Il PELLICANO

Il Pellicano

C’è un pellicano sui sassi del fiume,
che plana leggero e va verso il nido.
Brillano al sole le candide piume,
ma l’avvenire gli appare già infido.

L’acque che scorrono lente sono bianche
e i giunchi su riva sono seccati.
Il pellicano, con le ali già stanche,
guarda i suoi figli che sono affamati.

Il fiume già morto non dà nutrimento
e, come estremo suo dono d’amore,
punge il suo petto e il sangue vien lento.

Anche se questo gli reca dolore,
i suoi pulcini non odon lamento
e il pellicano si dona e poi … muore.

MIMMO

Nella foto: Il Pellicano – Parte del complesso monumentale nella Chiesa di San Filippo Neri a Torino

Nota: Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il petto per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca, ha indotto all’errata credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire i pulcini col proprio sangue, fino a divenire “emblema di carità” (O. Wirth).
Il pellicano è divenuto pertanto il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini. Il pellicano è una figura rappresentativa anche in altre culture, infatti i musulmani considerano lo stesso un uccello sacro poiché, come narra una loro leggenda, allorché i costruttori della Ka’ba dovettero interrompere i lavori per mancanza d’acqua, stormi di pellicani avrebbero trasportato nelle loro borse naturali l’acqua occorrente a consentire il completamento dell’importante costruzione sacra.
Negli ultimi tre secoli del medioevo, sovente lo spirituale uccello è stato al centro dell’attenzione artistica. Rappresentato in scultura o in pittura col nido dei suoi piccoli sulla sommità della croce e nell’atto di straziarsi il petto con i colpi del suo becco. Il sangue scaturente dal petto del Pellicano è, per l’Ars Symbolica, la forza spirituale che alimenta il lavoro dell’alchimista che, con grande amore e sacrificio, conduce la ricerca della perfezione. Questo emblema è presente ne l’iconografia alchemica: da un lato raffigura un genere di storta, ossia un recipiente nel quale veniva riposta la materia liquida per la distillazione, il cui “beccuccio” è piegato in direzione della cupola convessa; da l’altro costituisce un’immagine della “pietra filosofale” dispersa nel piombo allo stato fluido, nel quale si fonde al fine di determinare la trasmutazione del “vile metallo in oro”. Questo volatile è quindi la metafora dell’aspirazione non egoistica a l’ascesa verso la purificazione, della generosità assoluta.

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