IL SILENZIO
Silenzio! Coevo con l’Eternità!
Tu eri prima che la Natura avesse il sé; la Tua era l’Ondata
Prima che il Cielo si formasse sulla Terra,
prima che il pensiero fruttuoso
concepisse la nascita della creazione
[Alexander Pope)
Scrivere del silenzio apparentemente può sembrare un ossimoro: parole per spiegare it significato del silenzio. E nella vita Profana probabilmente lo è. Profanamente si cerca di dare un senso al “silenzio assordante” cercando di interpretare la materialità del fatto attraverso la interpretazione sensoriale.
In Massoneria è diverso: sono diversi in piani su cui si va a descrivere il silenzio e meglio ancora sono vari gli strumenti a disposizione per significarlo.
Ci viene in aiuto in tale senso, la ritualità, la simbologia; non dobbiamo esimerci dal pensare al silenzio come un simbolo tra i simboli massonici.
E ne rappresenta uno dei più significativi, non fosse per altro che è il primo che ci ritroviamo ad affrontare nel rito di iniziazione.
L’iniziando comincia il proprio percorso massonico nel gabinetto di riflessione, in silenzio e in solitudine, dove si prepara alla cerimonia di iniziazione riflettendo sulle motivazioni che lo spingono ad affrontare la strada esoterica. Silenzio, riflessione.
Un binomio importante, essenziale.
In quello stanzino buio e isolato la prima attività che viene spontaneamente ovvero intuitivamente da compiere è riflettere.
Nessuno ti induce a farlo se no al momento del compimento del testamento; ma fino ad allora il pensiero è libero nel nulla dell’ ignoranza di ciò che dovrai affrontare con la cerimonia di passaggio da profano a iniziato.
Un po’ come essere in una camera di compensazione del subacqueo, dalla quale la persona prima di emergere deve passare, e forzatamente ascolta il proprio essere, la incolumità del proprio corpo e dei propri organi, per sentirsi pronto ad affrontare il modo diverso di comportarsi e vivere sulla terra rispetto all’acqua.
Il gabinetto di riflessione è la stessa cosa. Cominciamo lì, in quel luogo, ad apprezzare il senso del sentire, del sentirsi, e a sentire l’esigenza di farlo spuri da ossidanti abitudini. Pessoa in Pagine Esoteriche, ci dice che “sentire è esistere irrimediabilmente soli, così come pensare è esistere con gli Dei e agire è esistere con gli uomini ed il Creato”. Tutti passaggi individuali, necessari, che ci insegnano che per poter agire occorre prima pensare e ancor prima sentire (o sentirsi) nel silenzio, in solitudine.
Spesso, facciamoci caso, non sentiamo più i rumori cui siamo abituati. Impariamo, se così si può dire, a non sentire più il rumore delle chiacchiere al bar sotto casa, del rumore del treno che passa vicino quando dormiamo.
Diveniamo, in poche parole, indifferenti al caos.
Mantenendo fermo questo concetto possiamo iniziare a delineare il senso (e ancor di più i vari sensi) del silenzio in Massoneria, individuandolo come risveglio dall’abitudine all’indifferenza. Se ci soffermiamo a riconoscere ed affrontare in maniera analitica il caos,
possiamo riflettere su come fare per ordinarlo, con gli strumenti, di qui in avanti da noi inseparabili dell’esoterismo.
” Ordo ab chao” è un principio e una locuzione citata fin da subito il passaggio del profano alla Massoneria.
Un “Ordine” che ricopre più significati e tutti non possono fare a meno del riferimento al silenzio.
L’Ordine, nella Massoneria Operativa rappresenta di per sé un segno silenzioso. I così detti “segni d’ordine” si compiono in silenzio ed attestano I’appartetlenza ed il ruolo (inteso come grado) e cosi anche la garanzia della capacità di assolvere al lavoro del grado. Tutto è riconosciuto come “giusto e perfetto” quando è corretto lo scambio del segno: l’ordine.
Ma torniamo al senso dell’ordine quale fondamento interiore di apprendimento e conoscenza. Se l’ordine che cerchiamo in noi stessi e intorno a noi avviene necessariamente attraverso il silenzio, non dobbiamo accontentarci del senso di quiete, sia pur fondamentale, che esso infonde fin da subito quando veniamo iniziati. E’ pericoloso
adeguarsi ai silenzio passivamente così da non poterlo più riconoscere come simbolo che rappresenta un tramite, uno strumento, e scambiarlo per una finalità: il silenzio come fine di se stesso, in una accezione che porterebbe fuori strada, anzi a nessuna strada.
Il silenzio in Massoneria non può essere quello di Umberto Eco quando scrive: “non mi rimane che tacere” (ne “ll nome della Rosa”) che appare come un epilogo di rassegnazione di un tentativo di ” dire” non andato a buon fine. La rappresentazione di momento finale.
Mi convince di più il senso del silenzio per i benedettini: la ” taciturnità” che significa silenzio come obbedienza, umiliazione ma anche parlare solo là dove è utile e necessario; in un equilibrio tra tacere e dire. “Uno svuotamento di sé, per ritrovarsi più autentici di prima” diceva il Cardinal Martini (da Silenzi d’autore – Bice Mortara Garavelli).
Siamo tutti d’accordo nel definire la iniziazione come un momento di rinascita personale, un passaggio transeunte dallo stato di profano ad uno stato del tutto nuovo e sicuramente diverso. L’iniziato è caratterizzato per un nuovo modo di essere, di pensare e ugualmente
per la capacità di utilizzare strumenti nuovi e ignoti fino a quel momento. L’uomo, con e attraverso la Massoneria subisce una trasformazione che passa inevitabilmente dal silenzio. E’ tramite il silenzio che viene abbandonata la materialità profana per arrivare ad ottenere la spiritualità massonica, intesa come verità spirituale. E poiché la verità spirituale non è verità assoluta, il percorso massonico deve essere concepito come iniziativa personale non di abbandono al silenzio ma di attenzione al silenzio posto a base della nuova vita da perseguire con intuizione e immaginazione, che solo attraverso un incessante luogo e faticoso percorso conoscitivo, porteranno alla possibilità deduttiva, all’opportunità argomentativa, al conseguente riconoscimento della consapevolezza di una verità, all’esperienza. Quell’esperienza massonicamente mistica legata alla tradizione sia nel momento dell’apprendimento che della rivelazione così che può essere tramandata a coloro che silenziosamente sono disponibili ad apprenderla.
Ciò che caratterizza i nostri templi rispetto alla caoticità del mondo profano, è la convivenza del silenzio con le parole dell’esperienza, che non cessa quando queste si fanno avanti. Ciò accade perché il silenzio dell’apprendista è il silenzio di chi è solo nel sentire ma non isolato che non possa ascoltare. La attitudine e predisposizione all’ascolto in silenzio consentono alle parole di trasmettere meglio e più efficacemente l’esperienza, la conoscenza.
Per predisporre all’ascolto, il silenzio ha bisogno di spazio. Sia dello spazio interiore liberato dai sensi della percezione materiale (concetto che verrà ripreso più avanti) che possono confondere e condizionare irrimediabilmente l’apprendimento muratorio, sia dello spazio per così dire armonioso che ci circonda che si trova all’interno dei nostri templi come luoghi naturali di armonia in cui è possibile creare un vuoto rigenerativo.
In definitiva per riepilogare le interpretazioni che qui ci interessano riguardo al significato del silenzio, possiamo ritenere che il silenzio nella sua faccia introspettiva si presenta attivo, richiede iniziativa nella riflessione così da arrivare gradualmente a scoperte interiori, mentre nella faccia evolutiva che non meno importante ma ansi complementare, richiede disponibilità all’ascolto.
Al tempo stesso il silenzio predispone all’ascolto. Occorre imporsi che quando taluno parla lo si ascolta con umiltà, astenendosi dal sentimento di approvazione o disapprovazione, dall’esprimere un’opinione. Il non seguire e perseguire tali regole comporta l o svilimento
dell’apprendimento, influire negativamente sulla ricerca del senso delle parole mal ascoltate.
Talvolta anche i saggi dovrebbero esercitarsi nell’ascoltare i meno saggi e tacere dinanzi a loro affinché essi parlino e finché essi parlano. Ascoltare è sempre e comunque un esercizio di umiltà, tolleranza ed educazione sentimentale. Comportandosi in tal modo ne beneficia la nostra anima che entra in sintonia con quella di colui che parla, senza che nessuno prevarichi, in una visione per così dire altruistica
dell’apprendimento che passa dal dialogo senza soffermarsi alla discussione.
In questo modo, e per dirla alla Schopenhauer, si potrà giungere dalle arti materiali a quelle spirituali. Qui quello che convince è la differenziazione delle arti, emblemi di passaggio dal silenzio al suono.
Ciò che non convince è la gerarchia imposta dal filosofo.
Posto che il linguaggio dell’arte trova la sua massima efficacia nel silenzio, a beneficio delle nostre riflessioni si potrà ben proporre la distinzione tra l’architettura fondata su elementi estremamente materiali e la musica basata su elementi essenzialmente spirituali. E altrettanto fondatamente si potrà osservare come tra le due si possano inserire, in una mera ipotesi trascendente, la scultura, la pittura e la poesia in una sequenza che porta dalla materialità alla immaterialità.
A ben vedere anche l’arte spirituale per eccellenza, la musica per vedersi esaltata e compiuta, in una parola, rappresentata, ha bisogno del silenzio. La musica inizia dal silenzio, si manifesta proprio perché irrompe dal silenzio e in esso poi si ritira. La musica è scandita dal silenzio, ovvero si manifesta tra un silenzio e l’altro.
Ulteriormente in senso allegorico potremmo definire il silenzio come la carta bianca su cui ordinare le parole con f inchiostro nero. Se non ci fosse l’elemento depositario bianco non ci potrebbe essere l’elemento depositato nero. Inutile scrivere parole con f inchiostro nero sopra altre parole scritte con il medesimo inchiostro, risulterebbero incomprensibili.
Non si raggiungerebbe mai l’ordine o l’Ordine.
Detto questo, viene da domandarsi perché se percepiamo e concepiamo la Massoneria come crescita, evoluzione che dal silenzio porta alla parola e dal materiale porta allo spirituale attraverso il linguaggio del silenzio come strumento e non come fine, una volta affrontati i tempi e i gradi della massoneria azzurra con sacrificio e rigore, torniamo con il grado (di maestro segreto) al silenzio?
Arpocrate è il Dio del segreto e del silenzio. Negli antichi templi egizi all’ingresso spesso vi era raffigurato Arpocrate nell’attitudine di portare il dito alle labbra, il segno che nel Rito contraddistingue il Maestro Segreto.
I Maestri Segreti sono coloro che hanno la saggezza,la conoscenza: una conoscenza che deve essere custodita. E come si custodisce se non con il silenzio?
Ecco iI punto fondamentale. I segreti si custodiscono, naturalmente, con il silenzio.
Il tacere, in questo stadio non è ignoranza ma rappresentazione di una conoscenza per cosi dire confidata, appresa confidenzialmente.
Si potrebbe sostenere che il silenzio da simbolo iniziatico, diventa segno.
Già si è accennato ai segni d’ordine, quelli di riconoscimento e garanzia di conoscenza ma qui il segno materiale del dito portato alle labbra, oltre che al significato di conoscenza ha quello ulteriore di fiducia.
Con il raggiungimento del 4° Grado il Maestro diviene degno della fiducia e della confidenza, nel senso di rivelabilità dei segreti, degli altri Maestri.
Il Maestro del 4° Grado viene a conoscenza dei segreti che originano dalla tradizione, che a lui vengono tramandati in forza del grado e della conoscenza e che mai verranno traditi.
Per capire come si tramandino i segreti senza che vengano divulgati occorre ricorrere ancora una volta allo strumento del silenzio. Un silenzio che ancora una volta assume piu significati anche se diversi da quelli già scoperti per la Massoneria azzurra.
Il silenzio diviene veicolo di trapasso della conoscenza cui si unisce la custodia ma anche ostacolo insormontabile alla divulgazione ma anche alla protervia.
La protervia, l’arroganza nel manifestare la propria conoscenza assegnerebbe all’esperienza quel senso di prevaricazione nei confronti degli altri fratelli cosi da nuocere irrimediabilmente al rispetto dei principi ispiratori della Massoneria quali la tollerataza e l’uguaglianza ed anche all’evoluzione fraterna.
La divulgazione altrettanto dannosamente sminuirebbe il valore delle conoscenze spirituali segrete alle quali si arriva attraverso un percorso faticoso, pericoloso e non senza l’aiuto dei più esperti, che non possono essere sintetizzate in semplici parole. Davanti alle cose più alte, più significativamente spirituali bisogna stare in silenzio se ne vogliamo cogliere a pieno iI senso.
Scrive Erika Bianchi ne Il contrario delle lucertole: ” alla morte se non il silenzio occorre donare parole costose”.
Le parole costose sono quelle comprensibili a pochi, a coloro che hanno strumenti adeguati per capirle per carpirne il senso, il significato intimo.
Intimo qui da considerare nella sua accezione di profondo, segreto.
Verso gli altri, è meglio tacere.
Nonostante i diversi intendimenti, non si può negare, nel rispetto di una visione ciclica del tempo e quindi di percorso di ricerca della verità, che il silenzio identifica il 4o grado del rito scozzese e rappresenta un ritorno. La parola procede dal silenzio, l’esprime e in esso ritorna (L. Laville).
Certamente non è un ritorno involutivo, un letterale tornare indietro, al contrario rappresenta la chiusura evolutiva di un percorso conoscitivo, tendenzialmente non definitivo, che dopo aver percorso i gradi dell’apprendimento, progredito nella conoscenza raggiunta la consapevolezza di trovarsi di fronte a manifestazioni infinite della verità, si appresta a perfezionarsi attraverso l’etica e la morale.
Ma intanto si è chiuso un ciclo perfetto. Cercherei di non confondere i diversi e presumibilmente infiniti piani su cui il massone lavora e di rimanere su quello tracciato.
L’immaginazione quale simbolo iniziatico dal quale siamo partiti con l’ausilio del silenzio si è per così dire arricchita di strumenti e altri simboli consentendo un esame introspettivo continuamente sempre più approfondito anche se mai ultimato, fino ad apprendere i segreti della conoscenza da custodire silenziosamente.
Il concetto sopra espresso mi pare si possa ben rinvenire e sintetizzare nell’ Uomo Vitruviano di Leonardo, nella sua immagine simbolica perfetta per cui l’Uomo entra in sintonia altrettanto perfetta con la Terra e con l’Universo.
Ma ancora più chiaramente lo si riconosce nella Gioconda, nella sua perfezione di immagine che non è uomo e non è donna: o meglio non è più uomo né donna; cha a guardarla si percepisce, impercettibile, un movimento delle labbra che sembra essere la fine di un discorso, l’esaurirsi di una parola compiuta, che proprio perché compiutasi lascia
avvolgere nel silenzio, consapevole di aver dato vita ad un eco infinito che mai si spegne e che, miracolosamente, non fa rumore.
Riprendendo il discorso interpretativo, si può dire che con il grado di Maestro Segreto il silenzio assume un rilievo mistico nel senso di essere rivolto al mistero inteso, quest’ultimo, come culto del conoscere legato ad una esperienza personale di ricerca della verità da non svelare e anzi da proteggere.
D’altra parte questi sono i gradi morali in cui si affievolisce la razionalità che lascia sempre più spazio alla spiritualità e quindi alla sacralità intesa come fiducia e fede che poco possono essere spiegate con le parole. Il 4° Grado suppone, innanzi tutto, l’Obbedienza che non può che scaturire da un convincimento interiore di affrancamento dall’egocentrismo e quindi si caratterizza più per L’acquisizione di valori etici più che per l’esternazione della conoscenza acquisita.
In sostanza la fede o fiducia (qui da intendersi nel medesimo significato) propria del Maestro Segreto non è quella della teologia cristiana che indica quelle verità conoscibili nella forma ma non nell’essenza e accettate dall’uomo per fede; la fiducia (misteriosa) che ci riguarda ha valore di conoscenza intuitiva che nasce dai silenzio interiore, di matrice essenzialmente esoterica.
Siamo quindi arrivati al silenzio interiore. Un punto di relativo arrivo.
Una condizione ineffabile dell’ intima essenza del sentire: in una parola al nulla.
Un’antica storia cinese narra dell’impresa dell’Imperatore Giallo che mentre tornava dalle vette dei monti Kun-lun verso sud, perse la sua perla meravigliosa. Ordinò alla Religione di trovarla e non ottenne niente. Comandò alla Magia di ritrovarla ma invano. Si rivolse alla Potenza Suprema ma con il medesimo esito. Infine ordinò al Nulla di riportarla e il Nulla gliela rese. Che strano, il Nulla l’ha ritrovata!
Esclamò il Sovrano.
Bene la perla è l’anima con cui talvolta non siamo in sintonia e che allora abbiamo timore di perdere. La scienza,la religione, le leggi e talvolta le parole stesse che ci sembrano essere le nostre ferme convinzioni, possono oscurare l’anima (Ernesto Saquella). La salvezza e il ritrovamento della sintonia della nostra anima non sta all’esterno ma nella nostra intimità più profonda: nel nulla.
E’ questa una situazione in cui L’iniziato si sente in una posizione di sospensione in assenza di gravità; in un equilibrio cosmico liberato da forze centrifughe e centripete. Potremmo definirla una condizione autarchica della personalità dell‘individuo, così da rimanere nel silenzio di essere , che può esprimersi solo in sé e per sé (F. Pessoa).
La sensazione è quella di un’apnea perenne per cui se apri la bocca e respiri (o parli) perdi l’equilibrio e disperdi, con l’aria, la conoscenza accumulata.
Il silenzio ci consente di vedere spiritualmente, cercando di eliminare la confusione che ci viene indotta dalle nostre capacità sensoriali quando, ognuna per sé, ma contestualmente e frammentariamente, cerca istintivamente di interpretare i singoli fatti. E’ come se ogni singola capacità sensoriale, razionalmente educata tendesse ad attirare al proprio livello, che non è quello delle altre, la cognizione di un fatto, e così facendo non ne consentono la vera interpretazione che invece viene rivelata solo con il silenzio interiore che si identifica nel nulla ma che contestualmente diventa il Tutto. In una convivenza di opposti che solo l’arte muratoria sa concepire come apparente .
In definitiva non è altro che la spiegazione dell’unicità del tutto, l’Uno, il raggiungimento della consapevolezza della Luce.
Ho bisogno di silenzio (Alda Merini)
Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.
Ho bisogno di silenzio
esco e per strada le solite persone
che conoscono la mia parlantina
disorientate dal mio rapido buongiorno
chissà, forse pensano che ho fretta.
Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.
Gli amici veri, pochi, uno ?
sanno ascoltare anche il silenzio.
sanno aspettare, capire.
Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.
Silenzio (Kahlil Gibran)
Esiste qualcosa di più grande e più puro
rispetto a ciò che la bocca pronuncia.
Il silenzio illumina l’anima,
sussurra ai cuori e li unisce.
Il silenzio ci porta lontano da noi stessi,
ci fa veleggiare
nel firmamento dello spirito,
ci avvicina al cielo;
ci fa sentire che il corpo
è nulla più che una prigione,
e questo mondo è un luogo d’esilio.