“Lasciatemi invecchiare con amore e diventare anziano, così come avviene per tante cose belle l’avorio e l’oro, i merletti e le sete non vogliono essere nuovi; nelle vecchie querce c’è tanta potenza e nelle vecchie strade tanto fascino e colore perché allora a me, come a tutte queste cose, non deve essere permesso d’invecchiare con amore?”.
(K. W. BAKER)
SESSANTA, settanta, ottanta? Prima, dopo, mai? Addirittura a
54 anni, come a sorpresa rivela una ricerca inglese? O quando invece ce lo
dicono le ossa, il cuore, la stanchezza, o magari la voglia di vivere che
s’appanna? Definire oggi che cosa è e quando incomincia la vecchiaia è un
quesito davvero sfuggente, e non a caso si parla, sempre più spesso, di età
libera. E dunque fa una certa impressione sapere molta gente ritenga che la vecchiaia inizi a 54 anni, e
che la giovinezza finisca a 32, Un bel capitombolo all’indietro, se si pensa,
come sottolinea un professore ordinario di Geriatria all’università di Firenze,
“che l’inizio della terza età viene ancora convenzionalmente fissato a 65
anni, ma in realtà oggi si diventa vecchi in quel decennio che precede, in
media, la fine della vita, è cioè oltre i 75 anni”.
Perché tutto si mescola, tutto si confonde, le soglie della demografia sono
dinamiche, liquide, come mai prima d’ora. L’età matura si allunga, è sempre più
sana, in forma, sessualmente attiva (elemento considerato fondamentale per il
benessere psico-fisico) mentre la vecchiaia si dilata, sconfinando ben oltre
gli ottanta anni. “Ma nella mia esperienza – aggiunge Marchionni – a
fronte di una popolazione anziana vivace ed attiva, ma anche colpita in modo
massiccio dalle malattie degenerative, ho visto che la vecchiaia inizia quando
scompare la voglia di fare. Quando declina l’interesse per gli altri e per il
mondo. Quando la depressione, che è purtroppo una fedele compagna dell’ultima
parte della vita, diventa incurabile e prende il sopravvento. E qui sono
fondamentali le reti d’aiuto: la famiglia, gli interessi, gli amici”.
Se però, così dimostrano le statistiche, si vive in media 84 anni per le donne
e 79 anni per gli uomini, come mai un venticinquenne “percepisce”
come vecchia una persona di “soli” 54 anni e anzi a 32 anni si
considera già non più “young”, anche se con il salire dell’età degli
intervistati la media arriva ai 59 anni? C’è qualcosa che non torna, o che
forse deve far riflettere, visto che il mondo occidentale è pieno di donne che
diventano mamme a 40 anni (e la maternità è simbolicamente immagine di
giovinezza), ed è pieno di ultra sessantacinquenni saldamente produttivi nel
mercato del lavoro. Per Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica
di Milano, però il teorema è semplice. “Un giovane percepisce come vecchio
chi è generazionalmente lontano da lui. E ai nativi digitali, abituati a
cambiamenti velocissimi, a possedere strumenti che mutano in continuazione ma
diventano obsoleti con altrettanta rapidità, gli adulti digiuni di quei
linguaggi sembrano abissalmente lontani. E dunque vecchi”. Un elemento in
più che spiega quanto è ormai impossibile codificare un tempo, se si pensa poi,
come ricorda con leggerezza Niccolò Marchionni, “che ogni epoca ha la sua
terza età, erano i 40 anni per gli antichi romani, e infatti quella era la
soglia per poter essere nominati senatori, mentre nell’impero austroungarico di
Francesco Giuseppe, la vecchiaia arrivava a 65 anni, età di pensionamento degli
ufficiali… “.
Essere anziani è sempre più una condizione mutevole. “Moltissimo dipende
dallo stile di vita, dalle cure a cui si può accedere, dagli interessi che
restano vivi – aggiunge Rosina – e infatti si è visto che i laureati vivono in
media sette anni in più di chi possiede soltanto il diploma di scuola
superiore. Numeri che in realtà dimostrano quanto avere passioni e impegni sia
un vero e proprio salvavita”. Ma doppiati i 65, 70 anni, che sempre più
coincideranno con l’uscita dal lavoro, la vita, ricorda il sociologo Domenico
De Masi, “è davvero tutta da riscrivere”. Nella prospettiva di un
buon quindicennio di esistenza da riempire, impegnare, rendere fertile.
“Credo che per la salvaguardia del nostro futuro bisognerà abolire l’età
della pensione uguale per tutti. Perché pensione, nel linguaggio comune, viene
inteso come vecchiaia. Ma c’è chi a 65 anni vuole soltanto ritirasi a vita privata,
riposarsi, fare altro, e c’è chi, come il mio amico Oscar Niemeyer a 105 anni
ancora progetta… “. Del resto la definizione di vecchiaia è arbitraria
come quella di giovinezza. “Nell’era pre-industriale un maschio era
considerato adulto a 15 anni – spiega De Masi – e a 50 era anziano, ma visto
come una risorsa dalla comunità per la sua saggezza ed esperienza. È la
fabbrica che inventa l’età della pensione, perché superata una certa età si
veniva ritenuti non più produttivi come operai… Non c’è un’ora “X”
in cui si diventa vecchi – conclude De Masi – ad un certo punto accade, ma è
diverso per tutti, e l’età, a volte, è soltanto una questione di
anagrafe”.
(14 gennaio 2012) © Riproduzione riserva