di Cesare Medail; il sole 24 ore, 11 Aprile 1993
“Lunatici apostoli d’un simbolo politico e religioso, nel quale la mia
natura, l’esperienza, la tradizione del mondo e dei miei studi mi vietan di credere”:
tra quegli “apostoli” Giovanni Prati collocava l’autore di Pinocchio,
e Ferdinando Tempesti, uno dei maggiori studiosi di Collodi, commenta che la
frase è “non poco sibillina fino a quando non si legge in quel simbolo il
simbolo massonico”.
Se
l’affiliazione del mazziniano Carlo Lorenzini alla libera muratoria era solo
un’ipotesi, ora è divenuta certezza: nell’introduzione al Pinocchio
appena uscito nei classici dell’Universale Feltrinelli, Tempesti reca come
prova, oltre alla frase del Prati (1885), una lettera al Massone Pietro Barbera
(1844), che termina: “In ogni modo mi creda, il fratello
Collodi”.
Il più famoso burattino del mondo, dunque, è figlio di una loggia? Le infinite
esegesi di un libro diffuso quanto la
Bibbia e il Corano vanno rivedute alla luce dei simboli
muratori? Fernando Tempesti cita addirittura uno studio basato su
quest’ipotesi, Pinocchio e i simboli della “Grande Opera”
(Editore Atanor, 1984), autori il sociologo Nicola Coco e lo specialista di
dottrine ermetiche Alfredo Zambrano.
I
due studiosi riportano frammentarie notizie circa l’affiliazione di Lorenzini a
una data obbedienza: la madre, per esempi, addolorata di avere un figlio
massone, lo aveva convinto a fare atto di presenza alla messa di mezzogiorno in
Santa Maria Maggiore, a Firenze; ma soprattutto ricostruiscono i rapporti fra
Collodi e Ferdinando Martini, giornalista-editore fiorentino, al quale Carducci
scrisse una lettera da massone a fratello e che fu collaboratore del
Gran Maestro Lemmi, uno dei veri fondatori del Grande Oriente Italiano.
Ebbene, sarà proprio Martini a pubblicare a puntate le Avventure di
Pinocchio sul suo Gioranale per i bambini.Dato che dopo l’unità
d’Italia, i massoni (e in particolare, a Firenze, le logge Nuovo Campidoglio
e Concordia) s’impegnarono a fondo nella rifondazione in chiave laica
della pedagogia scolastica con un occhio di riguardo alla letteratura per
l’infanzia (“togliere i fanciulli dalle ugne del clero”, Rivista
Massonica, 1873), è facile inquadrare l’attività di Martini, e quindi di
Collodi, in tale disegno, tanto più che grande assente da Pinocchio è
proprio “il substrato religioso ecclesiale”, come notano Coco e
Zambrano. Ma questo non è ancora sufficiente ad arruolare Collodi nella
framassoneria toscana.
I due studiosi formulano tre ipotesi: a) Collodi era veramente iniziato e Pinocchio
è la traduzione di un’esperienza esoterica opportunamente adattata al contesto
politico-culturale; b) Fu solo il prestanome di un cenacolo massonico, come
quando “diresse” il giornale di Martini; c) Fu il prestapenna di una
“committenza” segreta. Gli scarni dati biografici circa il padre di
Pinocchio non consentono di rispondere con certezza.
Una circostanza, però, insieme con le nuove notizie di Tempesti depone a favore
della tesi iniziatica: Lorenzini cambiò il proprio nome in Collodi nel ’59, in coincidenza del suo
trentatreesimo compleanno, cifra di alto significato nel processo di
maturazione massonica: e verrebbe da cum-lode che, nelle saghe
medievali, indica il ritrovamento del senno perduto (amlode, da cui
Amleto).
Ma le prove dell’ispirazione massonica di Pinocchio vanno cercate nel testo: una sorta di cammino iniziatico, scandito secondo le fasi della Grande Opera alchemica (la cui filosofia s’intreccia agli ideali massonici ottocenteschi). E’ impensabile riassumere qui l’analisi dei simboli portata a sostegno di tale ipotesi, dal “serpente verde” di Goethe ai “grilli alchimisti” a alle “idee-balocchi” dei Colloqui per massoni di Lessing, per non parlare delle analogie coi Tarocchi (per tutte, Pinocchio impiccato come l’Appeso). Ci limitiamo a ricordare, al capitolo XXIII, la lapide della bambina dai capelli turchini abbandonata dal suo fratellino Pinocchio. Sarebbe la prima iniziazione del burattino, ufficialmente Fratellino, “ovvero ammesso a una prima gnosi effettiva”, mentre la seconda avviene nel ventre del Pesce-cane dove trova una candela, un tavolo, residui di cibarie, vale a dire “un apparechiamento cerimoniale tipico”.
Come spiegare, a questo punto, il successo multiculturale del figlio di una loggia toscana? Simboli e segni di riferimento appartengono a un linguaggio universale, adottato dalla maggioranza delle tradizioni e, di conseguenza, dalla fiaba: Collodi ha “attinto ad un piano simbolico che appartiene ad un mondo in cui vigono idee madri ed archetipi universali” scriveva nel ’77, richiamandosi a Jung, lo psicoanalista Emilio Servadio (Passi sulla via iniziatica, Ed. Mediterranee). Sapendolo massone ed innamorato di Collodi, Tempesti scrive che Servadio gioirà nel ritrovarselo fratello; ma già in quel saggio aveva visto nel soggiorno di Pinocchio in una cavità oscura (il Pesce-cane), prima della mutazione finale, un’analogia “con il Gabinetto di riflessione in cui viene posto il profano prima dell’iniziazione massonica…”