SOLIDARIETA’ E’ …
Primo Premio
Narrativa
Caterina Cianchi
Liceo Scientifico “C. Cattaneo”
FOLLONICA
MOTIVAZIONE
Un saggio breve ben articolato e razionalmente strutturato, nel quale il complesso tema della solidarietà è stato esaminato, nella sua evoluzione storica, sia da un punto di vista sociologico sia sotto l’aspetto politico sia infine nei suoi risvolti sociali ed economici.
Nella società multietnica nella quale viviamo, con le sue contraddizioni e le sue ingiustizie, l’umanità ha bisogno di nuovi modelli interpretativi; “solo la cultura, globalmente intesa come relazione dell’individuo con il contesto in cui vive, potrà venirci in aiuto”, educandoci ad interpretare in modo critico la realtà.
Sarà necessario creare “ una comunità tra uguali e una società aperta, dove ogni uomo possa considerarsi cittadino del mondo e allo stesso tempo radicato nelle proprie tradizioni, nella propria cultura, nel proprio credo”.
SVOLGIMENTO
Sigle, slogan, loghi gremiscono i nostri quotidiani, gli spot televisivi, le iniziative pubbliche. Si incrementa ogni anno il numero di organizzazioni di volontariato (18.293 associazioni nazionali), centoquindici sono i Paesi di tutto il mondo ad aver beneficiato degli aiuti delle cooperazioni italiane, ma otto milioni di uomini,soltanto nel nostro Paese, non hanno di che vivere.
Solidarietà è forse, perciò, la bella parola che scalda i cuori e placa le coscienze, alla quale si abbandona fiduciosamente il compito di supplire alle inettitudini dell’ordinamento, che una società moderna ed efficiente come la nostra dovrebbe espletare?
Questa solidarietà organica è espressione tipica di una società fortemente differenziata, frutto di una dislocazione di poteri molto sbilanciata,che conduce a creare il presupposto che una posizione di forza o di dipendenza sia originata da una relazione di scambio generalizzato. Il potere sarebbe quindi la ricompensa per chi offre di più, mentre la dipendenza la sanzione per chi dà di meno, ma ricerche antropologiche documentano l’esistenza di molteplici e differenti sistemi culturali, facendo così crollare definitivamente l’idea che esistano valori e norme di tipo assoluto e universale.
E’ alla sociologia che spetta il compito di mettere a fuoco direttamente il carattere unico e specifico di una società. Durante l’industrializzazione i rapporti umani subirono un forte impulso di istituzionalizzazione e razionalizzazione: le norme sociali presero il sopravvento sui rapporti individuali, che divennero sempre più fuggevoli e superficiali, impersonali e standardizzati.
Durkheim sottolineò la funzione integratrice che le idee morali svolgono in una società: perché si realizzi una qualche forma di solidarietà è necessario che gli interessi individuali siano regolati da modelli d’azione, che si pongono come ideali normativi a cui adeguarsi.
La condivisione di tali valori è un fattore di solidarietà all’interno di una collettività, mentre l’antagonismo può innescare una progressiva destabilizzazione dell’ordine sociale. Disagio, povertà, ignoranza, in una sola parola, miseria, possono stimolare quei focolai di ribellione sociale,così che il rispetto verso la dignità di ogni uomo rimane solo una parola scritta tra le carte di uno stato di diritto e non trova riscontro nella realtà.
Nel nostro Paese i diritti dei cittadini sono riconosciuti e tutelati non solo con riferimento a ciascun individuo, ma anche nella formazione sociale in cui si svolge la loro attività. Un richiamo preciso sottolinea i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Proprio a favore di terzi in stato di svantaggio, di bisogno, o a rischio di disagio, operano solidaristicamente le Ong e le associazioni no profit per il miglioramento della collettività. Che il benessere dell’individuo – in termini di salute, istruzione, sicurezza economica, tutela dell’infanzia e della vecchiaia – sia un diritto che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini è il concetto di recente acquisizione sul quale si fonda il Welfare State.
L’aggravarsi delle ingiustizie sociali e delle sperequazioni economiche rende indispensabile, se non obbligatorio, l’intervento di tali istituzioni.
Le grosse discriminazioni, in primo luogo quelle economiche, fanno spesso germinare quella intolleranza nei confronti dell’altro, che lo scorso autunno, a Parigi, ha destato la rabbia spontanea dei giovani delle banlieues, i quali hanno dato origine ad un movimento di battaglia contro i poteri forti della globalizzazione e i governi europei, responsabili, a loro dire, di leggi razziste e di un modello attuale di società, basata sul moderno schiavismo nei confronti dei migranti e delle esistenze precarie dei giovani e delle donne.
Gli avvenimenti della cosmopolita Parigi evidenziano come la violenza non sia razziale, ma appartenga ad ogni uomo e ad ogni società, specialmente se le condizioni di questa divengono subalterne ed alienanti. Per poter essere parte integrante ed attiva di una società che si evolve si deve essere solidali con essa. La responsabilità universale è la vera chiave della sopravvivenza umana. Ormai con la fine del ventesimo secolo possiamo constatare come il mondo sia diventato più piccolo e i popoli formino quasi una sola comunità.
E’ all’interno di questa che l’obiettivo primario di ogni uomo deve essere la custodia dei propri fratelli, pur preservando e conservando la propria unicità. Per questo, insieme ai grandi progetti per il terzo mondo e per i paesi in guerra, esiste anche la necessità di una microsolidarietà, che appartenga ad ognuno e viva ogni giorno vicino a noi, nelle nostre strade, nelle scuole.
Per diventarne partecipi è sufficiente spogliarsi dell’indifferenza, la mostruosa corazza che ci rende immuni. Sono i troppo forti sentimenti di appartenenza ad un popolo, ad una società o ad una propria identità culturale che generano quella dicotomia tra solidarietà e intolleranza nei confronti dell’altro, del diverso e che molto spesso guidano le nostre azioni e i nostri giudizi.
La nostra esperienza quotidiana ci apre verso un mondo multiculturale e multietnico e di frequente le difficoltà che incontriamo nel rapportarci con questo sfociano in atteggiamenti di diffidenza, incomprensione e rifiuto.
Grazie ad una politica di sensibilizzazione a favore di una cultura dell’incontro e dello scambio con l’altro, la convivenza e l’intreccio tra culture diverse saranno agevolati e ogni forma di solidarietà potrà concretizzarsi come principio ispiratore dei rapporti politici, economici e interpersonali.
Alberoni spiega ogni processo storico come il prodotto di due forze: quelle utilitaristiche e quelle dei movimenti creatori di solidarietà sociale. La vera forza che fa scaturire tali atteggiamenti va ricercata nell’etica individuale, che racchiude i principi e le norme che regolano la condotta umana.
La filosofia della morale rappresenta una parte fondamentale della cultura poiché corrisponde all’esigenza di ogni comunità di darsi delle regole, le quali possano disciplinare la comune convivenza. Perché questo avvenga è necessaria una formazione e una socializzazione primaria, che sviluppi in ciascun individuo i valori e le norme morali della collettività di appartenenza al fine di fare interiorizzazione.
Come è possibile però tutto questo in un mondo che sta andando in decomposizione, dove lo stesso tessuto economico sociale è in crisi?
I processi di mercificazione e privatizzazione hanno incrementato laceranti ingiustizie, ma se anche lo stato sociale si sgretola, si perdono i beni comuni e i servizi sociali fondamentali, e le conseguenze negative si fanno sentire nella vita dei più deboli, non si mette a rischio anche l’inserimento dei nuovi nomadi, che in cerca di fortuna si spostano da un paese ad un altro?
Vivere in una società multietnica non può voler dire integrazione forzata. Là dove le miserie si sommano e alimentano la disperazione dei ceti meno abbienti, non si rischia una dilagante emarginazione?
Nessun potere, nessuna forza però può annientare l’amore, la gioia che abbiamo intimamente radicata. Forse non potremo scegliere il nostro destino, ma possiamo dare un senso alla nostra vita, poiché l’insensatezza di un’esistenza, come asserisce Camus, premio nobel per la letteratura, si riscatta attraverso la consapevolezza che un uomo ha della propria condizione e attraverso la ribellione, la speranza, la solidarietà e il coraggio.
E’ l’umiltà che ci fa sentire vivi. Smontando l’eroe che c’è in ognuno e lasciandolo solo con la sua anima forse chiunque avrebbe ribrezzo di se stesso.
La necessità quindi di attenersi ai principi proclamati dalle Nazioni Unite, il relativo riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana, nonché l’uguaglianza e il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.
Si può essere liberi quando si ha fame? E’ indispensabile ammettere che la situazione economica attuale ha abbandonato il sogno degli anni sessanta. Dove sono andate a finire quelle norme, quei valori che dovevano regolare i comportamenti dei suoi membri affinché la collettività, pur godendo della più piena libertà, potesse anche condividere un dignitoso benessere? Come risanare questo male oscuro? Forse attraverso la ridistribuzione delle risorse, o ‘ semplicemente ‘ con l’attuazione di un’economia più umana, come propone il sociologo Tourain.
Qualsiasi periodo storico è stato accompagnato da un pensiero e da un organizzazione sociale e se con la rivoluzione francese l’Occidente ha pensato la realtà sociale in termini politici, utilizzando le categorie di ordine e disordine, più tardi, con la rivoluzione industriale, l’economia si è emancipata dal potere politico e abbiamo iniziato a guardare il mondo in termini economici e sociali. Inoltre, mediante il pensiero di Marx, abbiamo potuto riflettere sulle grandi trasformazioni che stavano cambiando la struttura della società: adesso spetta a noi prendere coscienza che le categorie politiche ed economiche dell’Ottocento e del Novecento non sono più sufficienti, bisogna trovarne di nuove.
La mondializzazione separa la vita economica dagli altri aspetti della società, creando sistemi sociali svincolati dai vecchi meccanismi.
Una volta gli schieramenti politici erano l’espressione di una relazione precisa tra classi sociali e partiti.
Oggi non più. Nel passato le città erano le proiezioni dell’economia e della società nello spazio, oggi invece sono sede di masse urbane indistinte, alimentate dall’immigrazione.
Ci sono poi i problemi della scuola e l’instabilità della famiglia. Chi potrà sopperire a questa logorante realtà? Forse un ritorno al passato, alla militanza, all’impegno, in nome della protesta per lo stato delle cose, o la fede in un futuro fuori dal capitalismo, o meglio, in un futuro come nostalgia?
Questo ci riporterebbe alla stagione in cui la politica prevalse sugli altri ambiti della vita, ma non sarebbe giusto e si rischierebbe nuovamente di creare falsi idoli e ideologie. Si sta generando una situazione di barbarie. Abbiamo bisogno di nuovi modelli interpretativi e solo la cultura potrà venirci in aiuto. Essa rimane la categoria chiave di ogni interpretazione della realtà, quindi anche il più importante terreno di lotta per cambiare in meglio la nostra vita.
Solo la cultura globalmente intesa come relazione dell’individuo con il contesto in cui vive può svolgere una funzione critica e demistificante.
I popoli, cristiani, musulmani e ebrei devono innanzi tutto desiderare la pace e in questa trovare la libera espressione della loro credenza e della loro cultura.
La consapevolezza della differenza è essenziale per favorire il rispetto reciproco, che a sua volta è il necessario presupposto per l’istaurarsi di un dialogo produttivo, affinché ogni uomo, alla domanda ‘di quale razza sei?’, possa rispondere ‘ umana ’, come fece Einstein. Solo così si creerebbe una comunità tra uguali e una società aperta dove ogni uomo possa considerarsi cittadino del mondo e allo stesso tempo radicato nelle proprie tradizioni, nella propria cultura, nel proprio credo.