IL SEGRETO DEGLI ETRUSCHI
Claudio De Palma, eminente linguista e storico, ha recentemente resa pubblica la traduzione della stele di Lemno rinvenuta nell’ottocento nell’isola greca che rimase indecifrata per molti anni finché qualcuno si accorse che era scritta in una lingua simile all’etrusco. La parola chiave che emerge è quella del popolo che la redasse: I Toverona, tradotto con Tirreni.
Anche nella Bibbia si hanno notizie di un antico e celebre popolo dell’Asia minore chiamato Tubareni: esperti metallurgi, soprannominati giganti per le loro elevate conoscenze, arti e tecniche.
Se fosse esatta l’equivalenza tra Toverona, Tubareni e Tirreni, allora, i Tirreno-Etruschi sarebbero da identificare con i biblici Tubareni, l’antichissimo popolo dell’età del bronzo che diceva di discendere da Tubal-Cain, scopritore della metallurgia e di altre scienze sacre.
Tutto ciò è in sintonia con quanto sappiamo della civiltà etrusca che portò in Italia metallurgia, tecniche edilizie, navali, agricole, artistiche, idrauliche, cioè tutte quelle conoscenze e applicazioni che, una volta ereditate dai Romani, dettero fondamentale impulso alla nascita della Repubblica e dell’Impero.
Nonostante gli strenui e approfonditi studi, non si è ancora giunti ad una decifrazione esatta della lingua etrusca, in quanto varie scuole linguistiche si rifanno chi al Sanscrito, chi alle lingue Mesopotamiche e Semite, chi al Basco e all’ Illirico. La diversità riguarda un particolare aspetto dell’Etrusco: l’essere esclusivamente una lingua sacra. Infatti non sono mai state rinvenute iscrizioni Etrusche di uso comune, commerciale o quotidiano.
Tutto il Corpus delle iscrizioni tirreniche, più di quindicimila testi, riguarda temi sacri, funerari e religiosi. Alcune iscrizioni su cippi confinali rientrano nella tematica sacrale poiché, in epoca etrusca, i confini erano considerati sacri e inviolabili e dunque materia sacra.
Il Tesoro degli Etruschi, spesso sottostimato e di incalcolabile valore, riguarda la conoscenza. Essi possedevano una scienza sacra “la disciplina” detenuta dai Lucumoni, i re sacerdoti, e tutta la società etrusca viveva conformata ad una speciale attitudine verso la sfera del Sacro, al punto che la proverbiale religiosità tirrenica fu ampiamente ricordata dagli scrittori latini e greci. Questo è il vero tesoro perduto: le conoscenze possedute da una antica civiltà, nostra progenitrice, che riguardavano i grandi temi della vita, della morte, del destino e dei rapporti tra gli umani ed il divino: “il Sacro”. Conoscenze relative anche alla natura, con la quale i Tirreni vissero in stretta simbiosi, sperimentando e conoscendo le sue segrete leggi fino a ricavarne una profonda visione cosmologica. Questo tipo di conoscenze includeva astrologia, magia, divinazione ed altre dottrine che già i romani guardavano con sospetto e sprezzo, finché pensarono i padri della chiesa a demonizzarle ed a costringerle nella clandestinità.
Oggi sappiamo che tali dottrine non si basavano su concezioni primitive: al centro della spiritualità Etrusca si stagliava una completa e complessa visione del ciclo “vita-morte-rinascita”.
L’arte Fulgurale, l’Aruspicina, l’Avimanzia, l’interpretazione di “segni”, sono classificati come tecniche di divinazione, ma questa semplificazione è riduttiva perché l’osservazione di fulmini, fegati ovini, uccelli ed altre simili pratiche non aveva come fine principale di predire il futuro, ma di ottenere “un quadro conoscitivo” preciso e funzionale su ogni aspetto della vita e del creato. Alle basi di quelle antiche dottrine vi era la convinzione che fosse possibile conoscere la legge cosmica attraverso l’osservazione di fenomeni naturali, non per predire il futuro, ma semplicemente per conoscere.
Secondo le credenze etrusche il ciclo della vita umana era inserito entro un preciso disegno divino, dove ordine e legge cosmica, davano il significato alla vita umana ed alla sua evoluzione. La conoscenza del disegno divino era ritenuta possibile e destinata a coloro che la ricercavano.
La più alta forma della spiritualità etrusca non professò particolari dottrine, non ebbe dogmi, non conobbe né rivelazioni né grazie, ma solo il linguaggio matematico della verità assoluta, espressa nel simbolo e l’indispensabilità del rito. Fuori del rito non vi fu religione né buona né cattiva, né vera né falsa. Trascurare il rito, peggio ancora eseguirlo in modo errato, fu reputato grave sacrilegio perché ciò poteva dar luogo a sciagure terribili, allo scatenamento di forze di ogni genere, non più controllate e dominate. I Numi potevano diventare ostili e tutta la collettività correre seri pericoli; al contrario l’azione rituale freddamente e giustamente eseguita costituiva l’unica via di salvezza.
Staccarsi dal proprio io, varcare la soglia del mondo sconosciuto, scendere sempre più giù nelle oscure profondità della forza che regge il corpo oltre l’individuazione, conoscere quella forza: ecco quale fu lo scopo dell’esperienza iniziatica. Raggiungere la sensazione paurosa nel fondo dell’abisso spalancatosi improvvisamente, passare dalla coscienza individuale a quella universale, diluirsi nel caos, vagare coscientemente nell’incondizionato, cogliere gli stati che precedono l’apparire dell’uomo nella sua esistenza corporea e quelli che subentrano quando tale forma di manifestazione si esaurisce, guardare contemporaneamente il mondo di qua ed il mondo di là: ecco lo scopo dell’iniziazione; ecco il lungo viaggio che il sole notturno compie navigando per dodici ore secondo il libro egizio degli inferi; ecco il fine della prima operazione dell’Arte Regia che nell’arcana parola VITRIOLUM significò la discesa mediante successive purificazioni e semplificazioni negli strati più profondi dell’esistenza: “Visita interiora terrae recticando invenies occultum lapidem veram medicinam” .
Questa discesa viene definita “Regressus ad uterum”. Visita l’interno della terra, e rettificando, troverai la pietra occulta, vera medicina”. Siamo invitati ad entrare nel nostro inconscio, per prendere coscienza di noi stessi, delle nostre motivazioni, del nostro mondo interiore. Nei riti iniziatici la discesa all’interno dell’inconscio umano era simboleggiata dall’ingresso in una grotta oscura, perché solo penetrando nella parte più oscura del proprio intimo è possibile comprendere le motivazioni dei propri comportamenti e dei propri errori. Solo così avviene la rinascita. La comprensione dei propri errori porta al superamento degli stessi ed all’inizio di una nuova vita interiore: per rinascere a nuova vita è necessaria la morte iniziatica.
La vita è energia. Gli Etruschi amavano la vita in tutte le sue manifestazioni più ricche di energia. L’energia prima è quella della generazione: così va letta la frequente immagine del toro o dei corpi umani nudi, con gli organi sessuali ben evidenti. L’importanza dell’attività sessuale sembra tuttavia superare di gran lunga la stretta esigenza della procreazione: il piacere è un dovere! In forte correlazione con la filosofia Indiana, dove l’amore – Kama – è uno dei quattro fini, e non mezzi, della vita umana.
L’amore non è solo il mezzo per procreare, ma anche, e prima di tutto, il fine. Il godimento è fine a se stesso. Si deve godere! Concetto, questo, estraneo a tutta la cultura occidentale, ma assolutamente naturale e spontaneo. Anche in questo la filosofia etrusca si mostra molto legata alla natura: la natura, non l’uomo, è misura del vero.
Il “sottile” è più importante del “grossolano”. Gli Etruschi, a quanto ci suggeriscono le immagini che ci hanno lasciato, dovevano avere una predilezione per il “sottile” in tutti i campi.
Erano dei raffinati, in tutti i loro gusti.
Sapevano che è il “sottile” a dare senso alla vita, non il “grossolano”.
In un certo senso avevano intuito una verità che la scienza ha dimostrato solo recentemente: nell’organizzazione dell’Universo, sono le forze più deboli che hanno le maggiori capacità di promuovere l’ordine. Nell’evoluzione dell’Universo, furono la forza di gravità e quella dell’evoluzione biologica a promuovere le strutture più ordinate, e non le forze nucleari o elettromagnetiche, più potenti, ma meno capaci di creare armonia e bellezza.
L’eros è inquadrato all’interno della Disciplina etrusca, il complesso delle norme che regolavano i rapporti fra gli dei e gli uomini. Il sesso è il “segno caratterizzante” dell’energia creativa, energia cosmica del macrocosmo che corrisponde, nel microcosmo, all’energia sessuale del corpo. E’ proprio nel rapporto sessuale che si esplicita l’unità uomo-natura, essere e non essere, relativo e assoluto.
Ma il sesso è anche un “sacri – ficio”, un atto che va “fatto sacro”, posto al livello dell’assoluto, al di sopra della natura stessa, al di sopra degli dei. Tutto deve essere perfettamente predisposto: il giaciglio ove si celebra il rito amoroso deve essere orientato secondo i punti cardinali.
Gli amanti devono essere adorni di ornamenti, gioielli, monili.
Nell’aria devono spandersi profumi dolci e suoni deliziosi. Una mensa ricca di cibi prelibati e di gustose bevande deve essere sempre imbandita.
Anche l’amore è un gioco.
Ma un gioco molto serio ….. ed ancora una volta gli Etruschi si sono manifestati maestri nei confronti dei conquistatori romani.
Parafrasando Orazio anche degli Etruschi si potrebbe dire:
“Etruria capta ferum victorem cepit”.
La locuzione latina “Graecia capta ferum victorem cepit” tradotta letteralmente significa: “la Grecia, conquistata
[dai Romani]
, conquistò il selvaggio vincitore” (Orazio, Epistola II) La locuzione prosegue con “et artes intulit agresti Latio” “e le arti portò nel Lazio agreste”.
Fr... L. C,