupavano presso il Maestro. Tali gerarchie hanno la tendenza a fossilizzarsi, scoraggiano l’indipendenza e la libertà di pensiero e si rinchiudono in una stretta ortodossia. Tutto quanto il Maestro ha insegnato diventa sacro, anche se si comporta platealmente con delle sciocche avances per mettere alla prova la credulità di un allievo. Ogni metodo che utilizzava il Maestro deve essere trasmesso tale e quale lui l’insegnava. I garanti dell’ortodossia” non tengono alcun conto del fatto che i tempi cambiano. che gli individui si evolvono. che i metodi che hanno veri ficato l’efficacia in dato periodo rischiano di non esserlo in un altro periodo e in altri luoghi. D’altro canto. non comprendono che, sul cammino. L’ anzianità non è sinonimo di progresso spirituale. che aver consacrato quaranta o cinquant’anni all’Opera o aver conosciuto bene un tempo il Maestro, non significa necessariamente aver conquistato la libertà. Si arriva al punto in cui i ‘veterani” dell’Opera abbiano cessato molto tempo di comprenderne le finalità, Funzionano qualche volta in modo meccanico. come  se avessero un pilota automatico, conoscono ogni slogans ed ogni tecnica omologata e possono citarle senza sforzo come se qualcuno pigiasse un bottone. Da queste cose sembrano di detenere un potere. ed i giovani che entrano nel movimento possono rischiare alla fine di essere soggetto di un vero lavaggio del cervello. Infatti. i membri più anziani si sono spesso trovati in un vicolo cieco, si sono impantanati avendo perso di vista i vari scopi dell’Opera. preoccupandosi dell’organizzazione politica del movimento: consacrano le loro energie alle piccole rivalità che esistono in tutti i gruppi. Lungi dall ‘essere dei Maestri, non sono altro che miserabili politicanti, Ci si può del resto domandare se ci sia qualcuno che. come si dice. possa continuare Opera del Maestro. L’ autentico Maestro perfeziona i suoi metodi. che sono conformi alle sue attitudini ed ai suoi interessi. Ma i “garanti dell’ortodossia” non comprendono che il metodo insegnato dal Maestro rischia di non essere adattato alle condizioni attuali. non riflettendo nemmeno se loro stessi abbiano compreso bene l’insegnamento del Maestro. La sindrome dei gruppo è tanto funesta per i discepoli quanto per i membri della gerarchia che dirigono l’organizzazione. E grave per i    perché offre loro un modo per rifugiarsi ncll ‘errore, nel nascondiglio. nel sotterfugio. nell’inganno. Solo perché sono affiliati ad un club ritengono di essere riusciti in qualcosa. pensano di essere • ‘sul cammino”. si sentono al loro posto. Se partecipano  alle riunioni del gruppo praticano gli esercizi, si sentono a loro agio. Se sono assenti per parecchio tempo si elevano nella gerarchia e diventano capi di gruppi. finiscono così con l’ immaginare di essere diventati loro stessi dei Maestri. Disgraziatamente tutte queste attività di gruppo  rischiano di diventare meccaniche, hanno pochissimo o nessun effetto su coloro che si dedicano, nello stesso modo in cui la regolare frequentazione della chiesa non ha quasi mai effetto fervore religioso. Per tali praticanti andare in chiesa è diventata un’ abitudine. Ci si va la domenica, nello stesso modo in cui il sabato sera si va al o al ristorante. E estremamente difficile sottrarsi all’ insidia ciel gruppo. sta per i membri della gerarchia che ne assicurano il funzionamento sia per i neoliti che essi sono tenuti a guidare. Vi sono molti che amano questa insidia e sono felici di starci dentro, preferiscono l’opera d’illusione all’opera reale ed amano chi dice loro cosa pensare e cosa fare, ciò che risparmia ‘ero dalla fatica di pensare da sé stessi. Talvolta capita che nell’ambito di una organizzazione moribonda appaia un autentico Maestro, dotato di un potere sufficiente per liberarsi dall’insidia ed affrancare chi ne è prigioniero presupponendone il desiderio di affrancamento. E quanto è accaduto alla Società Teosofica quando Krisnamurti. che era un autentico Maestro. ha fatto scoppiare l’organizzazione che era stata da lui (l’Ordine della Stella) messa a nudo, svelando senza pietà le false apparenze su cui si fondava questa particolare opera d’ illusione. Gli mancò molto coraggio per agire così, ma il coraggio è una delle caratteristiche dell’autentico Maestro. Essendosi lui stesso prestato a rompere gli idoli, a mettere fine ai a distruggere i sistemi di credenza già confezionati. opposto agli ortodossi e diffidente delle gerarchie, è uno spirito libero il cui solo interesse è aiutare gli altri a conquistare la libertà.

Quinta insidia: La sindrome della salvezza personale

E un’insidia raffinata e pericolosa che è stata la maledizione delle tre religioni uscite da Abramo,  Ebraismo. il Cristianesimo e l’Islam. E quella che  li ha stimolati a trasformarsi in culti della colpevolezza, dove i credenti supplicano i loro dei di perdonarli per i loro peccati e di accordare loro ciò che si designa con il termine approssimativo di salvezza. Da cosa dovrebbero essere salvati’.

Probabilmente dall’ Inferno. dalle fiamme eterne che sono uno dei modi dannosi che i preti di queste religioni inventate per le loro pecore sono molto terrificanti  per portarle dove vogliono.

La sindrome della salvezza personale  poggia  un grande errore. Chi ne è colpito immagina che l’io. o l’ego. sia condannato alla dannazione. Se va in cielo. è il suo “io’“ che salirà in Cielo, vivrà l’eternità attorniato da angeli che suonano l’arpa: se va all’inferno. fremerà e urlerà tra diavoli e le fiamme  eterne. Perciò chi è invasato da tale assurda superstizione in di un sentimento  di peccato e di colpevolezza dunque il desiderio

uori posto di accede alla salvezza individuale. . Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione. in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.

. Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo

Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. ,  spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.

E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.

Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra’ l’avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell ‘ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato favorito.

Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo

Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. ,  spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.

E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.

Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra  non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra, o l ‘ avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà o necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.

Settima insidia: La sindrome del ritualismo

E una delle insidie più evidenti ed ha qualche somiglianza con la sindrome del gruppo.

Chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero obiettivo. Invece di lavorare su sé stesso si contenta di assistere regolarmente alle riunioni del gruppo, agisce meccanicamente andando avanti con la forza dell ‘ abitudine, maturando l’ impressione di appartenere ad un gruppo e la certezza di essere realmente impegnato nel Cammino; durante le riunioni compie ogni gesto previsto, fa qualche osservazione, ascolta le conferenze, le letture, e così di seguito, ma una volta terminata la riunione dimentica l’opera. Per tale soggetto l’opera è diventata una manifestazione della sua personalità, manifestando un comportamento completamente ipocrita. Può darsi che una volta abbia avuto un senso, ma da molto tempo ha perso contatto con la realtà. Il suo lavoro poggia su un’illusione pura e semplice. è il prodotto del meccanismo che funziona senza pausa nel cervello umano per creare l’ illusione.

Ottava insidia: La sindrome della ricerca del Maestro

Si manifesta come una insidia molto riconoscibile. Chi ne è vittima passa la propria vita passando da maestro a maestro, chiedendo a ciascuno di loro di rivelargli i segreti dell’opera, non potendo o non volendo comprendere che non esistono segreti da rivelare. I segreti dell’opera sanno proteggersi, non possono essere scoperti che con la pratica tesa a raggiungere un certo livello d’ intensità e di continuità prima che il segreto possa essere scoperto. Chi cade nella insidia della ricerca del maestro non ha alcuna intenzione di lavorare intensamente e costantemente.

Aspetta che tutto gli sia servito su un piatto, se l’opera non gli si è presentata in questo modo ne deduce che il maestro è un impostore e se ne va alla ricerca di un altro. La sua ricerca non ha mai termine se non con la morte, per la semplice ragione che non vuole che abbia un esito.

Per questo soggetto la ricerca è diventata un gioco in sé. Da molto tempo ha dimenticato cosa cercava.•

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IL CULTO

IL CULTO

di

Anna Maria Tun:i Sisto

1 700 anni prima della nascita di Cristo. agli inizi della media età del Bronzo. una popolazione indigena stabilita nel Tavoliere pugliese a poca distanza dal fiume Ofanto costruì numerosi ipogei edifici sotterranei che vennero frequentati come luoghi di culto.

Questa parte del Tavoliere costituiva a quel tempo un habitat ideale per la vita umana, ricco di vegetazione boschiva, selvaggina e acqua, prossimo alla costa e ai vivaci approdi frequentati dai navigatori micenei.

La natura del sottosuolo favoriva la realizzazione di queste imponenti strutture per la conformazione della roccia calcarea. chiamata dai contadini “crusta”: essa è infatti particolarmente tenera e dunque agevolmente scavabile. sia pure a mano e con l’ausilio di piccozze ed altri attrezzi in pietra.

Nelle contrade di Terra di Corte, nei pressi della cittadina di San Ferdinando di Puglia e Madonna di Loreto, alle porte di Trinitapoli dal 1987 ad oggi sono stati scoperti dodici ipogei, quattro dei quali esplorati. ma eloquenti tracce sul terreno rivelano che il loro numero è destinato ad aumentare.

L’architettura ipogeica, che ricorda in qualche modo strutture micenee realizzate in Grecia nello stesso periodo, si basa su precise e complesse norme che si ripetono costantemente, con differenze legate essenzialmente alle dimensioni e alla forma della pianta. L’accesso è costituito da un dronzos, stretta e rapida rampa a cielo aperto proporzionata in lunghezza alle dimensioni dell’ambiente principale. a cui segue uno stretto corridoio sotterraneo detto stornion, con la volta terminante con un inconfondibile particolare a forma di cupoletta apicale.

La grande sala principale presenta al centro della volta un” apertura circolare per l’aerazione e la fuoruscita del fumo.

Gli ipogei del Tavoliere erano dei templi sotterranei in cui si svolgevano suggestivi riti di carattere propiziatorio, probabilmente collegati alla caccia e alla fertilità del raccolto, come sembra dimostrare la frequente presenza di palchi di cervo e di offerte di animali (cinghiali e maialini da latte).

La chiusura (col conseguente abbandono) di un ipogeo coincide con la pratica più solenne del rituale, tesa ad impedire in futuro ad altri la violazione delle strutture. A tale scopo il dromos veniva accuratamente interrato e poi sigillato con poderosi filari di grandi pietre, una delle quali al termine della procedura di chiusura veniva infissa verticalmente con funzione di sema, ossia di segnacolo. Nel corso del riempimento venivano deposte numerose offerte, si consumavano pasti rituali e libagioni e si rompevano di proposito dopo l’uso le stoviglie adoperate.

La più singolare tra le cerimonie legate all’abbandono è la “semina” di isolate parti di corpi umani che venivano deposte a varie quote durante la procedura di colmatura. con particolare enfasi per quelle considerate “nobili” come il cranio e la mandibola.

Non conosciamo molto del popolo che realizzò gli ipogei del Tavoliere e a Terra di Corte e a Madonna di Loreto sembrano mancare tracce riferibili a grandi abitati ricollegabili alla loro presenza.

In ogni caso. il numero elevato di strutture ipogeiche e le modalità di costruzione comportarono un massiccio impiego di forza-lavoro c labilità di maestranze specializzate, propri di un’ organizzazione collettiva difficilmente compatibile con le risorse umane di un singolo villayio.

E’ perciò possibile che entrambe le località costituissero una sorta di area sacra che attirava i fedeli che vi si recavano per soddisfare esigenze connesse al sacro.

L’ esposizione itinerante, già allestita a Manfredonia, Bari e Trinitapoli, viene riproposta a Toma in una versione ampliata con l’ aggiunta di nuove strutture recentemente scoperte. ln particolare, è di grande suggestione l’angolo dedicato ad una sepoltura femminile di alto rango, la Signora delle Ambre. il cui corredo funerario ne rivela l’ importanza e il ruolo rivestito.• (Anna Maria Tun:i Sislo – Curatrice della mostra)

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IL RITO DEL FUOCO

IL RITO DEL FUOCO

di

Alfredo Di Prinzio

Da cacciatore di selvaggina, mi convertii a cacciatore di immagini della Natura.

Ad ogni week-end che si rispetti, preparo i miei attrezzi otografici e, secondo un rito ormai consolidato, m’incammino tra i boschi per scoprire i segreti della Natura.

Quella domenica, era il 21 marzo, mentre camminavo tra gli alberi, qualcosa mi diceva che avrei fatto, quel giorno, delle fotografie inconsuete. E così fu. Mi trovai, ad un tratto, in mezzo ad una radura di forma circolare: un cerchio perfetto entro il quale non cresceva nulla. C’era solo terra. così piatta da sembrare battuta o calpestata.

Il cerchio era delimitato da un cordone   di pietre levigate perfettamente. Le pietre erano 72 in tutto. Le avevo contate, ed al centro del cerchio vi era una roccia, anch’essa piatta e squadrata, di media dimensione. L’oriente era segnato con un piccolo masso, mentre ad occidente si apliva un sentiero stretto e lungo che portava nel folto del bosco.

Non c’era alcun dubbio che tutto quello fosse opera umana: il luogo, mi attirava e m’ intimoriva al tempo stesso.

Solo quando la luce s’affievolì, scomparendo tutto d’un tratto per lasciare il posto alle tenebre della notte, m’ accorsi del tempo trascorso. Alzando lo sguardo. notai come la volta stellata, spuntando tra le cime degli alberi, sembrasse come una specie di tetto per quell’edificio naturale. Ma la cosa più sorprendente fu il cambiamento che avvenne all’interno della radura: alla luce delle stelle, sembrava che tutto fosse vellutato. Poi. udii il silenzio che avvolgeva la radura: tutti gli animali. grandi e piccoli. si erano zittiti di colpo nell’attesa di qualcosa.

Il mio istinto di cacciatore mi consigliò di trovarmi al più presto un nascondiglio. Così feci. Mi nascosi tra i rami di un albero, in modo da poter osservare tutta la radura.

Passarono attimi che mi sembrarono eterni. ed alla fine qualcosa successe: due fanciulle bellissime, vestite di bianche tuniche, incoronate da ghirlande fiorite. entrarono nel cerchio.

Preparai la macchina tOtogratica, montando un teleobiettivo potente. e riinasi nell’ attesa. Le seguii con lo sguardo, senza perdere nemmeno uno dei loro aggraziati movimenti: si muovevano così dolcemente da sembrare sospese nell’ aria, mentre collocavano strani oggetti certamente necessari per officiare un rito.

Le due fanciulle, ad un certo punto, disposero sulla bianca pietra centrale un mantello bianco dai bordi rossi e, su di esso, al centro, un gran vassoio dorato in cui erano disposti dei piccoli tronchetti di legno e un incensiere acceso. Immediatamente dopo, esse versarono qualcosa che non riuscii a distinguere, e dall’incensiere si sprigionò un fumo bianco e profumato. Entrambe, una dietro l’altra, girarono attorno al cerchio reggendo l’incensiere. formando un anello di fumo che presto si alzò fino alle stelle. Fu allora che m ‘accorsi .della luce che andava diffondendosi nell’ ambiente circostante. nonostante le tenebre della notte. Era verdastra quella luce.

ottima per scattare fotografie, e così mi accinsi a scattare le prime immagini. ln un attimo le fanciulle scomparvero e, malgrado scrutassi attentamente la radura, della loro presenza non rimase alcuna traccia. Frattanto, sentii provenire dal profondo del bosco una dolce cantilena che andava sempre più aumentando con trascorrere del tempo, finche una fila di personaggi, con strani copricapo, tutti vestiti di bianco, spuntò dal sentiero d’ occidente. Le lunghe e candide tuniche bianche conferivano ai loro movimenti la stessa leggerezza e la grazia che avevano contraddistinto le fanciulle che li avevano preceduti. Essi, sembravano galleggiare, sospesi nel vuoto, a pochi centimetri dal suolo. Notai che essi – erano in tutto 72 – procedevano in fila, secondo l ‘ età, e l’ ultimo, doveva certamente essere il più vecchio.

Dopo aver completata, in processione, la rotazione del cerchio, si sedettero uno dopo l’altro e l’ultimo, il più vecchio, sulla pietra che segnava l’oriente. M’ accorsi, subito dopo, che ricomparvero le due angeliche fanciulle: la prima, seduta accanto al vecchio, ad oriente, e l’altra ad occidente. Entrambe, impugnavano un regolo.

Ad un certo momento, un vecchio mezzo curvo accese tre candelotti disposti a triangolo al centro del cerchio, che prima non avevo notato. Completato il rituale dell’accensione, tutti si alzarono in piedi ed iniziò, tra loro, un intenso dialogo.

Parlavano una lingua sconosciuta, e per quanto ce la misi tutta per capire quel che si dicevano, non riuscii a comprendere una sola parola. Scattai quante più foto potei, cercando di non perdere niente. Ad un tratto, il vecchio si alzò dal suo scranno di pietra e, avvicinatosi al centro, appiccò alla pila di tronchetti posti sul vassoio dorato, sulla pila centrale. Tutti si alzarono, e potei così vedere i loro volti illuminati dal fuoco. Ero veramente emozionato. anche perché non riuscivo a spiegarmi come mai un evento così eccezionale fosse capitato a me.

Il vecchio intonò, alzando le mani al cielo, e sempre davanti al fuoco, un canto melodioso in quel linguaggio alieno. Guardando il volto bello del vecchio, la cui l’età era pari al suo linguaggio, avvertii un ‘ accelerazione del flusso sanguigno sentendomi pervaso da un ‘emozione sempre più crescente. Il fuoco sembrava danzasse, seguendo intelligentemente la melodia, e creando bizzarre ed ipnotiche figure. Rispondendo ad un segnale convenuto, tutti si avvicinarono al fuoco ed ognuno, a turno, prese una fiammella ponendosela sul capo. Calò il buio, e nell’ oscurità vidi chiaramente risplendere le settantadue fiammelle che, muovendosi quasi danzando, disegnavano strane geometrie.

Non so per quanto tempo, rimasi stupito ed incantato dalla magnificenza di quello spettacolo, tanto, però, da non accorgermi che il cerchio era tornato nuovamente vuoto. Solo una lieve penombra era rimasta a testimoniare la luce di poco prima. Ci vedevo appena e, per paura, continuai a guardare ed aspettare. Trascorse molto tempo, prima che mi decidessi a scendere dal mio osservatorio, per fuggire serrando ben stretta la macchina fotografica col prezioso rullino.

Raggiunsi la macchina, avviandomi verso casa pregustando lo sviluppo delle foto che avevo fatto. Freneticamente avviai tutte le procedure per lo sviluppo dei negativi. Li sviluppai e.. .con gran sorpresa, m’ accorsi che nulla di quanto avevo visto era rimasto impressionato. Era come se avessi scattato delle foto al buio.

Mi domandai, allora. se tutto quanto avevo vissuto non era stato un sogno. Risalii sull’auto e ritornai verso il bosco. Dopo averla parcheggiata, rifeci a piedi il tratto già percorso, fino all’osservatorio da cui avevo seguito lo strano rituale. Nel bosco, non v’era più traccia della radura, né tantomeno del cerchio, e di quegli strani esseri che prima l’avevano popolata. . ..

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