GARIBALDI A CALA MARTINA

Buongiorno, Signori.
Qualcuno è venuto a riferirmi che qui si sta parlando di me, e siccome sono particolarmente affezionato alla gente della Maremma, volevo ricordare con voi e soprattutto per chi di voi non li conosce, fatti e persone che meritano questo momento.

Questo è ciò che è accaduto nella settimana dal 26 Agosto al 2 Settembre 1849 durante la quale, inseguito da quattro eserciti nemici che volevano farmi la pelle, mi sono salvato grazie a quei pochi, anzi, pochissimi che hanno rischiato la vita accompagnandomi per mezza Italia, nascondendomi nei momenti più opportuni, camminando di giorno e di notte, a piedi, a cavallo o sulla barca, e con l’intima soddisfazione, poi, di aver beffato quel feroce generale austriaco, tal Gozorski che aveva previsto la fucilazione per chi mi avesse dato soccorso. A loro io devo la vita e voi, tutti voi qui, dovete molto di più. Voi dovete loro tutto quello che successe dopo, in una parola siete debitori della LIBERTA’: la vostra e quella dei vostri figli.

Allora cominciamo: sulla fine dell’Agosto del 1849 mi aggiravo profugo, senza una guida, per l’Appennino Toscano. Ero uscito da Roma il 2 Luglio insieme a 3000 fedelissimi soldati ai quali avevo promesso “Fame, sete, marce, battaglie e morte” ma presto mi resi conto che non potevo, solamente con loro, contrastare i troppi nemici che mi stavano dando la caccia. Quindi sciolsi la mia colonna e mi trovavo da solo con pochi che non mi vollero abbandonare. Volevo arrivare a Venezia per provare ancora ad organizzare una resistenza contro lo straniero, ma non fu possibile.
Quindi, dicevo, mi trovai da solo, gli unici che ancora mi seguivano erano il mio fido capitano Leggero e la mia amata Anita che volle venire con me nonostante la febbre alta e il figlio che portava in grembo oramai da sei mesi. Ma era troppo anche per una donna forte come lei, che dovette cedere alla falce della morte. Non ho potuto nemmeno darle sepoltura. Anzi, ho dovuto sopportare la calunnia di chi mi ha descritto come colui che ha ucciso con le sue mani la moglie Anita per poter meglio fuggire. Sono stato aiutato da persone semplici, divenuti eroi ben più di me, abituato oramai a cavarmela nel pericolo ed a vedere la morte in faccia. Era tutta gente che aveva i nostri stessi ideali, persino un sacerdote mi dette asilo per 8 giorni, disubbidendo all’anatema del Papa-re, il mio primo nemico. Ma, quando un prete si chiama “Don Giovanni Verità” anche questo è possibile.
Appena arrivati in toscana venimmo assistiti dalla organizzazione di Angiolo Guelfi, dei Fratelli Lapini e di Pietro Gaggioli, detto Giccamo, onesto commerciante e patriota di Follonica. Il Guelfi si attivò fino a Scarlino per trovare giovani che ci potessero aiutare tra quel popolo, caldo difensore delle idee democratiche. Lui fu il vero artefice del salvamento e per ricompensarlo gli regalai il pugnale americano che portavo sempre con me dicendogli che un giorno suo figlio avrebbe potuto riportarmelo e ricevere quindi una più tangibile riconoscenza per l’aiuto ricevuto. Quel pugnale non mi fu mai restituito perché Angiolo riteneva di aver compiuto nell’occasione solo un gradito dovere.
Persone come il Serafini che a San Dalmazio prese così tante cautele che nessuno sospettò della presenza di due esuli in casa sua, in quei tempi nei quali l’occhio vigile della polizia, reso più acuto ancora dal vigliacco sussidio del partito reazionario, scrutava per tutto, e dappertutto vedeva nemici.
Da Prato fino a Poggibonsi, quindi Colle, San Gimignano, Volterra, Pomarance. Angiolo Guelfi curò la preparazione della parte più difficile e pericolosa. Giungemmo quindi a Castelnuovo, accompagnati dal Serafini, dove per fortuna nessuno ci vide passare di notte. Quindi prendemmo per Massa nel barroccino del Martini, ci incontrammo con Riccardo Lapini e Biagio Serri, infine a Schiantapetto dove c’erano ad attenderci Giulio Lapini e Domenico Verzera
La riuscita dell’impresa non dipendeva dalle forze che si sarebbero potute spiegare, ma dalla celerità e segretezza nel condurla.
Da Schiantapetto si proseguì fino alla Cura, dove due gendarmi, conoscendo i Lapini, ci salutarono amichevolmente credendoci cacciatori, poi per la strada di Vado all’Arancio si arrivò alla casa Guelfi dove c’erano gli scarlinesi Olivo Pina, Giuseppe Ornani, Oreste Fontani e Leopoldo Carmagnini. Di lì a poco arrivarono anche Pietro Gaggioli e Paolo Azzarini. Erano le ore 1 e 30 della notte del 2 Settembre.

Da Casa Guelfi a Cala Martina

Il bravo Giccamo aveva provveduto ad organizzare perfettamente l’imbarco e la nostra fuga senza riposarsi un attimo. Prima si era recato a Piombino, poi imbarcato per l’Elba dove aveva cercato e convinto Paolo Azzarini, un pescatore barcaiolo suo amico, a partecipare alla rischiosa impresa. Si imbarcò lui stesso e si fece riportare, senza perdere un minuto, fino alla spiaggia di Follonica. Era la mattina del primo di Settembre. Ed ancora, l’infaticabile Gaggioli, montò sul barroccio, andò dal Lapini ad annunciare che tutto era pronto e avvertì gli altri che aspettavano nei luoghi convenuti. Infine tornò a Follonica alla casa Guelfi insieme all’Azzarini. Ed il tutto in circostanze difficili ed insidiose, con compiti affidati a persone così diverse, distanti e senza mezzi sicuri per la comunicazione. E non era ancora finita.
Ma il tutto doveva compiersi, e si compì con esattezza ammirabile in una notte, per il bene dell’Italia. Si dia larga parte d’onore ai bravi che concorsero all’impresa, ma si dia la sua parte anche alla costante e propizia fortuna. E’ certamente vero quello che si dice: la fortuna aiuta gli audaci.
Ritornando in Casa Guelfi, io ed il fido Leggero prendemmo un po’ di riposo, fino alle ore 4, quando ci svegliò Olivo Pina. Mangiata una zuppa, alle 5 cominciammo a muoverci. Nel salotto ci furono i saluti, tutti ci abbracciammo e ci salutammo commossi, i fratelli Lapini ci consegnarono agli scarlinesi e tutti e sei ci avviammo alla volta del mare.
Durante le ore del tragitto i pensieri mi si accavallavano nella mente. Pensavo alla mia amata moglie appena morta, al figlio che non avrei mai visto, alla importanza di quelle giornate per me e per il popolo, ma soprattutto riflettevo sul carattere ed il coraggio delle persone che mi avevano fino ad ora accompagnato. Ora era diverso: non mi trovavo nel mezzo alla battaglia, non dovevo io decidere la strategia da adottare, ora erano altri che mi sorreggevano, che mi potavano in braccio, che mi proteggevano a costo della vita. Io non dovevo fare niente: solo seguirli. E questa, per uno come me, era una sensazione mai provata prima.

Sempre cercando di assomigliare a cacciatori, attraversammo il padule, l’Allacciante ed il Fontino, fino alla strada della Dogana per il Puntone. Improvvisamente cominciarono a suonare le campane di Scarlino e mi venne spontaneo chiedere che paese fosse e di quanti giovani si sarebbe potuto disporre. Le nostre guide ci dissero che sarebbero stati in molti pronti all’azione, al che Leggero mi propose: ”Generale, ricominciamo da qui?” Ma saggiamente mi venne da rispondere: ”Si porterebbero ad inutile carneficina; piuttosto i padri penseranno ad educare i loro figli per il giorno della riscossa. Se avessimo conosciuto questa strada e questa popolazione, era questa la via da seguire quando ci siamo ritirati da Roma”
Proseguendo, alla Fonte al Leccio, si incontrò il Gaggioli che proseguì con noi. Tutti ci si fermò a bere al Podere Meleta, poi via ancora; si attraversò la strada delle Collacchie, quindi veloci per la macchia verso il mare. A quel punto Olivo Pina, per allentare la tensione mi disse: “E ora, Generale, chi ci ha visto, ci ha visto”. Sorrisi, guardando Leggero, ed in quello sguardo c’era la più bella lode per i coraggiosi scarlinesi. Presto eravamo a Cala Martina, sul mare tanto amato.

La barca da pesca dell’Azzarini venne di lì a poco. Era arrivato il momento solenne.
Mi rivolsi commosso ai tre scarlinesi e dissi loro: ”Non vi è nulla che possa ricompensare ciò che ho ricevuto da voi, ma spero di ritrovarvi a tempi migliori” rispose Olivo Pina: ”Un pezzo della vostra pezzuola basta a ciascuno di noi, lo lasceremo come ricordo ai nostri figlioli, avevamo come unico scopo di salvarvi e conservarvi all’Italia e volentieri verremmo con voi fino a Genova, se lo voleste”
Ci salutammo e ci abbracciammo. Chiesi agli scarlinesi di fare altrettanto con Girolamo Martini, Cammillo Serafini e Angiolo Guelfi. Alla fine la barca si mosse ed allora mi venne dal cuore commosso un grido: “VIVA L’ITALIA”. Erano le ore 10 del 2 Settembre 1849.
L’Azzarini ci portò all’isola d’Elba, sbarcò prima un marinaio e suo padre perché ci fosse sempre il numero di persone previsto dalla patente, quindi si fece firmare abusivamente il foglio per ripartire verso la Liguria. Il giorno dopo eravamo in vista di Livorno, quindi a Porto Venere dove, finalmente, eravamo al sicuro.

Da Cala Martina il mio peregrinare è poi continuato, ci sono stati gli anni del Nuovo Mondo, dove quella Libertà di cui prima parlavamo era, per fortuna, già affermata. Ed è stato lì, proprio a New York che, insieme ad un altro fratello abbiamo cercato la luce. Ma poiché anche a New York c’è bisogno di mangiare e dato che il Fratello Meucci nonostante la sua geniale invenzione del telefono non aveva da che sostenersi, la luce l’abbiamo cercata….. fabbricando candele.
A proposito, so che alcuni dei presenti sono stati di recente a far visita a quella casa. Spero che questa esperienza possa servire un giorno a riunire tutti i “Garibaldini” e non solo d’Italia.

Il resto lo conoscete dai libri di storia e mi fa piacere che l’anno passato, dopo 150 anni, questi fatti abbiano avuto il riconoscimento che si meritano da tutto il popolo italiano. Ma siccome nei libri che pretendono di raccontare la storia con la S maiuscola questi fatti e soprattutto questi personaggi non sono mai ricordati, io, Giuseppe Garibaldi, Gran Maestro della Massoneria, oggi sono qui per ricordare insieme a tutti voi questi veri eroi.

Elenco completo dei partecipanti al salvamento:

– Sequi Ing. Enrico di Castelfranco di Sopra
– Bardazzi Carlo di Vaiano
– Bardazzi Vincenzo di Vaiano
– Barbagli Giuseppe di Arezzo
– Martini Antonio di Prato
– Franceschini Dott. Francesco di Prato
– Fontani Tommaso di Prato
– Burresi Prof. Pietro di Poggibonsi
– Martini Girolamo di Castelnuovo Val di Cecina
– Serafini Cav. Cammillo di San Dalmazio

– Guelfi Angiolo di Scarlino
– Lapini Giulio di Massa Marittima
– Lapini Riccardo di Massa Marittima
– Verzera Domenico di Massa Marittima
– Serri Biagio di Massa Marittima
– Pina Olivo di Scarlino
– Ornani Giuseppe di Scarlino
– Fontani Oreste di Scarlino
– Carmagnini Leopoldo di Scarlino
– Giaggioli Pietro di Follonica
– Azzarini Paolo di Rio Marina

Massa Marittima 5 Maggio 2013

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