PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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INUTILI INVOCAZIONI DI PSICHE A CERERE E GIUNIONR

Dalle “Inutili invocazioni di Psiche a Cerere e Giunone ”

Intanto Psiche continuava ad andare alla ricerca dello sposo, vagando giorno e notte da un luogo all’altro, con l’animo affranto, e con la speranza sempre più ardente di riuscire se non a intenerirlo con le carezze che sa fare una moglie, almeno ad ottenerne il perdono supplicandolo come una schiava.
Vide un tempio sulla cima di una montagna scoscesa e si disse: “Chissà che lassù non abiti il mio signore?”.
Subito diresse i suoi passi verso quel luogo, frettolosamente, perché sebbene fosse sfinita per le interminabili fatiche, era tuttavia animata dal desiderio e dalla speranza.
Così, superati rapidamente i colli più alti, si avvicinò al tempio. Qui vide delle spighe di grano, parte legate in covoni, parte intrecciate in ghirlande; e inoltre vide delle spighe d’orzo. Vi erano anche falci e tutti gli attrezzi che servono alla mietitura; ma sparsi dovunque alla rinfusa, come avviene nelle ore più calde quando vengono gettati qua e là dai mietitori.
Psiche con grande diligenza li mise in ordine, ciascuno al suo posto, perché pensava di non dover trascurare i templi e le cerimonie religiose di nessuna divinità, ma anzi di dover conciliare a sé la benevola misericordia di tutte.v
Apuleio. “Amore e Psiche ” VI, l.
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Interea Psyche variis iactabatur dies noctesque, mariti vestigantionibus inquieta animo, tanto cupidior iratum licete, si non uxoriis blanditiis lenire, certe servilibus precibus propitiare.
Et prospecto templo quodam in ardui montis vertice: “unde autem, inquit,scio an istic meus degat dominus?” Et ilico dirigit citatum gradum, quem defectum prorsus adsiduis laboribus spes incitabat et votum.

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IL TEMPO

Se soltanto avessi saputo, sarei diventato un orologiaio .
Albert Einstein, in New Statesman, 16 aprile 1965

Il tempo è un ritmo. Esso viene e va come lo scoppiettio dell’elettricità nel cervello o come il fiotto di sangue attraverso il cuore o come l’alzarsi della marea sulla spiaggia. Tutte queste cose sono governate da orologi cosmici, e le nostre misurazioni non sono altro che comodità di registrazione. I secondi e i minuti non hanno nulla a che fare con la natura. Ogni organismo interpreta i ritmi universali nel suo proprio modo. Un parassita del bestiame può sedere per mesi sulla punta di un ramoscello aspettando un animale di passaggio; la larva di una cicala vive per anni nella terra ai piedi di un albero aspettando le condizioni esattamente favorevoli per la sua vita di un giorno come adulto. Per questi animali i lunghi periodi passano come un solo momento, che non è più importante per le loro vite di quanto un intervallo, fra due battiti del cuore, lo sia per le nostre.
La manipolazione del tempo può darci un’idea di quanto poco comprendiamo queste differenze. Un film di piante di fagioli che crescono nel buio, con un fotogramma esposto ogni ora, mostra una scena di sfrenata ferocia, perché ogni pianta sfronda e graffia i suoi vicini nel tentativo di giungere alla luce. Film al rallentatore di falene in volo le mostrano mentre raccolgono il segnale sonoro di un pipistrello che si avvicina, calcolano la sua forza e la sua provenienza, e intraprendono la giusta azione difensiva, tutto nello spazio di un decimo di secondo. Ogni specie vive a modo suo e in un tempo suo, e vede soltanto una sezione dell’ambiente attraverso la stretta feritoia del suoesistema sensoriale.
Il vero spazio e il vero tempo esistono al di fuori della consapevolezza individuale.v
Lyall Watson, “Supernatura” Rizzoli, 1974

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DALLE “INUTILI INVOCAZIONI DI PSCHE A CERERE E GIUNIONE

Dalle “Inutili invocazioni di Psiche a Cerere e Giunone ”

Intanto Psiche continuava ad andare alla ricerca dello sposo, vagando giorno e notte da un luogo all’altro, con l’animo affranto, e con la speranza sempre più ardente di riuscire se non a intenerirlo con le carezze che sa fare una moglie, almeno ad ottenerne il perdono supplicandolo come una schiava.
Vide un tempio sulla cima di una montagna scoscesa e si disse: “Chissà che lassù non abiti il mio signore?”.
Subito diresse i suoi passi verso quel luogo, frettolosamente, perché sebbene fosse sfinita per le interminabili fatiche, era tuttavia animata dal desiderio e dalla speranza.
Così, superati rapidamente i colli più alti, si avvicinò al tempio. Qui vide delle spighe di grano, parte legate in covoni, parte in ghirlande; e inoltre vide delle spighe d’orzo. Vi erano anche falci e tutti gli attrezzi che servono alla mietitura; ma sparsi dovunque alla rinfusa, come avviene nelle ore più calde quando vengono gettati qua e là dai mietitori.
Psiche con grande diligenza li mise in ordine, ciascuno al suo posto, perché pensava di non dover trascurare i templi e le cerimonie religiose di nessuna divinità, ma anzi di dover conciliare a sé la benevola misericordia di tutte.v
Apuleio. “Amore e Psiche ” VI, l

Interea Psyche variis iactabatur dies noctesque, mariti vestigantionibus inquieta animo, tanto cupidior iratum licete, si non uxoriis blanditiis lenire, certe servilibus precibus propitiare.
Et prospecto templo quodam in ardui montis vertice: “unde autem, inquit,scio an istic meus degat dominus?” Et ilico dirigit citatum gradum, quem defectum prorsus adsiduis laboribus spes incitabat et votum.
lamque naviter emensis celsioribus iugis, pulvinaribus sese proximam intulit.
Erant et falces et operae messoriae mundus omnis, sed cuncta passim iacentia et incuria confusaet, ut solet aestu, laborantium manibus proiecta.
Haec singula Psyche curiose dividit et discretim remota rite componit, rata scilicet nullius Dei fana et caerimonias neglegere se debere, sed omnium benivolam misericordiam corrogare.v
ApÙleio. “Amore e Psiche”. VI

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UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

UN’OCCASIONE DA NON PERDERE
di
Sebastiano Scarfato
E’ apparso subito chiaro, all’indomani della fuga dell’ex Gran Maestro Di Bernardo, che la legge fondamentale del nostro Ordine aveva bisogno di una profonda revisione.
L’ultima riforma voluta dal Gran Maestro Armando Corona fu infatti frettolosa, perché incalzata dagli storici avvenimenti legati alla vicenda della P2, disordinata e confusa e per ciò stesso contraddittoria in alcune sue parti.
Non che quella operazione sia stata inutile o che gli elementi ambientali che la suggerirono siano stati superati (non lo sono tutt’ora), ma il bisogno della revisione si impose all’attenzione di molti perché, per effetto di quella riforma, si erano prodotte, o così sembrò, zone di legislazione non propriamente tradizionali entro le quali il comportamento di qualcuno parve ispirato più a pratiche profane che a consuetudini iniziatiche.
Questa valutazione assai diffusa ispirò i programmi di tutti gli ultimi candidati alla Gran Maestranza che inserirono al centro della propria proposta la revisione della Costituzione.
Il programma elettorale dell’attuale Gran Maestro incentrava l’iniziaûva revisionista sul recupero pieno della Tradizione muratoria, esaltando il ruolo centrale della Loggia, vero pilastro iniziatico della Comunione massonica e cardine insostituibile della propria struttura organizzativa.
Ora, il tentativo concreto di porre mano alla riforma costituzionale attraverso l’apertura del dibattito nelle Logge avviato sul documento approntato dalla commissione speciale all’uopo istituita, appare riduttivo riguardo alle aspettative della stragrande maggioranza dei fratelli, per cui ha prodotto una sorta di generalizzata levata di scudi.
Che cosa è in effetti successo?
In primo luogo il materiale sul quale ha lavorato la commissione speciale non rappresentava il campione più significativo delle elaborazioni delle Logge italiane, poiché molte di queste avevano preferito ritirare le proprie proposte allorché, nella Gran Loggia straordinaria del dicembre 1994, non fu possibile, oggettivamente, svolgere il benché minimo lavoro intorno a queste tematiche.
In secondo luogo, la stessa commissione speciale non rispondeva alle caratteristiche intrinseche proprie di qualsiasi commissione costituente, poiché difettava della necessaria autorevolezza che solo il chiarissimo mandato popolare conferisce a istituzioni similari.
Il voto del “popolo massonico” emendato dall’opzione del Gran Maestro, seppure, quest’ultimo, autorizzato dal massimo organismo deliberativo della Comunione (la Gran Loggia),ha contribuito a limitare la considerazione di tutti sul lavoro svolto, alimentando la facile polemica di chi ha costruito strumentalmente l’immagine di una commissione di parte, asservita alla volontà di pochi soggetti.
Per cui una commissione a “rappresentatività limitata”, lavorando su un materiale non propriamente rispondente alle autentiche attese della maggioranza dei fratelli, ha elaborato un prodotto incompleto, divergente dalle tendenze elettorali vincenti e per ciò stesso non condiviso.
In qualsiasi forma sociale organizzata unitariamente mettere assieme delle regole di condotta ha il solo scopo di assicurare all’interno di quella forma sociale organizzata, la pacifica convivenza dei propri membri. Tuttavia è fondamentale, per il raggiungimento dello scopo, che tra i membri della forma sociale organizzata si consolidi il convincimento collettivo della necessità della regola e più ancora della sua osservanza.
Questo convincimento sarà tantopiù collettivo quanta più collettività parteciperà alla formazione della regola, ovvero il grado di rappresentatività dei soggetti interessati sarà il più alto e legittimo possibile.
Ora all’interno del Grande Oriente d’Italia va aperta, dopo aver azzerato la situazione attuale, una vera e propria “fase costituente”.
Tale fase è bene che sia costretta in limiti temporali adeguati all’importanza del lavoro da svolgere e soprattutto sia confinata in un ambito operativo blindato: refrattario sia alle strumentalità rinvenienti
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dall’attività amministrativa quotidiana, che alle pericolose tendenze di determinare l’evoluzione e lo sviluppo.
Occorre innanzitutto individuare e attivare, salvaguardando il principio della legittimità e della rappresentatività, gli strumenti di studio, approfondimento e realizzazione del progetto ipotizzare un percorso virtuoso di confronto e dibattito che investa nel momento dell’approvazione tutto il popolo massonico.
La commissione eletta dall’assemblea dei maestri è – a mio avviso – lo strumento operativo che, con alcuni correttivi, può raggiungere l’obbiettivo di raccogliere le migliori risorse a nostra disposizione, selezionando finalmente le potenzialità professionali occorrenti, unitamente alle capacità iniziatiche indispensabili per un lavoro che, riorganizzando un articolato normativo rispondente alle necessità di un moderno ordinamento giuridico, renda visibili i contenuti autenticamente tradizionali del Grande Oriente d’Italia.
Una commissione, infine, che tragga direttamente dal popolo la forza della sua rappresentatività non può che trarre dal popolo stesso la valutazione finale del proprio operato; sottoporre al referendum dei maestri massoni la nuova legge fondamentale dell’Ordine costituisce – a mio modo di pensare non solo un atto di democrazia sostanziale, ma la esaltazione del lavoro massonico inteso come sforzo individuale e solitario di espansione della propria coscienza fino agli stadi più elevati dell’Essere.
La Gran Loggia, in ossequio al suo potere legislativo, potrebbe ratificare il documento finale, imprimendogli il sigillo formale della sua effettualità.
Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.v
Sebastiano Scarfato
Rappresentante del Consiglio dell’Ordine nella Giunta esecutiva del Grande Oriente d’ Italia

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APPUNTI PER UNA TEORIA ED ETICA DELLA CONOSCENZA MASSONICA


di
Giuseppe Schiavone
La conoscenza, il suo senso
La conoscenza, unitamente alla conazione e all’affezione , è uno dei tre aspetti o funzioni fondamentali della vita dell’uomo. La conoscenza intellettiva — raccogliendo ed elaborando i dati provenienti dall’attività materiale dei sensi — consiste nell’appercezione di essi, nella loro complessa catalogazione e rielaborazione mentale; quindi nella loro trasformazione in concetti e nel definitivo
Inclinazione o sforzo ad agire in modo finalizzato, sostenuti dalla propria base istintuale e dall ‘impianto dei propri desideri. Impulso diretto alla conservazione del proprio essere. Il funzionamento conativo si distingue da quello cognitivo che è sorretto dalla percezione, dal pensiero e dal giudizio, e da quello emotivo retto dall’impianto emozionale. Secondo Spinoza (per il quale tutte le cose sono animate) non v’è conato per l’autodistruzione (Ethica, III, 4, cfr. anche IV, 20 scol. ec.).), ma solo l’istinto di ogni essere alla propria conservazione; il conato si riferisce soprattutto al potere di esistenza di una cosa, all’amor di sé (Breve trattato, app. II).
Con questo termine si intendono due significati diversi e tra loro irrelati. l) Condizione in cui viene a trovarsi chiunque subisca un’azione o una modificazione. La modificazione di un ente (affectiones entis, nella
possesso cosciente dei concetti medesimi; infine nell’archiviazione mnemonica degli stessi, per essere poi utilizzati al momento del bisogno. Pertanto, il concetto coscientemente posseduto dalla mente può dirsi essere il verbum mentis : la formazione specifica di un’idea nel corso del processo conoscitivo dell’uomo.
La conoscenza è la facoltà attraverso la quale la realtà esterna al soggetto viene assimilata o, meglio, ri-assimilata e ricreata in simboli mentali (le idee), quindi posseduta dal soggetto medesimo, costituendo un patrimonio interiore disponibile per ogni utilizzo, sempre, perennemente (anche nell’arco di tutte le vite possibili). Quanto più ampio è siffatto patrimonio, tanto più ampia è la possibilità del soggetto di dare risposte adeguate ai problemi che l’esperienza quotidiana gli pone.
Individuiamo, quindi, innanzi tutto, nel processo conoscitivo: l) un’attività di apprensione, dall’esterno all’interno, attraverso l’utilizzo dei sensi e della mente (e di tutti gli strumenti che cultura e scienza mettono a disposizione); 2) ed un’attività evocatoria, dall’interno all’esterno, che attinge all’intimo patrimonio di conoscenze personali accumulato nel corso del tempo.
L’esperienza umana non si disperde (come invece accade negli animali), proprio perché, secondo quanto s’è già detto, è rielaborata e conservata per mezzo del processo d’apprendimento e d’acculturamento, costituendo così una memoria storica che non si disperde mai, radicandosi organicamente nell’essere d’uomo. In tal modo si struttura una memoria profonda (al di là di quella riguardante il passato prossimo, al di là della mneme: la semplice ricordanza) che si colloca permanentemente alla radice della vita. Dagli antichi greci fu personificata in Mnemòsine: la Memoria dei tempi che furono e delle opere degli Dei e degli uomini, colei che è il principio del ricordo, che contiene e custodisce l’intero passato; dalla quale, per impulso di Zeus, che giacque con lei per nove notti, sono nate le Muse ispiratrici di tutte le arti. Per cui, la radice della memoria ci porta alla radice dell’umanità (e viceversa) e dell’intenzionalità originaria. La memoria primigenia, così, si pone come archetipo e come fondazione storica della razionalità e del processo conoscitivo, dal quale è comunque alimentata e sollecitata, interagendo in un rapporto dialettico.
Globalmente, tale processo evolve continuamente e stimola, com’è evidente, la crescita storicoculturale dell’uomo, cioè la sua trasformazione (o trasmutazione) attraverso l’ampliamento progressivo dei suoi poteri conoscitivi e, quindi, operativi. Per il tramite del processo conoscitivo la ragione s’appropria “idealmente” della cosa conosciuta, delle sue qualità e dei suoi poteri. Sussumendo intellettivamente la cosa, acquisisce (se non totalmente, almeno in parte) la capacità di ri-produrla, di ri-crearla. L’idea della cosa complessivamente conosciuta si fissa in mente hominis; e così la mente può, con un atto di volontà produttiva (poiesis) dispiegato nella prassi (praxis), attuarla in concreto, riprovocarla.
La ragione, nell’atto conoscitivo, non è mera ricezione passiva dell’oggetto che sta conoscendo; essa esplica un com-prehendere, cioè un afferrare e penetrare intelligendo. Conosce e capisce, da cui la scienza e la coscienza.
Le proprietà della cosa, acquisite conoscitivamente, diventano proprietà della mente, perciò del soggetto conoscente. Il conosciuto arricchisce il conoscente, gli conferisce poteri. Quando ciò non avviene è perché la cosa non è ancora adeguatamente conosciuta, in quanto qualcosa ancora si nasconde al conoscente, poiché evidentemente permane un deficit di conoscenza che dev’essere colmato. In ogni caso la mente è capace di contenere l’archetipo della res (della cosa).
In linguaggio iniziatico, potremmo dire che il soggetto (cioè l’adepto) è in grado di possedere l’Arte o Scienza reale (cioè l’Arte o Scienza della cosa). La mente assume in sé, attraverso la conoscenza, le proprietà dell’oggetto conosciuto, ampliandosi progressivamente. La mens è l’ente-ragione-uomo: è la potenzialità divina nell’uomo, I ‘ espressione della sua intrinseca spiritualità. Nel processo totalmente dispiegato è la Ragione-Dio. E la ragione totalmente dispiegata (o anche sino al livello storico in cui è

Scolastica) da parte di un agente, interno od esterno. Alle affezioni del corpo, cioè alle sue modificazioni (affectiones) si riducono per Spinoza le passioni (affectus). 2) Legame emotivo persistente di diversa intensità verso una o più persone, in genere di natura non sessuale.
Verbum mentis, la parola della mente, il linguaggio proprio della mente, linguaggio ideativo, simbolico, universale.
In verità non può darsi una realtà esterna in sé, totalmente scissa dal soggetto, visto che ogni uomo in quanto ente di natura partecipa della medesima sostanza di cui è fatta la natura stessa. La coscienza la (ri)apprende,
(ri)portando dentro di sé ciò che le appare fuori, in un processo conoscitivo progressivo, graduale. E nel fare
dispiegata) non è più solo ricerca e conoscenza, ma è conoscenza e potere, potere ri-creativo.
Emerge qui, dunque, il concetto della mente come facoltà umana che riflette più d’ogni altra la «somiglianza» divina indicata in Genesi (1, 26-27; 5, 1)5 . Per cui, sulla base di queste premesse, l’uomo — come insegna il metodo iniziatico — sviluppando il processo conoscitivo, integrato da una contestuale rigorosa purificazione fisica ed etica, può pervenire alla divinità, può diventare come Cristo, procedendo per gradi, esperienza dopo esperienza, stato di coscienza dopo stato di coscienza, vita dopo vita, sino alla “perfezione”; che certamente non si conquista in modo “improvviso”, ma in un lungo divenire, in cui si sperimenta la perfettibilità umana.
Secondo il principio metodologico della conoscenza liberomuratoria, non basta l’intelligenza per comprendere concettualmente, ma occorre in modo previo un livello coscienziale (cioè morale) adeguato. E necessaria, propedeuticamente, una maturazione etico-spirituale che consenta lo sviluppo della capacità cognitiva. Il Verbum, o Logos, si disvela per gradi ai buoni. E così progressivamente s’ incarna, diventa storia, parola universale, messaggio che s’ annunzia (che può annunziarsi) a tutti gli uomini. Diventa conoscenza e coscienza, quindi cultura e norma etica.
Il nascondimento della Ragione nella natura inconscia è il mysterium magnum (per usare l’espressione di Bôhme) che dev’essere svelato dall’uomo medesimo; cioè da quell’essere che ha in sé la capacità di riscattare la materia portandola allo stato di coscienza
La conoscenza, quindi, passando attraverso l’intellezione dei fenomeni di natura (con l’ausilio della ragione scientifica e dell’illuminazione intuitiva), costituisce un’esperienza di compenetrazione, parziale ma progressiva, nella divinità, che avvolge e pervade intimamente tutte le forme dell’esistente, visibile ed invisibile, come in basso così in alto. Pertanto, è nel contempo indagine scientificosperimentale, indagine teologica e indagine iniziatico-misterosofica. In questa prospettiva l’esperienza globale (estesa anche alle forme di vita precedenti del soggetto), razionalmente e coscientemente vissuta, è la conoscenza autentica del vero secondo il grado di maturità Gica e cognitiva raggiunto dalla creatura.
La scienza dell’evoluzione umana (che passa, come già detto, attraverso lo sviluppo della conoscenza e della coscienza) conferisce all’uomo la chiave della propria essenza e l’arché del mondo, sino alla comprensione di Dio, il Grande Architetto dell’Universo, la Ragione di tutto. Perciò, essendo Egli in modo così pieno in ognuno, ogni singolo lo può conoscere per “via interiore” e per “via esterna”, combinando insieme le due vie e assumendo l’una come prova dell’altra, e viceversa. La via interiore consiste nell’analisi del proprio io profondo, esplorandone le radici, sino alla Luce ch’è alla base dell’essere; mentre la via esterna, partendo dal presupposto che il G.A.D.U. — come s’è visto — è pure in tutte le cose di natura, oltre che nell’uomo, consiste nella possibilità di conoscerlo anche indagando “sulle” e “nelle” cose stesse, con metodo scientifico-sperimentale.
In questa complementarità, il termine unificante, il G.A.D.U., dalla Massoneria è significativamente pensato come Ragione di tutto l’universo: Ragione immanente e, nel contempo, trascendente. Ed essa, proprio perché Ragione, è decodificabile dalla scienza, come strumento per penetrare nella sua intima luce. E attingibile, perciò, attraverso il suo analogo, la ragione dell’uomo. Inoltre, può essere sviluppata da parte dell’iniziato (ma anche da parte d’ogni individuo) in un processo di progressiva attuazione della propria genetica «somiglianza» a Dio . Un processo non simbolico, non virtuale, ma che realmente trasforma il corpo e lo spirito del singolo, rendendo possibile ad ognuno di nascere due volte, ovvero di ri-nascere, cioè di trasformarsi radicalmente come Cristo e d’essere pienamente figlio di Dio .v

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IL FLAUTO MAGICO “2 PARTE

IL FLAUTO MAGICO: Una Favola “Egiziana” di
Francesco Rampini
Tamino, temporaneamente abbandonato dalle tre Dame, al suo risveglio vede avanzare una figura coperta di piume che porta una gabbia di legno sulle spalle destinata ad accogliere gli uccelli catturati: è Papageno l’uccellatore della Regina della Notte. Nel dialogo, abbastanza surreale e divertente che ha con Tamino, Papageno si mostra nella sua essenza: un povero uomo, bravo ma anche scaltro, che campa del proprio umile lavoro e che (come verrà esplicitato meglio andando avanti nell’Opera) per vivere bene gli basta un buon bicchiere di vino e, se possibile, anche una bella Papagena con cui dividere le notti fredde.
Papageno rappresenta l’uomo ordinario, l’uomo che vuole vivere in santa pace la vita di tutti i giorni, che vuole crearsi una famiglia e, soprattutto, per garantirsi la sua tranquillità, non vuole porsi troppe domande.
Per ingraziarsi il Principe appena riavutosi dall’aggressione Papageno sparahddirittura una colossale
bugia: si vanta con lui di aver ucciso il serpente. Con le proprie mani.
Questi due uomini, così diversi tra loro – l’uno un Principe di sangue Reale, l’altro un modesto cacciatore d’uccelli -, si troveranno poi insieme per affrontare lo stesso cammino anche se poi vedremo che l’impresa avrà per loro esiti molto differenti. L’uno, Tamino, è il predestinato, l’eroe, il futuro Adepto; l’altro, Papageno, è l’uomo comune, in fondo buono e generoso, ma che non vuole troppi problemi e che, durante il “cammino”, si rende conto di essersi messo dentro un qualcosa più grande di lui e quindi non esita a ridimensionare il tutto ed ad accontentarsi di una sana, tranquilla vita normale. L’essere eroico non fa per lui.
Presto ritornano le tre Dame della Regina che sentendo Papageno vantarsi di un’impresa che non ha compiuto gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro. Consegnano quindi a Tamino il ritratto di una fanciulla, Pamina, figlia della loro Regina, e spiegano allo stesso (che, nel frattempo si è subito innamorato di quell’immagine), che la fanciulla del ritratto è prigioniera di Sarastro, definito come un “demonio”. Tamino giura che la salverà, ed in quel momento tre colpi di tuono annunciano l’arrivo proprio della Regina.
Questa si presenta con un fragore di tuoni ed inizia con un canto straziante (con un tempo di 3/4), di povera madre a cui hanno rapito la figlia. Poi, cambiando il tempo in 4/4 intona un imperioso invito a Tamino a ritrovare sua figlia e, se tornerà vincitore, la potrà avere in sposa. E qui siamo in presenza di una delle arie più belle, difficili -ed anche famose- che Mozart abbia mai scritto.
Andata via la Regina le tre dame consegnano a Tamino un Flauto che dicono essere magico (a fine Opera si apprende la natura alchemica di questo mezzo che utilizza l’elemento aria per far vibrare i propri suoni, che è stato ricavato dalla radice di una quercia secolare, quindi di legno -elemento terrain una notte di tempesta – elementi acqua e fuoco) flauto che lo aiuterà a “superare la sventura”.
Dopo aver liberato Papageno dal lucchetto, le Dame gli impongono di assistere Tamino nell’impresa e gli consegnano un altro strumento particolare: un Carillon d’argento. Ad onor del vero Papageno non è molto contento dell’incarico ricevuto, anzi, dimostra di avere un vero e proprio terrore solo del nome
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Cosa hanno voluto dirci con questo gli autori dell’opera?
Forse che la vita, gli avvenimenti, gli uomini, le donne, e tutto ciò che compone questo nostro immenso universo non va preso così come APPARE ma che in realtà tutto ciò che ci circonda è, come dice la tradizioni indiana, Maia, è illusione.
In realtà, la Regina della notte e Sarastro non rappresentano, come dice qualche musicologo con delle conoscenze massoniche, la contrapposizione tra la massoneria femminile e maschile, quanto, piuttosto che gli stessi stanno a significare la contrapposizione delle due grandi forze che pervadono l’universo: la forza Negativa e la forza Positiva.
La Regina della Notte, come già prima accennato, rappresenta la forza terrestre, conservante, potenzialmente ostile, mentre Sarastro è la forza solare, illuminante, fecondante; ma attenzione: l’una senza l’altra non possono esistere e solo insieme consentono l’affermazione della vita nell’universo. Per ciò che riguarda l’aspetto più sottile, spirituale, si può qui solo accennare che è attraverso la corretta comprensione e sintesi di queste due forze, che l’iniziato può realizzare e far vivere in sé quel principio vivificante e trasmutante, che è il frutto di una iniziazione vissuta in senso reale e non ricevuta solo in modo virtuale.
Nel nostro Tempio Massonico abbiamo numerosi esempi di queste due forze; basti solo citare il tappeto a scacchi e le due colonne, la complementarietà a due a due dei quattro elementi; quindi già a livello di Camera d’Apprendista viene proposto lo studio della legge delle polarità contrarie: il bianco senza il nero non può esistere; non ci può essere giorno se non c’è la notte, il caldo senza il freddo, e così via.
Sappiamo già dall’inizio che Pamina è figlia della Regina della Notte (e quindi anche Lei è un elemento di Natura), ma abbiamo appreso poi che Sarastro non la tiene prigioniera, almeno nel senso che comunemente viene dato al termine, in quanto Pamina, oltre che stare della Saggezza per essere difesa proprio da sua madre, è la carta vincente che Sarastro utilizza per far venire al suo Tempio Tamino, il Principe predestinato.
Come è possibile che un grande Iniziato come Sarastro faccia una cosa così, diciamolo pure, meschina? Quale spiegazione possiamo dare a questo fatto?
Per comprendere questo paradosso occorre interpretare in un modo un po’ più “sottile” la figura della Figlia della Regina della Notte.
Questa, come elemento di natura (che andrà nel finale dell’Opera a ricongiungersi con Tamino) non rappresenta altro che l’anima dell’lniziato. E qui, se vogliamo comprendere meglio il tutto, è necessario fare un attimo di attenzione. La nostra religione ci dice che tutti noi abbiamo un’anima e ciò è senz’altro vero, ma l’anima di cui qui si parla non è l’anima “animale” -sintesi e sômma di tutte le esperienze vegetative di natura dell’individuo- ma piuttosto quella che in Alchimia viene chiamata Mercurio.
Il Mercurio è quel quid di esperienze che solo l’iniziato, proprio perché è riuscito a conglobare le due forze dell’universo di cui abbiamo parlato, è riuscito a sviluppare formando un’anima molto individualizzata, ha realizzato, il altri termini, quella che viene anche chiamata “coscienza vigile”.
D’altro canto anche molte religioni antiche e filosofie moderne hanno una molteplice distinzione dell’anima; vediamo solo qualche breve esempio, solo per chiarire meglio di cosa stiamo parlando:
a) Egizi ackh, principio di vita assoluto, rappresentato da un ibis ka, il doppio del fisico, molto legata alla sfera animale, rappresentata da due braccia alzate ba, l’anima sottile, aerea, rappresentata, a volte, da un uccello con la testa umana
La sopravvivenza dell’anima avviene solo se il Ba riesce a non dissolversi
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di Sarastro, ma ben presto scopre, dietro non troppo velate minacce, di non essere in condizioni di rifiutare. Le Dame annunciano infine che Tre Fanciulli “dolci e teneri” li scorteranno, poi, nel loro viaggio.
Questi tre fanciulli stanno a rappresentare la saggezza pura che sta in noi quando ancora siamo innocenti e che, se ci prestiamo orecchio, può ancora guidarci nelle giuste scelte. Dopo il cambiamento di fronte (cioè dopo che si apprende che tutto il clan Regina della Notte è dalla parte dei “cattivi”) i Fanciulli restano comunque dalla parte dei “buoni”. Questa contraddizione viene spiegata proprio dalla loro natura fresca ed innocente. Esiste un “momento” in noi in cui la contrapposizione bene-male è un non senso, in cui le polarità contrarie sono riequilibrate e quindi si è aldilà di ciò che comunemente si intende per Bene e per Male.
I fanciulli tengono in mano una palma d’argento: questa sta a rappresentare (per il metallo ancora non perfetto, cioè l’oro), che la saggezza di natura, seppure trasmutatrice, ha un limite oltre il quale, se si vuole procedere, non può essere efficace, da quel momento in poi occorre utilizzare ulteriori “strumenti”.
Comincia così l’avventura di Tamino .
Questa avventura, che come vedremo ancora nel corso dell’opera, è naturalmente un’avventura iniziatica e come tale essa deve avere una finalità, uno scopo.
Qui lo scopo dichiarato, come abbiamo ripetutamente detto, è la liberazione di una fanciulla, prigioniera di un uomo malvagio. Chi sia realmente Pamina, però lo vedremo un po’ più avanti; per ora ci soffermiamo solo a rilevare che la vera Forza che spinge Tamino ad iniziare questa avventura non è il desiderio di gloria: è l’amore.
In questo senso l’amore che spinge il nostro Principe non è solo l’amore per Pamina, ma è quell’amore “che move il sole e l’altre stelle”, è l’amore che spinge l’uomo, non più corribne, alla ricerca della propria identità, di quell’io più profondo che nasconde la Verità ed il Sacro.
Torniamo ora di nuovo alla nostra storia.
Mentre Tamino inizia il suo viaggio verso il palazzo di Sarastro (che è in realtà il Tempio di Iside e Osiride di cui Sarastro è Gran Sacerdote) vediamo che tre schiavi agli ordini del “moro” Monostatos luogotenente e tuttofare di Sarastro- tengono prigioniera Pamina.
Papageno arriva, per proprio conto, al Castello di Sarastro e scopre Pamina svenuta, in quanto Monostatos, tradendo la fiducia del suo padrone, le ha fatto delle profferte, quanto meno audaci.
Monostatos è certamente un personaggio ambiguo: carico di lussuria per Pamina, non esita a tradire la fiducia che il proprio padrone ripone in lui pur di appagare i propri desideri istintuali. E per di più, al momento della verità -e cioè quando la Regina della Notte decide di dare l’assalto al Castello di Sarastro- passa, rovinosamente per lui, dalla parte avversa, arruolandosi nelle file di Astrifiammante. Come i Fanciulli che provengono dalla negatività sono portatori di fresca saggezza anche qui abbiamo che dal Regno della Positività si stacca una scheggia di Male. Un continuo rammentare quante interrelazioni ci siano tra Luce e Tenebre e come sia difficile pensare ed ottenere la realizzazione dell’ Assoluto.
Papageno si incontra con Monostatos e vedendosi si spaventano a vicenda ed ognuno fugge dall’altro. Quando Pamina si sveglia, Papageno, che le è rimasto accanto, le confida di essere mandato dalla Regina della Notte e che un giovane che l’ama, senza averla ancora vista, verrà a salvarla.
Tamino intanto guidato dai tre Fanciulli (che gli raccomandano Tenacia, Pazienza e Silenzio) giunge ad un bosco sacro e si trova, davanti a sé, tre templi, rispettivamente quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura.
Questa volta coraggiosamente Tamino decide di entrare nei templi, e bussa quindi alle porte che si trova di fronte, ma per due volte una voce che proviene dall’interno.. gli vieta rispettivamente l’accesso
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al tempio della Ragione ed a quello della Natura. Quando Tamino bussa alla porta del tempio della Sapienza gli viene consentito di entrare e qui trova subito il Fratello Oratore che inizia a conversare con lui.
Il Sacerdote vuole sapere cosa ha condotto Tamino alla soglia del Tempio, al che, quest’ultimo risponde: “possedere l’Amore e la Virtù”.
Confortato da questa affermazione il Sacerdote ribatte che a lui sembra invece che solo vendetta e morte lo conducano; al che Tamino precisa che si tratta solo di vendetta per l’iniquo”.
A questo punto tutto il colloquio diventa estremamente ambiguo: l’Oratore gioca molto sulle parole e si rifiuta di rispondere direttamente alle domande di Tamino, adducendo vincoli di giuramento sul Silenzio, limitandosi solo ad informarlo che Pamina è prigioniera e rifutandosi di dirgli se è ancora viva.
Sotto un profilo musicale, abbiamo degli accordi di settima diminuita tenuti uno dietro l’altro in modo serrato sino ad essere quasi insopportabile; poi, all’improvviso, con una settima semplice, risolutiva, di Tamino che formula una domanda molto insidiosa: “Quando sparirai oh Eterna Notte, quando il mio occhio troverà la Luce ? ” l’Oratore pone fine al colloquio rispondendo: “Presto o mai, oh giovane” Al che spegne la luce e se ne va, lasciando Tamino solo.
A questo punto delle voci veramente provvidenziali avvertono lo sconsolato Tamino che Pamina è viva e questi, venuto a conoscenza che l’oggetto del suo amore è ancora raggiungibile ha, come comprensibile, un’esplosione di felicità ed esterna con il flauto la propria gioia. Al suono di questo Flauto Magico intorno a Pamino accorrono molteplici animali -domestici e fèoci- e tutti partecipano a questo vero e proprio inno alla vita ed alla gioia.
Come con Orfeo, quindi, anche qui abbiamo uno strumento che addolcisce gli animali, che li domina; e se gli animali sono le passioni interiori dell’Uomo, si scopre subito che un primo utilizzo del Flauto è quello di porre un dominio sulla “animalità” presente in noi.
Papageno, che nel frattempo è riuscito a sottrarre Pamina a Monostatos, ode il suono del Flauto Magico e prontamente gli risponde suonando il proprio flauto di Pan (attenzione: non suona il. carillon avuto in dotazione che utilizzerà, invece, in un prosieguo dell’Opera, per togliersi, a dir poco, da gravi impicci). Monostatos cattura Tamino.
A questo punto, annunciato da una solenne marcia e da un coro trionfale appare un corteo che precede il carro di Sarastro, il Gran Sacerdote, carro trainato da sei leoni; quando Papageno chiede a Pamina che cosa deve dire, qualora interrogato, lei risponde “la venta
In merito a quanto successo con il “moro”, Pamina spiega al Gran Sacerdote che ha cercato non di fuggire dal Tempio ma di aver tentato di sottrarsi alle proposte di Monostatos. Questi chiamato in causa fa entrare Tamino, causa, a suo dire, della pseudo fuga della fanciulla. Questi riconosce subito Pamina. E’ subito amore a prima vista e grande abbraccio tra i due (Tamino: “…non è un sogno” Pamina: “…lo credo appena”).
Sarastro capito come si sono svolti i fatti, non crede nelle colpe che Monostatos vuole addossare a Tamino e Pamina ma, piuttosto, con un senso dello humor alquanto originale, chiama a sé il servo e gli comunica che vuole ricompensarlo e, subito dopo, troncando i ringraziamenti di Monostatos, ordina che lo stesso venga punito per le molestie a Pamina con settantasette frustate e che Tamino e Pamina vengano condotti al tempio delle prove iniziatiche.
Finisce qui la storia relativa a tutto il primo atto; vediamo ora di analizzare in maniera analogica ed iniziatica gli avvenimenti che si sono sin qui susseguiti.
La prima cosa che appare ai nostri occhi è un completo ribaltamento di ruoli. Sarastro non è l’uomo malvagio come era stato dipinto dalla Regina della notte, ma risulta essere un iniziato saggio e sapiente.
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b) Baluba
À, mujanji, veicolo grossolano che guida la vita animale, mukishi, veicolo dei sentimenti e dell’intelligenza inferiore m’vidi veicolo dell’intelligenza superiore e dell’intuizione
La reincarnazione è possibile solo quando si riuniscono tutti i tre corpi
c) Cinesi
kuei, l’anima più pesante resa tale dai desideri della vita shen, il genio, la particella divina presente nell’essere umano
Questo dualismo si intreccia, ovviamente, con il grande dualismo della cosmogonia Tao fondata sull’opposizione-complemento dei principi Jin e Yang.
Anche il nostro Mercurio, quindi, per sua natura è duplice: da una parte è indifferenziato (anima di natura che contiene in sé il principio di vita comune a tutti gli esseri ed a tutte le cose) quindi patrimonio di tutti, mentre dall’ altra ha un aspetto “personalizzato” cioè un qualcosa che gli può essere dato solo attraverso l’ “incisione” nello stesso di principii di valori universali ed assoluti.
Tamino quindi (l’Uomo che è giunto attraverso una lenta maturazione ad uno stato evolutivo tale da poter comprendere i Misteri – e quindi diventa un “predestinato” -) è pronto per iniziare il cammino Regale – da qui il fatto che è un Principe -.
Ma tale cammino per poter iniziare deve ricevere come impulso determinante, come catalizzatore essenziale, solo un forte richiamo da parte della propria anima la quale trova nel Tempio dello Spirito (al sicuro dalle influenze dei principi inferiori) e vuole che la parte “bassa-animale” dell’individuo possa salire a Lei.
In altri termini: se la nostra anima non è pronta e non ci chiama non può avvenire nulla e noi restiamo necessariamente allo stato semi-profano.
Tamino è accompagnato nel suo viaggio da tre Fanciulli, che, come già prima accennato, portano in mano una palma d’argento: la palma è generalmente considerata simbolo d’iniziazione ed associata al maschile, mentre l’argento, come metallo, è associato alla luna e quindi alla femminilità. Forse la fusione di questi due simboli vuol alludere proprio al fatto che questi Fanciulli agiscono da tramite tra due mondi che nella storia dell’opera sono apparentemente separati in modo netto, ma che in realtà si fondono e si compenetrano continuamente.
Il Flauto Magico che viene donato a Tamino è uno strumento, come abbiamo già visto, che permette di addomesticare animali feroci: è come la lira di Orfeo, è cioè uno strumento che permette di sottomettere quelle forze proprie della natura che altrimenti l’uomo non saprebbe dominare da solo.
E’ chiaro che ciò è l’espressione simbolica di quella forza che Tamino troverà nella sua iniziazione e che saprà farlo passare da uomo comune a UOMO.
All’inizio del secondo atto, in un palmeto presso il tempio, Sarastro annuncia ai Sacerdoti lì riuniti che un giovane si è presentato alla porta del Nord del Tempio e che egli “possiede virtù, discrezione e che sa fare del bene”.
Molto bella è la frase che Sarastro utilizza per definire le qualità di Tamino. Un Sacerdote domanda a Sarastro se Tamino, quale Principe, sarà in grado di superare le prove; questi risponde: “Di più! è un Uomo”. Da rilevare che questo testo è stato scritto qualche anno prima della Rivoluzione Francese.
Tamino e Papageno vengono quindi accompagnati al sagrato del Tempio e là vengono avvertiti che la “conquista dell’amicizia e dell’amore” può essere per loro fatale. Papageno non esita a dichiarare che vorrebbe solo una Papagena ma, tutto sommato, è disposto a procedere al rito di iniziazione.
La prima prova è quella del silenzio. Rimasti soli nell’oscurità i due si trovano di fronte alle Tre Dame che appaiono dalle profondità della terra e, denigrando i sacerdoti, cercano di spezzare il loro silenzio. Inutile dire come Papageno cerchi di instaurare subito un dialogo êon le Dame, prontamente redarguito
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in ciò da Tamino che, invece, fieramente, resiste a qualsiasi provocazione. In un immediato prosieguo le cose continuano a non andare troppo bene per Papageno; lamentatosi di non avere nemmeno un po’ d’acqua gli appare una vecchia molto brutta che nell’offrirgli da bere dice di avere un amante di nome…Papageno. Il poveretto è così terrorizzato da questo annuncio che butta addirittura via l’acqua ricevuta. Ed ecco che appaiono i tre Fanciulli che offrono una tavola imbandita con a fianco gli “strumenti” magici a disposizione dei nostri due Eroi: il Flauto ed il Carillon.
Come è facilmente prevedibile Papageno incomincia subito a mangiare quanto trova mentre Tamino si limita a prendere solo il suo Flauto. Ed ecco la prova più ardua: arriva Pamina e, nonostante le sue suppliche, Tamino non le rivolge la parola e quindi entra dentro il Tempio. Pamina disperata vuole suicidarsi con un pugnale ma i tre Fanciulli intervengono e le impediscono l’insano gesto, promettendo l’arrivo di un regno di luce e di amore.
La simbologia di tutto ciò è estremamente chiara ed in linea con la tradizione Massonica: le prove propedeutiche da superare creano una frattura tra il Predestinato -ovvero l’uomo pronto per la sua realizzazione- che dimostra fermezza e coraggio, e quindi è in grado di procedere oltre, mentre l’uomo ancora non pronto cede facilmente ai richiami di una profanità tutto sommato accattivante e carica di tranquillità, con i suoi valori ampiamente accettati e condivisi da tutti.
I percorsi dei nostri due Amici, quindi, sembrano proprio destinati a dividersi: Tamino potrà infatti “andare avanti” nella via dell’iniziazione mentre il buon Papageno troverà una sua degna e sicura collocazione nel mondo profano.
Prima però di assestarsi ad un livello a lui consono, preso dalla disperazione di una solitudine feroce quanto iniqua, Papageno vuole suicidarsi. In uno straziato addio al Mondo, quando è tutto pronto, con una terribile corda sulle mani ed un albero di fronte, ecco che arrivano i tre fanciulli che suggeriscono a Papageno di suonare il Carillon.
Appare allora una deliziosa Papagena (anche lei ricoperta di piume) – chehltri non era che la vecchia

brutta prima rifiutata, ovviamente opportunamente travestita – che, nel duetto più simpatico e famoso dell’opera, gli promette amore ed una schiera molto congrua di piccoli Papageni.
Seguiamo ora però il cammino di Tamino.
La scena cambia radicalmente ed assume delle connotazioni decisamente alchemiche: ci sono due grandi montagne, da una scende una cascata d’acqua scrosciante; dall’altra erutta il fuoco (ancora l’unione dei contrari). Le rocce fanno da scenario ed ogni scena si chiude con una porta di ferro (l’accesso alla “via” non è tra i più agevoli).
Tamino è senza sandali ed è scortato da due guerrieri sul cui elmo arde un fuoco. Si fermano davanti ad una piramide ed i Guerrieri leggono a Tamino la seguente frase:
“Chi cammina su questa terra piena di dolori, fuoco, acqua, aria e terra lo purificano; se vincerà il terrore della morte si librerà dalla terra al cielo.
Illuminato, egli potrà votarsi interamente ai misteri di Iside”
I Quattro elementi Alchemici, le quattro prove rituali vengono chiaramente menzionate e ci si attende che Tamino sia in grado di superarle; questi infatti dichiara subito:
“Nessuna morte mi spaventa. Nessuna morte mi impedisce di agire come un uomo, e di proseguire la via della virtù.
Apritemi le porte del terrore, l’arduo sentiero io rischierò, sereno”
Tutto sembra pronto. Come oramai ci aspettavamo lui, non ha dubbi: vuole andare avanti, costi quel che costi, pur di proseguire sulla via della virtù.
Tamino è quindi deciso ad affrontare, come si conviene, le prove quando un grido si leva: “Tamino,
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fermati! Voglio vederti”.
E’ Pamina che, seppure edotta dei pericoli cui andrà incontro, lo supplica di portarla con sé. Tamino è entusiasta dell’idea e chiede il permesso in tal senso ai Guerrieri i quali, incredibilmente non hanno nulla da eccepire; anzi, testualmente rispondono in questo modo:
“Entrar nel Tempio, lieti, mano nella mano. La donna che non teme la notte né la morte è degna di essere iniziata.
Tamino e Pamina, confortati dalle note del Flauto Magico (“Con la potenza del suono attraversano lieti la notte tetra della morte” aggiungono gliArmigeri), suonato da Tamino, procedono per il sentiero iniziatico da cui usciranno vittoriosi.
Qui si pone il problema dell’effettivo ruolo di Pamina che, si ritiene, possa prestarsi a due chiavi di lettura; come sopra già accennato la figura femminile è sicuramente un affermare la necessità dell’armonia delle polarità contrarie, premessa questa indispensabile per il compimento dell’Opera Alchemica-Ermetica. E quindi poiché Tamino è il Vero Iniziato che dovrà portare Legge ed Armonia nella Terra (ed in ciò deve superare lo stesso Sarastro il quale, invece, è in lotta con l’altra polarità, simboleggiata dalla Regina della Notte) deve necessariamente avere in sé la propria polarità contraria: quella lunare. In termini alchemici: senza le “nozze Chimiche” e senza il matrimonio tra il Re e la Regina l’Opera non può essere compiuta. Da non trascurare, inoltre il fatto che Pamina NON DEVE superare alcuna prova prima di affrontare il decisivo confronto con il Fuoco e con l’Acqua (ricordiamoci cosa hanno detto gli Armigeri: prova mortale). E questo perché? Come mai Tamino deve fare tutta una serie di passaggi propedeutici alla prova finale (onde avere qualche speranza di successo), mentre Pamina arriva armata solo del suo Amore e, insieme all’amato ed al Flauto, riesce comunque vittoriosa? Il tutto, poi, con la benedizione dell’Ufficialità, rappresentata dai due della Soglia? La risposta può essere solo una: a Pamina non servono le prime prove in quanto ciò che dovrebbe sviluppare in sé per avere poi maggiori garanzie di successo è già presente in Lei, cioè a dire, in altri termini: la donna, per sua costituzione, ha una qualche “qualificazione” in più rispetto all’uomo che le consente di “abbreviare” alcuni passaggi del suo cammino.
L’altra chiave di lettura è sicuramente un riferimento alla coesistenza della figura femminile nelle Logge Massoniche. Ricordiamoci solo per qualche attimo dell’Ouverture e diamo una chiave di lettura della stessa un poco più approfondita. Già all’inizio dell’opera Mozart dichiara le sue intenzioni di una apertura alla figura femminile: gli accordi di apertura sono cinque, o meglio 3 + 2, proprio a significare l’unione tra la massoneria maschile, di cui il 3 è il simbolo “ufficiale” e l’inserimento della Donna, lunare, recettiva, il cui simbolo numerico è sempre stato il 2. A metà dell’ouverture Mozart riequilibra il tutto in una pregevole sintesi: ferma la musica (sembra che l’overture sia terminata…. ma non è vero!) e, dopo una pausa, fa eseguire 9 accordi. Ritengo che non serva soffermarci su questo numero che è noto a tutti.
Questo atteggiamento “ereticale” di Mozart (e qui ci si vuole, ovviamente, riferire a quelle Massonerie che non prevedono l’accesso della Donna ai propri misteri) è stato lungamente dibattuto. In questa Sede non si ritiene di dover approfondire la giustezza o meno della proposta iniziatica che il nostro

Fratello passato ci ha voluto così abilmente tramandare. Di certo, almeno personalmente, la trovo estremamente interessante e degna di essere esaminata in tutti i suoi aspetti: etici, storici, tradizionali ed iniziatici. L’Opera termina con il trionfo dei nostri due Iniziati che, superate le prove, ricevono l’omaggio del coro dei Sacerdoti:
“O iniziati, salute a voi!
La notte avete attraversato.
Grazie a te Osiride!
Grazie a te, Iside!
Ha vinto lo spirito forte! Qui la bellezza e la saggezza siano in premio coronate con una ghirlanda immortale ”
La favola è finita.v
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IL FLAUTO MAGICO 1* PARTR

IL FLAUTO MAGICO: Una Favola “Egiziana” di
Francesco Rampini
Una delle arie più famose del Flauto, “die Strahlen der Sonne”, verso la fine dell’Opera, recita quanto segue
“La Luce del Sole ha scacciato la notte, distrutto il Potere carpito dagli ipocriti.
Oh Iniziati, salute a Voi!
La notte avete attraversato.
Grazie a te, Osiride! Grazie a Te, Iside!
Ha vinto lo spirito forte! qui la bellezza e la saggezza siano a premio coronate con una ghirlanda immortale!”
Come si può ben rilevare da queste poche parole, si può facilmente dedurre che tutto il contenuto dello Zauberfloete si impernia su: un’iniziazione
• un concetto di contrapposizione tra Luce e Tenebre
• un Premio per aver compiuto “l’Opera”; forse, il raggiungimento dell’Immortalità.
E’ quindi evidente che ci si trova di fronte ad un’opera molto complessa, che, nella migliore tradizione di tutti i racconti iniziatici, si presta a molteplici chiavi di lettura.
Vediamo pertanto di capire di cosa parla lo Zauberfloete, e, in questo nostro excursus ci soffermeremo ad esaminare, in pratica, solamente gli aspetti massonici dell’Opera, tralasciando altri importanti elementi, quali quelli riguardo il Teatro, la Musica ed il contesto Storico-Sociale che pure hanno avuto un’importanza elevatissima sulle fortune della stessa.
Nel 1600 in Germania, e più precisamente nel Palatinato, venne allo scoperto un movimento che è poi divenuto la vera e propria pietra angolare di tutto il sistema iniziatico occidentale: la Confraternita dei Rosa+Croce.
Questi signori pubblicarono due manifesti, la Confessio e la Fama Fraternitatis, con i quali resero pubblici i loro intenti di costruire una nuova civiltà, fondata su valori diversi risptto a quelli sino ad allora vigenti: volevano un modo in cui ci fosse, tutto sommato, più uguaglianza e dove gli individui fossero valutati per ciò che valgono, piuttosto per ciò che socialmente rappresentano. Fino ad arrivare al concetto di realizzare una comunità di Terapeuti i quali, in possesso della Medicina Ermetica, fossero in grado dare all’Umanità quel sollievo, materiale e spirituale che, anche in quei tempi, non le avrebbe di certo nuociuto. Numerose pubblicazioni fecero seguito a questi manifesti (tanto per ricordare un titolo: “le Nozze Chimiche di Valentino Andreae) nelle quali venivano, seppure in modo allegorico e simbolico, sviluppati gli stessi temi e proposte anche vie “operative”.
Queste idee “rivoluzionarie” trovarono ampio consenso in tutta la migliore cultura Europea (dal precursore Paracelso, all’ alchimista inglese John Dee) e sfociarono, uscendo dalla Torre di Avorio di estrema riservatezza in cui sino ad allora si erano arroccate, in una corporazione di mestiere che, come tutte le corporazioni, all’epoca stava praticamente morendo: la corporazione dei Muratori. E da ciò è nata la moderna Massoneria, almeno come oggi viene comunemente intesa.
Il concetto base di tutta la filosofia Rosa+Croce era insito in una “lettura” attenta ed articolata di tutta la Tradizione Occidentale, e quindi spaziava da una reintepretazione del Cristianesimo ad una valutazione diversa, più esoterica, del movimento templare, ad un utilizzo di tutta la terminologia errnetica del Rinascimento (Ficino, Leonardo), unitamente all’uso di “chiavi” alchemiche care alla tradizione medioevale, fino ad uno studio dell’antico Egitto, considerato come la base dell’edificio iniziatico su cui, poi, tutti gli altri hanno costruito. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che a noi interessa.
La Massoneria del 1700 non era “giovane” come una superficiale analisi storica potrebbe indurci a credere.
Il 1717 rappresenta solo la formalizzazione di un atto amministrativo; la Gran Loggia d’Inghilterra, costituitasi in quell’anno, poteva finalmente parlare in nome e per conto di tutte le logge Inglesi, cosa ben diversa, questa, dal possedere un deposito tradizionale che risale a tempi ben anteriori . Un interesse sempre crescente per la cultura misterica riferita all’Antico Egitto e molte pubblicazioni in materia portano la firma di grandi Massoni dell’epoca.
Il Barone Ignaz Edler von Born, che è utile citare come esempio in quanto fondatore e Maestro Venerabile della Loggia “Zur Waharen Eintracht” -alla Vera Concordia- che Mozart frequentò sin dal 1784, pubblicò su una rivista massonica un saggio intitolato “Sui Misteri Egiziani”, che mirava, in breve, a ricondurre le origini della Massoneria ai riti arcani delle confraternite sacerdotali dell’Antico Egitt0 .
In Inghilterra, nel 1783, il Gran Maestro della contea del Kent, parlava diffusamente di tutta la conoscenza egiziana e, nello stesso periodo, Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro, fondava a Parigi un ramo Massonico ispirato ad Iside; poco dopo ripete l’iniziativa a ove la presenza del Vaticano gli risulta fatale: viene arrestato ed imprigionato a San Leo, ove muore prematuramente, prima che Napoleone fosse andato personalmente a liberarlo, non senza prima aver dovuto subire una campagna diffamatoria ed infamante .
Già nel 1731 1’Abate Jean Terrasson pubblica a Parigi “Sethos” e nelle logge Massoniche questo romanzo sarà uno dei testi studiati con attenzione per tutti i significati connessi con i segreti iniziatici dell’Antico Egitto.
Il romanzo, che si sviluppa attraverso una trama molto complessa e ricca di significati simboilici, si inserisce con forza nel contesto della cultura europea sia come fonte di ispirazione per la Massoneria, che all’Egitto già riconduceva molti dei suoi Riti, sia per quei compositori, come Mozart nel suo Zauberfloete, che espressero con una o più opere il proprio affascinamento ed interesse per l’antica civiltà egizia.
Il problema vero, in tutto questo contesto di valorizzazione dell’Antico Egitto come fonte di sapienza millenaria, è di capire come questa corrente di profondi e, certamente, anche seri studiosi, potesse affermare qualcosa circa la cultura iniziatica egiziana; basti pensare che le prime informazioni certe pervenute riguardo al tutto sono relative agli studi di Champollion, effettuati durante e dopo la prima campagna napoleonica in Egitto, studi che, come noto, hanno portato alla completa traduzione della scrittura geroglifica e quindi alla comprensione certa almeno della cultura egiziana
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Poiché esistono numerose corrispondenze tra quanto effettivamente risultato dall’esame storico scientifico dell’antico Egitto e quanto non si sarebbe potuto sapere (ma che comunque si affermava) è ragionevole presupporre che esista una tradizione orale, tramandata nei secoli in parte “da bocca a orecchio” e, per altri versi, anche da complicati e, spesso, oscuri rituali, che ha conservato lo scheletro di determinati insegnamenti e che ha consentito, quindi, ad una cultura millenaria di sopravvivere, nella coscienza collettiva, attraverso i secoli.
E’ in questa corrente di pensiero, sviluppatasi in un’epoca relativamente poco conosciuta, anche

all’interno della stessa Massoneria, che, quasi certamente, un gruppo di persone non del tutto ben identificate, hanno scritto un libretto fantastico, quasi una fiaba: lo Zauberfloete.
E’ infatti difficile credere a quanto viene indicato sul frontespizio dell’opera “…libretto di Emanuel Shikaneder”.
Questi è un massone, seppure certi suoi atteggiamenti un po’ troppo disinvolti lo abbiano fatto allontanare anzitempo dall’Istituzione. Shikaneder non risulta essere mai stato un intellettuale né prima del suo incontro con Mozart (a cui deve tutta la celebrità che nel corso dei secoli si è guadagnato), né tantomeno dopo la morte dell’Amico, in quanto ha finito la sua carriera nel più modesto dei modi, rappresentando e cantando opere sempre di scarso valore, e per di più completamente al di fuori da ogni corrente di pensiero iniziatico dell’epoca.
Lo stesso Mozart non sembra avere -almeno leggendo le numerosissime lettere che ci ha lasciato e facendo riferimento a quanto traspare dalla puntigliosa e dettagliata biografia che Paumgartner ci ha consegnato- quello “spessore” inziatico e capacità di concepire dettagli di estrema complessità che l’Opera invece contiene. Mozart è entrato in Massoneria nel dicembre del 1784 e pochi mesi dopo ha avuto il passaggio a Maestro. E’ difficile, quindi, pensare che, ionostante l’indubbio ed incredibile genio musicale, abbia potuto in pochi anni assorbire una mole di conoscenze tali da consentirgli la realizzazione della struttura narrativa e la manipolazione della simbologia nel Flauto.
Sappiamo, però, per certo, che il von Born, Maestro Venerabile della Loggia cui Mozart appartiene, è un uomo di profonda cultura sia per quanto riguarda l’Egitto, sia per ciò che attiene alla tradizione Ermetico-Alchemica, di cui il libretto del Flauto è ampiamente intriso. E’ quindi molto probabile che la stesura del testo sia avvenuta a più mani, in modo da farne un qualcosa di “perfetto”, che fosse un vero e proprio testo massonico da lasciare in eredità ai propri Fratelli.
Lo stesso Mozart, dopo la rappresentazione del Don Giovanni a Praga, aveva promesso ai Fratelli di questo Oriente, per ringraziarli di quanto avevano fatto per lui, un’opera ad alto contenuto massonico.
Promessa, a quanto pare, ampiamente mantenuta.

Il Flauto Magico è l’ultima opera compiuta che Mozart abbia scritto.
Iniziato nel 1791, lo ha portato a termine, dopo interruzioni, ripensamenti ed entusiasmi di ogni genere (basti ricordare solo la Clemenza di Tito rappresentata a Praga nell’Agosto e l’indimenticabile Requiem, lasciato incompiuto) nello stesso anno, pochi mesi prima della sua morte.
Tutto il Flauto rappresenta, almeno a prima vista, tutto un collage di elementi testuali, scenici e musicali legati al mondo massonico, ma in un prosieguo vedremo come questa sia solo una prima chiave di lettura e che altre cose sono contenute in questa Opera.
Prima di analizzare però lo svolgersi della vicenda, diamo una breve occhiata all’Overture, che presenta alcuni aspetti degni di nota.
Contrariamente a quanto fatto per il Don Giovanni, in cui l’overture è stata scritta alla fine dell’opera (e quindi riprende in modo quasi pedissequo il tema della scena finale), nel nostro caso la stessa è un vero e proprio proemio, un’anticipazione di ciò che ci attenderà in tutto il corso del Flauto. Anzitutto la tonalità: Mi bemolle, tonalità preferita da Mozart per tutte le composizioni massoniche.
L’attacco è significativamente solenne: cinque accordi ritmati con il tempo:

0 – 00 – 00 (uno – uno/due – uno/due)
La ritmazione del tempo è tipica della Massoneria e, nella fattispecie, sta a rappresentare una unità inserita in un doppio binario, cioè un principio maschile, attivo, che viene messo in relazione con un principio doppio femminile, ottenendo così il numero 5, che è il numero tradizionalmente assegnato all’uomo, inteso come unità vivente, pensante, attiva.
A metà dell’Ouverture, avviene poi un fatto unico: un accordo pone apparentemente fine alla stessa ma, subito dopo, attaccano tre accordi che vengono ripetuti per tre volte (in totale abbiamo quindi 9 accordi distribuiti in sei battute). Dal cinque, quindi, si passa al nove. Dall’uomo inteso come essere pensante (e per questo caduco), si passa all’Uomo inteso come iniziato, come realizzato, come Illuminato.
Vediamo adesso di inquadrare la Storia nella sua stretta essenza.
Come in tutti i libretti ed i romanzi di appendice degni della migliore tradizione, anche qui abbiamo tutta una serie di Personaggi-Chiave, che sono:
Lui, l’Eroe e Lei, la fanciulla rapita, e quindi necessariamente da salvare la Madre di Lei, che soffre perché non ha più la figlia e il Rapitore, cioè il Cattivo i Personaggi “Minori” che ruotano attorno ai Protagonisti e la Storia, in sé, è quella di Lui che, sollecitato dalla Madre, deve salvare la Fanciulla dalle grinfie del Rapitore.
All’apparenza, quindi, siamo immersi nella più trita e scontata banalità.
All’inizio del secondo atto, però, ci accorgiamo che il Cattivo, non è in reâltà tale e che la la Cattiva (vera) è in effetti.Madre della Fanciulla rapita
Quindi: un vero e proprio rovesciamento di fronte!
Immaginiamoci il povero Eroe in che guaio si è andato a mettere, in che situazione complicata si trova ove niente è certo e scontato, ove le Tenebre diventano Luce ed il Perfido diventa il modello di una perfetto comportamento.
Che le cose però non siano cosi semplici, ce ne rendiamo subito conto all’inizio dell’Opera, senza dover attendere il Secondo Atto: l’Eroe, messo di fronte alla prima difficoltà reagisce in maniera poco ortodossa.
Non trova meglio da fare che svenire.
Ma procediamo con ordine.
L’opera inizia con T’amino, il nostro eroe-protagonista, che si trova in un bosco, tra rocce e terreni accidentati, abbigliato “con un costume giapponese”; ha con sé un arco, peraltro privo di frecce, e sta cercando di sfuggire ad un enorme serpente.
Inseguito dal rettile, il povero Tamino sembra molto spaventato e, in effetti, come sopra accennato, dopo aver invocato l’aiuto degli dei, sviene. Subito dopo, tre Dame (che ben presto si scoprirà appartengono all’entourage di Astrifiammante, la Regina della Notte) armate ciascuna di un giavellotto d’argento, uccidono, molto provvidenzialmente, il serpente; poi, un poco dispiaciute di lasciare un giovane così bello (con un po’ di civetteria ciascuna di esse avrebbe gradito di restare lì, nel luogo dell’uccisione del Serpente, a “proteggere” il Principe svenuto), vanno tutte insieme ad avvisare la loro Regina dell’accaduto.
Chi è Tamino? L’Opera lo definisce come un Principe, ma se giudichiamo da come ci si presenta, il nostro Tamino non fa certo, svenendo in questo modo, senza nemmeno accennare ad una difesa d’ufficio, la figura dell’eroe, almeno come questo viene comunemente inteso e siamo abituati a vedere.
Ed è proprio da questo sconcertante inizio che la nostra vicenda Incomincia a delinearsi.
Proprio in questo momento si intuisce un “percorso simbolico” che ha sempre affascinato l’Umanità, ma che solo pochi uomini hanno avuto il coraggio di percorrere fino in fondo.
Tamino da uomo comune diverrà, infatti, nel prosieguo dell’opera, un iniziato e come tutti gli iniziati deve innanzi tutto “morire” per rinascere ad una nuova vita e questa nozione della morte, come
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momento determinante nella propria evoluzione, che la Massoneria applica a diversi avanzamenti di grado, è anche parte integrante di ogni religione (sembra che nemmeno il Cristianesimo ne sia escluso, se correttamente interpretiamo le parole di San Paolo, quando dice “Voi siete morti e la vostra vita rinasce in Gesù Cristo”).
Tamino, però, in questa fase, non riesce a reggere all’angoscia del pericolo e quindi non ha apparentemente un grande successo nella prima inconsapevole prova che ha dovuto superare. Con questo svenimento, comunque, Tamino, ci segnala il momento della sua trasformazione.
In questo momento Tamino rappresenta l’uomo comune che di fronte alle forze della natura e quindi di fronte alla vita stessa (simboleggiata dal serpente) si trova impreparato, non ha i mezzi e le capacità di reazione. Ma Tamino è anche il Predestinato; è l’uomo che vive per i suoi dubbi, per le sue incertezze ma che ha chiaro dentro di sé un ideale di perseguimento del Bene, del Vero e del Bello. E’ l’uomo disposto a sacrificarsi per un nobile ideale ed a sacrificare tutto per il raggiungimento di un suo obiettivo.
Le tre Dame della Regina della Notte rappresentano, con la Regina stessa, che ne è la figura emblematica, l’aspetto più complesso e completo proprio delle forze della natura, e le tre Dame riescono a controllare ed a neutralizzare con facilità il Serpente in quanto appartenenti alla stessa forza operante.
In questo inizio dell’Opera così singolare veniamo quindi subito in contatto con le realtà della vita che tutti i giorni incontriamo e che nella loro complessità mettono l’uomo in situazioni spesso difficili affinché lo stesso sappia trovare, da sé stesso, quella forza e quell’amore che saprà portarlo fuori dai pericoli, dalle difficoltà, in breve: fuori da quella che Dante chiama ” la Selva Oscura”.•
(Fine I parte)

Oggi perdono a tutti coloro che mi hanno offèso.
Dono il mio amore a tutti i cuori assetati, sia a quelli che mi amano… che a quelli che non mi amano. Sarò un pescatore di anime.
Prenderò l’ignoranza degli altri nella rete della mia saggezza e la offrirò al DIO degli dèi… perchè la trasformi.
Voglio irradiare Amore e Benvolere verso gli altri per aprire un alveo che consenta all’amore di Dio, Grande Architetto dell’Universo, di giungere a tutti.
So di essere tutt’uno con la luce della tua bontà.
Concedimi di essere un faro per coloro che sono sballottati sul mare della sofferenza.
Sono un semplice servitore, pronto a porgere il mio aiuto a tutte le menti in difficoltà col mio modesto consiglio… col dono di una verità che risana e… con l’umile saggezza raccolta nel santuario del silenzio.
La mia massima ambizione è quella di erigere in ognuno che incontro …. il TEMPIO …del silenzio dell’anima.
( Yogananda Paramahansa )

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UN ” OPHALOS” DA SALVARE E USARE

UN “OMPHALOS” DA SALVARE E DA USARE di
Francesco De Nicolo
Dalle favole egizie e greche ai miti d’Oriente ed Occidente, dalle Sacre Scritture ai racconti nordici, s’è conservata, come in uno scrigno, quel che rimaneva d’una Saggezza e d’una Conoscenza non di questo mondo, di questo “Eone”.
Questo scrigno è un piccolo luogo, a nord di Bari, e può raccontare storie molto antiche. E’ uno di quei rari punti geografici in cui forze telluriche, magnetiche, geoelettriche, lasciano nella loro maglia un’anomalia: anomalia individuata e scelta già dal paleolitico inferiore quale ” luogo per l’incontro” tra Uomo, Madre-Terra e Padre-Cosmo.
Il neolitico vide questo sito meta di “sacerdoti” che, da un villaggio oggi chiamato Pulo (Molfetta) sito vicino al mare, risalendo un fiume sacro nato da polle sorgive, si dirigevano dalla foce verso l’ansa più calma -ad Oriente – per raggiungere un luogo di culto, il “Luogo Sacro” dove la polla formava un lago d’acqua fresca e dolce.
Nel 111 0 e 11 0 millennio a.C., popoli venuti da molto lontano – dalle isole Cicladi, Cipro, Creta – cercarono ” il Posto”, che forse conquistarono dopo aspre battaglie e che abitarono per un certo periodo di tempo.
Ogni opera costruita andò perduta, tranne le tombe, come il grande agglomerato di Dolmen, formato da una trentina di camere – anche se in parte distrutte dai contadini del luogo – che rappresentano la testimonianza più evidente risalente all’età del Bronzo (18 0 – 12 0 sec. a. C).
Poi, un periodo di abbandono, dalla nascita della vicina Ruvo (Magna-Grecia) al crollo dell’impero romano.
Una leggenda narra che per un certo periodo in questo luogo venne temito nascosto il Santo Graal, a lungo cercato invano dai Bizantini, e ritrovato ed “usato” dai Templari, stabilitisi quì per “caricarsi di energie”
Il luogo, utilizzato nel periodo Angioino come zona di riferimento di scambi commerciali di Puglia e Lucania, di per se insignificante agli occhi del visitatore distratto e poco competente, si trova a Km.3 circa a sud-est di Terlizzi (Bari). La stratificazione inclinata del suolo passa da 5 0 a 15 gradi in direzione sud e degna di nota è la declinazione magnetica di questo sito è 0000′ (oggi è di + 00 03).
A Sovereto, questo il nome del villaggio, meta di villeggiature estive ed abitato d’inverno soltanto da tre famiglie, vi è una chiesetta che racchiude l’Omphalos: l’ombelico, o meglio il “corridoio” che collega l’uomo al “transfinito”
Misteriose ed inspiegabili, anche se in apparenza, coincidenze hanno fatto si che Bitonto e Ruvo, due importanti centri dell’antichità, venissero edificate (casualmente?) alla stessa distanza da Sovereto, e cioè a 8 Km., mentre la via Appia- Traiana, importantissima arteria per i traffici commerciali tra Roma e l’Oriente, consente di percorrere una carrareccia che dopo Km. 1.620 (l .618 numero aureo) si collega a Sovereto.
Una strana pace, una intensa serenità, meglio, un silenzio interiore pervade il visitatore attento tanto da lasciarlo a volte turbato.
Vi era nel passato un allineamento di Menhir che oggi non è più rilevabile con continuità, rimane sul suolo solo una parte della vetusta figura geometrica denotante quelle linee di Hartmann che i Sacerdoti più sensitivi avevano tracciato per comprendere e controllare le anomalie geomagnetiche del “Luogo dell’incontro”
Ritornando alla chiesetta, ricca di indizi templari, notiamo che custodisce nel suo ventre una grotta nella quale, si dice, sia stata trovata una lampada eterna ed una effige della Madonna. Dalla porta murata della grotta si dovrebbe accedere in un regno sotterraneo, luogo di meditazione, in cui sono celati segreti e strabilianti rivelazioni. Più in là, nella chiesetta, nascosto sotto le panche, una serie di tre quadrati concentrici, che simbolicamente stavano ad indicare I’OMPHALOS, così come vuole la Tradizione, cioè il centro del Mondo, nel quale ha avuto inizio la Tradizione.
Questo arcano punto di riferimento spazio-temporale, •che appartiene al misteriosofico mondo spirituale dell’uomo, potrebbe, in un immediato prossimo futuro, essere oggetto di una

speculazione edilizia da parte di una Società Immobiliare fortemente interessata all’acquisto globale dell’intera località.
Sorge fortemente un: possibile che un luogo così fortemente caratterizzato da caratteristiche Templari, possa essere degradato ad un volgare e banale insediamento edilizio? Sovereto, luogo tanto caro ai ricercatori delle antiche leggende ad esso legate, situato nella antica Peucetia, non deve essere distrutto ma restituito a coloro che Iniziati agli Antichi Misteri, ne hanno il pieno diritto d’uso.•

Bello e gradevole, o fratelli, è vivere e restare uniti è sostenere con ardore le fatiche comuni, fedeli al nostro legame.
Prezioso è I ‘amore fraterno.
Come il profumo dei fiori…
…con la loro fragranza pervadono l’aria.
Restiamo liberi dalla contaminazione della colunnia, dal respiro velenoso della malignità, sempre pronunziando parole gentili di verità e di luce.
Se un fratello si perde o cade, tendiamogli la nostra mano soccorritrice: così miglioreremo sempre, così uniti rimarremo.
(Testo di Samuli Savio)
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UNA OCCASIONE DA NON PERDERE

La riforma della Costituz.ione del Grande Oriente
UN ‘OCCASIONE DA NON PERDERE
di
Sebastiano Scarfato
E’ apparso subito chiaro, all’indomani della fuga dell’ex Gran Maestro Di Bernardo, che la legge fondamentale del nostro Ordine aveva bisogno di una profonda revisione.
L’ultima riforma voluta dal Gran Maestro Armando Corona fu infatti frettolosa, perché incalzata dagli storici avvenimenti legati alla vicenda della P2, disordinata e confusa e per ciò stesso contraddittoria in alcune sue parti.
Non che quella operazione sia stata inutile o che gli elementi ambientali che la suggerirono siano stati superati (non lo sono tutt’ora), ma il bisogno della revisione si impose all’attenzione di molti perché, per effetto di quella riforma, si erano prodotte, o così sembrò, zone di legislazione non propriamente tradizionali entro le quali il comportamento di qualcuno parve ispirato più a pratiche profane che a consuetudini iniziatiche.
Questa valutazione assai diffusa ispirò i programmi di tutti gli ultimi candidati alla Gran Maestranza che inserirono al centro della propria proposta la revisione della Costituzione.
Il programma elettorale dell’attuale Gran Maestro incentrava l’iniziativa revisionista sul recupero pieno della Tradizione muratoria, esaltando il ruolo centrale della Loggia, vero pilastro iniziatico della Comunione massonica e cardine insostituibile della propria struttura organizzativa.
Ora, il tentativo concreto di porre mano alla riforma costituzionale attraverso l’apertura del dibattito nelle Logge avviato sul documento approntato dalla commissione speciale all’uopo istituita, appare riduttivo riguardo alle aspettative della stragrande maggioranza dei fratelli, per cui ha prodotto una sorta di generalizzata levata di scudi.
Che cosa è in effetti successo?
In primo luogo il materiale sul quale ha lavorato la commissione speciale non rappresentava il campione più significativo delle elaborazioni delle Logge italiane, poiché molte di queste avevano preferito ritirare le proprie proposte allorché, nella Gran Loggia straordinaria del dicembre 1994, non fu possibile, oggettivamente, svolgere il benché minimo lavoro intorno a queste tematiche.
In secondo luogo, la stessa commissione speciale non rispondeva alle caratteristiche intrinseche proprie di qualsiasi commissione costituente, poiché difettava della necessaria autorevolezza che solo il chiarissimo mandato popolare conferisce a istituzioni similari.
Il voto del “popolo massonico” emendato dall’opzione del Gran Maestro, seppure, quest’ultimo, autorizzato dal massimo organismo deliberativo della Comunione (la Gran Loggia),ha contribuito a limitare la considerazione di tutti sul lavoro svolto, alimentando la facile polemica di chi ha costruito strumentalmente l’immagine di una commissione di parte, asservita alla volontà di pochi soggetti.
Per cui una commissione a “rappresentatività limitata”, lavorando su un materiale non propriamente rispondente alle autentiche attese della maggioranza dei fratelli, ha elaborato un prodotto incompleto, divergente dalle tendenze elettorali vincenti e per ciò stesso non condiviso.
In qualsiasi forma sociale organizzata unitariamente mettere assieme delle regole di condotta ha il solo scopo di assicurare all’interno di quella forma sociale organizzata, la pacifica convivenza dei propri membri. Tuttavia è fondamentale, per il raggiungimento dello scopo, che tra i membri della forma sociale organizzata si consolidi il convincimento collettivo della necessità della regola e più ancora della sua osservanza.
Questo convincimento sarà tantopiù collettivo quanta più collettività parteciperà alla formazione della regola, ovvero il grado di rappresentatività dei soggetti interessati sarà il più alto e legittimo possibile.
Ora all’interno del Grande Oriente d’Italia va aperta, dopo aver azzerato la situazione attuale, una vera e propria “fase costituente”.
Tale fase è bene che sia costretta in limiti temporali adeguati all’importanza del lavoro da svolgere e soprattutto sia confinata in un ambito operativo blindato: refrattario sia alle strumentalità rinvenienti
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dall’attività amministrativa quotidiana, che alle pericolose tendenze di determinare l’evoluzione e lo sviluppo.
Occorre innanzitutto individuare e attivare, salvaguardando il principio della legittimità e della rappresentatività, gli strumenti di studio, approfondimento e realizzazione del progetto ipotizzare un percorso virtuoso di confronto e dibattito che investa nel momento dell’approvazione tutto il popolo massonico.
La commissione eletta dall’assemblea dei maestri è – a mio avviso – lo strumento operativo che, con alcuni correttivi, può raggiungere l’obbiettivo di raccogliere le migliori risorse a nostra disposizione, selezionando finalmente le potenzialità professionali occorrenti, unitamente alle capacità iniziatiche indispensabili per un lavoro che, riorganizzando un articolato normativo rispondente alle necessità di un moderno ordinamento giuridico, renda visibili i contenuti autenticamente tradizionali del Grande Oriente d’Italia.
Una commissione, infine, che tragga direttamente dal popolo la forza della sua rappresentatività non può che trarre dal popolo stesso la valutazione finale del proprio operato; sottoporre al referendum dei maestri massoni la nuova legge fondamentale dell’Ordine costituisce – a mio modo di pensare non solo un atto di democrazia sostanziale, ma la esaltazione del lavoro massonico inteso come sforzo individuale e solitario di espansione della propria coscienza fino agli stadi più elevati dell’Essere.
La Gran Loggia, in ossequio al suo potere legislativo, potrebbe ratificare il documento finale, imprimendogli il sigillo formale della sua effettualità.
Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.v
Sebastiano Scarfato
Rappresentante del Consiglio dell ‘Ordine nella Giunta esecutiva del Grande Oriente d’Italia

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IL RUOLO DELLA MASSONERIA NEL XXI SECOLO


V Conferenza Mondiale delle Grandi Logge
Madrid 24-27 maggio 2001

Il ruolo della Massoneria nel XXI secolo: tradizione, etica e nuovi valori

Sin dalle sue origini la Massoneria ha contribuito in modo sostanziale al bene dell’uomo con le sue idee e le sue azioni che sono state recepite e poste a fondamento delle società democratiche.
Il lavoro muratorio, svolto nelle Logge, ha infatti permesso nel passato ai fratelli di elevare la propria conoscenza e coscienza e li ha così forgiati per costruire un’umanità migliore.
La Massoneria, ancora oggi, è indubbiamente il solo luogo in cui uomini, legati dal vincolo di fratellanza, possono accrescere la loro spiritualità, affinare la loro conoscenza esoterica, rinsaldare la loro morale e prepararsi a vivere socialmente in forza di quei valori massonici che costituiscono per ogni persona le linee guida per poter essere liberi ed esprimere le proprie potenzialità nel pieno rispetto delle diversità.
Nel loro percorso storico i massoni si sono sempre posti come punto di riferimento per gli uomini che avvertono l’urgenza di un proprio perfezionamento e si pongono come obiettivo di essere liberi e di cooperare al miglioramento della condizione umana. Anche oggi la Massoneria può fornire un contributo essenziale all’umanità mettendo in campo nuovi valori e storicizzando quelli tradizionali e perenni, cioè applicandoli in modo originale alle condizioni attuali dell’umanità. Nell’epoca del villaggio globale e della globalizzazione insorgono problematiche che non possono essere superate solo in base a mere soluzioni economico-finanziarie, ma facendo sempre riferimento ai valori che guidano l’umanità.
In questo contesto la Massoneria può svolgere un ruolo primario e centrale perché propugna i valori fondamentali della dignità, della libertà e del rispetto del singolo nella diversità, che sono a fondamento della convivenza civile e democratica che deve ruotare intorno alla centralità dell’Uomo, con esclusione di ogni forma di intolleranza e discriminazione.
È fondamentale a questo punto sottolineare un aspetto peculiare della Massoneria: essa non ha interessi materiali da difendere, né posizioni di potere e di privilegio, di qualsiasi natura esse siano, per questo è l’unica istituzione di uomini che si può adoperare liberamente e spassionatamente per la felicità dell’uomo.
Con riferimento in particolare alla globalizzazione è necessario svolgere un’attenta riflessione. È indubbio che questo fenomeno può dare luogo a risultati positivi per l’uomo, ma non può essere considerato come un processo indipendente dalle condizioni di vita dell’uomo nella sua duplice dimensione materiale e spirituale.
Al contrario, noi massoni riteniamo che anch’esso debba essere guidato e reso compatibile con i valori, in modo che possa essere uno strumento di benessere e di elevazione e non solo una macchina che mira a soddisfare gli interessi di una parte privilegiata e minoritaria dell’umanità a scapito di altre. Nonostante i grandi risultati riferiti alla qualità della vita che si sono raggiunti nel mondo occidentale, non possiamo sottacere che sia in esso che nel resto dell’umanità sono presenti squilibri che preoccupano l’animo umano verso i quali non v’è né sufficiente attenzione, né un’adeguata volontà di porre rimedio.
Al fine di superare queste condizioni è necessario collocarsi in un’ottica diversa che non sia ristretta e legata ad interessi di parte, ma abbia un orizzonte più vasto che pone al centro l’Uomo e che sia in grado di cogliere i trends globali senza mai dimenticare le condizioni specifiche dei singoli, anche nelle forme associate, delle collettività e degli Stati. Questa apertura d’orizzonte, peculiare dei massoni, ci deve portare a considerare tutte le problematiche attuali in riferimento al bene concreto dell’umanità piuttosto che a quello di una sola parte: in ciò consiste la nostra universalità fondata sul valore della fratellanza fra tutti gli uomini. Purtroppo lo scenario mondiale suscita diverse inquietudini. La violenza esplosa in diverse parti del pianeta, le pulizie etniche, i genocidi nei continenti africano ed asiatico, il terrorismo dei fondamentalismi religiosi e l’ossessione nazionalista denotano un malessere profondo che deriva da squilibri sociali, provocati anche dal tramonto delle ideologie, e che viene avvertito sia dagli individui, sia dalle collettività.
Al contempo, le diversità della qualità della vita e delle condizioni economiche tra Nord e Sud non può che suscitare preoccupazione per il benessere dell’umana famiglia, nonché per le possibili conseguenze anche conflittuali che possono derivare. Anche nel mondo occidentale, ricco ed opulento, nonostante una diffusa ed alta qualità della vita, non sono assenti contraddizioni che minacciano l’armonia e la stabilità sociale; ingiustizie economiche e sociali, discriminazioni di diversa natura, le povertà nuove e vecchie, il degrado ambientale, i disagi psicologici ed esistenziali, nonché conflitti interetnici appaiono come un male dell’Occidente a cui si deve prestare un’ampia attenzione che sia fondata sui valori che proclamano la dignità della persona.

27 Maggio 2001

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