PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO

BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO
di
Francesco Guida
In Puglia, secondo lo storico A. Luccarelli, la Massoneria viene introdotta negli anni 1788-89 dai Principi di San Severo di Napoli. Secondo lo storico P. Palumbo, in particolare, il primo insediamento massonico si ha in Martina Franca ad opera di due emissari di Padova e Roma.
Ed a Taranto? Secondo lo storico Tommaso Pedio, già nella seconda metà del Settecento, si segnala la prima presenza di una loggia. Allo stato delle ricerche, è possibile sapere che in questo periodo l’unico massone risulta Filippo Ceci.
La visibilità del movimento massonico si manifesta in occasione dei moti del 1799, per la repubblica partenopea, che portarono a Taranto l’ albero della libertà.
Uno dei principali artefici di quella brevissima stagione di libertà, durata appena un mese, fu il sacerdote don Giovanbattista Gagliardo, giacobino, ritenuto massone da qualche storico, unitamente alla sapiente quanto diplomatica regia dell ‘ arcivescovo Giuseppe Capecelatro.
Nel periodo napoleonico, inviato da Giuseppe Bonaparte, Re di Napoli, venne a Taranto il generale bresciano Giuseppe Lechi, quale comandante del Terzo Reggimento della seconda “Armata di osservazione del Mezzogiorno” e tra la fine del 1804 e gli inizi del 1805 fondò due logge: “Della Filantropia”, loggia militare che venne trasferita nel 1805 a Lecce, e riconosciuta dall ‘appena costituito Grande Oriente d’Italia, con sede a Milano.
Giuseppe Lechi dette incarico a Giuseppe La Gioia, già coinvolto nei fatti repubblicani del 1799 e successivamente tra i capi carbonari protagonisti dei moti del 1821, in Terra d’ Otranto.
La Gioia riunì in breve tempo “sei compagni tra parroci, monaci rinomati e giovani di letteratura e soda morale”, con questi fu ricevuto dal Fratello Rossi, e quindi elevato agli alti gradi della “Della Filantropia”. Tra i Fratelli fondatori è doveroso citare il sacerdote Giuseppe Ceci, anch’egli coinvolto fatti del 1799, noto repubblicano, che lasciò un museo di reperti storici, andato poi distrutto, ed il sacerdote Saverio Trippa, di Carosino.
Questa loggia ebbe sin dall’inizio enormi difficoltà di operare, stretta tra il timore di infiltrazioni spionistiche e le persecuzioni della polizia borbonica.
Con la costituzione del Grande Oriente d’Italia, retto dal viceré Eugenio Bonaparte, a Taranto risulta operante solo la loggia “L’ Amica dell’Uomo” rappresentata dal venerabile La Gioia. Con Gioacchino Murat, che costituisce nel 1810 il Grande Oriente di Napoli, a Taranto nasce la loggia “La Nemica dell’Ambizione” ad opera di Nicola Libetta e don Saverio Trippa, che assume la carica di Venerabile ed anch’ egli successivamente capo carbonaro.
Con il termine dell’avventura napoleonica nel 1815, anche la Massoneria, già in una fase critica col regime francese che voleva asservirla ai propri disegni di controllo del potere, subisce una battuta d’ arresto. L’ideale di una patria indipendente accantona l’ impegno di ricerca esoterica a favore dell’ azione politica. La massoneria che era stata finora retaggio della classe aristocratica ed alto borghese cede il passo alle sette di azione politica, che richiedevano strutture agili ed adepti di ogni condizione sociale.
E’ il momento della Carboneria, le cui radici, in parte riferibili alla Massoneria, diventa un movimento trasversale nella società del tempo.
Anche a Taranto dal 1816 al 1848 si registrò una proliferazione di sette rivoluzionarie, quali quella degli “Agricoltori del Galeso” e quella dei “Figli di Pitagora” per citare le più note e numerose. Nel 1837 si costituisce una setta della federazione della Giovine Italia, la creatura di Giuseppe Mazzini, fondata da massoni tarantini quali Nicola Mignogna, Giuseppe Carbonelli, Tommaso De Vincentis, oltre al Fratello Brindisino Cesare Braico ed al noto massone leccese Giuseppe Libertini, e organizzata a Taranto da Giuseppe e Raffaele Cimino. Nel 1848 si costituì un comitato liberale presieduto dall’ avv. Giuseppe De Cesare e composto dall’avv. Domenico Savino, dai fratelli Raffaele ed Ignazio Lucarelli, da Pietro Acclavio, Luigi Carbonelli, Luigi Ayr, Nicola Galeota, Orazio Carducci Atenisio.
Faceva parte di una delle due sette (qualcuno afferma “logge” postulandone l’esistenza) operanti a Taranto, con sede in palazzo Carducci, mentre l’ altra era Sita a palazzo Buffoluti (l’ odierno Palazzo Galeota).
Anche l’impresa dei Mille a Marsala vide la partecipazione dei patrioti tarantini, tra i quali i noti massoni Nicola Mignogna e Vincenzo Carbonelli, che mandarono una delegazione di 44 volontari al massone Garibaldi.
La cronaca ci tramanda i nomi di alcuni di essi: il padre cappuccino Aurelio Perrone da Massafra, l’ architetto Gaetano Piccione, Francesco Valente, l’ avv. Egidio Pignatelli, Antonio Petruzzi, i fratelli de Gennaro, Francesco Jurlaro, Nicola Galeandro, Tommaso Catapano, Riccardo Agostinelli.
AEsaurita la sua spinta rivoluzionaria con l’ Unità d’Italia l’ ambiente patriottico diventa l’humus ove ritrova vigore la Massoneria. A seguito della costituzione del Grande Oriente d’Italia nel 1859, la Massoneria si ramifica organicamente in tutto il regno.
La prima loggia nel periodo post-unitario fu fondata l’ 1.8.1865 col titolo di “Archita” da Giuseppe Libertini, leccese, segretario di Mazzini, alto esponente della massoneria e deputato al Parlamento. Retta dal patriota Pietro Acclavio, con l’ ausilio dell ‘ avv. Domenico Savino, riunì nel suo ambito la nuova generazione dei notabili tarantini, quali l’ avv. Carlo Primicery, Luigi Carbonelli, i fratelli Nicola e Francesco Portacci, Francesco Paolo Carelli, Francesco De Bellis.
Anche a Taranto si avvertì nella società civile I ‘ influsso di massoni che operarono per il miglioramento delle condizioni di vita ad ogni livello. Parlamentari massoni contribuirono alla istituzione dell’ Arsenale e della Ferrovia. Grande attenzione è stata indirizzata verso il progresso attraverso la cultura e la lotta all ‘ ignoranza, vedendo in prima linea massoni come il preside del Regio Liceo “Archita” Edoardo De Vincentiis, 33 del R.S.A.A. e membro della Giunta dell’Ordine nel 1912 sotto la Maestranza di Ettore Ferrari, il preside dell’Istituto “Pitagora” Emidio Ursoleo, il docente di storia Pasquale Ridola, il docente di scienze Luigi Ferrajolo, il prof. Attilio Cerruti, il massimo poeta tarantino contemporaneo Emilio Consiglio. Massoni sono stati promotori e fondatori della sezione della Società “Dante Alighieri”, della sezione della Croce Rossa Italiana, della Umanitaria Croce Verde, dell ‘ Università Popolare “Nazario Sauro”, del Comitato di Assistenza e Beneficenza, per citare le maggiori e più longeve, insieme a molteplici iniziative minori, come la prestazione professionale a favore dei poveri (ad esempio si cita l’opera del dott. Matteo Fago, che riservava due giorni alla settimana per visitare gratuitamente i poveri), oltre che di varie società di mutuo soccorso tra lavoratori.
A cavallo del nuovo secolo la Massoneria assunse la fisionomia di movimento transpartitico, consentendo I ‘ adesione dei propri esponenti in ogni schieramento politico. E’ un periodo di profonda trasformazione della società italiana, rappresentato anche dalla proliferazione dei partiti.
A Taranto i massoni furono tra i fondatori ed i promotori di quasi tutti i parHi tranne quello clericale: I ‘ avv. Aurelio Marchi per i radicali, Guglielmo Baldari per gli anarchici, Luigi Ferrajolo e Pompeo Lorea per i socialisti, Cesare Mormile per i nazionalisti, l’ avv. Pasquale Imperatrice per il primo Fascio da combattimento.
Massoni furono deputati al Parlamento, sindaci, consiglieri comunali anche di schieramenti differenti, che nella diversità di idee politiche si ritrovavano la sera nell ‘unità iniziatica della comune ricerca esoterica nel tempio massonico.
Dopo la loggia Archita, che sciolta dopo qualche anno di operatività, ricostituita nel 1874 e poi ancora sciolta nel 1880, sorse nel 1882 la loggia Archimede, da questa nacque nel 1907 la loggia Giulio Cesare Vanini, che nel 1911 gemmò la loggia Prometeo, nel 1913 la ricostituita loggia Archita. Per ultima, nel 1921 sorse la loggia Nazario Sauro.
La crisi della Massoneria esplose con il periodo giolittiano, da allora iniziò un’ agonia che il regime fascista non fece altro che accelerare spegnendo la fiaccola delle libertà.
Il 14 settembre 1924 alle ore 14,30 una squadraccia fascista devastò la casa massonica Sita al primo piano di palazzo Marturano in via Giovinazzi angolo via Pitagora, distruggendo mobili, suppellettili e documenti.
Ma, come il mitico uccello della Fenice che risorge dal fuoco così la Massoneria riaccese la fiaccola dopo il lungo sonno fascista e la tragedia della seconda guerra mondiale.
Il grave danno prodotto dal lungo oblio consistette soprattutto nella confusione sulla identità e sulla legittimità massonica. La Massoneria italiana aveva vissuto nel 1908 una dolorosa scissione, dando vita ad un’ altra Obbedienza, la Serenissima Gran Loggia d’Italia, detta di Piazza del Gesù, dal toponimo della sua sede per distinguersi dall’ altra, detta di Palazzo Giustiniani.
Con la ripresa del dopoguerra la famiglia giustinianea tenne sostanzialmente salda la propria identità ed organizzazione mentre quella di Piazza del Gesù si frantumò in mille rivoli, ciascuno dei quali rivendicava legittimità di unica depositaria della tradizione muratoria. Anche a Taranto, accanto alle due logge giustinianee, “Prometeo”, che riprese i lavori nel 1944, e “Vanini” nel 1947, oltre alla loggia “Archita”, che nata dalla scissione del Fera nel 1908 fu ricostituita nel 1946 sotto l’obbedienza di Raoul Palermi, e successivamente si sciolse per dar vita alla loggia “Raoul Palermi”.
D’ altro canto sorsero altre cinque logge di cui un’ altra Obbedienza di discendenza di Piazza del Gesù, via della Mercede n. 12. Prima fra queste logge fu la “Garibaldi” fondata dal Fr. Giuseppe Vozza, 33 del R.S.A.A. cui seguì la “Fiume” nell’aprile del 1946, la “Nazario Sauro” e la “Battisti” nello stesso anno, la “Mazzini” nel 1947.
Le vicende delle logge tarantine sono un’alternanza di dissoluzioni e ricostituzioni, di fusioni e di
scissioni. Le cinque suddette logge passarono nel 1950 all’Obbedienza di Palazzo Giustiniani, ma la convivenza non fu tra le più serene considerando anche che avevano sedi differenti per le riunioni (le giustinianee il tempio di via Leonida e le altre quello di via Gorizia).
Nei primi anni 60 lo scenario massonico vide fra i protagonisti più attivi il Prof. Terenzio Lo Martire, direttore didattico di scuola elementare, iniziato durante il fascismo nella clandestinità, affiliato nel dopoguerra alla loggia Battisti, prima all’ Obbedienza di Piazza del Gesù poi in Palazzo Giustiniani. Lasciata quest’ ultima fondò una propria Obbedienza, la Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia e Lucania “Stella d’ Oriente” alla Valle dell’Ofanto, riconosciuta dalla Federazione Massonica Europea di R.S.A.A., con sede in Genova e retta dal duca Attilio Armandi di Levissano. Deluso anche da questa famiglia, fonda nel 1960 la Serenissima Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia, Lucania e Calabria, aderendo all ‘ Associazione Federativa Massonica europea con sede in Ginevra, per il riconoscimento internazionale, oltre da alcune Grandi Logge Statunitensi, e dal Movimento Italiano per la Riunificazione Massonica, a livello nazionale. Fu altresì fondatore di una rivista massonica a diffusione interregionale che fu pubblicata dal 1958 al 1963.
Con la riunificazione delle due maggiori Obbedienze nel 1972, a Taranto, alla famiglia di Palazzo Giustiniani si aggiunse la loggia “Giuseppe Vozza”, l’unica di provenienza da Piazza del Gesù.
A seguito della nuova scissione del 1974, a livello nazionale, non si verificarono particolari sconvolgimenti dell’ assetto massonico. Infatti, a Taranto la situazione rimase immutata.
Col tempo, comunque, venne ricostituita ed è tuttora operante una loggia della discendenza di Piazza del Gesù, un gruppo capeggiato dal generale Ghinazzi, distaccatosi nel 1961 dall’ originario ceppo, retto poi dal commercialista Renzo Canova ed attualmente dal dott. Franco Franchi. Il cosiddetto scandalo P2 non provocò nelle logge tarantine alcun serio sconvolgimento oltre alla naturale e consueta necessità dialettica, in quanto fedeli all ‘ impegno di perfezionamento iniziatico e di miglioramento dell ‘ umanità.
Con la crisi del 1991 , dovuta all’ abbandono della Comunione di Palazzo diustiniani da parte del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo, la massoneria tarantina visse un momento di particolare sofferenza per il tradimento del suo massimo vertice.
Divenne, però, salutare occasione che, seppur dolente nel vedere una decina di Fratelli allontanarsi (per costituirsi non in loggia, ma in un gruppo trasfertista fedele al transfuga, e che ogni mese doveva raggiungere a proprie spese una città centro-meridionale per partecipare ai lavori rituali) rinsaldò I ‘ Oriente di Taranto nell ‘ impegno e nei fini della più pura Tradizione Muratoria. Con comprensibile soddisfazione e con serena conferma della giustezza della propria scelta di coerenza I’ Oriente di Taranto ha constatato il rientro di un fratello e I’ iniziazione di un profano proveniente dalla Gran Loggia Regolare d’Italia, a fronte di altre attenzioni di pari delusi.
Nella Famiglia di Palazzo Giustiniani sono sorte dagli anni 70 la loggia “Pitagora”, la “Enea Crucioli” (sciolta nel 1995), la “Fenice” (sorta nel 1995) e per ultima, la ricostituita “Archita” (1997). •

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LA LIBERAZIONE DELLA GRECIA NEL 1821

(SECONDA PARTE)
LA LIBERAZIONE DELLA GRECIA NEL 1821
IL CONTRIBUTO Dl ALCUNI LIBERI MURATORI ITALIANI
di
Stephanos Colaghis

Conte Alerino di Consola Palma
Il liberale giurista Conte Alerino di Consola Palma (1776 – 1851), di origine piemontese, arrivò nell’isola di Ydra nel 1824.
Combatté al fianco dei greci e diede il suo prezioso contributo all ‘ organizzazione dello Stato Ellenico. Era molto amico di Praìdis e di Mavrokordatos. Benché amnistiato in Italia, preferì rimanere in Grecia. Fece una brillante carriera come giudice fino a divenire membro della Corte di Cassazione.
Mori a Syros, il 1851.
La tradizionale fese massonica di Alerino di Consola Palma si riscontra nel blasone di famiglia , costituito da una stella a 8 raggi, portante nel centro un cuore con le lettere MCM (mia carissima madre) a simboleggiare l’ amore per la patria. In un nastro stretto che avvolgeva il cuore vie era incisa la scritta in latino molto nota ai massoni di alto grado: “Oppressa resurgit” (La libertà oppressa risorge).
Generale Giuseppe Rosaroll (1775 – 1825)
Il generale Giuseppe Rosaroll, di Napoli, era massone di alto grado e carbonaro. Entusiasta combattente della libertà, venne nel Peloponneso e con l’ aiuto di Sissinis addestra un Corpo di Cavalleria militare a Gastuni e collabora con Romey e Scarpa allo scopo di aiutare i greci contro i turchi. Trasferito in seguito a Nafplio, si ammala e muore nel novembre del 1825.
Fotakos Chrissanthopoulos descrisse nelle sue Memorie le commoventi ultime ore di Rosaroll: “Con le lacrime agli occhi, abbracciò e baciò i suoi cinque figli, Marcello, Scipione, Mario, Cesare e Camillo, che erano tutti di età inferiore ai 18 anni. Prima di spirare diede loro la sua ultima raccomandazione di combattere la tirannia…”.
I figli di questo grande combattente della libertà, rimasero a Nafplio senza più la protezione del genitore e senza mezzi economici. A seguito di loro richiesta essi fecero ritorno in Italia il 24 novembre 1825, a spese del governo greco.
Giovanni Samoilo
Il medico Giovanni Samoilo giunse con la sua famiglia nel Peloponneso, nel 1823 e venne nominato Medico della Guarnigione di Neocastro, nel giugno del 1824.
Dagli scritti che si trovano nell’ Archivio Generale dello Stato, si evidenzia la sua qualifica di massone e la sua permanenza di tre anni in Grecia.
Scarpa Giuseppe
Giuseppe Scarpa venne nel Peloponneso insieme al tedesco Conte Norman, nel febbraio del 1822. Entrambi contribuirono al rafforzamento della Fortezza di Neocastro ed alla riorganizzazione della sua guarnigione. Nell’ aprile del 1822, Giuseppe Scarpa si arruolò volontariamente, con il grado di caporale, nel Battaglione dei Filelleni e in seguito prestò giuramento, col grado di sottotenente nel Corpo Ordinario di Tarella. Prese parte alla battaglia di Petta, di Palamidi a Nafplio (novembre 1822) e ancora in otto battaglie, fino al 1824. Nello steso anno torna in Italia e continua ad aiutare i greci in vari modi.
Nel 1825 tornò nuovamente in Grecia, insieme al generale Rosaroll. Dopo la morte di Rosaroll, avendo egli già ottenuto il grado di Capitano, il 22 dicembre 1825, fece una richiesta al Governo Ellenico allo scopo di far concedere all ‘ esercito ordinario, uno speciale armamento lancia-baionetta, proposto in precedenza dal generale Rosaroll. Nell’ agosto 1828, prestò servizio nel nuovo esercito ordinario, riorganizzato dal Governatore di Grecia, I. Kapodistrias.
Scarpa venne ferito nella battaglia di Kranidi e morì nel 1829.
Per la sua attività massonica, vi sono le testimonianze del Fr. Neofitos Nikitopoulos che ebbe a frequentarlo nell ‘isola di Salamina, nel 1826.
Bruno Francesco
Il dott. Francesco Bruno era amico del Conte Gamba e fu medico curante di Lord Byron a Messologhi. Cavallo Giovanni Battista
Giovanni Battista Cavallo, capitano nell’esercito ordinario di Faviero, fu a capo della Settima Compagnia che prese parte alla spedizione militare di Karistos. Santarosa (1783 – 1825)
Annibale Santorre Derossi di Pomarolo Conte di Santarosa, nacque il 1783 a Savigliano di Savoia.
Da giovane fece la carriera militare, con suo padre che era colonnello.
Col passaggio del Piemonte sotto i francesi, Santarosa lasciò la carriera militare e si occupò dello studio dei classici e della politica. Il 1811, all’età di 24 anni, viene eletto Sindaco di Savigliano, e poco dopo viceprefetto della città di La Spezia.
Collaborò con Mazzini, Gioberti, ed altri patrioti liberali per i moti del 1815, che videro i piemontesi insorgere contro gli austriaci. Divenne Ministro della guerra nel Primo Governo libero italiano.
Dopo la sconfitta del piccolo esercito piemontese a Novara, Santarosa venne condannato a morte. Riuscì a salvarsi fuggendo in Francia, Svizzera e Inghilterra dove conobbe Cousin, Ugo Foscolo, Faviero, Maison e molti altri filelleni e greci.
Il 10 dicembre del 1824, arrivò a Nafplio con un suo amico, Colegno, per incontrarsi con Kunduriotis ed altri membri del Comitato Greco di Guerra.
Amante delle antichità greche, considerò suo primo dovere visitare Epidavros, Egina ed Arene. Con commovente rispetto, si inginocchiò davanti alle rovine del Parthenone e, visitando Thission, incise su di una colonna il suo nome, come si può vedere anch’oggi. Era questa un’usanza molto diffusa tra i filelleni che si recavano a combattere in Grecia.
Indossando la fustanella greca, combatte come semplice soldato accanto ad Alessandro Mavrokordatos, nel Peloponneso. Riuscì, attraversando lo schieramento dell ‘ esercito turco-egiziano di Imbrahim, ad entrare nella fortezza assediata di Neikastro.
Il suo contributo nella lotta contro i turchi fu veramente grande, non solo sui campi di battaglia ma anche per i suoi efficaci interventi presso i suoi compatrioti massoni Romey, Scarpa ed altri che allora prestavano servizio nell’ esercito di Imbrhim Pascià, per avere informazioni militari.
Il 16 aprile 1825, Santarosa, cadde combattendo eroicamente contro i turchi nella piccola isola Sfactiria di Pios, insieme al Ministro della Guerra di Grecia, Anagnostaras e i viceammiragli A. Tsamados e S. Sahinis, rifiutando di arrendersi.
Alla richiesta, Santarosa rispose così: “Noi moriremo, ma i nostri popoli vinceranno”.
I suddetti italiani, liberi muratori, non furono i soli che vennero a combattere in Grecia.
E’ noto che diciannovesimo secolo il popolo italiano e quello greco, si sollevarono quasi contemporaneamente contro i rispettivi tiranni. Però, mentre la lotta italiana venne soffocata nel sangue con il consenso e l’intervento della Sacra Alleanza, in Grecia, benché la strada sia stata brusca, spinosa e cruenta,
Agorà settembre – ottobre 1997
la ribellione poté sopravvivere grazie ad un greco, libero muratore, Ioannis Capodistrias, Ministro degli Esteri dello Zar. Il continuo ed efficace intervento di questo famoso diplomatico, grande avversario dell’ austriaco Metternich della Sacra Alleanza. Capodistrias venne eletto Primo Governatore di Grecia e riuscì a portare all ‘ attenzione internazionale, la lotta dei greci. Dall’altra parte, non poteva essere sottaciuto il contributo ellenico al Rinascimento Culturale d’Italia, con l’istituzione di Accademie e Scuole per gli studi classici, con la traduzione di molti scritti di autori greci, come “L’ Odissea” di Omero, tradotta da Ippolito Pindemonte nel 1805, “L’Iliade” da Vincenzo Monti nel 1810.
Molti erano i greci che avevano completato i loro studi in Italia, come Capodistrias, Mustoxidis, Salomos, Mantzaros e Theofilos Koridalefs che erano membri attivi, come il poeta Kalvos, della Società Segreta dei Carbonari.
Scrittori, pittori, musicisti ed altri uomini di cultura e di arte italiana, non hanno mancato di dare, attraverso i loro lavori, battaglia e sostegno per la liberazione della Grecia, dai Turchi.
Nello stesso tempo, furono tanti i patrioti italiani che, condannati alla penaài morte dai Tribunali italiani, trovarono nella povera Grecia la salvezza, protezione ed ospitalità. La Grecia divenne la terra ideale per dimostrare le loro decisione di combattere i tiranni, così come avevano fatto nella loro patria.
Ed ecco perché molti Fratelli italiani, fedeli all’ideale di libertà, che la Massoneria ha sempre propugnato come immutabile diritto di tutti popoli, vennero a combattere al fianco dei loro Fratelli greci. E furono in molti a dare anche la loro vita.
Alla loro cara memoria dedichiamo tutta la riconoscenza di noi greci ed il loro ricordo rimarrà sempre vivo nella nostra memoria.
Particolarmente appropriati mi sembrano i versi di Dante, che nella Divina Commedia dice così:
“Sono venuti in terra straniera, cercando la libertà, il più prezioso dono, come lo conoscono quelli che per questo dono hanno sacrificato la loro vita”. •

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2001: UNA PORTA SPAZIOTEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. . .

L’uomo odierno, come del resto i suoi progenitori della preistoria, vive immerso in un’atmosfera di propensione religiosa nei confronti di forme e cose che non riesce a spiegarsi razionalmente.
Le scatenanti e incontrollabili manifestazioni della Natura, pur nel rispeto di una certa ciclicità, come per le stagioni, e ciò pertanto in parte prevedibili, sfuggendo al controllo umano, furono per l’uomo delle caverne collegate al volere di una Entità superiore e, di conseguenza, intese come messaggi del divino creatore d’ogni cosa.
L’innato atteggiamento mentale umano ad accostarsi al mondo dell’inspiegabile, poi, ancor più stimolato dal recondito desiderio di tramandare ai posteri le tracce delle sue progressive conquiste, dalle incisioni rupestri dei cavernicoli ai monolitici menhir, dai templi e le Piramidi di Gizah e quelle Maya, dal labirinto di Creta con le architettoniche testimonianze dell’antica Grecia alle cattedrali, ha fatto sì che tutto il percorso evolutivo dell’uomo fosse contrassegnato da segnali chiari e forti, difficilmente decodificabili dai più, ma accessibili soltanto da coloro che non ne fossero stati degni.
L’uomo, ad un certo punto, si accorse di poter occultare in ogni opera realizzata non solo il potenziale immaginativo che scaturiva dal prodotto C) artistico ma, cosa ancor più stimolante, un arcano messaggio che solo pochi eletti, e in possesso della giusta chiave di lettura, avrebbero in un giorno lontano decodificato. L’impiego di questo selettivo metodo di comunicazione con i posteri, da quel momento, divenne sempre più utilizzato anche, e soprattutto, per difendere le individuali conquiste sapienziali dei Maestri.
La chiave d’interpretazione dell’opera divenne così il passe-partout di lettura di ermetici segreti. E, ciò pertanto, figure geometriche, come quelle tracciate sulle pareti di caverne, dolmen, omphalos ed imponenti realizzazioni architettoniche, entrarono a far parte, come era logico che fosse, dell’infinita catena di simboliche testimonianze che costellano il lungo percorso dell’umanità.
In verità, l’influenza di sconosciute forze positive e avverse, potenziate soprattutto dall’intenzionale apporto emotivo conferito dall’esecutore di quel tempo, interagiscono misteriosamente. Malgrado i secoli trascorsi, infatti, l’opera-simbolo continua ad esercitare il suo iniziale magnetismo al punto tale da influenzare, talvolta, persino il percorso evolutivo dell’uomo. Ed ecco che Il simbolo, rafforzato ancor più dal misterioso messaggio che in esso si racchiude, diventa una “porta arcana” di accesso verso una dimensione spazio-temporale in cui presente, passato efuturo sono un tutt’uno.
Non è casuale l’esigenza di rivisitare, anche se spesso lo facciamo con la mente, episodi e luoghi legati agli anni di vita vissuta. La cosa strana è che avvertiamo un inspiegabile impulso, quasi un’attrazione fatale, che ci spinge ad andare oltre, l’esigenza forse, di oltrepassare la barriera convenzionale di quel primo giorno di nostra vita per scoprire da dove proveniamo, chi veramente siamo, e qual è la nostra meta futura.
A questo punto, però, ci accorgiamo stranamente del fascino inspiegabile che certi luoghi emanano, degli inspiegabili stati emozionali che essi producono, decisamente estranei all’ambiente circostante. Immer 4 nel particolare stato di animazione sospesa che ne consegue, quasi per incanto, tutto ciò che ci è intorno diventa nebuloso, e svanisce. Ad un tratto, l’opera-simbolo che è dinanzi a noi, immersi nel ruolo di moderni temponauti, austera per il segreto in sé racchiuso, risveglia nella nostra mente quel messaggio iniziale inciso sul portale del Tempio di Iside: “Sum quidquid fuit, est et erit…nemoque mortalium velium detraxit”.
Questi simboli meravigliosi, che tanti segreti hanno ancorao da svelare, sono l’incommensurabile patrimonio di verità velate che i grandi maestri sapienziali, iniziati nei sacri templi della , hanno voluto tramandare all’umanità.
Il linguaggio silente delle pietre, il magnetismo dei siti eretti in luoghi mai scelti a caso, le raffigurazioni simboliche, le allegorie, gli indecifrabili crittogrammi, la collocazione delle opere nel preciso rispetto dell’orientamento degli astri, l’osservanza e l’applicazione della geometria e della matematica nel calcolo dei rapporti di costruzione, non sono semplici coincidenze, come qualche sprovveduto vorrebbe far credere…
Migliaia di anni sono ormai trascorsi, secondo il calcolo del tempo terrestre, dalla comparsa dell’homo sapiens di quest’ultima preistoria, e l’uomo contemporaneo ha appena sfogliato le prime pagine del grande libro della storia dell’uomo.
Il 2001, potrebbe, a mio modesto avviso, essere il simbolico appuntamento di quel radicale cambiamento, tanto atteso dall’Umanità, soprattutto alla luce delle eclatanti conquiste della scienza – tasselli di antiche verità dimenticate – che si susseguono a ritmo sempre più incalzante.
E’ utopistico sperare di vedere debellati, una volta per sempre, gli endemici mali che affliggono i popoli della Terra come, ad esempio, la violenza che dilaga senza sosta, la fame, l’inquinamento ambientale, e così via. ?
Sono tanti, troppi forse, e di vitale importanza, i quesiti in attesa di risposte chiare ed inequivocabili dall’Uomo del terzo millennio, come ad esempio per la clonazione e l’eutanasia.
Sono altresì fermamente convinto, e non potrebbe essere altrimenti, che il presupposto iniziale per affrontare con serietà i problemi primari dell’Umanità, e soprattutto senza dispersive dietrologie, non prescinda dal decisivo accantonamento di tutte le ideologie che imprigionano il libero pensiero e la libertà, come quelle che si legano alle religioni ed agli interessi personali di coloro che praticano la politica.
Dal sereno confronto di pensieri, idee, e conoscenze individuali, che potremmo definire il primo gradino di un’ascesa collettiva e responsabile nel rispetto degli altrui convincimenti, potrà nascere quella volontà fortemente protesa verso il miglioramento ed il benessere di tutti, senza più sopraffazioni ed egoismi personali.
Le testimonianze del nostro passato, frattanto, immobili nei siti che gli antichi maestri scelsero per la loro edificazione, osservano silenziose il frenetico dimenarsi degli uomini che inseguono, come nel passato, effimere ed illusorie conquiste.
All’alba del 2001, stranamente, il segreto di un antico nostro progenitore forse venuto dalle stelle, ermeticamente racchiuso nel simbolo più complesso ed arcano dell’Universo che noi chiamiamo “uomo”, ci appare meno lontano…e, come sempre in occasione di un nuovo anno che nasce, ci riscopriamo più ricchi di proponimenti buoni, e di speranza…
Silvio Nascimben

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LA DAUNIA PRIMA DEI DAUNI IDENTIKIT Dl UN POPOLO MISTERIOSO

O
di
Pino Bruno
I viaggio che vi proponiamo comincia più o meno millecinquecento anni prima di Cristo nel territorio che oggi è compreso tra il promontorio del Gargano, il Subappennino Dauno e il Tavoliere di Puglia. Una zona coperta allora di fitti boschi, a cui si alternavano gli appezzamenti strappati alla foresta e resi coltivabili, grazie anche alle numerose sorgenti per l’ approvigionamento idrico. Il clima era temperato e continentale. A quei tempi il fiume Ofanto era un grande collettore di acqua. Il suo corso era navigabile e al suo sbocco in Adriatico c’era un fitto sistema di lagune e saline, insomma, condizioni particolarmente favorevoli agli insediamenti umani.
E’ nel territorio appena descritto che incontriamo il popolo degli ipogei raccontato in questa mostra. Archeologi ed antropologi affidano alla nostra conoscenza una civiltà dedita ad un’ agricoltura evoluta e alla caccia, con una sua struttura sociale in transizione, ben organizzata, come confermano alcuni indicatori di ruolo e di rango ritrovati nelle sepolture. Un popolo che conosceva l’arte della guerra e, quasi certamente, l’uso delle tecniche per imbrigliare i cavalli e della costruzione del carro leggero. Una civiltà che aveva perfezionato l’arte della ceramica e della tessitura e si era aperta a fitti scambi culturali e commerciali con i popoli dell’ Egeo e dell’ altra sponda dell ‘ Adriatico.
Tra le tante tracce che i detective dell’ antico hanno portato alla luce ci sono vasti magazzini per conservare derrate alimentari di pregio, quali vino e olio, segno di intensi traffici con i navigatori micenei. Un popolo, infine, che aveva sviluppato nel sottosuolo un profondo e, per molti versi ancora indecifrabile, rapporto religioso con le divinità della natura, con i sacrifici rituali ed i cicli naturali della morte e della rinascita. Particolarmente intenso il culto degli antenati, come attesta, negli ipogei funerari, la mancata rimozione delle sepolture più antiche. La costruzione degli ipogei conferma l’esistenza di un’ organizzazione sociale estesa a più villaggi vicini, per l’ impegno massiccio di manodopera e di strumenti di lavoro.
Facciamo allora uno sforzo d’immaginazione e pensiamo a questi uomini, a queste donne che gli esperti ci dicono essere alti tra i 171 – 172 centimetri – gli uomini – e 158 – 159 – le donne.
Un popolo, dicevamo, che è riuscito ad evolversi anche grazie al mix di fattori genetici e ambientali particolarmente favorevoli. Alimentazione sana, ricca di fibre, con ridotto consumo di carboidrati e zuccheri semplici: le malattie dentarie attecchivano con difficoltà e le popolazioni della Daunia avevano una bocca certamente più sana rispetto a quelle dell’Egeo.
Uomini ambidestri o addirittura mancini, che facevano uso di giavellotti o arpioni, alcuni di loro fondisti impegnati in intensi allenamenti. Uomini che cacciavano o coltivavano la terra o realizzavano pregevoli manufatti in ceramica o gioielli in ambra, faïence e pasta di vetro. Uomini che avevano ideato rasoi a doppia lama con manico a giorno, sorprendentemente attuali. Uomini che sapevano come difendere il territorio dai nemici: abbiamo testimonianze di una guerra o di una battaglia particolarmente cruenta, per un improvviso aumento di morti in età adulta, sepolti con pugnali e spade in bronzo. E queste donne dallo stile di vita più sedentario, che filavano e tessevano. Ecco, tra loro, la Signora delle Ambre, con il suo ricco corredo funerario di collane, anelli e orecchini. Una donna elegante e raffinata. Una signora di rango. L’ ambra, a quell’ epoca, aveva la stessa valenza che oggi ha l’ oro per noi. Questa rara resina fossile veniva dal nord Europa. Dai paesi che si affacciano sul Baltico. In tempi di commercio elettronico e shopping on line, le distanze ci fanno sorridere. Ma se seguiamo sulla carta geografica il percorso che dal Baltico porta fino al basso Adriatico – la via dell’ ambra – possiamo figurarci la complessità di tale operazione commerciale. il lungo viaggio attraverso il reticolo di vie d’ acqua che caratterizzava l’ Europa centrale. D’ altronde la presenza dell’ avorio e della pasta vitrea fa pensare ad un’ altra rotta di scambio, quella verso il Mediterraneo orientale.
Cultura, commercio e -perché no – anche scambi genetici con le popolazioni egee e dalmate. L’archeologia e l’antropologia ci confermano che per la Puglia i rapporti con l’altra sponda dell’ Adriatico e con il Levante non sono storia degli ultimi anni. E semmai la cronaca ad avere la memoria corta, se continua a stupirsi e ad allarmarsi per le migrazioni periodiche, più o meno di massa, che caratterizzano i drammatici avvenimenti sociali e politici dei Balcani. Dal popolo degli ipogei della Daunia possiamo ricevere una lezione di storia. E di civiltà.•
(Pino Bruno – Giornalista Rai)

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LA SACRA ARTE DELL’ALCHIMIA – PAOLO GALIANO (EDIZIONI SIMMETRIA

SACRA ARTE DELL’ALCHIMIA – PAOLO GALIANO (EDIZIONI SIMMETRIA)

Nella sua impresa di rivalutazione della figura di Frate Elia, Generale dell’Ordine Francescano ed uno dei primi alchimisti occidentali, Galiano con questo terzo lavoro, dopo la traduzione dello Speculum alchemiae nella sua forma abbreviata da un manoscritto del XVI sec. e del Pretiosum donum Dei nella redazione del XV sec., offre la traduzione dello Speculum alchimiae in forma integrale trascritto da un codice del XV sec. della Biblioteca Nazionale di Firenze, un’opera cospicua che si potrebbe per diversi motivi attribuire a Frate Elia ed invece quasi sconosciuta ai lettori interessati come agli specialisti di storia dell’Alchimia, i quali quasi ignorano questo autore e che solo negli ultimi anni, grazie soprattutto a studiosi italiani come Partini, Capitanucci, Pereira e Rossetti, ha cominciato ad essere conosciuto.

Questo testo, ampiamente citato in manoscritti ben più noti come il Pretiosum donum Dei e i Rosarium philosophorum, ha la peculiarità di essere un’opera di Alchimia “teorica” più che “tecnica”: pochissime le cosiddette ricette presenti nel testo, nel quale sono esposti i sette gradi dell’Opera alchemica con la precisazione dei tempi, dal Solstizio d’Inverno al Solstizio d’Estate, in cui attuare le operazioni che devono essere eseguite da chi vuole giungere all’Oro alchemico, non oro materiale, come spesso specifica l’autore dello Speculum, ma Oro trascendente, fusione del corpo, dell’anima e dello spirito in una sola entità in cui il corporeo è spiritualizzato e lo spirito è corporeificato nella realizzazione del “corpo di gloria” o Androgine perfetto.

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LA PORTA SANTA

LA PORTA SANTA
di
Loredana Morandi
Rivodutri, delizioso borgo di origine medioevale, è custodita la Porta Santa il cui studio mi ha più volte sorpresa per la sensazione di contatto virtuale con il maestro custode della soglia. Rispecchiando l’intenso messaggio voluto dall’ideatore, la complessa trama concettuale, che si riesce ad assorbire solo dopo attento studio, appare nel suo aspetto antropologico di incredibile semplicità. Oracolo e interprete di questo monumento è la Palma, antica pianta dioide del lontano Cretaceo, da sempre assunta fra le più antiche civiltà del Mediterraneo a simbolo di sacralità.
Il Portale, la cui datazione si colloca fra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento, è pregevolissimo sotto il profilo artistico. Dalla complessa costruzione sinergica dei simboli nel manufatto possiamo intuire la profonda spiritualità e la cultura enciclopedica, tipica del Rinascimento, dell’ignoto Ideatore, quasi certamente un religioso. erudito scriveva correntemente il latino e il greco, usandoli in chiave di cabala fonetica con il volgare. Quindi le lingue usate sono tre, alle quali possiamo aggiungerne una quarta contando anche il messaggio dello hieroglyphica o messaggio criptico del simbolo. Il metodo del tre anzi quattro è legato agli insegnamenti biblici e al libro dei Proverbi dell’ Antico Testamento. L’aspetto didattico didascalico o per meglio dire la oraziana ut picta poesis di emblemi, testi e luoghi alchemici, è una tipologia concettuale che ben si sposa, per il Portale di Rivodutri, con la tradizione orale. Il messaggio del Portale si esplica nei bassorilievi delle sei formelle/emblema, di cui quattro sono racchiuse in cornice ottagonale e due in cornice ellissoidale, più i due capitelli e le due pietre base degli stipiti.
Dal punto di vista iconografico le formelle/emblema sono di ispirazione cinquecentesca, ma in alcuni casi reinterpretate e riprodotte con l’estro e la genialità dell’ideatore. Una sottile trama di piccoli simboli, esterni alle cornici, confermando il messaggio delle formelle, ne consente la sinergia. All ‘esterno del portale vi è una formella isolata contenente il filo a piombo, realizzato con una piccola foglia di palma, simbolo di rettitudine e di approfondimento della conoscenza. Lo strumento può indicarci conie risolvere l’acrostico v.i.t.r.i.o.l.: visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidiem.
I simboli principali contenuti nei due capitelli sono il pitagorico Pentalpha e la Pax Christi. Un anello, simbolo di fede e di nozze, racchiude la stella a cinque punte: il pentacolo (da pantaculum: piccolo tutto) nel quale possiamo iscrivere le Christi vulnera, il cui culto risale al 1200 e l’uomo, come risulta da numerosissimi studi sulle armoniche proporzioni della figura umana. Nell’epigrafe: QD ME SA (L) N DEVS una elle in abbreviazione paleografica ci consente di leggere due parole in una, san persanus e salu per salus. Quindi un saluto e una attribuzione della salute a Dio, come era in uso presso i greci. Il versetto evangelico corrispondente all’epigrafe ce lo conferma: qui Ine sanusfecii(Giovanni 5, I I ), si riferisce alla guarigione dello storpio. La Pax Christi, chiarissimo simbolo paleocristiano. realizzato con due sottilissime foglie di palma spiega con l’epigrafe: I P S E. E’ un rimando ai versetti biblici dal libro del;a Genesi 2. I I ipse est qui circuii ornnetn terrayn… ubi nascillf} e dalla lettera di San Pao{o a} ; i 36 c.v ipso, et ei in IPSO ontni(/. consapevole duplice natura e d, vina.t il fidiùlc spirituale da oro. sottolineando un intento cesnoologico nel portale. i due capitelli dividono il cielo/arco-macrocosmo dalla essi sono di per sé una identificazione di questo concetto. [l pentaipha. inteso in chiave cristologica, e un richiamo agli innumerevoli testi ermetici in cui il Re Elixir viene associato all’immagine di Cristo Risorto, realizzazione massima dell’Opus, ma in una fase ad essa precedente cioè la Nigredo. Infatti i chiodi appaiono nel disordine dello studiolo dell’ angelo pensieroso in Malincolia I di Durer. Più fedelmente alla tradizione nel Cristo velato del Sanmartino, raffigurazione del Mercurio filosofico inattivo nel ventre/athanor naturale della terra, i tre chiodi della Passione appaiono accanto alla corona di spine intrecciata sette volte (21 è il numero delle lavorazioni che deve subire il mercurio filosofico, si veda anche il libro studiato da Flamel). L’anello è quindi da considerarsi inteso in chiave urobotica di cosmo-tempo antecedente il fiat lux, ma anche come decalogo della legge cosmica incisa sulla pietra di smeraldo, che ne orna il castone. Da qui si può lanciare l’analogia mito ermetica con la terra, regno di Saturno custode del Cristo/lapis, antecedente l’ordine cosmico istituito da Giove palesato dalla iscrizione del glifo PX nei sei vertici dell’esagramma salomonico O. Pentalpha e il Sigillo Sapientiae sono raffigurati nel libro letto da quello che sembra un cabalista ebraico nella xilografia frontespizio di un noto testo pubblicato a Roma nel 1665. Il Pentalpha e la Pax Christi, sono i capitelli che introducono alla lettura dell ‘ intero portale, nel quale l’ aspetto teologico e l’immagine mito-ermetica si alternano indissolubilmente nella simbologia, quasi fossero un incessante solve et coagula cosmico. Alchimia scienza più terrena, che cura i metalli imperfetti è loro mediatrice. Lasciandoci influenzare da tale mistero, potremmo dire che siamo alla porta della “Civitas Solis” di Campanella (anno 1613) o all’ingresso so dell’hortus conclusus dove ha sede la DomusSapientiae, dato che il Portale introduce ad un delizioso piccologiardino. àNell’aspetto strutturale enell ‘ aspetto concettuale, gli stiPiti sembrano irradiare l’imma-gine del quadrato, che evolve la propria struttura nel cerchio,attraverso la figura geometrica ottagonale di alcune cornici comepunto intermedio, le cornici ellittiche così risultano esserepunti tangenti del semicerchio occulto che completa I ‘ arco/cer-chio-cielo. Le formelle degli stiPiti contengono la narrazione an-tropologica e cosmo-elementare esempli ficata dalle fasidell ‘Opus alchemico. Il quadrato, nùicrocosmo dell’ uomo contie-ne il labirinto da attraversare per giungere al sacro sacello, lamensa della Sapienza che si trova nel Templum (Prov. cap. 9).
L’ Arco/cielo è formato dadue splendide foglie di una leggiadra e femminile Phoenixdactilifera, carica di frutti, che come le ali di una novellapurpurea fenice si congiungono verso la chiave di volta, rafiü-gurante il Cuore fiammeggiante. L’immagine, espressione del-la cosmogonia neoplatonica di Proclo, sembra pietrificare nel- l’arco il primo volo del mitologico uccello all’alba del creato. Il Cuore ne è energia vivificante e creatrice al centro dell ‘Universo conosciuto. Trino et Uno questo cuore, che ha tre fiamme o tre foglie di palma è per J. Dee, che rivisita la cosmogonia bruniana il punto centrale e la monade, il trascendete Uno Intelletto e Anima plotiniano da cui hanno origine tutte le cose. Come lo Spiritus Sanctus questa mercuriale quinta essenza permea e anima il cosmo come l’alito di Dio Rouach Elohim. Il Kircher lo avrebbe definito anima mundi vita rerum. Racchiudono il cuore due piccole foglie di palma intrecciate che rappresentano le mani dell ‘ uomo (da palmus), che congiunte in preghiera possono catturare il respiro dell’Universo ed essere con esso una cosa sola (epigrafe VNA RES).
Nillïle tutelare dell ‘ Arco è uno stupendo Giano/Rebis coronato, raffigurato cioè nella acquisizione cristiana (Prov. 4, 9). Custode delle porte e dei crocicchi, esso vigila dall’ alto del portale, sorta di Saturno re de! Tempo e di un antico regno aureo e perduto, che con il suo magico Tirso avvolto di pampini e grappoli cruva ci regalerà ottimi raccolti e buon vino in autunno. Identificandolo con bacco/Dioniso, – eternai?ente giovane e nello stesso tempo vecchio, diviene la rappresentazione iconograiica della duplicità dell Intelletto Dl vino come tramandataci dai testi neoplatonici.
Nella accezione cristiana, questo Giano di cui la corona simbolo di eternità è ‘il sigillo, rappresenta lo sponsale del Cristo Risotto e la sua Chiesa e anche la tradizione popolare dei due San Giovanni, il battista e I ‘Evagelista, custodi il primo dell ‘ Antico Testamento e il secondo del Nuovo Testamento. Nell ‘ Opus il Rebis androgino per metà uomo e per metà donna, rappresenta la polarità delle due nature maschile attiva e femminile passiva, le nozze chimiche dello Zolfo re rosso con il Mercurio regina bianca. Dall’unione del Sole e della Luna nasce l’Uomo nuovo manifestazione del Creato, che pone i suoi piedi sul mondo della materia. Apparentemente immota pietra quest’uomo, agricoltore degli immensi campi celesti, emana la radiosa osservazione della luce del creato e dice silenziosamente a noi e di noi, uomini della terra, il geroglifico del e infinito.•
Loredana Morandi, nata a Roma nel marzo del’63, è pronipote del Professor Luigi Morandi letterato e filologo, che fu volontario con Garibaldi nel 1867 a Mentana, precettore di Vittorio Emanuele III fino ai 16 anni dell’allora Principe di Napoli ed infine nominato senatore a vita nel 1905.Oggi la studiosa Loredana Morandi si sta occupando del restauro filologico del Portale di Rivodutri ed è, come lei stessa si definisce una donna, che lavora felicemente madre di quattro figli. Attualmente è stata nominata Advisor dell’Assemblea Speranza n o I delle giovanissime Rainbow for Girl di Roma dove svolge anche ruolo di segretaria, dal Capitolo Sirio n o 6 delle Stelle d’Oriente di Roma. Deputy per l’Italia dell’Ordine Internazionale delle Rainbow for Girl e dell’Ordine Internazionale De Molay è il Prof. Paolo Messina.

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NOTE A MARGINE DELL’EDITORIALE DE “LA CIVILTA’ CATTOLICA ” DEL 19 GIUGNO 1999

Note a margine dell’editoriale de
“La Civiltà Cattolica” del 19 giugno 1999

di don Franco Rasi

La rivista di Gesuiti “La Civiltà Cattolica” nell’editoriale del n. 3576 del 19 giugno 1999, prendendo lo spunto da una relazione letta nel settembre 1998 a Rovereto dall’allora Gran Maestro Gaito dal titolo “Spiritualità massonica nella Inusica di Mozart”, non perde l’occasione di riproporre ancora una volta tutto il bagaglio di argomentazioni negative nei confronti della Massoneria. Che lo faccia con maggiore o minore garbo, poco importa. Dipende dalla sensibilità della capacità nello scrivere dell ‘estensore, che in questo caso si identifica con il direttore del periodico.
Ma la sostanza è sempre la solita: Massoneria e Chiesa percorrono due binari paralleli, destinati a non incontrarsi. Dialogo sì, ma di doppia appartenenza neanche a parlare. Da Clemente XII, passando attraverso Leone XIII, particolarmente astioso nei confronti della Libera Muratoria, sino ad oggi con Giovanni Paolo II, il problema rimane irrisolto. Per quanto il nuovo Codice di Diritto Canonico abbia abolito la scomunica ai cattolici iscritti alla Massoneria, la Chiesa rimane ancorata ai sei ni0tivi di condanna che Clemente XII nel 1738 indicò nella sua lettera apostolica “In eminenti”. Tutti i sei motivi sono stati studiati e confutati da storici di entrambe le parti. Religiosi come il Gesuita spagnolo Josè A. Ferrer Benimeli o gli italiani Padre Giovanni Caprile o il paolino Padre Rosario Esposito, hanno speso parte della loro vita a studiare e comprendere il “fenomeno” Massoneria. L’ultimo motivo dei sei elencati da Clemente XII appare totalmente assurdo, oggi più di ieri. Rileggiamolo insieme”…(i Massoni sono inoltre colpiti) per altri giusti ragionevoli motivi a Noi noti, abbiamo stabilito e decretato di condannare e proibire detta società di framassoni’
Scrive Don Franco Molinari in un puntuale volume del 1985 dal significativo titolo “Massoneria: cattedrale laica della fraternità”: “…fiumi di inchiostro sono stati versati da storici illustri per inseguire i giusti e ragionevoli motivi, noti solo al Papa. Ma si tratta di andare a caccia di fantasmi”.
La Chiesa cattolica non ha ancora capito, o le fa comodo non capire, che “La Massoneria non è una religione, nè un sostituto della religione. Essa richiede ai suoi adepti di credere in un Essere Supremo del quale tuttavia non offre una propria dottrina di fede”. (Dichiarazione approvata dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra: “Essa (Massoneria) lascia a ciascuno dei suoi membri la responsabilità delle proprie opinion
religiose, ma nessuno può essere ammesso in Massoneria se prima non abbia dichiarato esplicitamente di credere nell’Essere Supremo”.
Il discorso è talmente chiaro nella sua semplicità che appaiono difficili da comprendere le polemiche al proposito. Quei religiosi che hanno tentato di spiegare l’inutilità delle polemiche non sono stati compresi. La gerarchia non ha voluto ascoltarli. Certo, in passato torti, accuse ed eccessi ci sono stati da una parte e dall’altra. La Massoneria ha sempre dovuto difendersi. A volte poche in verità — l’ha fatto con intelligenza, ma troppo spesso con toni di becero anticlericalismo o con modeste argomentazioni storiche. Per difendersi ha poi compiuto vere e proprie invasioni nel terreno della teologia, accreditando la tesi di una religione massonica alternativa alla cattolica, con tutti i guai che tale falsa ed errata proposizione comporta. La saputo approfittarne, collocando la Massoneria in un Contesto che non le appartiene, ha potuto attaccarla, negandole di fatto il diritto umano fondamentale, quello della libertà di pensiero.
I Massoni non sono i soli ad aver subito questa persecuzione. Anche Galileo. Savonarola, Giordano Bruno, Tomaso Campanella e con loro Ugonotti, Ebrei. Valdesi e via dicendo hanno pagato, anche con la vita, il desiderio naturale di libertà di pensiero. Per molti di loro il Papa polacco si è profuso in mea culpa. Anzi, il Papa intende compiere l’ 8 marzo prossimo, il mercoledì delle Ceneri, durante una celebrazione al Circo Massimo in Roma, un atto penitenziale con richiesta di perdono all’umanità, un “mea culpa” millenario riguardo i ‘peccati storici dei cristiani”: la fede imposta con la forza, la lotta fra Chiese. e la mancata difesa dei diritti umani fondamentali. Tale atto penitenziale non ha il consenso di tutti all’interno del Vaticano. I Cardinali Ratzinger, Ruini, Biffi invitano all ‘estrema cautela, come pure autorevoli storici cattolici come Franco Cardini e Vittorio Messori. Tutti costoro sono critici davanti a questo revisionisrno religioso di fine millennio. A nostro giudizio, questa iniziativa del Pontefice Romano appare come la più originale del suo pontificato.
In questo contesto alla Massoneria si presenta una grande opportunità, visto anche il grande lavoro svolto negli ultimi anni dal Gran Maestro Gaito. Essa può ristabilire la verità storica, riproponendo la pluralità delle conoscenze e dei valori laici sulle soluzioni “definitive”, sugellate da verità e valori assoluti.
Per noi uomini laici e liberi non è per nulla chiaro che il concetto di trascendenza sia necessariamente in grado di dare un senso alla vita.

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L’ANTICO E PRIMITIVO RITO E MISRAIM

L’ANTICO E PRIMITIVO RITO T E MISRAIM
di
Giancarlo Seri
I Contenuti
La Tradizione Muratoria propone ai Fratelli Massoni una Operatività di natura strettamente interiore e spirituale. Questa si può esprimere solo attraverso dinamiche che tendono prima alla scoperta e quindi allo studio del “profondo” esistente al centro della coscienza di ogni essere intelligente.
Solamente attraverso l’osservazione intensa, accurata e silenziosa, si può procedere a quel lavoro di sgrossatura della “pietra” che pone, in definitiva, il Massone al servizio dell’evoluzione umana ed universale, passando, quindi, da un’opera strettamente personale ad un’opera tutto ciò consente all’Uomo di crescere da un piccolo ed egocentrico “io” ad un “Sé” vibrante e splendente nel glorioso ed eterno lavoro trasmutatorio dell’Essere.
L’Operatività, intesa quindi come insieme di “passaggi” attraverso i quali, per gradi, si effettuano molteplici rettificazioni, perfezionamenti – veri e propri salti di qualità – , è il lavoro che propone l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim attraverso un percorso muratorio-illuministico che racchiude in sé il sistema iniziatico occidentale.
Esso parte dalla base, la Libera Muratoria Azzurra, per giungere alle vette rosicruciane della Gnosi, includendovi i sistemi ermetici, filosofici ed esoterici degli antichi Hyerophanti egiziani e dei sacerdoti di Mithra. Il Rito, a causa del suo riferimento a Misraim (da “mizr” , parola questa che deriva dall’antica lingua ebraica e che indica l’Egitto), è denominato anche “Rito Egiziano”, cosa questa che non ha mancato, in passato, di causare confusione con il Rito Egiziano – o Muratoria Egiziana – di Cagliostro che, pur ricollegandosi idealmente con l’Antico e Primitivo Rito Di Memphis e Misraim, almeno per ciò che riguarda lo studio delle pratiche mistiche e teurgiche, è, nella sostanza, profondamente differente.
L’antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim è un vero e proprio Ordine e non un semplice Rito, dato il senso che comunemente viene attribuito a questa parola. Esso è stato concepito allo scopo di raccogliere in un unico organismo (che accomunasse nei suoi gradi la saggezza di cui il Sistema Iniziatico Occidentale è depositario), gli iniziati sparsi negli Corpi Rituali Muratori superiori e negli Ordini Illuministici e Cavallereschi che operavano agli inizi del ‘700 e potesse quindi trasmettere la conoscenza in grado di soddisfare il desiderio di crescita interiore.
Il Rito di Memphis e Misraim
Il Rito, come lo conosciamo oggi, è il frutto della fusione di due Riti ben distinti:
Il rito di Misraim o Egiziano
Il rito di Memphis o Orientale
Per capire meglio il tutto diamo una brevissima occhiata a questi due Riti, alla loro storia ed ai loro contenuti.
1) 11 Rito di Misraim
Diversi autori concordano sulle origini del Rito in Italia, sulla sua diffusione a Venezia e nell’Italia del Sud.
Gastone Ventura dice: “…il Rito di Misraim, o Egiziano, sorto a Venezia nel 1801 ad opera di Filatele Abraham e subito diffusosi in Italia e Francia … è un sistema massonico-illuministico che racchiude in sé il Gran Sistema Iniziatico occidentale che il Rito Scozzese Antico ed Accettato, nella rielaborazione in trentatré gradi dei principali riti professati, non riuscì a realizzare, avendo escluso dalla sua nomenclatura i gradi cabalistici e quelli martinisti e martinezisti…
Altre fonti dicono che non fu il Filalete Abraham – che sarebbe in effetti il Barone Tassoni di Modena – a portare il Rito a Venezia ma che bensì fu Cagliostro.Al di là, comunque, di queste controversie del tutto marginali, restano appurati i seguenti fatti fondamentali:
Dall’Egitto a Malta, intorno al 1750, attraverso l’opera iniziatica di illustri personaggi – tra i quali spicca Raimondo di Sangro, Principe di S. Severo – confluisce a Napoli una intensa attività di studio e ricerca, che ha per oggetto temi alchemici ed ermetici, veicolata principalmente attraverso la Tradizione Massonica.
A Venezia nasce, nel 1788/1801, grazie all’attività delle Logge Egiziane in parte promosse da Cagliostro ed in parte da Ananiah il Saggio e dal Filalete Abraham, l’ordine Egizio di Misraim; alcuni anni dopo il Rito si diffonde in Lombardia ove viene fondato il Sq)remo Consiglio del Rito avente giurisdizione sui 90 gradi.
Nel 1856 il Rito, dopo alterne vicende, viene definitivamente assorbito dal rito di Memphis anche se rimangono, ancora per alcuni anni, attive poche obbedienze nazionali – costituenti il deposito iniziatico denominato “Arcana Arcanorum”.
2) Il Rito di Memphis
Sulle origini di questo Rito esistono molte leggende che si perdono nella notte dei tempi. Lo stesso fondatore, Jean Etienne Marconis, racconta che suo padre, Gabriel, ufficiale italiano dell’armata napoleonica, fu iniziato durante la campagna d’Egitto alla loggia Egiziana “Isis” e che, al suo ritorno in patria, fondò insieme ai suoi compagni d’arme e Fratelli, nel 1788, una loggia dal titolo distintivo “I Discepoli di Memphis”, con spiccate caratteristiche rituali egiziane.
Per dare un’idea del messaggio iniziatiche che il Rito offre ai Liberi Muratori, leggiamo cosa dice lo stesso Marconis Il Rito massonico di Memphis è l’eredità dei misteri dell’antichità:
esso educa gli uomini a rendere omaggio alla divinità i suoi dogmi riposano sui principi dell’umanità la sua missione è la conquista della saggezza che serve a discernere la verità
è l’aurora benefica dello sviluppo della ragione e dell’intelligenza; è il culto delle qualità del cuore umano e la condanna dei suoi vizi è l’eco della tolleranza religiosa, il legame tra tutti gli uomini
Il Rito ha diffusione praticamente in tutto il mondo: già nel 1849 apre i lavori in Romania, nel 1851 in Inghilterra, nel 1856 in Australia; nello stesso anno viene costituito ad Alessandria d’Egitto un
TSublime Consiglio ed a New York viene fondato un Sovrano Gran Consiglio del 94 grado. Nel 1960 Giuseppe Garibaldi viene iniziato al Rito, a Palermo.
La fusione tra i due Riti
Il 1865 è un anno cruciale per il l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim: in quell’anno, infatti, il Fr. Giuseppe Garibaldi ed il Fr. Francesco de Luca – G.M. del G.O.I – vengono eletti membri onorari del Supremo Gran Consiglio di Alessandria d’Egitto premessa questa che ha portato, dieci anni dopo, nel 1875, a proclamare il Fr. G. Garibaldi Gran Maestro Onorario ad Vitam del Gran Santuario del Rito di Memphis. Pochi anni dopo, e più precisamente nel 1881 , Garibaldi viene nominato Gran Hyerophante del Rito ed unifica i due Riti, di Memphis e di Misraim, in un unico Corpo Rituale.
In merito agli avvenimenti relativi a questi ultimi periodi, occorre subito rilevare che i venti anni di clandestinità in cui è stata costretta la Massoneria tutta ed i noti eventi bellici hanno notevolmente confuso le acque in merito alla realizzazione di una totale certezza che la tabulazione cronologica degli atti e delle successioni sia perfettamente rispondente alle rigide esigenze di una completa ricerca storica.
In estrema sintesi si può dire che nell’immediato dopoguerra, nel 1947, a Venezia avviene il risveglio dei Riti Uniti e che nel 1973 il Fr. Francesco Brunelli, in virtù dei poteri magistrali ricevuti – nel 1973 viene insignito dei poteri sovrani dall’erede della filiazione francese del Rito di Memphis e Misraim, il Fr. Robert Ambelain – risveglia l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim in seno al G.O.I. d’Italia
Struttura Operativa dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim
La struttura rituale operativa del Rito si sviluppa in 4 sezioni; ogni sezione, a sua volta, oltre ad avere una sua specifica caratteristica e funzione particolare, è composta da uno o più Corpi Rituali che sono in parte praticati ritualmente ed in parte studiati e conferiti per comunicazione; queste sono le sezioni:
1. Simbolica – gradi I – 3 : è composta dai Corpi rituali denominati Logge. Compito di questa sezione è lo studio e la pratica dei primi tre gradi della Libera Muratoria Universale
2. Filosofico-Cabalistica- gradi 4 -33 : è composta da 30 camere rituali di cui sette vengono ritualmente praticate. La docetica di questa sezione riguarda la conoscenza e la pratica dell’insegnamento Rosa Croce, l’inizio della conoscenza ermetica e l’inizio della pratica Alchemica.
3. Gnostico-Ermetica – questa sezione è composta da 38 camere rituali. Viene praticato solamente il 660 grado, dei Patriarchi Grandi Consacratori. La docetica di questa sezione fonda il suo studio e la sua ricerca sulla Gnosi Classica e sulle sue derivazioni.
4. Ermetica – rappresenta la conclusione dell’iter iniziatico che i Fratelli Maestri hanno compiuto. In questa sezione – quale operaio dell’Arte Regia – si raggiunge la comprensione del deposito immemorabile e misterioso che il Rito possiede da sempre; si intuisce la Parola Perduta.
Come si può quindi rilevare il Rito, utilizzando una simbologia di chiara ed inconfondibile derivazione egiziana, affronta con metodo e precisione tutte le problematiche connesse allo sviluppo interiore del Massone; lo accompagna attraverso il lungo cammino della propria trasmutazione, aiutandolo nella difficile operazione di cercare, trovare ed infine a far emergere, il proprio “oro” interiore.

NOTE
I Riti Massonici di Misraim e Memphis ed Atanor
2 Robert Ambelain e Robert Cools
3 Marconis “Le Sanctuarie di Memphis” – 1849 – Paris chez Bruyer

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FOSSE ARDEATINE: UN ENNESIMO CONTRIBUTO DI SANGUE DELLA MASONERIA

FOSSE ARDEATINE: UN ENNESIMO CONTRIBUTO Dl SANGUE DELLA MASSONERIA
ALLOCUZIONE DEL GRAN MAESTRO DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
AVV. VIRGILIO GAITO IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE
DEL 520 ANNIVERSARIO DELLA STRAGE

Fratelli carissimi,
In un’ alba fredda e nebbiosa il 24 marzo 1944 diversi camion delle SS trasportano 335 uomini, di ogni età, non pochi addirittura adolescenti, prelevati brutalmente in maggioranza dalle celle del braccio dei politici del carcere romano di Regina Coeli senza che sia stata comunicata loro la destinazione di così mattutino viaggio.
Taluni di loro erano stati arrestati per motivi ideologici, essendo ritenuti antifascisti o antinazisti, altri rastrellati nel Ghetto di Roma o nel corso di improvvise retate alla ricerca degli odiati Ebrei, altri ancora perché appartenenti all’Esercito Italiano e sospettati di appartenere a formazioni partigiane. Pochi infine catturati a caso mentre transitavano per Via Rasella dove un attentato dinamitardo aveva dilaniato 33 militari tedeschi delle truppe di occupazione di Roma Città aperta.
Lo spietato proclama del Comandante in capo germanico aveva annunciato che, ove gli ignoti attentatori non si fossero costituiti, per rappresaglia sarebbero stati giustiziati dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Nessuno si costituisce e la terribile sentenza di morte si a caso su quei reclusi, ignari del tragico destino che li attende.
Ma alcuni tra loro, una dozzina di Ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri, operanti in clandestinità contro l’invasore tedesco, imprigionati e torturati, taluno perfino al cospetto delle mogli, alla vana ricerca di altri partigiani, hanno già provato sulle loro carni l’inutile ferocia degli aguzzini nazisti e non stentano a rendersi conto che l’ora del sacrificio supremo è giunta.
Ed il tragico corteo si resta all’ingresso di una vecchia cava abbandonata. Ordini secchi si susseguono, gli sventurati sono scaraventati giù dai camions ed avviati a piccoli gruppi nel buio interno delle grotte. Un agghiacciante crepito di mitraglia li falcia ed essi cadono nella polvere, consci della fine, esitano, si divincolano, ma gli spietati carnefici hanno fretta e li spingono sui caduti per affastellarli sui cadaveri scempiati.
L’orrendo eccidio si compie in breve tempo, ma già quei morti innocenti urlano un’accusa perpetua contro la barbarie; ed i nazisti vogliono esorcizzarla spegnendone subito l’eco e la memoria: alcune cariche di tritolo fanno crollare I ‘ imboccatura delle Fosse e la quiete dei campi torna ad avvolgere quei poveri resti.
Ma quegli assassini, nella loro ignoranza e stupidità, non potevano immaginare di aver costruito paradossalmente un monumento imperituro alla fraternità, all ‘uguaglianza, alla libertà. Uomini e ragazzi, professionisti e operai, generali, Carabinieri ed artisti, artigiani e commercianti, professori e studenti, cristiani ed ebrei, resi uguali da un unico tragico destino, abbracciati in un supremo anelito di amore fraterno, martiri perché un giorno la loro Patria si riscattasse dall’oppressore e tornasse libera.
Notava perspicuamente LUMEN VITAE, la vecchia Rivista del Grande Oriente d’ Italia, che se quei barbari avessero conosciuto il significato recondito del nome della località che la via Ardeatina collega a Roma, avrebbero evitato di costruirvi quel sacrario perché Ardea, “oltre ad esprimere troppo evidentemente l’ ardore di un rogo inestinguibile, capace cioè di contribuire, dopo un così eloquente olocausto, alla incandescenza di un ‘sacrum’ , vuol dire anche Airone, quell ‘uccello Ardea riconosciuto, in non effimere esegesi alchemiche, l’ equivalente latino di quella egizia Araba Fenice che si dissolve nelle fiamme purificatrici per rinascere dalle proprie ceneri; proprio come fanno i martiri che, nel cielo della Religione o della Patria, risorgono a sicura vita immortale, quanto più sofferto e magari più oscuro fu il loro soccombere per un’idea che altri stoltamente tentarono di soffocare e spingere entro uno squallido sudario di pozzolana”
Oggi, 31 Marzo 1996, a cinquantadue anni e sette giorni da quell’ alba tragica, abbiamo voluto ritrovarci accanto a quei Martiri per testimoniare la perenne validità del Loro sacrificio che riscalderà per sempre i petti di ogni uomo libero, ma, soprattutto l’esigenza di verità, di autenticità – ed è questo il messaggio che il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, in consonanza di sentimenti con quei Fratelli che già nel settembre scorso sul Gianicolo condivisero l’omaggio solennemente da noi reso a Giuseppe Garibaldi, il più prestigioso Gran Maestro della nostra Storia, intende lanciare ad una società sempre più dimentica delle proprie radici, proiettata come è verso un devastante consumismo, vero oppio delle coscienze.
Avevamo programmato di unire il cordoglio per i nostri non pochi Fratelli trucidati a quello per le altre vittime di ogni condizione o religione, ma, con incredulo stupore, abbiamo appreso che la cerimonia ufficiale, resa ancor più solenne dalla presenza del Capo dello Stato, era stata anticipata al 18 marzo per consentire il fatidico 24 lo svolgimento della Maratona di Roma, avvenimento pur apprezzabile ancorché legato all’effimero, – e, perciò, ampiamente prevedibile e rinviabile -, ma di spessore ben diverso e certamente di gran lunga inferiore a quello dell ‘olocausto della Fosse Ardeatine.
Purtroppo l’eco della commemorazione ufficiale non si è quasi avvertito, mentre la maratona ha invaso schermi e pagine di giornali e le giovani generazioni hanno perduto una preziosa occasione per riannodare le proprie radici alla Storia patria.
Tocca quindi a noi Massoni, custodi dei più puri Ideali e delle tradizioni migliori, assumerci il compito di Vestali di quel fuoco sacro che alimenta la memoria dei fatti più significativi, anche dei più tragici, disseminati sul cammino dell’Uomo su questa terra.
Non intendiamo erigerci a giudici: il Tribunale della Storia ha già emesso una condanna inappellabile, ma quella sentenza non servirà di monito e sarà seppellita, come i nostri martiri, sotto una pesante coltre di pietrame se non terremo sempre puntati i fari dell’ attenzione su un documento che deve far meditare soprattutto le generazioni che raccoglieranno i14estimone della nostra angosciosa speranza.
E quel documento testimonierà il sacrificio anche di dieci Massoni appartenenti al Grande Oriente d’ Italia e di otto appartenenti all’ Obbedienza di Piazza del Gesù, oggi Palazzo Vitelleschi: ne citiamo con commossa reverenza i nomi del primo gruppo:
Teodato ALBANESE, nato a Cerignola nel 1904, Avvocato,
Carlo AVOLIO, nato a Siracusa nel 1895, Impiegato,
Silvio CAMPANILE, nato a Roma nel 1905, Commerciante,
Giuseppe CELANI, nato a Roma nel 1901, Impiegato,
Fiorino FIORINI, nato a Poggio Nativo nel 1880, Musicista,
Mario MAGRI, nato ad Arezzo nel 1896, Colonnello di Artiglieria, Placido MARTINI, nato a Montecompatri nel 1879, Avvocato,
Giovanni RAMPULLA, nato a Messina nel 1894, Colonnello di Fanteria, Giulio VOLPI, nato a Fabriano nel 1907, Impiegato,
Carlo ZACCAGNINI, nato a Roma nel 1913, Avvocato.
Ad essi, con pari commozione, uniamo i Martiri del secondo gruppo:
Umberto BUCCI, nato a Lucera nel 1892, Impiegato,
Salvatore CANALIS, nato a Sassari nel 1908, Professore,
Renato FABBRI, nato a Vetralla nel 1888, Commerciante,
Manlio GELSOMINI, nato a Roma nel 1907, Medico,
Umberto GRANI, nato a Roma nel 1897, Colonnello di Aviazione,
Attilio PALIANI, nato a Roma nel 1891, Commerciante, Umberto SCATTONI, nato a Roma nel 1884, Commerciante, Angelo VIVANTI, nato a Roma nel 1884, Commerciante.
Quei nostri Fratelli, già divisi da storiche incomprensioni, affrontarono uniti e fieri la morte stringendosi l’ un l’ altro in una suprema concordanza di Ideali, per testimoniare ai posteri che la violenza, l’intolleranza, l’odio non premiano perché affondano nel’ fango dell’abiezione e dell’oblio, mentre l’ Amore, che unisce e conquista, rifulge di luce eterna
Del primo gruppo desideriamo in particolare, anche sulla scorta degli scritti del Moramarco, ricordare la figura eccezionale di Placido Martini.
Appena diciottenne combatté per l’indipendenza greca nella battaglia di Domokos, divenuto Avvocato, s ‘ impegnò a fondo contro la stagnazione sociale nella sua area rurale della natia Montecompatri di cui fu poi eletto Sindaco, quindi Consigliere provinciale a Roma, partì volontario nella prima guerra mondiale battendosi sul fronte francese, fu antifascista della prima ora, inviso alla reazione agraria, subì minacce, fu espropriato e infine arrestato sotto l’ accusa di cospirazione contro i poteri dello Stato. Il Tribunale Speciale Fascista lo assegnò al confino di Ponza e qui nel 1931 , conosciuto il Gran Maestro Domizio Torrigiani anch ‘egli ristrettovi, fondò con lui, Mario Magri, Silvio Campanile, Roberto Bencivenga ed altri prigionieri politici la Loggia clandestina “Carlo Pisacane” che si riuniva spesso all’ aperto, a dispetto dei questurini, nei luoghi più impervi dell’isola.
Di quella Loggia, operante sotto il Fascismo sempre alla macchia, Placido Martini fu anche Maestro Venerabile. Nel giugno 1940, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia, egli fu deportato nel campo di concentramento per prigionieri politici a Manfredonia e poi all ‘ Aquila. Caduto il Fascismo, dopo il 25 Luglio 1943, nel suo studio legale di via dei Gracchi organizzò un centro di resistenza democratica e fondò il movimento “Unione Nazionale” e l’omonimo giornale orientato verso un programma di ricostruzione nazionale alieno dalle etichette contrastanti.
Scriveva Placido Martini da quelle colonne: “Noi non siamo per il re, non siamo per la monarchia, per il momento non siamo neppure per la repubblica che pure è stata il sogno della nostra vita da Domokos ai campi di concentramento e alle carceri del Fascismo, noi siamo soltanto per la Patria”. Ed a maggior chiarimento del suo pensiero aggiungeva: “Le libertà civili e politiche, il raggiungimento di una più alta giustizia sociale e tutte le altisonanti parole che abbiamo sentito strombazzare per tanti anni, non possono e non devono costituire espressioni vane di demagogiche e disoneste retoriche e neppure fallaci ed ingannevoli promesse di donazioni graziose e disinteressate che ci possano essere, in maggiore o minor copia, elargite da qualche straniero: sono cose molto serie, devono essere raggiunte con l’educazione ed il lavoro, nel clima della libertà, nella disciplina della legge”
Simile testamento spirituale così puro valse a Placido Martini la stima anche del rinato gruppo di Piazza del Gesù che gli conferì la delega ad operare come Gran Maestro della Massoneria Italiana. Pur appartenendo egli alla Comunione di Palazzo Giustiniani, conscio quindi dell ‘ anomalia di tale delega, Placido Martini dimostrò tuttavia di saper fare ottimo uso di tale fiducia. Arrestato grazie ad una spiata e tradotto nelle carceri tedesche di Via Tasso, assunse su di sé l’intera responsabilità della catena dei resistenti e si dichiarò Gran Maestro della Massoneria italiana, ma non riuscì ad evitare che altri Fratelli, tra i quali Silvio Campanile e Mario Magri, vecchi costituenti della mitica Loggia “Carlo Pisacane”, fossero trucidati insieme a lui all’alba del 24 marzo 1944.
Per loro e per gli altri Fratelli che oggi qui ricordiamo la scelta del boia nazista non fu casuale, troppo nota era la loro appartenenza alla Massoneria, la loro irriducibile avversione per qualsiasi dittatura: a loro nome, Placido Martini gridò impavido sul viso degli attoniti carnefici la comune fede in una dimensione spirituale nutrita di libertà di pensiero e di azione a garanzia perfino di coloro che si accingevano a spegnerne la fulgida esistenza.
A cinquantadue anni dall’ eccidio delle Fosse Ardeatine i Massoni veri, gli eredi di una tradizione ininterrotta di dedizione al bene ed al progresso della Patria e dell’Umanità, anche a costo della vita, ricordano alla gente e, specialmente, ai giovani che gli Ideali universali muratori, sublimati nel lavoro delle Logge sono stati, sono e saranno sempre e dovunque le pietre miliari di un cammino bensì impervio ma dal traguardo visibile e appagante: l’ armonia delle diversità nel rispetto, fatto di Amore incondizionato, della dignità e delle libertà altrui.
La smisurata pietra tombale posta sui sarcofagi dei Martiri delle Fosse Ardeatine “non incombe con paurosa ineluttabilità, ma sta anzi sollevata: la mantiene in una tesa ansia di resurrezione, oltre all ‘ arcano che accomuna i morti e i vivi, la speranza solare di una sempiterna pace che si instauri tra gli uomini, ardente fioritura di quella semente che, all’alba del 24 marzo 1944, fu ribaltata alla rinfusa entro una fossa ritenuta infeconda”.
Ancora e sempre la Massoneria vera custodirà il fiore della tolleranza, del diritto, della libertà anche a difesa dei propri persecutori!
Roma, alle Fosse Ardeatine il 31 Marzo 1996 v

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IL MASSONE VERSO IL TERZO MILLENNIO

IL MASSONE VERSO IL TERZO MILLENNIO sulle orme dei grandi iniziati o nell ‘immagine di un ‘utopia?
di
Claudio Stasi

Il terzo millennio è ormai alle porte: I ‘ anno 2000 è più che vicino. Certo la realtà si presenta diversamente da come la immaginavamo appena una ventina di anni fa; proiettandoci nel 2000 pensavamo alle macchine che avrebbero alleggerito l’uomo dal lavoro materiale; pensavamo di vivere tranquillamente e beatamente una vita più comoda, liberi di portare i bambini a spasso sulla luna in serene scampagnate: era questo il mito del 2000. In effetti la realtà non ha poi deluso queste aspettative: dal punto di vista scientifico e tecnologico vi è stato un innegabile progresso, anzi la tecnologia si rinnova con una velocità superiore alla capacità di apprendimento dell’uomo tanto da non abituarci all’uso di particolari tecnologie che queste vengono già superate e soppiantate da altre più avanzate ed innovative.
D’ altra parte, invece, per quel che riguarda l’ aspetto culturale, sociale e morale, una certa indifferenza ai valori fondamentali dell’uomo, una diffusa superficialità: sembra prevalere la cultura dell’avere piuttosto che quella dell ‘essere.
In questo contesto noi ci inseriamo con un certo disagio, che deriva dalla nostra particolare condizione di iniziati che ci proietta in una dimensione non superficiale ma 9 introspettiva, tesa al perfezionamento, volta alla cultura dell’essere invece che a quella dell ‘ avere.
Noi siamo portatori di una cultura arcaica: gli iniziati sono coloro che abbandonano uno stato di conoscenza per raggiungere un livello superiore, diverso, per rinascere a nuovi valori rifacendoci a civiltà antiche e millenarie, che hanno scandito il cammino dell ‘ umanità.
Siamo ben lontani dalla sensibilità, dallo splendore, dall’enorme spiritualità, dalla ricerca, dall ‘ ansia al divino che apparteneva alla cultura egizia, alle imprese dei Faraoni che cercavano di assimilarsi al Dio… si ritenevano figli del dio, esecutori della volontà del dio.
Ancora oggi, per esempio, nel caso dell’Egitto, se ci rechiamo nel tempio di Kharnak, che è il tempio più maestoso, più imponente, dove meglio si vede, si tasta il polso di questa grande e profonda cultura, di questa straordinaria spiritualità, di questa particolare sensibilità dei Faraoni, siamo trascinati sulla scia di una suggestione; siamo accolti, in particolare di sera, (è consigliato vederlo di sera e assistere ad uno spettacolo suggestivo di suoni e luci), siamo acçolti, dicevo, da una voce che si dichiara di essere il “Sorvegliante del Tempio”, il quale riceve questa moltitudine di turisti provenienti da ogni parte del mondo, non iniziati, ma portatori della cultura profana di qualsiasi natura. Questa voce accoglie il visitatore dicendo: ” benvenuto o viaggiatore della notte; il tuo viaggio non andrà più oltre, giacché sei arrivato: sei giunto qui dove ha inizio il tempo…” e si prosegue in questa visita guidata molto suggestiva, in cui ad un certo punto i vari personaggi, le varie divinità si presentano, si illuminano e parlano; in particolare ad esempio la statua del dio sole, “Amon-rha” si presenta con voce imponente, maestosa e tonante: “Io sono il padre dei padri, io sono la madre delle madri, io per primo ho rotto il silenzio perché gli uomini potessero parlare, io ho indicato il cammino perché gli uomini potessero camminare, tra le mie mani è stata concepita e attuata la settimana della creazione, il mio occhio destro è il sole, il mio occhio sinistro è la luna e dai miei piedi sgorgano le acque del Nilo”.
Questa società è lontana, purtroppo, dall ‘ apprezzare la cultura che anticipa i tempi, il sapere illuminato, il pensiero libero da condizionamenti: abbiamo I ‘ esempio di Federico
II, questo grande iniziato, cui la nostra storia deve tanto.
Federico II, Imperatore del Sacro Romano Impero, cercò di conciliare la cultura cristiana con la cultura islamica; a cavallo fra due civiltà e, per dovere d’ufficio, promosse una crociata in Terra Santa portandola a termine con lo stile di un iniziato: senza spargere un filo di sangue, senza ricorrere all’uso delle armi, adoperando le proprie capacità di convincimento, con abilità diplomatica e autorità. Si fece consegnare i sacri territori occupati concludendo così la crociata; era stato però scomunicato e, ironia della sorte, in considerazione di ciò questa crociata non venne annoverata fra le crociate ufficiali, perché appunto uno scomunicato non può combattere in nome del Pontefice.
Ci ha lasciato uno scrigno ricco di tesori e di significati, in Puglia: il Castello di Andria, dove meglio si vede questa condizione particolare di Federico II, si capisce meglio che non era un uomo normale, semplicemente un dotto, un potente che aveva mezzi, per giustificare tante gesta e una vita così densa e contraddittoria: si capisce che c’è un senso nascosto: la struttura è perfettamente orientata ed addirittura disegnata dal sole. Solo in quel posto il sole, nel giorno dell ‘equinozio, un’ ora prima ed un’ora dopo mezzogiorno, traccia un’ombra che spazza un angolo di 45 gradi. Quest’ angolo sottende sul cerchio dell’orizzonte una corda con la quale si può costruire un solo poligono regolare inscritto nel cerchio: I ‘ottagono. Questo ottagono deriva anche dalla sovrapposizione di rettangoli uguali posti a croce greca ed a croce di sant’ Andrea; rettangolo avente i lati in rapporto aureo ed avente i vertici orientati secondo l’ombra proiettata dal sole nel giorno dei solstizi. Vi è tutto un significato, tutto uno studio, non si può negarlo: una volta scelta la metodologia, il simbolo con cui comunicare, tutto va da se, si svolge da solo, è solo un algoritmo dallo svolgimento inevitabile. È la struttura che ci testimonia la grandezza, lo stato di particolare conoscenza di questo grande imperatore, la sua condizione di iniziato, di chi vive in un livello superiore di conoscenza.
Ma a queste cose la società del terzo millennio, la società moderna e contemporanea poco bada, poco è attenta, poco è sensibile. Non è nemmeno sensibile al rispetto di valori che derivano dal riconoscimento di una cultura, di una tradizione, di una funzione, storica quanto meno. Se noi andiamo a Valencia, in Spagna, vi è la Cattedrale, in cui la cappella più bella si presenta pressappoco come questo tempio, con dei sedili in pietra lungo le pareti, (come del resto nelle sale del Castello di Federico II) e con un semplice accesso; all’Oriente invece, ossia sulla parete posta di fronte alla porticina d’ingresso, un grande retablo, una parete stupendamente intarsiata con al centro il Santo Graal, ossia quello che viene ritenuto o almeno lo si lascia considerare, il Santo Graal; un calice in pietra di agata, incastellato su una struttura di oro tempestato di gemme e pietre preziose, perle e smeraldi, che è stato adoperato dai Pontefici fino al pontificato di Sisto II; (sull ‘ autenticità di questo calice, non è che si dibatta molto; pare comunque che dallo stesso rituale liturgico adoperato dai pontefici derivi la tesi della sua autenticità; al momento della consacrazione infatti il pontefice sollevandolo recitava: “…ed allora prendendo fra le Sue Sante Mani questo calice…” come se fosse appunto quello mostrato, il calice dell’ultima cena).
In questa cappella vi è inoltre una nicchia con varie reliquie, oggettini, fotografie del Papa in adorazione, con delle suore che vendono reliquie e souvenirs. Ebbene, qual ‘è, cari fratelli, il nome di questa cappella? Si chiama ” La sala dei Cavalieri”. Badate, non si chiama la cappella del Graal o del Sacro Calice, bensì la Sala dei Cavalieri!
Siamo insomma ben lontani da quelle che sono le nostre origini, i nostri connotati culturali, le nostre aspirazioni. Ma noi non demordiamo, noi sappiamo che cos’è, come deve essere realizzata “la Città del Sole”, buona e giusta. Come non provare un senso di irritazione, quando vengono fatte citazioni a sproposito, durante quei dibattiti politici che assomigliano più a riunioni di condominio ed a beghe di cortile, che a veri e propri antagonismi politici.
Dobbiamo rivendicare la nostra posizione culturale in questa società che
abbiamo già definito superficiale e disattenta caratterizzata da una sensibile caduta di valori, da tanta grettezza che si manifesta con l’aggressione, la violenza e la intolleranza.
Viviamo in una società moderna, multimediale. Questo nostro tempio, universo di simboli, che non è altro che uno scrigno a custodia di valori profondi ed irrinunciabili, si adatta in ogni tempo. Si può vivere qua dentro quella che è stata vista come una cosa strabiliante: la realtà virtuale. Si possono vivere, con l’uso di un casco o munendosi di una particolare attrezzatura, esperienze le più inusuali, (andare a cavallo o viaggiare nello spazio, esplorare fondali marini o trovarsi nel corso di una battaglia), di interagire con una realtà che però non appartiene al quotidiano, al mondo che ci circonda; ecco perché “realtà virtuale”: realtà fittizia ma in grado di suscitare reazioni appropriate e reali.
Ebbene, questa realtà che cos’ha di diverso ? Noi qui dentro possiamo vivere quella che è la città utopica dove regna l’ armonia, la bellezza, la sapienza; dove non c’è aggressione, non c’è grettezza interiore, non c’è ignoranza ma il rispetto delle diversità. Noi da sempre diciamo che per accedere alla nostra Istituzione importante è “essere libero e di buoni costumi” e disponibile alla edificazione del proprio Io Interiore. Nei nostri Templi viviamo normalmente questa utopia, andiamo avanti senza demordere, rincorrendo quest’idea. C’è però un rischio: che questa sorta di realtà virtuale venga vissuta come un’esperienza completamente esaustiva ed appagante. Si entra in questo mondo rispettabile, diverso e nobile: ci si ritempra, ci si rilassa ritornando, poi, al mondo esterno, alla vita profana, ai metalli. Ci si depura eliminando le scorie, alla stregua di una camera iperbarica.
Ci dibattiamo, ci agitiamo, facciamo discorsi e quando tutto sembra tranquillo torniamo ad occuparci delle nostre cose, a
lavorare perché tornare al lavoro, per il “libero muratore” non può significare che tornare ad operare per la elevazione spirituale nostra e contribuire, come è sempre stato, al progresso dell’umanità e contribuire a lenire le sue necessità.
Forse si dirà che così come siamo organizzati, alla soglia del terzo millennio, tutto ciò diventa piuttosto arduo, che bisognerebbe, forse, ristrutturare il nostro stesso Ordine, dare più occasioni di delega, intervenire, in altri termini, in maniera capillare sul territorio.
Venerabili Maestri, Rispettabili Fratelli, prima di concludere vorrei infine dire: la società, certo, con le sue inerzie, con le sue scorie, va avanti; il cammino dell’uomo in ogni caso non si ferma ma noi, comunque, possiamo migliorarlo; se questa nostra società, ormai secolare, tanto utile, tanto valida e meritevole di apprezzamenti, nelle nostre mani dovesse cadere, dovesse scomparire per nostra inadeguatezza, sottOla faccia, sotto la ferocia, la persistenza, l’ostinazione dei nostri detrattori, noi non avremmo attenuanti; sarebbe inutile cercare di nasconderci perché la nostra colpa non sarebbe dell’ignoranza altrui, bensì della nostra inettitudine. Noi saremmo doppiamente colpevoli perché la condizione di iniziati non giustifica l’inettitudine.
Forse qualche aspettativa andrà delusa. Nella natura delle cose è insita la ricerca e la ricerca è fatta di domande.
Noi cerchiamo, ci affanniamo per trovare risposte e sovente ci imbattiamo in altrettante domande che rimangono senza risposta.
Claudio Stasi – Oratore della R.. L. “T Briganti” Or. di Gallipoli
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