Marcello Veneziani
Garibaldi, a cavallo un eroe. In Parlamento una iattura
Questa è una serenata patriottica
sotto la finestra di Garibaldi, nella casa che il Mito abitò il 7 maggio di 150
anni fa qui a Talamone. Lui mi guarda con l’occhio lesso dal busto che si
affaccia sulla piazza e magari si ricorda dei Mille e una notte qui in Maremma.
Notte di bagordi che fece infuriare il Generale. Poi dopo due giorni, da qui
partirono – caricate le armi – alla volta di Marsala. Sabato a Talamone lo
ricorderemo e poi mangeremo le stesse cose che mangiò Garibaldi: acquacotta,
frittata con cipolla, fagioli al fiasco, bruschetta. La mostra-convegno non ha
il placet del Comune di Orbetello, da cui dipende il borgo, come se la serata
garibaldina fosse un’adunata sediziosa ed eversiva.
Di Garibaldi gli italiani adulti hanno un ricordo infantile fiero e molesto: la
storia d’Italia si riassumeva nella sua barba, il suo cavallo e il suo poncho.
Gli italiani ragazzi invece lo considerano un tom tom di piazze e corsi, o poco
più. Perché nelle scuole non si studia più il Risorgimento. Garibaldi
era il nostro Che Guevara, quando il Che non esisteva ancora: anche lui con
la barba, gli occhi chiari e una vita da guerrigliero in Sud America, amato
dalle donne e odiato dai potenti. Ma, a differenza del Che, Garibaldi piaceva
più ai grandi che ai ragazzi, aveva il consenso delle autorità, della buona
borghesia e dei professori anziani che s’inebriavano per i suoi celebri motti
che non aveva mai pronunciato. Invece era considerato un po’ trombone dai
ragazzi, lievemente ridicolo col suo cappellino sbilenco da veglione di
Carnevale e il suo poncho variopinto da spot pubblicitario di Estathè. Te lo
trovavi perfino sui muri delle aule, accanto al crocifisso con cui non aveva un
buon rapporto.Le elementari fino agli anni ’60 erano ancora deamicisiane e
respiravano l’aria dell’Italietta garibaldina. A scuola l’unica eroina nota
ai ragazzi per oltre un secolo fu Anita, moglie dell’Eroe. E poi le statue
equestri e le mille epigrafi che lo salutano come duce. A giudicare dalle
lapidi dove ha dormito, Garibaldi unì l’Italia come una guida Michelin: la
unificò dormendo. A Palermo, a Palazzo Alliata, c’è persino una lapide che
celebra la siesta di Garibaldi: «per sole due ore posò le stanche membra…
sereno dormiva il genio sterminatore di ogni tirannide».
Appartengo all’ultima generazione venuta su dopo il centenario dell’unità
d’Italia, cresciuta a Pane e Garibaldi. Nonostante l’ossessiva presenza di
Beppino, nonostante le lapidi ampollose ispirate a lui, le poesie stucchevoli
di Carducci e altri minori e la retorica risorgimentale, gli volevo bene. Sono
stato per anni suo vicino di casa qui a Talamone. Mi era familiare. Mio padre
aveva scritto un saggio su di lui, lo vedeva come un cristiano inconsapevole,
un idealista che filosofeggiava con la sciabola. Al mio paese gli dedicarono un
teatro ma lui, ormai a Caprera, non venne a inaugurarlo. Bisceglie è l’unico
paese d’Italia in cui c’è una lapide virtuale che ricorda con rabbia: qui non
dormì Garibaldi, anche se il letto era pronto. L’eroe dette buca, disertò. Di
Garibaldi è infame il suo periodo di dittatore a sud; è l’altra faccia
dell’epopea garibaldesca, tenuta in ombra nelle scuole. Le feroci repressioni,
le malefatte di Nino Bixio a Bronte e l’imposizione dello Stato unitario
attraverso plebisciti così ristretti perché non fu il popolo italiano
ma un’élite a volere l’unità. Si ricordano ancora le ballate popolari
contro lu banditu Gallubardu, come lo chiamarono a sud.
Ma l’unità nazionale, tutto sommato, è un bene prezioso e
irrinunciabile, anche se fu realizzata in quel modo garibaldesco. Magari a
Garibaldi era preferibile Cavour di bianco vestito, con l’occhialino del
contabile pignolo; e all’anemico menagramo Mazzini forse era preferibile il sanguigno
Vittorio Emanuele II, con i baffi – e non solo i baffi – in erezione. L’unico
filo comune che unisce i quattro Padri della Patria, oltre l’Italia unita e
l’esterofilia, era erotico: tutti e quattro furono donnaioli.
Garibaldi, il vecchio repubblicano, si era vendicato dei Savoia perché il
referendum che sancì la Repubblica fu celebrato proprio il giorno in cui l’eroe
dei due mondi se n’era andato all’altro mondo, il 2 giugno: quasi una vendetta
postuma di quel generale, costretto a obbedire di malavoglia al Re. Quasi una
iettatura sulla Corona. Poi c’era il Garibaldi ammazzapreti, miscredente,
internazionalista, utopista e confusionario. Da morto Garibaldi diventò
il testimonial del Fronte popolare, socialcomunista e stalinista, che perse
le elezioni nel 1948. Ma se è per questo, anche la Casa della libertà sancì la
ritrovata alleanza con la Lega proprio all’ombra di Garibaldi con un incontro a
Teano tra i leghisti e gli esponenti meridionali di Forza Italia e Alleanza
nazionale. Garibaldi unisce fronti popolari e populisti, Bossi incluso; e prima
di loro unì fascisti e comunisti, e poi Craxi e Spadolini.
Ma il mito di Garibaldi può funzionare ancora per stringere il paese intorno
alle istituzioni e all’unità d’Italia? La memoria che resta di lui è quella di
un eroe della tradizione italiana o di un avventuriero romantico e fuorilegge?
Il suo look e la sua ideologia lo avvicinano più ai militi o ai ribelli?
Garibaldi da che parte stava, dalla parte dell’Italia regime o dell’Italia
movimento, per dirla con De Felice? Oggi sarebbe stato dipietrista o
berlusconiano? Vatti a fidare dei ribelli e libertari che vanno al potere,
diventano dittatori e autoritari, come Garibaldi. Ottimo per far
l’Italia, pessimo per governarla. Seppe unirla, ma non avrebbe saputo guidarla.
All’Italia dei monumenti equestri di Garibaldi preferisco l’Italia delle piazze
antiche, delle torri e delle cattedrali, l’Italia dei contadini e dei poeti,
l’Italia romana e cattolica, medievale e rinascimentale, l’Italia dei borghi,
solare e mediterranea più che sudamericana e franco-inglese, come la sognava
Garibaldi. L’Italia garibaldina è vecchia senza essere antica. Se andate a
Caprera vedete i cimeli garibaldini tra il kitsch e il massonico; si nota
l’assenza di religione nella sua dimora estrema. Garibaldi in armi era una
forza della natura; ma Garibaldi in Parlamento e a Palazzo, Garibaldi che parla
e che scrive, era una iattura. Garibaldi a cavallo era un eroe, giù il
cappello. Ma non fatelo mai scendere, per il bene della patria.
(Il Giornale, 06/05/2010)