La concezione del tempo per un libero muratore
L’ottimo imperatore Traiano, arrivato sulle sponde dell’Eufrate con le sue legioni, ebbe a dire: “fino ad ora ho sconfitto numerosi popoli ed eserciti, avrei voluto andare oltre, sulle orme di Alessandro, ma ho trovato un nemico contro il quale non ho scampo: il Tempo”. Meno di un anno dopo Traiano morì.
Anticamente il tempo era qualcosa di vago e di misterioso circondato da un’aurea di magia, ma ancora oggi non sappiamo come questo funzioni. La sua natura resta il mistero forse più grande. Strani fili lo legano agli altri misteri aperti: la natura della mente, l’origine dell’universo, i buchi neri, il funzionamento della vita. Una cosa è certa: non sappiamo quasi niente di lui, anzi, fisici e filosofi asseriscono che il tempo semplicemente “non esiste”.
Quindi da dove partire per parlare con voi del tempo? Proviamo ad aprire una finestra sul mondo di ieri e di oggi: la nostra vita è sempre di più regolata dallo scorrere veloce e continuo del tempo. Lo possiamo vivere, contare, sprecare e perfino trasformare in denaro, ma della sua natura non sappiamo niente e il tempo non è sempre per tutti uguale, tanto è vero che parliamo di tempo “che non passa mai” o del tempo che “ci sfugge”. Ed il tempo che abbiamo a disposizione può essere diverso da un essere vivente ad un altro. Per esempio c’è un piccolo insetto che vive solo poche ore, mentre alcuni animali vivono tranquillamente più di 100 anni.
Affacciandoci a quella finestra che dicevo prima, ci rendiamo conto di quanto il novecento sia stato il secolo che ha fatto della velocità prima un traguardo, poi un’ossessione. Ovviamente le premesse c’erano state da molto tempo prima con la rivoluzione industriale e lo sviluppo della tecnica. L’esaltazione della velocità arriva però nel momento in cui l’uomo occidentale realizza che “il tempo è denaro”.
L’automobile è stato il simbolo di un nuovo mito, quello di correre sempre di più, quasi ci si potesse allontanare in fretta dal passato e raggiungere più facilmente il futuro. Poi ci sono state le comunicazioni, i giornali, le Tv, il telefono, internet, i social ecc. Le notizie si sono diffuse sempre più velocemente, fino a raggiungere il così detto “tempo reale”. Gli scambi di informazioni o merci corrono oggi con e su strumenti sempre più sofisticati e sempre più veloci.
Sembra insomma che noi desideriamo (e facciamo di tutto perché sia così) che il tempo viaggi sempre più veloce. Questo ha due gravissimi effetti: il primo è che l’esperienza non rimane più. Il passato non ci insegna più niente, perché viene superato, diventa inutile. Prendiamo i vecchi, (come me per esempio) quelli che un tempo trasmettevano saggezza: oggi non hanno più nulla, o così crediamo, da insegnare. Chi di noi nonni non ha ricorso almeno una volta alle conoscenze dei figli o più ancora dei nipoti per risolvere un qualche problema al cellulare o al computer? A me succede abbastanza spesso e vi garantisco che un po’ mi dispiace, dato che vorrei che le parti fossero invertite.
Il secondo aspetto è che noi finiamo per non avere più immaginazione. Non possiamo, non ne siamo capaci. Semplicemente ci limitiamo ad osservare, lasciamo che accada. Non ce ne rendiamo conto ma è così. Non ce la sentiamo di azzardare una previsione. Viene meno la fantasia.
I cellulari ed ancor più i social si sono dimostrati deleteri. Hanno distolto dalla lettura di libri non solo un numero incredibile di adolescenti, ma anche tantissimi uomini e donne adulte. Si è disimparato a scrivere a mano e, ancor più grave, a dimenticare la nostra vera, bellissima, lingua italiana. Oggi non facciamo più caso agli errori grammaticali, anzi li giustifichiamo dicendo semplicemente che la frase era stata scritta troppo in fretta oppure che con il cellulare resta un po’ complicato correggere.
Noi ci diciamo che non abbiamo tempo per pensare troppo al tempo. Normalmente lo viviamo inconsapevolmente, identificandolo con le lancette dell’orologio o con l’agenda del telefonino. Poi, quando ci capita qualcosa che ci costringe a pensare (una malattia, la morte di una persona cara, la visita di un’opera d’arte, qualcosa capace di metterti in contatto con il divino) ci ritroviamo sperduti. Ma subito dopo ricominciamo a correre, a consumare il tempo, a riempirlo con mille affari utili, ma più spesso con cose inutili. Insomma, noi possiamo anche non occuparci del tempo, ma è certo che lui, prima o poi, si occuperà di noi. Invece di allungare la vita bisognerebbe allargarla. Il tempo senza emozioni è solo un orologio.
Nel suo “De brevitate vitae” Seneca sostiene che la vita appare breve solo a chi non ne sa afferrare la vera essenza, a chi si disperde in futili occupazioni. Di fronte alla massa di persone assediate da attività inutili, Seneca propone un modello diverso. Il Saggio che decide di dedicarsi all’Otium trova nella riflessione filosofica il metodo per recuperare la salute dello spirito e l’arricchimento intellettuale. Parla così il nostro Seneca:
“Molti rimangono impantanati a desiderare la bellezza altrui o a preoccuparsi per la propria. Ci sono quelli sempre scontenti della meta verso cui dirigersi, ma la morte li coglie di sorpresa. Cosa dobbiamo mettere sotto accusa? Il fatto che vivete come se doveste vivere in eterno e mai vi soccorre il pensiero della vostra fragilità, non vi rendete conto di quanto tempo sia già trascorso, lo scialacquate come se poteste attingere ad una sorgente colma e abbondante, mentre, intanto, può darsi che proprio quel giorno che viene regalato, sia l’ultimo. L’apprendistato della vita dura per tutta la vita e tutta la vita è un apprendistato della morte. Tanti grandi uomini, messe da parte tutte le distrazioni, dopo aver rinunciato alle ricchezze, agli obblighi sociali, ai piaceri, si spensero confessando di non aver ancora raggiunto tale conoscenza”.
E durante uno dei numerosi scambi epistolari tra lui ed il suo amico poeta Lucilio, il filosofo fa un’altra considerazione e chiede all’amico: “Lucilio, dammi un consiglio per farmi vivere più a lungo, insegnami come si fa ad allungare il tempo”.
La risposta è molto bella. Dice Lucilio a Seneca: “il tempo è davvero il bene più prezioso che abbiamo e non dovremmo affatto sprecarlo. Giorni fa si festeggiava il compleanno del banchiere Pomponio Sabino: compiva 90 anni. Io – dice Lucilio – nel fargli gli auguri, gli ho chiesto quanti sesterzi sarebbe stato disposto a pagare per tornare ai suoi 20 anni, e lui, con la massima serietà, mi ha risposto: “Tutto il denaro che ho per tornare ai miei 89”. Purtroppo non è possibile tornare indietro, seppure di un solo giorno. Non ci resta, allora, che evitare gli sprechi. L’unico modo che conosco, invece, per raddoppiare il tempo, potrebbe essere quello di partecipare alle gioie e ai dolori di un amico, in modo da vivere contemporaneamente la sua vita e la mia. Addio”
Sembra incredibile come un testo che risale alla metà del I secolo d.C. possa essere, ancora oggi, di estrema attualità ed importanza. È una verità che non si può contradire quella di Seneca, perché nemmeno l’uomo più ricco del mondo può fermare le lancette di un orologio; ad ognuno di noi, ogni giorno, viene “regalato” lo stesso ammontare di tempo, 1440 minuti, non uno in più, non uno in meno. Come spendiamo questo tempo è una nostra scelta.
Io stesso che mi interesso continuamente di storia antica e che resto affascinato da tutto ciò che fa parte di un passato il più possibile remoto, mi chiedo se, facendo questo, io cerchi di fermare in qualche modo il tempo, o addirittura tornare indietro di secoli. E concordo con la definizione che un giornalista ha dato della Storia: “La storia è come uno specchietto retrovisore: non è indispensabile per andare avanti, ma serve quando si fa manovra” e basterebbe riflettere sulle cause della caduta dell’Impero Romano per capire che dovremmo riflettere di più.
Carissimi Fratelli, è proprio perché non sappiamo utilizzare il tempo nel modo moralmente giusto che la vita ci sembra così breve. Tuttavia, noi che siamo degli iniziati, abbiamo il dovere di riflettere su tutto questo. Non dobbiamo perdere di vista quei valori che ci permettono di vivere tolleranti fraternamente. Non dobbiamo limitarci a “galleggiare”: siamo Massoni Scozzesi e dobbiamo dimostrare di essere protagonisti. Noi, in quanto iniziati, abbiamo assunto degli obblighi e degli impegni. Uno degli impegni principali è proprio la conoscenza delle nostre origini, che ci porta ad avere la consapevolezza di appartenere ad un Ordine che ha ed ha sempre avuto come unico scopo il miglioramento interiore individuale per partecipare al progresso dell’umanità.
E poi, se prendessimo più “tempo” per ascoltare i ritmi della natura o dell’universo intero, ci ritroveremmo più ricchi, quantomeno più riflessivi, più propensi all’ascolto degli altri, forse meno aggressivi; sapremmo apprezzare di più ciò che la natura e il mondo intero ci regala sistematicamente. Basti pensare alle infinite opere d’arte che chi ci ha preceduto ha voluto regalarci ma che, visto l’uso che ne facciamo, non ci meritiamo proprio. Uno scrigno pieno di regali disinteressati. Eppure basterebbe poco per nutrirsi del bello che ci circonda e che non aspetta altro che noi. Il nostro Fratello Claudio ha detto più volte che dobbiamo saperci emozionare, dovunque e senza vergogna. Io sono completamente d’accordo con lui e dico quindi che il nostro tempo dovrebbe essere fatto sempre di più di momenti pieni di emozione.
Insomma, Fratelli, la Massoneria e soprattutto il R.S.A.A. ci chiede di essere testimoni del nostro tempo: impariamo quindi a vedere il mondo con occhi diversi, cerchiamo di “sprecare” un po’ del nostro preziosissimo tempo per tentare di conoscere di più noi stessi. Cerchiamo di essere maestri di vita almeno per i nostri figli ed i nostri nipoti, facciamo in modo che essi attivino tutti i loro sensi verso la bellezza, che poi è pura felicità, è amore. E così potremo dire di vivere veramente e chiudere con un sorriso questo breve cerchio che è la vita.
APPENDICE
Nel passato si sono occupati del tempo filosofi, scienziati, religiosi, poeti, pittori ma anche la mitologia greco-romana ha molti racconti con i quali si riflette sul tempo, la sua fugacità o la ricerca del superamento delle sue barriere. Così troviamo Sisifo che imprigiona Tanathos, Orfeo che scende nell’Ade per riportare sulla terra Euridice ed anche molti altri, ma forse quello al quale mi sono più affezionato è il mito di Admeto ed Alcesti che, oltretutto, è una straordinaria storia di amore e di amicizia. Per chi non la conoscesse, la ripropongo in appendice.
Mario Lari 33° Aprile 2019
Le fonti:
- Carlo Rovelli: L’ordine del tempo – Adelphi
- Armando Torno: La truffa del tempo – Mondadori
- Remo Bodei: La scacchiera della memoria – Laterza
- Luciano de Crescenzo: Il tempo e la felicità – Mondadori
- Robert Graves: I miti greci – Longanesi
- Euripide: Tutte le tragedie – Rusconi
- Seneca: De brevitate vitae – Mondadori
- Seneca: lettere a Lucilio – Mondadori
Euripide: Admeto ed Alcesti
Nella reggia del re di Iolco, in Tessaglia, si radunarono i pretendenti per Alcesti, la bella figlia del re. Tra questi c’era Admeto, re di Fere, che appena vide la fanciulla, così bella, capì di essere disposto a tutto pur di averla. Il padre disse che avrebbe concesso la mano di sua figlia a colui che avrebbe guidato un carro trainato da un leone e un cinghiale. Un’impresa assai ardua perché i due animali messi a contatto si sarebbero azzuffati. Ma il re voleva per la figlia un uomo eccezionale. Davanti a questa prova Admeto si scoraggiò e tornato a casa si confidò con l’anziano padre che, dopo avergli ribadito che lui era la luce dei suoi occhi e che per lui si sarebbe buttato nel fuoco per l’immenso bene che gli voleva, gli consigliò di fare affidamento sul dio Apollo che era ospite nel loro regno come punizione per aver ucciso un ciclope, e quindi bandito dal regno degli dei.
Apollo, che era diventato buon amico di Admeto per la sua grande generosità e fedeltà, ascoltò il suo problema e lo rassicurò che lo avrebbe aiutato, bastava che si procurasse un leone e un cinghiale. Il giorno fissato per la prova Admeto si presentò coi suoi animali e grazie al dio Apollo fu l’unico che riuscì a domare le due bestie e chiedere la mano della bella Alcesti e pochi giorni dopo furono celebrate le nozze.
Il dio Apollo fece ritorno sull’olimpo e per ringraziare ancora l’amico sincero, decise di fargli un dono; andò dalle Moire, coloro che hanno in mano la vita dei mortali, e dopo averle fatte ubriacare si fece promettere che quando fosse arrivato il momento di morire, Admeto si sarebbe potuto salvare se qualcuno fosse morto al suo posto pronunciando la frase “Muoio al posto di Admeto!”.
Passati alcuni mesi Thanatos, il dio della morte, si presentò da Admeto..
-E’ giunta la tua ora, le Moire ti concedono una giornata per trovare il tuo sostituto-.
Admeto andò dal padre, gli raccontò l’accaduto. Il padre restò indifferente e neanche il ricordo delle sue amorevoli parole dette al figlio qualche tempo prima lo impietosirono perché non era giunta la sua ora. Admeto si rivolse alla madre che, come il marito, non volle saperne e gli consigliò di ordinare a qualcuno dei suoi sudditi di morire al suo posto, ma quello doveva essere un gesto spontaneo per avere valore. Si recò su un campo di battaglia dove avrebbe trovato dei feriti che forse si sarebbero sacrificati per lui. Sul campo trovò molti morti e quando trovò un ferito, questi morì tra le braccia del re prima di aver capito quale frase pronunciare. Tornato a palazzo ormai verso sera si rassegnò al suo destino. Andò dalla moglie per salutarla per l’ultima volta ma questa stava già pronunciando la frase:
- Muoio al posto di Admeto.-
La rappresentazione che Euripide ci dà degli ultimi momenti di Alcesti ha toni commoventi e tocca il suo vertice quando la donna, dopo aver pregato gli dei, dà l’addio al letto nuziale, simbolo di una vita in comune che ora, bruscamente, verrà spezzata. Non riesce a trattenere la commozione e scoppia in lacrime: la sua morte – ella dice – è l’estrema testimonianza del suo amore per lo sposo; nessun’altra donna saprà essergli altrettanto fedele. Le ultime preoccupazioni sono per i figli: Admeto non dovrà contrarre nuove nozze, per evitare che essi debbano sottostare a una matrigna che non li ama. Poi Alcesti muore. Admeto si rade il capo in segno di lutto profondo e bandisce per sempre dal palazzo feste, banchetti e musica. Ma il giorno seguente arriva a palazzo l’amico Ercole e Admeto, pur di non venir meno ai suoi obblighi di ospitalità, tiene segreto il suo lutto: accoglie l’eroe e ordina che gli si prepari un abbondante pasto. Rimasto solo, Ercole banchetta e si abbandona a sonori schiamazzi, ma a un certo punto nota l’aria afflitta dello schiavo che lo sta servendo e da lui apprende che Alcesti è morta. L’eroe prova vergogna per il suo comportamento e vuole dare ad Admeto un segno tangibile della sua amicizia: farà di tutto per strappare Alcesti a Thanatos e restituirla al marito.
Dopo che Ercole si è allontanato, fa ritorno Admeto, reduce dal funerale. È un uomo distrutto: ora che Alcesti è morta, nessuno più gli verrà incontro salutandolo affettuosamente al suo rientro in casa; tutto gli sembrerà vuoto; intorno a lui ci sarà solo il pianto dei figli; ed egli avrà fama di vile, avendo permesso che sua moglie morisse al suo posto.
Ma ecco ricomparire Ercole che, dopo aver rimproverato Admeto per non avergli detto subito la verità, gli mostra la donna che ha con sé, il cui volto è coperto da un velo: è una schiava ‒ così egli dice ‒ vinta come premio in una gara, e vorrebbe che il re la tenesse con sé fino al ritorno dalla ‘fatica’ cui sta per accingersi. Admeto prega però Ercole di affidare la donna ad altri: la sua presenza, infatti, gli ricorderebbe quella di Alcesti, cui la fanciulla assomiglia in tutto, e ciò aumenterebbe il suo dolore; né egli potrebbe portarsela nel suo letto, perché verrebbe meno al giuramento fatto alla moglie. Ma Ercole insiste ed infine, dopo molti rifiuti, Admeto acconsente a portarla a casa. A questo punto Ercole toglie il velo alla fanciulla, che, con grande sorpresa di Admeto, si rivela essere proprio Alcesti: l’eroe, appostatosi presso la sua tomba, dopo una dura lotta è riuscito a strapparla a Thanatos che era venuto a bere il sangue delle vittime sacrificali. Restituita al marito, Alcesti potrà continuare a vivere felice con lui.