SEPARARE CON MAESTRIA IL SOTTILE DALLO SPESSO

“SEPARARE CON MAESTRIA IL SOTTILE DALL

Un affascinante esercizio spirituale per il Maestro Libero Muratore

C. S.

<< Ed ecco l’anima apparve del vate Tiresia…del dolce ritorno tu vuoi sapere Ulisse…eppur, benché da sciagure colpiti, ad Itaca giungerai…ritorno farai su nave straniera alla patria e troverai nella casa sventura: superbi uomini che i tuoi beni divorano e insidiano con offerte di nozze la tua sposa divina. Ma di morte tu punirai la protervia…punito i Proci… prendi un remo spianato e migra al più presto di là, fin tanto che a genti tu giunga che ignorano il mare né si nutrono di cibi conditi col sale; che nulla sanno di navi coi fianchi purpurei né di remi lisciati…e un segno ti annunzio ben manifesto: quando un viandante ti chieda incontrandoti se un ventilabro è quello che porti su l’òmero, ficca subito in terra il remo spianato ed offri vittime belle al sovrano Posidone, un toro e un ariete e un verro aggressivo, prolifico…>>

(Omero, Odissea: Libro undicesimo)

La frase “ Separerai il sottile dal denso con grande maestria” è riportata nella quinta proposizione della Tavola di Smeraldo, attribuita a Ermete Trismegisto, il cui nome significa “ tre volte grande “ (In latino : Mercurius ter Maximus). Le sue opere e il suo pensiero sono ricordate durante l’elevazione a Compagno d’Arte. Egli è considerato un personaggio leggendario dell’età ellenistica, riportato dai maggiori filosofi dell’antichità da Platone a San Agostino. Anche nel Duomo di Santa Maria Assunta a Siena, risalente alla fine del 1200, c’è nel pavimento una tarsia marmorea raffigurante una scena, a valenza iniziatica, dove campeggia la figura di Ermete Trismegisto.  Egli è ritenuto l’autore del “Corpus Hermeticum” da cui deriva la corrente filosofica nota come ermetismo.  Il “separare il sottile dallo spesso”, secondo i filosofi ermetisti significa affinare la propria anima, spogliarla da ogni pregiudizio e perfezionare lo spirito. Secondo gli alchimisti significa trasformare i metalli, estraendo con il sale il mercurio e lo zolfo, e tramutarli in oro.

 

Il concetto della “separazione” è rappresentato nel Rito Scozzese Antico e Accettato dall’“Accampamento Templare del 32° grado”. Questo campo misterioso, cui s’ispira la Piramide Iniziatica dello Scozzesismo, è costituito da un’armata “silenziosa” di uomini – Liberi Muratori-, in “impaziente attesa” del momento più propizio per iniziare la battaglia …che inevitabilmente prima o poi accadrà… in “ trepidante attesa ” di passare dall’ “oscuro-tepore interno della tenda”, che ingannevolmente e teneramente sembra avvolgerli e proteggerli, al “desiderato caldo-gelo esterno della Volta Celeste”.  L’accampamento è la raffigurazione dell’anima umana in attesa di subire una metamorfosi, di catapultarsi oltre il tempo e lo spazio, di transitare – intuitivamente – da un piano materiale (fisico) a uno spirituale (metafisico), fino al raggiungimento della così detta “Coscienza Cosmica”. E’ la rappresentazione dell’Uomo, il Maestro Libero Muratore, che “ lotta ” con la propria coscienza, “potenziata” continuamente dal “Lavoro Massonico”. Questa “trasmutazione dell’anima” si ottiene sfruttando l’arma migliore posseduta dall’uomo, cioè la “volontà “. E’ questa  “straordinaria forza interiore” che ci permette di “separare con maestria il sottile dallo spesso.” Il “sottile” rappresenta lo “spirito o pneuma” mentre lo “spesso” rappresenta il “corpo o il soma”. E’ utile, in questo caso, la definizione della tripartizione paolina dell’uomo: in corpo –soma-, anima –psyche– e spirito –pneuma-. E’ il “viandante”, la rappresentazione allegorica dell’Uomo, del Maestro Libero Muratore che percorre, con un cammino senza fine, la sua “strada iniziatica-spirituale”; che pur rimanendo sempre il “medesimo” uomo, in realtà muta continuamente in un “altro”…come l’osservazione di un fiume interminabile… esso rimane sempre il “medesimo” fiume…sempre lo stesso…sempre uguale …che “passa e resta”…ma l’acqua, che scorre nel suo alveo, non è mai la stessa…è sempre diversa…sempre un’”altra”. A tal punto che è impossibile sapere dove si trova la sua anima… nello spazio e nel tempo della sua marcia perpetua. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges dice che la Sfinge chiedeva a tutti i viandanti: non “quale sia” l’animale che da piccolo cammina a quattro zampe, da grande con due e da vecchio con tre, ma “dove esso sia ” cioè dove fosse la posizione dell’uomo ( della sua anima), nello spazio e nel tempo; questo è il vero enigma della Sfinge.

Il concetto della “separazione del sottile dallo spesso”…del passaggio tramite l’intuizione dagli oggetti, dalle cose all’idea delle cose…domina anche nell’arte moderna, ad esempio basti pensare a quella riconducibile all’artista Marcel Duchamp (1887-1968). Si parla dell’“estetica del significato”, che vuol dire andare oltre la pura forma e soffermarsi solo sul significato dell’oggetto artistico rapportato allo spazio. Con la sapienza di un alchimista, il pittore moderno, preleva elementi veri dal loro ambiente abituale per rilocarli, al fine di defunzionalizzarli e dargli altre valenze metafisiche. L’artista dipinge il visibile, trasformando le cose, in parole, in significati nascosti, fino a risalire alla così detta “lingua anteriore a Babele”. La lingua degli uomini, antecedente a Babele, era una lingua unica, simbolica, comprensibile a tutti; fu Dio che la divisa in lingue diverse, in modo che gli “uomini tracotanti” costruttori della torre non potessero più comunicare tra loro, impedendo in tal modo di completare la costruzione. Anche Picasso, il padre del cubismo, utilizzava il metodo della “separazione del sottile dallo spesso”. Esemplare è la serie dei disegni del “toro”. Si passa dal primo disegno, che rappresenta in modo realistico/materialista il toro, di colore, scuro, massiccio, brutto, pesante, agli altri che sono sempre più geometrizzati, semplificati, umanizzati…e via via… il volume del toro si riduce, diventa sempre più magro, sempre più leggero …le linee della matita diventano sempre più sottili e minori di numero…fino ad un’ unica linea che comprende la testa, il corpo ed i genitali. Questa è la metamorfosi di un toro…solamente togliendo ciò che non serve, decostruendo, semplificando, separando, si raggiunge l’essenziale, la purezza, la spiritualità, l’Assoluto…ricevendo in cambio un’immediata e gioiosa emozione.

Il concetto della “separazione” lo ritroviamo anche nel mondo colorato dell’epica di Omero. Mi riferisco in particolare all’episodio, riportato nel libro undicesimo dell’Odissea, dove è predetto, dall’indovino Tiresia, il così detto “ultimo viaggio di Ulisse”. Tiresia, maestro della verità, indica a Odisseo (Ulisse) la via che dovrà percorrere nello spazio e nel tempo. Gli dice che, ritornerà a Itaca, terra dei suoi padri, ma solamente dopo molte difficoltà dovute all’ira di Poseidone (Nettuno), perché Ulisse aveva accecato suo figlio Polifemo. Dopo aver punito i Proci (Nobili di Itaca e dei territori vicini che aspiravano al suo trono, contendendosi la mano di Penelope, sua sposa) Ulisse ripartirà per il suo ultimo viaggio, portando un remo. “Volgendo le spalle al mare” si dirigerà verso una valle dell’entroterra, fino ad arrivare in un luogo dove le “genti” non conoscono il mare, né le navi con i fianchi purpurei, né i remi e non si nutrono di cibi conditi con il sale. Tiresia gli predice che quando un viandante gli chiederà se è un “ventìlabro”, quello che porta sull’omero …dovrà subito piantarlo in terra e offrire in sacrificio a Poseidone un toro, un ariete ed un verro aggressivo…poi Ulisse ritornerà in patria..dove gli giungerà la morte, consumato da mite vecchiaia.

Qual’è il significato di questo episodio? Credo che i punti chiave siano rappresentati dal mare, dal remo, dal paese senza sale e senza mare, e dal ventìlabro. Ulisse rappresenta l’allegoria dell’uomo, dell’anima umana, che passa, grazie a un percorso di purificazione e spogliazione progressiva, da un piano materiale (fisico: mare, remo, navi, colori purpurei, sale) a uno spirituale (metafisico: terra, paese senza mare e senza sale, ventìlabro). Porfirio (nato a Tiro in Fenicia nel 233 d.C.; si sposta da Atene – dove studia – a Roma per conoscere la grande città e ascoltare il celebre filosofo Plotino; morto in Sicilia intorno al 270 d.C.) approfondì le interpretazioni allegoriche dell’Odissea scrivendo un’opera dal titolo “La filosofia di Omero”. Egli considerava, infatti, Omero un autentico filosofo; maestro di Platone; un poeta ispirato che sotto la finzione letteraria nascondeva significati trascendenti. I miti omerici, diceva, offrono una visione dei misteri divini e si rivolgono a “anime iniziate” che intendono elevarsi al divino. Porfirio, considerava “Ulisse” il simbolo dell’anima umana che cerca il divino e il “mare” simbolo della materia. Nella dottrina platonica dei principi, il mare – la materia-, equivale al principio contrapposto all’Uno, cioè al principio della molteplicità, della disuguaglianza, dell’indeterminatezza e del disordine. L’anima umana, dopo essere caduta nella materia (simboleggiata dall’acqua, dal mare, dal remo) desidera tornare alla sua vera patria, all’Assoluto e per fare questo attraversa molte peripezie fino a passare a tutti gli stadi della ri-generazione, fino a ritornare tra coloro che sono “estranei ad ogni flutto ed inesperti del mare”. Pertanto la valenza di questa interpretazione allegorica è duplice: da un lato è filosofica (Ulisse simbolo dell’anima ed il mare simbolo della materia) e dall’altro è etico-religiosa (l’anima deve staccarsi dalla materia per tornare a Dio).

Affascinante, in questo episodio omerico, è anche la simbologia del “ventìlabro”. Esso non è altro che una pala di legno assomigliante a un remo, si differenzia da questo per la presenza di alzate laterali. Il ventìlabro (lavora con il vento) serve per impalare il frumento (pula e seme) e lanciarlo in aria facendoli fare un ampio arco – quasi sempre nelle ore pomeridiane quando Zefiro è più costante- . La “pula”, più leggera, è portata via dal vento, il “seme”, più pesante, cade a terra per poi essere raccolto. Il ventilabro, quindi, è sia strumento sia simbolo di “separazione” . Esso grazie al vento (simbolo dell’anima, potenziata dal continuo lavoro interiore e dalla forza di volontà) “…separa con grande maestria il sottile dallo spesso” … la pula (simbolo della materia, di tutto ciò che non è necessario) dal seme (simbolo divino, perché racchiude in sé il “grande mistero della natura”… il ciclo della vita, della morte e della rinascita.).

Il termine “Ventìlabro” è riportato anche nel Vangelo di Matteo ( Mt., 3,12) dove si parla della predicazione del Battista: << Egli ha in mano il ventìlabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile>>. Crisostomo (dottore della Chiesa Greca, nato ad Antiochia intorno al 348 d.C.) commenta questo versetto dicendo che il Battista ha in mano il ventilabro per incalzare il popolo giudaico che facilmente si rilassava e cadeva nella negligenza, presentandoli il castigo eterno: brucerà la pula con fuoco inestinguibile! Egli ammoniva il suo uditorio esortandolo a non essere pula ma rimanere grano; perché mentre il grano non viene intaccato dalla ruota dentata del carro, la pula invece viene calpestata da tutti.

 

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