Articolo di Iakov Levi
(Parte prima)
7 maggio 2002
È ormai più di un secolo che la storia di Pinocchio affascina adulti e bambini. Questa fiaba commovente ha ormai superato l’esame del tempo. Ma perché la troviamo così commovente? Cosa ci sta raccontando tra le righe che ci penetra senza passare per la coscienza?
Un bambino che nasce. Ma non è un bambino ma un burattino. E non nasce da una mamma, come tutti i bambini, ma da un ceppo di legno. Dov’è la mamma? Come può un bambino nascere senza una mamma? E nasce già grandicello, all’età giusta per andare a scuola. Tutti gli stadi più importanti dello sviluppo umano sono saltati. Pinocchio non ha provato il calore dell’utero materno, non è stato allattato, accudito, accarezzato, baciato. Non ha teso le manine verso l’agognato volto femminile, e non c’era un sorriso materno che incontrasse le sue prime moine. Era un pezzo di legno impacciato che aveva bisogno di amore materno per emergere dalla materia grezza e sentirsi vivo. E la prima cosa che fa, appena nato, è fare i dispetti e dire le bugie. Un bambino che riceve l’affetto di cui ha bisogno non dice le bugie. Le bugie si dicono per sostituire una realtà inaccettabile con una fantasticata. La realtà inaccettabile era che Pinocchio non aveva una mamma. Ma è vero? È questa la vera storia, o la fiaba ci nasconde qualcosa, una realtà esistenziale su cui è stato fatto calare il sipario della rimozione. Come nel mito biblico, dopo alcune battute d’apertura, la scena si apre su un Dio padre che si china sulla terra per forgiare con le sue mani di deus faber il primo uomo dalla materia prima, così la storia di Pinocchio comincia con un padre che si china su un ceppo di legno, la materia prima, per creare suo figlio. Dopotutto anche il padre di un altro Figlio era stato un falegname.
Appena Pinocchio comincia a muoversi e a dire le bugie, gli cresce il naso, ovvero ha un’erezione. Gli imperatori bizantini, quando volevano escludere qualche parente dalla possibilità di salire al trono gli tagliavano il naso in quella che è un’evirazione simbolica. In questa maniera lo escludevano definitivamente dai potenziali concorrenti. Con le parole di Abraham: “In talune donne nevrotiche il naso assume il significato di un surrogato genitale maschile 1.
Che strana storia! Un bambino appena nato, che non è un bambino, ma un burattino, nato da un ceppo di legno per mano di un padre falegname e che ha subito delle erezioni. E non si comporta affatto bene, fa le bizze e va ammonito e sgridato continuamente.
Dove troviamo nella vita reale, bambini appena nati, senza una mamma, fatti (ovvero nati) da un padre, che sono quasi adolescenti, che hanno continue erezioni e che sono ammoniti, sgridati e puniti continuamente? In un posto solo: nel campo dei giovani novizi nel fitto della foresta. Con le parole di Reik, che ha analizzato per esteso i contenuti mentali dei riti della pubertà:
La proibizione più importante cui debbono sottostare durante questo periodo è quella che vieta loro il commercio con donne…Se essi lasciano le capanne per breve tempo, devono coprirsi il viso nel caso dovessero vedere ragazze e donne, e in modo particolare non devono vedere la madre2.
Infatti nella storia di Pinocchio la madre non c’è, la può solo fantasticare nell’immagine della Fata turchina, che appare e scompare evanescente, come in un sogno. Non solo, ma durante questi riti viene raccontato alle madri e alle sorelle che il mostro si è mangiato i loro figli e fratelli. Come Sara era morta per il dolore mentre Isacco passava il suo rito iniziatico sulla montagna, così la madre di Pinocchio, condensata nella fiaba con quella della sorella, muore per il dolore per la morte del figlio – fratello.
Allora ebbe una specie di tristo presentimento e datosi a correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovò in pochi minuti sul prato, dove sorgeva una volta la Casina bianca. Ma la Casina bianca non c’era più. C’era, invece, una piccola pietra di marmo sulla quale si leggevano in carattere stampatello queste dolorose parole:
QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
MORTA DI DOLORE
PER ESSERE STATA ABBANDONATA
DAL SUO
FRATELLINO PINOCCHIO
Come rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra e coprendo di mille baci quel marmo mortuario, dette in un grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre, sebbene negli occhi non avesse più lacrime: e le sue grida e i suoi lamenti erano così strazianti e acuti, che tutte le colline all’intorno ne ripetevano l’eco. E piangendo diceva: O Fatina mia, perché sei morta? (Cap.XXIII).
La fiaba di Pinocchio non è l’unica che ci parla di una saga iniziatica in cui muore la sorella, invece, o come condensazione con la madre. Infatti anche ne “ I dodici fratelli” dei Fratelli Grimm è la sorella che rimane muta (= morta) per sette anni affinché i fratelli possano resuscitare. Anche in “I sei cigni” la sorella è quella che si adopera per per far resuscitare i fratelli. Pianta la madre – sorella, Pinocchio deve tornare alla sue fatiche insieme ai padri e ai fratelli: Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli turchini: poi trova un Colombo che lo porta sulla riva del mare, e lì si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto (XXIII).
Si getta in mare, ovvero si riappresta a morire e a rinascere, questa volta dal padre invece che dalla madre. Anche il Colombo è equivalente al simbolo del genitale che appare nello stesso contesto di riti d’iniziazione puberale, come nel mito biblico di Noè che manda la colomba dall’Arca per vedere se sia già stato perdonato dal Padre. Ugualmente lo stesso elemento uccello = genitale = rito iniziatico (circoncisione) = rinascita, appare nelle fiabe “Il brutto anatroccolo” e “I sette corvi”.
Reik descrive gli ammonimenti e le minacce dei padri ai giovani novizi: “Se sentiamo dire che seguite ragazze e donne, vi getteremo nel fuoco” 3.
E il Collodi:
Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in cucina, dov’egli s’era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente infilato nello spiedo. E perché gli mancavano la legna per finirlo di cuocere e di rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro: Portatemi di qua quel burattino che troverete attaccato al chiodo un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che, a buttarlo sul fuoco, mi darà una bellissima fiammata all’arrosto. Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da un’occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo poco tornarono in cucina, portando sulle braccia il povero Pinocchio, il quale, divincolandosi come un’anguilla fuori dell’acqua, strillava disperatamente: Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, non voglio morire!…(X)
Arlecchino e Pulcinella rappresentano, insieme a Pinocchio, il gruppo dei novizi che durante il rito diventano fratelli di sangue. Infatti nel capitolo seguente Mangiafoco starnutisce e perdona Pinocchio, il quale poi difende dalla morte, a rischio della propria vita, il suo amico Arlecchino che a sua volta rischiava di finire nel fuoco al posto suo (XI). Si crea una solidarietà di gruppo basata sui terrori e le esperienze comuni. I giovani iniziati insieme saranno un corpo solo per tutta la vita 4.
Reik continua:
Il più importante risultato dell’istruzione ricevuta nella foresta è il mutato atteggiamento del giovane verso gli uomini della tribù. S’insegna al giovane che non deve più altercare con uomini; e che, se suo padre lo rimbrotta, egli non deve opporsi…Nella tribù dei Luritcha s’insegna gravemente al tatata (giovane circonciso): “Tu devi essere obbediente come noi lo siamo, tu devi comportarti come noi ci comportiamo. Noi siamo molto proclivi alla collera, quando un giovane circonciso non ci obbedisce, noi lo uccidiamo. Se tu vuoi vivere, comportati bene, altrimenti ti gettiamo nel fuoco” 5.
E il Collodi:
“Davvero,–disse fra sé il burattino rimettendosi in viaggio,–come siamo disgraziati noialtri poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti ci dànno consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri: tutti: anche i Grilli-parlanti.” Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini (XIV).
Gli assassini inseguono Pinocchio; e, dopo averlo raggiunto lo impiccano a un ramo della Quercia grande(XV).
I riti d’iniziazione puberale vengono eseguiti nelle tribù selvagge di tutti i continenti dalle Americhe, all’Africa e all’Australia e, malgrado divergano nei dettagli, come l’età degli iniziandi che può variare lungo tutto il periodo di latenza, hanno tutte i seguenti elementi comuni: 1) I giovani vengono rapiti dai padri e portati via alle donne. 2) Vengono portati in un posto che simboleggia il ventre materno, come una caverna o una capanna o un grande padiglione, che però viene chiamato il ventre del mostro (Il Balum, o spirito, in Australia), dove rimangono per svariati periodi di tempo. Alle donne viene raccontato che i giovani sono stati divorati dal mostro. 3) Viene inflitta loro la circoncisione o una mutilazione equivalente, come l’estrazione di un dente. Contemporaneamente vengono minacciati di morte e maltrattati. 4) Il mostro acconsente a vomitarli e a restituirli alle donne, in cambio di una certa quantità di maiali (nella saga biblica fu sacrificato un ariete, invece di un maiale, al posto di Isacco). Gli iniziati tornano all’accampamento e fanno finta di essere appena nati e di dover imparare tutto di nuovo, perfino come mangiare e camminare.
La circoncisione, estrazione del dente o un mutilazione equivalente corrisponde per Pinocchio ai piedi che gli bruciano. Il burattino non può più camminare e il padre deve rifarglieli (VII), e nella sua ripetizione nei “Picchi, i quali, posatisi tutti sul naso di Pinocchio, cominciarono a beccarglielo tanto e poi tanto, che in pochi minuti quel naso enorme e spropositato si trovò ridotto alla sua grandezza naturale” (XVIII).
Mangiafuoco è il mostro balum, infatti il suo nome condensa il mangiare di balum con la minaccia degli adulti di gettare nel fuoco i novizi. Quando starnutisce (= vomita) è segno che rinuncia a un bambino per divorarne un altro:
Il burattinaio Mangiafoco che (questo era il suo nome) pareva un uomo spaventoso, non dico di no, specie con quella sua barbaccia nera che, a uso grembiale, gli copriva tutto il petto e tutte le gambe; ma nel fondo poi non era un cattiv’uomo. Prova ne sia che quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, che si dibatteva per ogni verso, urlando “Non voglio morire, non voglio morire!” principiò subito a commuoversi e a impietosirsi e, dopo aver resistito un bel pezzo, alla fine non ne poté più, e lasciò andare un sonorissimo starnuto. A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso, e chinatosi verso Pinocchio, gli bisbigliò sottovoce: Buone nuove, fratello. Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno che s’è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo…. Perché bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini, quando si sentono impietositi per qualcuno, o piangono o per lo meno fanno finta di rasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s’inteneriva davvero, aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore (XI)
Ma subito dopo richiede Arlecchino al posto di Pinocchio, che Arlecchino aveva chiamato “fratello”: “piliatemi quell’Arlecchino lì, legatelo ben bene, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito ben bene”
Anche qui appare il montone della saga biblica nello stesso contesto. Gli Australiani offrivano invece maiali al mostro.
La solidarietà di sangue tra i novizi e l’atto eroico richiesto appaiono subito dopo:
-Vi domando grazia per il povero Arlecchino!… Qui non c’è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perché io voglio che il mio montone sia arrostito bene. In questo caso,–gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando via il suo berretto di midolla di pane,–in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me!…
Al che tutti si commuovono e il mostro risparmia i giovani (XI).
Non dobbiamo meravigliarci se Pinocchio era ogni volta sgridato, ammonito, punito e si mostrava sempre contrito e pentito solo per ricadere nuovamente in nuove bugie e nuove erezioni. Quest’ultime erano invero la ragione di tante minacce e tanti ammonimenti.
Reik spiega: “Ai giovani cui vengono impartite le leggi e il codice morale della tribù che essi dovranno osservare è consentito un ultimo sfogo. In Australia i ragazzi gettano fango contro chiunque incontrano” 6.
E il Collodi: “Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e, accesi i lumi e i lampadari come in serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare. Era l’alba e ballavano sempre” (XI).
Reik:
Presso i Janude nel Camerun i giovani che devono venire iniziati distruggono tutto ciò che cade loro nelle mani e nel Darfur rubano i polli. I ragazzi che sovente sono guidati dai loro maestri, attaccano nottetempo gli abitanti del loro villaggio e li depredano. I giovani circoncisi attaccano voracemente le stalle di padri, rubano il bestiame, e bistrattano chiunque si opponga. I giovani durante questo periodo hanno il diritto di rubare e di compiere altri atti di violenza (vedi nota 5).
Nella storia di Pinocchio avviene un’inversione della stessa scena e Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a far da can da guardia a un pollaio (XXI).
I riti d’iniziazione puberale, che nella nostra preistoria erano universali e hanno lasciato tracce inconsce indelebili che emergono nelle fiabe e nei miti, si svolgevano come nella fiaba di Pinocchio: i giovani venivano rapiti alle madri, alle quali si diceva che il mostro li voleva in sacrifizio, venivano portati nella foresta e tenuti lì per mesi, dove dovevano dimenticarsi di avere mai avuto una madre, s’insegnava loro la legge del clan attraverso torture ed ammonimenti per indurli a rimuovere le pulsioni incestuose e parricide, e rinascevano dai padri, come nel mito biblico e come nella fiaba, dove la figura materna è rimossa e cancellata, ed è il padre che crea l’uomo: Jahvé il vasaio e Geppetto il falegname. Il naso di Pinocchio smetterà di crescere solo quando, al termine del rito iniziatico, avrà rimosso le sue pulsioni incestuose. Solo allora diventerà un bambino vero, ovvero un iniziato riuscito.
Quanto aveva voluto Pinocchio, durante i lunghi mesi di attesa nella foresta diventare un bambino vero, cioè superare il rito! E soprattutto aveva nostalgia della madre, per questo faceva le bizze, e più aveva nostalgia della mamma, più diceva le bugie e il suo “naso” cresceva. Per questo ci commuove, era ancora un bambino e già era obbligato a diventare adulto, a dimenticarsi della mamma e a ubbidire al padre falegname. Tutti gli elementi del rito appaiono nella fiaba. L’allontanamento dalle madri e dalle sorelle. I libri di scuola che Pinocchio vende per i suoi divertimenti, ovvero gli insegnamenti dei padri che cerca di rifiutare. Le minacce di morte e le torture. La solidarietà reciproca tra i novizi terrorizzati. La circoncisione. La morte e rinascita che sono ripetute, poiché: “l’importanza e la portata di un processo sono espressi per mezzo della ripetizione [come nei sogni]” 7.
Ci sono nella fiaba anche elementi che passarono ai miti dei popoli dopo che questi riti erano già stati superati, e le cui tracce emersero nelle imprese degli Eroi. L’incontro di Pinocchio con il serpente, il mostro fallico femminile che gli eroi arcaici dovevano esorcizzare, come Mosè, Orfeo, Ercole, Perseo, l’Apollo di Ovidio e fino a San Giorgio e Tamino del Flauto Magico:
Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo più!… Si contenta dunque che io seguiti per la mia strada? Aspettò un segno di risposta a quella dimanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irrigidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare. Che sia morto davvero?…—disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran contentezza: e senza mettere tempo in mezzo, fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizzò all’improvviso, come una molla scattata: e il burattino, nel tirarsi indietro, spaventato, inciampò e cadde per terra. E per l’appunto cadde così male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.(XX)
Lo stesso fango della Madre Terra, da cui era emerso il Pitone che Apollo, il dio iniziatico, era stato costretto a trafiggere con mille frecce (Metamorfosi, I, 435-445).
Il viaggio sembra interminabile: Pinocchio arriva all’isola delle Api industriose e ritrova la Fata. (XXIV) come Ulisse aveva “ritrovato” la donna in Circe, Nausica e Calipso approdando alle loro isole, solo per perderla di nuovo.
Gran combattimento fra Pinocchio e i suoi compagni: uno dé quali essendo rimasto ferito, Pinocchio viene arrestato dai carabinieri (XXVII).
L’apice del rito è la rinascita, e la piena identificazione con i padri torturatori
Con le parole di Reik: “Riconosciamo in tutti questi riti la forte tendenza a distaccare i giovani dalle madri, a incatenarli più fermamente alla comunità degli uomini e a sanzionare più strettamente l’unione fra padre e figlio che era stata allentata dall’inconscia tendenza incestuosa del giovane” 8.
Pinocchio, gettato in mare, è mangiato dai pesci ritorna ed esser un burattino come prima ; ma mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile Pesce-cane (XXXIV) [ripetizione di Mangiafuoco]…E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d’acqua grassa e sdrucciolona, e quell’acqua sapeva di un odore così acuto di pesce fritto che gli pareva di essere a mezza quaresima. E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato… che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata 9…A quella vista il povero Pinocchio ebbe un’allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un’ette non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare: Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più! –Dunque gli occhi mi dicono il vero?–replicò il vecchietto stropicciandosi gli occhi,–Dunque tu sé proprio il mì caro Pinocchio? –Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete digià perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!… [ e qui Pinocchio riassume a Geppetto tutte le sue peripezie, come se il padre non le conoscesse fin troppo bene!]…- Allora, babbino mio,–disse Pinocchio,–non c’è tempo da perdere. Bisogna pensar subito a fuggire… -A fuggire?… e come? –Scappando dalla bocca del Pesce-cane e gettandosi a nuoto in mare. –Tu parli bene: ma io, caro Pinocchio, non so nuotare. –E che importa?… Voi mi monterete a cavalluccio sulle spalle e io, che sono un buon nuotatore vi porterò sano e salvo fino alla spiaggia (XXXVI).
La scena di Pinocchio e Geppetto, insieme, profondamente nel ventre del Pesce – Cane, con una fiammella sul tavolo di Geppetto, è equivalente a quella descritta da Platone nella parabola della caverna (Rep., VII). Anche lì i giovani novizi nella caverna = ventre materno, che nel nostro caso è diventato quello paterno, stanno aspettando di mettersi a correre verso la luce, ovvero di rinascere.
Come Enea aveva salvato il padre Anchise portandolo sulle spalle nella sua di impresa iniziatica, così Pinocchio prende in spalla il padre ed entrambi, insieme, vengono vomitati dal ventre del pescecane, il balum delle tribù australiane e, dopo una lunga nuotata, padre e figlio emergono dalle acque, ovvero rinascono insieme, ripetizione dell’espulsione peristaltica dal ventre del pescecane, per tornare in simbiosi al villaggio natio.
I riti iniziatici puberali, che nella preistoria dell’umanità erano universali, non vengono da tempo più eseguiti nelle società civili, ma le tensioni che ne avevano generato il bisogno continuano a persistere e hanno trovato sfogo nella fiaba di Pinocchio. L’autenticità e quindi la bellezza di questa fiaba deriva dal tessuto della descrizione di eventi reali celati dietro il sipario di un’esposizione fantastica dalla bocca di un bambino che ci parla del dramma delle tensioni del periodo di latenza e puberali. Abbiamo trovato il motivo per il quale la fiaba di Pinocchio continua a commuoverci, poiché è la storia della riconciliazione tra padri e figli e, come tale, è una storia vera.
I riti della pubertà e l’orda freudiana
Abbiamo visto come gli arcaici riti della pubertà che furono eseguiti nella nostra preistoria per decine di migliaia di anni abbiano trovato espressione, attraverso il veicolo filogenetico, nella fiaba di Pinocchio. Non possiamo immaginare, infatti, per quale altra via possano essere giunti fino a uno scrittore del XIX secolo, che niente sapeva di questi riti, che vengono eseguiti ancora oggi dai selvaggi dell’Africa, America, Asia e Australia, descritti da Frazer, Atkinson, Robertson Smith e decodificati da Reik.
La fiaba di Pinocchio ci aiuta a mettere in luce anche un altro aspetto di questi riti.
Quando i giovani venivano rapiti dai padri, separati dalle madri e dalle sorelle, costretti a vivere tra di loro in isolamento e in piccoli gruppi 10, in astinenza e sotto la costante minaccia di evirazione imposta dai padri, si ricostituiva così anche l’habitat psicologico che aveva caratterizzato l’orda primitiva, descritta da Freud.
L’ambiente mentale dei piccoli gruppi di novizi era, dunque, una ripetizione di quello dell’orda primigenia, e anche i contenuti mentali che avevano caratterizzato quest’ultima venivano, così, reattivati.
Ed ecco il nesso tra il Figliol Prodigo, il più giovane dei figli, che torna a casa per uccidere il padre sotto delega dei fratelli (come nell’orda primigenia) 11, e che alla fine si riconcilia con lui (come nei riti della pubertà iniziatici).
I riti della pubertà avevano dunque lo scopo di ricostituire l’evento primario, ma nello stesso tempo anche di farne l’undoing, cambiandone l’esito finale: non più parricidio ma bensì riconciliazione.
Ecco il nesso tra il Figliol Prodigo, che aveva sperperato il patrimonio paterno con prostitute (Luca 15,30), e quello che ci dice Freud a proposito dell’orda primigenia, citando Atkinson: “…una banda giovanile di fratelli che vivevano insieme in celibato forzato, o al massimo in relazione poliandrica con qualche singola femmina in stato di cattività” 12.
Il nesso tra patrimonio e forza virile è stato stabilito da Abraham 13, raccontandoci di una sua paziente che aveva sognato che il padre avesse perso il suo patrimonio e una gamba, e che aveva interpretato come un desiderio di evirazione diretto verso il padre. Secondo Abraham il patrimonio e la gamba sono una ripetizione dello stesso concetto.
A mio parere, malgrado entrambi siano simboli fallici, la gamba sta più per il pene stesso e il patrimonio sta per sperma o forza virile.
Siamo infatti soliti associare il denaro (patrimonio) con “liquidità”. Di qualcuno che ha denaro a disposizione diciamo che “dispone di liquidità”. Questa è naturalmente associata anche a urina e enuresi. Tuttavia non vi è contraddizione alcuna, poichè l’associazione tra sperma e urina è stata confermata da Abraham stesso nel suo lavoro sulla ejaculatio praecox, in cui spiega come urina e sperma, nella eiaculazione prematura, siano concetti equivalenti 13b.
Il piede, invece, si associa a qualcosa di duro e rigido, e si adatta a rappresentare il pene stesso. Pinocchio perde i piedi ed è Geppetto che deve rifarglieli. I piedi – pene sono pars pro toto, in quanto il bambino si identifica con il proprio pene, come se questo fosse il suo intero corpo, e non solo una parte di sé. I piedi – pene bruciano ed è il padre che li rifà, ovvero Pinocchio muore ed è dinuovo il padre che lo ricrea. La storia ci racconta della percezione infantile di dovere il pene = vita al padre. Il concetto di dovere la vita al padre è il nucleo di tutte le religioni monoteiste e queste risucchiano invero dagli arcaici riti della pubertà, dove i figli vengono fatti rinascere dal padre, il quale, allo stesso tempo, con il suo intervento ripristina la completezza del genitale che era stata compromessa dall’evirazione simbolica che era stata parte del rito puberale. Ovvero, solo identificandosi con il padre e rinascendo da lui, il figlio riceve la legittimazione ad avere un pene completo e di avere accesso ai rapporti eterosessuali. Vita, pene, sperma e virilità sono dunque il feudo assoluto del padre.
A questo concetto si riallaccia quello della Santa Trinità, dove il Figlio, completato il proprio rito puberale iniziatico attraverso la Crocifissione, sale in cielo a ricongiungersi e ad identificarsi con il Padre, e così si ripristina la completezza del genitale, che era stata turbata dal peccato originale di evirazione e cannibalismo dell’orda primitiva sul corpo del Padre. Durante il rito iniziatico i padri, evirati e cannibalizzati, erano diventati gli eviratori e i divoratori (il Balum). La legge del taglione aveva avuto la sua. Adesso padre e figlio erano “pari”. Finalmente può avvenire la riconciliazione. Il figlio si siede dextera patris, la Trinità = completezza del genitale viene ripristinata in quanto il tre è il simbolo non solo del genitale, come sostiene Freud 13c, ma del genitale completo = perfetto = non evirato. La Crocefissione = rito puberale aveva portato la Salvezza = ripristinazione del genitale, rappresentato dal numero tre.
Vita, pene, sperma e virilità sono dunque del padre.
Per lo spermatozoo come feudo assoluto del Padre:
L’albero della conoscenza (id’a) rappresenta il corpo del Dio 14 . Il peccato originale era dunque il peccato di cannibalismo primigenio sul corpo del padre. Ma conoscenza in ebraico è conoscenza genitale. “Adamo conobbe Eva sua moglie, e partorì Caino” (Gn. 4,1), “Caino conobbe sua moglie che partorì Enoch” (Gn.4,17), “Falli uscire di qui che li vogliamo conoscere” (Gn. 19,5), “Ho due figlie che non hanno conosciuto uomo” (Gn. 19,8). (La traduzione italiana svisa completamente il senso del racconto biblico).
Quando l’uomo si cibò dell’albero della conoscenza si cibò dunque del genitale paterno, per incorporare ed acquisire la potenza sessuale che i figli dell’orda tanto invidiavano al padre. Anche la fiaba di Pinocchio ci parla di un albero di zecchini che avrebbe dovuto crescere se il sacrilegio fosse riuscito: “ –E se invece di mille monete, ne trovassi su i rami dell’albero duemila?..”(XIX). L’albero della conoscenza biblico (il genitale del dio) emerge nella fiaba attraverso la fantasia – desiderio di Pinocchio, dopo la quale, come nel mito biblico, avviene l’orgia di pentimento e disperazione.
Come il Figliol Prodigo, anche Pinocchio sperpera gli zecchini del padre, ovvero la forza virile che solo a lui appartiene. Il bambino che ha le prime polluzioni si sente in colpa poichè percepisce la sua appena acquistata forza virile come un atto di sfida verso il padre, un atto di appropriamento indebito, e da qui i suoi rinnovati terrori di evirazione. Il padre non lascerà impunito quest’atto di hybris. Non a caso Ulisse, dopo aver deflorato la città di Troia e dopo il coito degli eroi greci dal cavallo da lui marchingegnato, simbolo dell’eiaculazione, dovette subire la maledizione di Poseidone e darsi alla fuga (Cfr. la maledizione di Giacobbe a Ruben, Gn., 49,3-4).
Sperperare gli zecchini che aveva indebitamente carpito al padre condensa dunque anche un atto di undoing della propria hybris, sotto il peso dei sensi di colpa e del terrore della legge del Taglione. Ma gli zecchini sono del padre e, seppellendoli, nel momento stesso in cui si sbarazza dell’oggetto del peccato, mette in atto contemporaneamente anche il desiderio di morte vero il padre, rappresentato dalla sua stessa forza virile. Seppellisce il genitale paterno, o il suo sperma, ovvero seppellisce il padre stesso. La condensazione è il risultato delle forze antitetiche che sono in atto, doing e undoing nello stesso acting out, come in ogni sintomo nevrotico.
Pinocchio, come il Figliol Prodigo, sperpera gli zecchini del padre, e sotto l’influenza dei mali consigli di due più che dubbi amici, il gatto e la volpe. Vediamo come questo avviene:
Nel tempo che parlavano così, Pinocchio si accorse che il Gatto era zoppo dalla gamba destra davanti, perché gli mancava in fondo tutto lo zampetto cogli unghioli: per cui gli domandò, che cosa hai fatto del tuo zampetto. Il Gatto voleva rispondere qualche cosa ma s’imbrogliò. Allora la Volpe disse subito Il mio amico è troppo modesto –e per questo non risponde. Risponderò io per lui, sappi dunque che un’ora fa abbiamo incontrato sulla strada un vecchio lupo, quasi svenuto dalla fame, che ci ha chiesto un po’ d’elemosina. Non avendo noi da dargli nemmeno una lisca di pesce, che cosa ha l’amico mio, che ha davvero un cuore di fatto Cesare?… Si è staccato coi denti uno zampetto delle sue gambe davanti e l’ha gettato a quella povera bestia, perché potesse sdigiunarsi. E la Volpe nel dir così, si asciugò una lacrima Pinocchio, commosso anche lui, si avvicinò al Gatto sussurrandogli: Se tutti i gatti ti somigliassero, fortunati i topi!…(XVIII).
La zampa rappresenta il pene maschile 15. Non solo, ma “quella destra davanti’’, ripetizione fallica come il Cristo che si siede dextera Patris 16, e ogni gesto osceno di sfida che si esprime rizzando l’avambraccio destro verso il nemico. Muzio Scevola era stato colui che si era auto-evirato bruciando la mano destra non, come razzionalizza la leggenda, perché questa aveva fallito ma poiché aveva tentato, ovvero si era eretta a sfida (aveva avuto un erezione) contro Porsenna che, come ogni re, è il simbolo del Padre. Il Gatto dunque aveva rinunciato a una zampa, si era autocastrato, per darla al vecchio stanco lupo che, come in Cappucetto Rosso, i Sette capretti e i Tre porcellini, rappresenta la minacciosa imago paterna.
Facendone un atto masochista di pietas filiale il gatto risolve, attraverso quella che è un’inversione, la propria pulsione di evirare con un morso il padre. Attraverso quest’accorgimento il gatto mantiene anche il proprio narcisismo: “Non è lui che me lo ha preso ma sono stato io che gliel’ho dato”. Infatti, il Collodi alcuni capitoli prima ci aveva raccontato quale era stata la scena primaria:
Allora l’assassino più piccolo di statura, cavato fuori un coltellaccio, provò a conficcarglielo, a guisa di leva e di scalpello, fra le labbra: ma Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzannò la mano coi denti, e dopo avergliela con un morso staccata di netto, la sputò; e figuratevi la sua maraviglia quando, invece di una mano, si accorse di aver sputato in terra uno zampetto di gatto (XIV).
Vi è però un altro livello che si condensa a questo, e che si ricollega a quello del Figlio Prodigo che aveva sperperato il patrimonio paterno con le prostitute, e a quello dell’orda primigenia “che vivevano insieme in celibato forzato, o al massimo in relazione poliandrica con qualche singola femmina in stato di cattività’’.
Freud ha scoperto come il bambino interpreti la forma del genitale femminile come la ferita prodotta dall’evirazione inferta dall’uomo alla donna durante il rapporto sessuale 17. Il rapporto eterosessuale viene, dunque, interpretato come un atto attraverso il quale la donna perda il proprio pene e dopo del quale rimane evirata, e questa è la precondizione per la sua femminilità. In questo contesto il gatto ha quindi perso il proprio pene in conseguenza di uno strupro dopo del quale è diventato donna. Se aggiriamo l’inversione prodotta dalla fiaba, per la quale era stato il gatto a ‘donare’ il proprio pene al padre — lupo, abbiamo la situazione originale, nella quale il bambino fantastica che la donna sia diventata tale per un’evirazione subita dal padre. Ci sono uomini che possono essere potenti solo con prostitute o mutilate, proprio perchè solo così viene rimossa l’inibizione rappresentata dalla fantasia del pene femminile che, in alcuni nevrotici, fa da strumento apotropaico contro l’avvicinarsi alla donna e la pulsione genitale. Il gatto, che ‘dona’ al povero lupo il proprio pene, diventa così, dopo la propria auto-evirazione, una bambina, e la sua ferita diventa una vagina attraverso la quale può avere rapporti eterosessuali come femmina.
La dea egizia Basti, la dea dalla testa di gatto adorata a Bubasti, viene paragonata da Erodoto ad Artemide (Hist., II/59), la dea vergine che in Asia Minore era considerata la Grande Madre e come tale rapresentata a Efeso coperta da numerose mammelle (polymastos). Come Atena ostentava la lancia a rappresentazione del suo pene verginale, strumento apotropaico contro la deflorazione, per Artemide questo era rappresentato dall’arco e le frecce. La connotazione di verginità della dea non deve indurci in errore, poiché questa era anche Grande Madre. La verginità della Madre non è altro che l’altro polo di quello di prostituta, come il bambino conserva questa doppia immagine della madre come vergine e come prostituta nella stessa condensazione. Vedi la Maria Vergine e la Maria Maddalena, la stessa imago scomposta in due concetti, apparentemente antitetici, che si completano a vicenda. Inoltre vedi l’orda israelita che pone l’assedio su Gerico, entro le cui mura dimora una prostituta (Raab – Giosué, 2), e l’orda achea che pone l’assedio su Troia, entro le cui mura dimora una Regina. E’ La stessa imago scissa in due figure diverse.
Anche un’altra fiaba dello stesso Collodi ci presenta il Gatto come imago femminile, “Il gatto con gli stivali”, in cui l’illustrazione rappresenta un gatto con due enormi baffi, spostamento del pelo pubico femminile dal basso verso l’alto come i capelli -serpenti di Medusa (infatti i bambini spesso disegnano barba e baffi sulle immagini del volto femminile) dentro due enormi stivali in cui quasi annega simbolo della vagina, come ogni scarpa in cui si inserisce il piede. E questo ci riconduce alle protagoniste di scene pornografiche che molto spesso indossano stivali, come simbolo di castrazione femminile. Con le parole di Baudrillard a proposito della spogliarellista
Lei ha dei guanti che le tagliano le braccia, il che è sempre molto bello, delle calze verdi rosse o nere [o degli stivali] che le tagliano analogamente le gambe all’altezza della coscia…qui proprio il corpo che la donna circonda d’una manipolazione sofisticata, d’una disciplina narcisistica intensa, senza debolezze, fa di lei e del suo corpo sacralizzato un pene vivente, che è la vera castrazione della donna. Essere castrato significa essere coperto di sostituti fallici. La donna ne è coperta, è costretta a farsi fallo nel suo corpo, a pena di non essere forse mai desiderabile 18.
Anche dalla descrizione di Baudrillard emerge l’associazione castrazione = donna, come nel gatto di Pinocchio. Inoltre il Gatto era non solo zoppo ma anche cieco, ripetizione di evirazione (vedi Edipo che si acceca), e la Volpe era zoppa come il Gatto:
Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe… –Guarda me!–disse la Volpe.–Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba. –Guarda me!–disse il Gatto.–Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi (XII)
Inoltre evirate proprio perché [non] avevano voluto studiare, ovvero seguire gli insegnamenti paterni. Infatti il bambino, quando deve prendere atto che la donna non possiede un pene come il suo, si spiega la cosa come una punizione inflitta dal padre, ed è terrorizzato che la stessa sorte spetti anche a lui.
Vediamo cosa dice Abraham di donne cieche da un occhio, orbe o zoppe:
Una delle più piacevoli fantasie del paziente consisteva nella rapresentazione di portar via a una ragazza miope (possibilmente con un occhio solo) il pince – nez o di strappare la gamba artificiale a una ragazza amputata, e renderle in tal modo inerti. Che si trattasse in questi casi di fantasie di evirazione spostate si poté riconoscere ripetutamente dalle associazioni del paziente. Particolarmente importante in questo senso fu però un sogno del paziente che abiamo già menzionato. Si riferiva a una ragazza che egli conosceva di vista, la quale vedeva solo da un occhio. La sua rappresentazione nel sogno era che a questa persona l’occhio mancante fosse stato cavato con un colpo dal padre. Di qui fummo condotti più oltre all’angoscia del paziente di perdere un occhio.
Questa angoscia si rilevò determinata in modo duplice: dall’idea della punizione per un guardare proibito, e dallo spostamento dell’angoscia di evirazione dal genitale all’occhio…Entrambe le rappresentazioni avevano chiaramente il carattere del taglione 18b.
Il Gatto e la Volpe, la ripetizione della donna evirata nella veste di due malandrini, astuti ed infidi. Qui emerge la diffidenza che emerge nel bambino quando scopre che la donna non ostenta un pene come il suo. Prima di arivare alla conclusione che sia stata evirata dal padre, si insinua il sospetto che forse ce l’abbia, ma lo stia nascondendo da qualche parte. Con le parole di Abraham: “la concezione secondo cui la donna possiede un pene tenuto nascosto nel corpo ma molto grosso 19”. Questa è la genesi della diffidenza maschile verso l’altro sesso. Le donne sono seducenti, infide, non si può mai sapere dove nascondano il pene mancante.
La peculiarità della volpe come emerge da tutte le fiabe, comprese quelle di Esopo, è l’astuzia
Del serpente è scritto: “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio” (Gen. 3,1). Astuto quindi come e più della volpe. Nella mia ricerca ho raggiunto la conclusione che il serpente non rappresenta il simbolo del pene maschile, come avanzato da Abraham, Reik, e, sia pure con qualche riserva, da Freud, bensì sia il simbolo del pene femminile, ovvero della clitoride. Una delle ragioni che mi hanno portato a questa conclusione è che in tutte le leggende, miti e rappresentazioni raffigurate dei popoli non ho mai incontrato il serpente direttamente associato con dei ed eroi maschili, bensì solo a figure femminili. Dove dei ed eroi sono associati al serpente, è solo attraverso un bastone, che infatti rappresenta il fallo maschile (Mosè – Esculapio).20
Il serpente rappresenta la clitoride femminile , quindi abbiamo l’associazione volpe = astuzia = serpente = clitoride.
Inoltre tutti gli animali con una morbida pelliccia ci ricollegano al pube femminile. Non a caso le donne si ammantano di pellicce come allusione all’imago del proprio genitale. Pellice di volpe, di castoro, e di visone.
Ed ecco il gatto e la volpe, le prostitute con le quali il Figliol Prodigo aveva sperperato il patrimonio paterno, e che (singole femmine in cattività) i maschi dell’orda primigenia dovevano condividere tra di loro.
Dove sono le prostitute dei riti iniziatici puberali?
Secondo i Kikuyu dell’Africa occidentale il primo coito che i giovani testé circoncisi fanno porta alla loro morte o a quella della loro compagna. Essi cercano di evitare questo triste destino nel modo seguente. Dopo che si sono compiuti di pubertà, quindici o venti uomini si raccolgono insieme, afferrano certe vecchie in un luogo solitario, ne abusano sessualmente e poi le uccidono. La morte di queste vecchie libera i giovani da ogni pericolo 21.
Non ricorda forse quei padri che nelle buone famiglie borghesi portano il figlio adolescente ad avere il suo primo rapporto sessuale con una prostitta, per iniziarlo ai misteri del sesso?
Ed ecco anche la matrice di ogni misogenia. Con le parole di Reik: “come conseguenza di questo rafforzamento dei legami tra la generazione dei padri e quella dei figli emerge anche una nuova ostilità verso le donne” 22, che erano state, per ricalcare un’espressione comune nel nostro contesto estremamente calzante: “Il pomo della discordia”. La degradazione della madre a prostituta era stata una conseguenza del senso di colpa verso il Padre.
Vediamo quindi che tutti gli elementi della condizione dell’orda primigenia riappaiono nei riti della pubertà, nella parabola del Figlio Prodigo e nella fiaba di Pinocchio attraverso la coazione a ripetere filogenetica, non importa quanto ci sembri di esserci allontanati ormai dal modus mentale primitivo.
Anche il cristianesimo, produzione della crisi del mondo antico che aveva superato il modus mentale tribale, nel processo di regressione innescato da quest’ultima, fece una reattivazione dei riti della pubertà iniziatici arcaici con una innovazione. Il rito, invece di essere perpetrato su tutta la comunità dei giovani, viene delegato al loro rappresentante, che sarà d’ora in poi il Vicario. Vicario dei figli presso il Padre e non Vicario del Padre. Accettando il vicariato, il resto dell’umanità viene così esentato dal passare il rito in carne, in grazia del Cristo che lo ha passato in vece loro. Infatti Paolo esenta i fedeli dalla circoncisione, che è il simbolo più crudo delle minacce di evirazione così accentuate in questi riti. Al posto del rito viene la fede, e questa è quella che il Vicario sia risorto, ovvero che abbia completato con successo il rito iniziatico dove la ressurrezione per mano del Padre e dal Padre è l’apice di tutto il processo. Chi crede che il Cristo sia risorto e si identifica con Lui, è considerato come se avesse passato lui stesso con successo il rito, e viene accettato al Regno dei Cieli, trasposizione figurata della società degli adulti.
Troviamo nella saga evangelica tutti gli elementi che abbiamo trovato nei riti della pubertà descritti da Reik e nella fiaba di Pinocchio. Gesù, che era venuto in nome del Padre dice: “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu non venga gettato in prigione”(Mt., 5, 25). Pinocchio viene arrestato dai carabinieri portato davanti al giudice e gettato in prigione (XIX). E i novizi venivano rapiti alle madri dai padri e messi nel campo in mezzo alla foresta. Il Vangelo: “Avete inteso che fu detto: Non comettete adulterio, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già comesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt., 5,27). E i selvaggi descritti da Reik: “Se sentiamo dire che seguite ragazze e donne, vi getteremo nel fuoco”. Le minacce di evirazione: “Conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nel Geenna (il fuoco). E se la tua mano destra è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te” (Mt., 5, 29) (come Muzio Scevola), e a Pinocchio bruciano i piedi e i Picchi gli ridimensionano il naso. La solidarietà tra iniziati insieme (Mt., 5,43), come tra Pinocchio, Arlecchino e Pulcinella. La storia della barca e della tempesta sul lago di Galilea (Mt.,8, 23-27) corrisponde a Pinocchio in mare che nuota disperatamente verso il suo babbino. I due ciechi che inseguono Gesù e gli propongono di fare miracoli (Mt., 9,27) corrispondono al gatto e alla volpe che gli propongono di seppellire gli zecchini nel Campo dei Miracoli. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è una ripetizione degli altri miracoli e corrisponde alla supposta moltiplicazione degli zecchini. Non a caso sorridiamo ascoltando la storia di Pinocchio, il gatto, la volpe, il Campo dei Miracoli e la moltiplicazione degli zecchini, poichè inconsciamente sappiamo di aver già sentito questa storia, e adesso possiamo ammiccare increduli, dove nella saga evangelica ci era stata imposta, invece, la credulonità. Reik sostiene che anche gli adulti che raccontano storie di prodigi e di Balum alle donne e ai bambini, se la ridono tra di loro, perché sanno di stare raccontando fandonie. Così stanno le cose nel paese di Acchiappacitrulli.
Le storie di Gesù ripetono in numerose scene le peripezie di Pinocchio e dei giovani novizi nel bosco. Dagli insegnamenti nel Tempio, dove i rabbini non sono altro che il saggio-pedante grillo parlante contro i quali Gesù si ribella, alla cattura nel Getsemani, la prigione e il processo, ripetizione della stessa avventura capitata al burattino. Fino a che Gesù è tra i suoi discepoli, apparentemente avviene un’inversione, poiché Egli si identifica con gli insegnamenti del Padre e come vicario di questi egli appare, ma il velo della sovrapposizione cade con la Cattura, il Processo e la Croce. Qui la sua vera natura di Figlio, in contrapposizione al Padre, e non in simbiosi con Lui, diventa evidente. La cattura, il processo e la prigione di cui Gesù, come vicario del Padre, aveva minacciato i suoi fratelli vengono esperimentati da lui stesso, come vicario dei figli. Il processo di Pinocchio non è che una ripetizione di quello di Gesù:
Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s’intenerì e commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello. A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:–Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione (XIX).
“Gli dice Pilato: ‘Che cos’è la verità?’. E detto questo uscì dinuovo verso i Giudei e disse loro ‘Io non trovo in lui nessuna colpa’”(Gv., 18,38) …”Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare” (Gv., 19,1).
Invece di liberare Gesù, Pilato libera Barabba, il ladrone. Alla stessa maniera Pinocchio viene lasciato libero solo quando dichiara di essere un criminale: “–Domando scusa,–replicò Pinocchio,–sono un malandrino anch’io–In questo caso avete mille ragioni,–disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare” (XIX).
Il XIX capitolo di Giovanni è l’esatto parallelo del XV capitolo di Pinocchio.
Il processo di Gesù e quello di Pinochio hanno in comune l’evento centrale, che in ambo i racconti era stato rimosso, ma che emerge dalla sentenza. Apparentemente entrambi vengono condannati proprio perché innocenti. Ma è davvero così? Il peccato di cui nessuno ci dice niente, ma che è implicito dalla sentenza è quello di cui si era macchiato Gesù, come vicario dell’orda fraterna: parricidio e incesto. Infatti il primo uomo aveva carpito la potenza sessuale paterna cibandosi dell’albero della conoscenza, che, come abbiamo visto, rappresenta il genitale del dio. E adesso il Cristo, come Vicario di tutti i figli e come secondo Adamo, deve espiare di persona. Lo stesso peccato di Pinocchio che, impadronitosi degli zecchini di Geppetto, li aveva seppelliti.
Gesù e Pinocchio non avevano ascoltato i rabbini –Grillo parlante, e adesso arrivano gli assassini (XIV) “E cavato fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff… gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni…” (XV), come la ferita alla costola inflitta a Gesù dal centurione romano. “-Ho capito,–disse allora uno di loro,–bisogna impiccarlo! Impicchiamolo, impicchiamolo,–ripeté l’altro”. “Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono ‘Crocifiggilo, crocifiggilo!’” (Gv.,19,6). Lo impiccano alla Quercia grande (XV). La Quercia grande, come l’albero della vita eterna è la Croce, e infatti nella teologia cristiana la Croce viene paragonata all’albero della vita eterna (vedi la scena della Deposizione di Benedetto Antelami, all’interno del Duomo di Parma, dove la Croce è rappresentata con dei germogli). All’albero della Vita viene crocifisso Gesù per aver profanato l’albero della Conoscenza, la conoscenza genitale paterna.
Come Pinocchio aveva due compagni, che passarono il rito iniziatico insieme a lui, Arlecchino e Pulcinella, così Gesù ebbe due compagni nel suo rito sul Golgota, e tre sono le croci che si stagliano, come tre erano stati i burattini.
“Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno” (XV).
E il Vangelo: “Chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe” (Gv., 19:31) “Dunque?–gli domandarono gli assassini,–vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare: ché questa volta te la faremo aprir noi” (XV). E il Vangelo: “posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca” (Gv.,19,29).
“Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai (XV). Come i centurioni ai piedi della Croce aspettano che Gesù inali l’ultimo respiro.
Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente come il battaglio di una campana che suona a festa. E quel dondolìo gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro.A poco a poco gli occhi gli si appannavano e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo… e balbettò quasi moribondo: –Oh babbo mio! se tu fossi qui!… E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito(XV).
“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce ‘Eli, Eli, lemà sabactàni?’…E Gesù, emesso un alto grido spirò” (Mt., 27,45-49).Questa la morte di Ges, di Pinocchio, e di tutti i giovani novizi ingoiati dal Balum. Ma il Balum che ha inghiottito, anche restituisce alla vita:
“In quel mentre che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo, la bella Bambina dai capelli turchini si affacciò daccapo alla finestra, e impietositasi alla vista di quell’infelice che, sospeso per il collo…” (XVI). “C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano” (Mt.,27,55). E qui, come nella fiaba, anche nel Vangelo entrano in scena le donne. Nella fiaba la Fata turchina tira giù Pinocchio dall’albero e assiste alla sua ressurrezione, e le donne del Vangelo diventano le spettatrici e le protagoniste della sua Resurrezione. Come nei riti di pubertà iniziatici il figlio “morto” viene restituito alle donne dopo che il Balum lo ha vomitato, e rinasce tra di loro a vita nuova, purificato dalle sue fantasie incestuose e parricide.
© Iakov Levi
Seconda parte
Note:
1 Karl Abraham, “Nevrosi di traslazione, Complesso femminile di evirazione” in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1975 e 1995, vol.I, p.119. back
2 Theodor Reik, “I riti della pubertà”, in Il Rito Religioso, Boringhieri, Torino 1949 e 1969, p.137. back
3 Ibidem, p.138. back
4 Ibidem, pp.150 — 1 back
5 Ibidem, p.143 — 4 back
6 Ibidem. back
7 Ibidem, p.149 back
8 Ibidem, p.53 back
9 Sulla fantasia infantile di aver già incontrato il padre nell’utero materno, quando questi visitava la madre attraverso il rapporto sessuale, vedi Karl Abraham, “Nevrosi di traslazione” in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1975 e 1995, vol.I, p.146. Pinocchio che incontra Geppetto nel ventre del pescecane rispecchia questa fantasia. back
10 Freud, «Totem e Tabù», in Opere, B.Boringhieri, Torino 1989, vol.VII, pp.129 — 139. Freud cita Darwin, che sostiene che i gruppi di primati maschi vivevano in piccoli gruppi, «Darwin dedusse dalle consuetudini di vita delle scimmie superiori che anche l’uomo visse in origine in orde relativamente piccole». La parola orda richiama alla mente un enorme numero di maschi, ma in realtà si trattava di un numero esiguo. Così anche i gruppi di novizi. Come riporta Frazer (The Golden Bough: Balder the Beautiful, vol. II, terza edizione, London 1913, p.227) ogni clan doveva spesso aspettare mumerosi anni prima di raccogliere un gruppo di novizi sufficente da iniziare insieme. Da qui anche il numero di soli tre burattini della fiaba di Pinocchio, che vengono minacciati e torturati insieme. back
11 Iakov Levi, “Il figliol prodigo”, in “Forum”, in Scienza e psicoanalisi rivista multimediale di psicoanalisi e scienze applicate, http://www.psicoanalisi.it/utilities/faqforum4.htm, 24 Gennaio 2002. back
12 S.Freud, ibidem, p.146. back
13 Karl Abraham, “Nevrosi di traslazione, Complesso femminile di evirazione” (1920), in Opere, B.Boringhieri, Torino 1975 e 1995, vol.I, p.123. back
13b K.Abraham, ÒSulla ejaculatio praecoxÓ (1917), in op.cit., pp.74 Ð82 back
13c Sigmund Freud, ÒIntroduzione alla psicoanalisi, Simbolismo nel sognoÓ, in Opere, in 11 vol. a cura di Cesare Luigi Musatti, Bollati Boringhieri, Torino 1989, vol.VIII, p.326. back
14 T.Reik, Myth and Guilt, Braziller, New York 1957. back
15 K.Abraham, ibidem. back
16 Un parallelismo tra Horus, il dio figlio, e Cristo appare in una lettera di Jones a Freud del 18 Dicembre 1909, in cui scrive: “…also in Egyptian phallic worship that the right penis was the Father, the right testicle Horus (Christ) and the left Isis ( Maria)” in The Complete Corrispondence of Sigmund Freud and Ernest Jones 1908-1939, Edited by R. Andrew Paskauskas, The Belknap Press of Harvard University Press Cambridge, Massachusetts and London, England, 1993, p.35. back
17 Sul rapporto deflorazione = evirazione e la forma della vagina come una ferita dovuta a quest’ultima Freud riporta : “…durante lo svolgimento del sogno il paziente avesse ritenuto che la donna fosse evirata e avesse, in luogo del membro virile, una ferita; nella sua interpretazione la ferita doveva servire al rapporto sessuale e l’evirazione era la condizione della femminilità’’ (S.Freud, «Una nevrosi infantile», in op.cit., vol.VII, p.552). Sul rapporto deflorazione = ferimento e l’aggressività che si risveglia nelle giovani donne contro il marito dopo la deflorazione vedi: K. Avraham, «Complesso Femminile di Evirazione», in op.cit., vol.I, pp.113 — 114. back
18 Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1992, pp.121 e 123. back
18b K.Abraham, ÒPsicoanalisi ed etnologia – Limitazioni e trasformazioni del piacere di guardareÓ, in op.cit., vol.II, pp.576 Ð 577. back
19 K. Abraham, «Una teoria sessuale dei bambini non considerata» (1925), in Opere, B. Boringhieri, Torino 1975 e 1997, vol. I, p. 396. back
20 Iakov Levi, Eva – Verginità e castrazione nel mito greco e nell’Oriente semitico, http://www.geocities.com/psychohistory2001/EvaPartePrima.html back
21 T.Reik, “I riti della pubertà”, in Il Rito Religioso, op.cit., p.140. back
22 Ibidem, p.162. back