IERI E’ MORTO GARIBALDI: SAI CHI ERA COSTUI?

Fr. C. S.

INTRODUZIONE
Parlare di Giuseppe Garibaldi è facile… il suo nome è il più popolare di tutti… si può dire che non ci sia bambino in Italia che non conosca, già in tenera età, il nome di Garibaldi… non avrà ancora sentito parlare di Giulio Cesare, di Alessandro Magno, di Napoleone… ma il nome di Garibaldi gli suonerà già familiare… e lo collegherà, senza rendersene conto, al nome di una via o di una piazza o di un monumento del suo paese, grande o piccolo che sia. Dappertutto, per quanto è larga e lunga la nostra penisola, la Sua bionda chioma e il suo mantello, gettato senza cura sulle spalle, sembra avere sventolato. Stasera lo ricorderemo, leggendo le memorabili parole scritte da Edmondo De Amicis nel suo libro “Cuore”… e lo faremo con il massimo rispetto, perché l’ Eroe dei Due Mondi è il simbolo
di un uomo semplice, puro di animo, che ha dedicato -con coraggio e costanzatutta la sua vita, alla ricerca dell’uguaglianza e della libertà dei popoli… con lo sguardo rivolto in lontananza… verso un orizzonte infinito… di là del tempo e dello spazio. Egli è il simbolo del pensare e dell’agire tipico degli “Uomini Liberi”, che credono che tutto possa essere modificabile… che la realtà possa essere cambiata… ed è questo particolare modo d’intrepretare il mondo, che suscita nell’uomo il sentimento salvifico della “Speranza”. Sappiamo perfettamente che tutto ciò può essere una visione utopica, ma al tempo stesso, siamo consapevoli che l’“Utopia”, pur essendo una cosa apparentemente insensata, è stata… è … e sarà necessaria per l’uomo… altrimenti, senza il pensiero utopico, saremmo sempre al tempo della pietra. Giuseppe Garibaldi, secondo me, deve essere ricordato
e celebrato per ciò che rappresenta da un punto di “vista simbolico” e non tanto dal punto di “vista storico”. Sappiamo benissimo che il Risorgimento, da un punto di vista storico, è fatto di luci e di ombre e per questo motivo è un argomento, ancora oggi, ampiamente dibattuto.
La storia dell’“Unificazione d’Italia”, com’è stata definita, non fu solo lotta contro il dominio straniero, ma ebbe anche i caratteri di una guerra civile… di una guerra di conquista… condotta, come pongono l’accento alcuni storici, da uno stato Sovrano contro altri Stati Sovrani.
RELAZIONE .
Caprera, 2 Giugno 1882, venerdì. Ore 5 del mattino: Garibaldi si sveglia, cerca di muovere il braccio sinistro, ma un dolore intenso a livello del gomito gli impedisce di estenderlo. L’artrite reumatoide ormai l’ha sopraffatto. Gli esiti fastidiosi della vecchia cicatrice a livello della caviglia destra, non gli permettono neppure di spostare il piede. Quella “pallottola di Caino”, sparata da una carabina sull’Aspromonte, gli aveva mandato in frantumi la parte distale della tibia, il malleolo, l’astragalo e lo scafoide. Il Generale soffre il caldo, suda profusamente la sete lo assale. Vuole bere ma la paralisi faringea, comparsa pochi giorni prima, non gli permette di deglutire neppure un sorso d’acqua. Il respiro è affannoso, la tosse insistente. Apre con fatica gli occhi, cerca di guardare nell’oscurità,
attraverso la finestra socchiusa, per cercare di scorgere le stelle. La “luce”
invade la stanza e rapidamente l’“oscurità” fugge. I primi bagliori gli permettono di riconoscere il soffitto, i quadri attaccati alle pareti, i libri accatastati sul comodino… tutto, in successione, riprende a poco a poco il proprio colore. Prima ricompaiono i grigi, poi i gialli, i rosa, i celesti, i verdi, i marroni e infine le prime soffuse ombre. L’aria fresca e profumata del mattino lo inebria. Il rumore del mare in lontananza lo rasserena. A un tratto, Garibaldi ascolta attonito il canto di un usignolo e la sua mente comincia a volare verso lidi lontani, verso orizzonti
con bastimenti che vanno e che vengono, verso campi di battaglia, verso nuvole bianche alzate da colonne di soldati in marcia. Lente lacrime scendono sulle sue rugose guance, mescolandosi all’appiccicoso sudore. Con voce flebile il Generale implora l’usignolo a continuare a cantare… tu non sei nato per morire. Alle ore dieci, contro il parere dei familiari, vuole assolutamente che il suo freddo corpo sia lavato con acqua calda. Alle ore undici la vita comincia ad abbandonarlo e alle ore 6.20 del pomeriggio muore. La notizia è immediatamente diffusa, tramite il telegrafo, in tutto il mondo. La lettura della rassegna stampa mondiale, in occasione della morte, lascia trasparire chiaramente la storicizzazione del suo
mito. I giornali francesi scrivono: “Garibaldi era cittadino del mondo, un cavaliere errante, aveva tante patrie quante erano le razze oppresse” (La France);
“Una grande figura eroica” (Paris); “La posterità lo saluterà precursore di tutte le grandi idee di libertà” (La Republique Francaise); “L’Eroe cavalleresco, ispirato ed ingenuo” (Le Temps); “Ciò che non si può contestare in Garibaldi è la sua lealtà e il suo coraggio” (Le Nationale). I giornali tedeschi e austriaci, scrivono sull’avversario, parole di stima “La figura più ideale del nostro tempo” (Wiener Allgemeine Zeitung); “Un uomo che ha disprezzato tutto ciò che gli altri cercano ansiosamente” (Neue Freie Presse); “Un Eroe e un Fanciullo… che vivrà immortale nella storia” (Neue Freie Presse); “La Leggenda garibaldina è una leggenda della libertà” (Neues Wiener Tagblatt); “Un nuovo Omero dovrebbe sorgere per cantare degnamente l’Odissea della vita di Garibaldi” (Deutsche Zeitung). In Inghilterra, paese che più aveva amato Garibaldi, il “ The Times” esalta la sua figura di uomo libero. Nei giornali degli Stati Uniti Garibaldi
è paragonato a George Washington e ad Abramo Lincoln, per la sua immagine
di uomo comune, onesto e disinteressato (The New York Times). In Giappone il “Tokyo Nicinici Shinbun” racconta la sua vita in quattro puntate, esaltandone le imprese. Giosue Carducci, Professore Cattedratico di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, dopo due giorni dalla sua morte, fece al teatro Brunetti di Bologna, un discorso commemorativo “… Quella bionda testa con la chioma di leone e il fulgore d’arcangelo… Giuseppe Garibaldi giace sotto il fato supremo… la sua potenza si è dipartita da noi; e a noi non resta che la sua gloria e il sublime compiacimento di averlo avuto coetaneo”. Torino 3 giugno, 1882: in un
palazzo in Piazza S. Martino (oggi Piazza XVIII Dicembre) davanti alla vecchia
Stazione ferroviaria di Porta Susa, un giornalista-scrittore, Edmondo De Amicis
(1846-1908), intellettuale inquieto e libero, stava terminando la sua più importante
opera, il libro “Cuore”. Esso rappresentava una raccolta di episodi ambientati
tra i compagni di una classe elementare di Torino, sotto forma di un diario
scritto da un ipotetico ragazzo: Enrico Bottini. La notizia della morte di Giuseppe
Garibaldi, sconvolse l’Autore, a tal punto che scrisse e inserì nel libro una
pagina memorabile in onore dell’Eroe dei Due Mondi. La sua immagine è rappresentata
come se fosse un Santo: talvolta, adorata e acclamata come se fosse
Cristo Redentore. Garibaldi, infatti, rappresentava il Redentore dei popoli oppressi,
il Messia di una nuova religione, quella laica, basata sull’“Amor di Patria”.
Dal libro “Cuore”: 3 Giugno, 1882 (sabato). «Oggi è un lutto nazionale.
Ieri sera è morto Garibaldi. Sai chi era? È quello che affrancò dieci milioni
d’Italiani dalla tirannia dei Borboni. È morto a settantacinque anni. Era nato a
Nizza (4 luglio 1807), figliolo d’un capitano di bastimento. A otto anni salvò la
vita a una donna, a tredici, tirò a salvamento una barca piena di compagni che
naufragavano, a ventisette, trasse dall’acque di Marsiglia un giovanetto che
s’annegava, a quarantuno scampò un bastimento dall’incendio sull’Oceano. Egli
combatté dieci anni in America per la libertà d’un popolo straniero, combatté in
tre guerre contro gli Austriaci per la liberazione della Lombardia e del Trentino,
difese Roma dai Francesi nel 1849, liberò Palermo e Napoli nel 1860, ricombatté
per Roma nel ’67, lottò nel 1870 contro i Tedeschi in difesa della Francia. Egli
aveva la fiamma dell’eroismo e il genio della guerra. Combatté in quaranta combattimenti
e ne vinse trentasette. Quando non combatté, lavorò per vivere o si
chiuse in un’isola solitaria a coltivare la terra. Egli fu maestro marinaio, operaio,
negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava
tutti gli oppressori; amava tutti i popoli; proteggeva tutti i deboli; non aveva
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altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori; disprezzava la morte, adorava
l’Italia. Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui
da ogni parte, signori lasciavano i palazzi, operai le officine, giovanetti le scuole
per andar a combattere al sole della sua gloria. In guerra portava una camicia
rossa. Era forte, biondo, bello. Sui campi di battaglia era un fulmine, negli
affetti un fanciullo, nei dolori un Santo. Mille Italiani son morti per la patria,
felici morendo, di vederlo passar di lontano vittorioso, migliaia si sarebbero
fatti uccidere per lui; milioni lo benedissero e lo benediranno. È morto. Il mondo
intero lo piange. Tu non lo comprendi per ora. Ma leggerai le sue gesta, udrai
parlar di lui continuamente nella vita; e via via che crescerai, la sua immagine
crescerà pure davanti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gigante, e quando
non sarai più al mondo tu, quando non vivranno più i figli dei tuoi figli, e quelli
che saranno nati da loro, ancora le generazioni vedranno in alto la sua testa
luminosa di “Rendentore di Popoli” coronata dai nomi delle sue vittorie come
da un cerchio di stelle, e ad ogni italiano risplenderà la fronte e l’anima pronunziando
il suo nome». Il libro “Cuore” fu pubblicato nel 1886, come libro per ragazzi.
Esso ebbe rapidamente un grande successo. In pochi mesi furono superate
quaranta edizioni e fu tradotto in numerose lingue. Nel 1910 aveva già venduto
mezzo milione di copie. è il libro più popolare dopo “Le avventure di Pinocchio”,
pubblicato tre anni prima. Entrambi i testi fanno parte di un tipo particolare
di letteratura, inesistente fino allora, chiamata “narrativa per ragazzi”. Essa
aveva, nell’Italia post-unitaria, una valenza educativa di massa. De Amicis catturava
una fetta di lettori ampia, perché affrontava problematiche politiche popolari;
per questo motivo era considerato “scrittore popolare”. La sua produzione,
anche se faceva parte di una “letteratura minore”, era importante perché offriva
una precisa testimonianza degli aspetti della società, che non sempre la letteratura
“aulica” di quel periodo -tra fine ottocento e inizio del novecento- riusciva a
fare, come quella del Carducci prima, del Pascoli e del D’Annunzio dopo.
L’obiettivo dell’autore torinese era quello di valorizzare il ruolo della “Famiglia”,
della “Scuola”, della “Patria” (una specie di trinità laica) e di enfatizzare
l’“etica del sacrificio” e del “lavoro”. Questi principi avevano un ruolo
dominante nella formazione delle giovani generazioni nell’Italia post-unitaria,
caratterizzata da una profonda crisi politica ed economica. De Amicis, erede
diretto del Risorgimento, tentò, con il suo messaggio pedagogico, di prendere le
distanze dall’istituzione ecclesiastica anti-risorgimentale. La religione Cattolica
degli italiani, nel libro “Cuore”, sembra essere sostituita con quella laicistica
della Patria, la Chiesa con lo Stato, il fedele con il cittadino, i Comandamenti
con i codici, i martiri con gli eroi. In esso non sono menzionate le grandi festività
religiose, come il Natale e la Pasqua, eccetto la commemorazione dei defunti,
mentre vengono enfatizzate alcune date simboliche come, appunto, quella della
morte di Garibaldi o del quarto anniversario della morte di Vittorio Emanuele
II . Il messaggio di questo testo è, nonostante la sua forte laicità, in linea con il
messaggio morale della Chiesa e per questo motivo il libro è stato letto sia dai
cattolici, sia dai non cattolici. L’influenza pedagogica di questo testo sulle generazioni
di giovani, dalla fine dell’ottocento agli anni sessanta, è stata incisiva;
anche se non ha evitato agli italiani l’accettazione passiva delle guerre e delle
dittature. Edmondo De Amicis propone agli italiani un nuovo “credo laico”,
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basato sui principi risorgimentali democratici. Molti critici letterari sostengono
che il libro “Cuore“, considerato il testo risorgimentale per eccellenza, sia al pari
delle “Avventure di Pinocchio”, scritte dal fiorentino, Carlo Lorenzini (1826-
1890). Edmondo De Amicis, negli anni successivi alla pubblicazione del suo
libro principale, si avvicinò al socialismo, cui aderì pubblicamente nel 1896.
Nelle opere letterarie di questo periodo, infatti, pone una particolare attenzione
alle classi sociali più povere, riconoscendo le reali difficoltà che incontravano i
ceti più umili nell’integrarsi, a pieno titolo, nella vita pubblica dello Stato. In
realtà, come scrive anche Benedetto Croce, nella sua “Storia d’Italia dal 1871
al 1915”, questi sentimenti non erano nuovi, ma erano ereditati direttamente
dal Risorgimento… “dove sia i giovani, sia i vecchi nutrivano un forte senso
di compassione e d’indignazione di fronte agli oppressi”. La fede nella natura
umana, il rispetto della dignità di ciascuno, la solidarietà e l’altruismo dominavano
l’animo dell’uomo risorgimentale. Qualsiasi “motivazione egoistica” era
respinta, perché tendeva a dividere e non a unire. Il sentimento di giustizia, di
uguaglianza e di fraternità fra i popoli, è radicato saldamente nell’animo di Giuseppe
Garibaldi e per questo motivo egli è considerato un “Uomo di Pace”; pur
essendo stato costretto a fare la guerra, per la libertà e l’indipendenza dei popoli.
L’Eroe dei Due Mondi si pronunciava, in ogni occasione, contro ogni tirannia,
proponendo una democrazia parlamentare e presidenziale, con un presidente
eletto e una federazione dei popoli d’Europa, con un governo europeo… per
questo possiamo inquadrare Garibaldi come un “Uomo Europeo”.
RI FLESSI ONE FINA LE
Termino dicendo che l’“Umanità”, non ha mai avuto così tante risorse materiali
e competenze tecnico-scientifiche come oggi, ma nonostante questo, la “convivenza”
tra gli uomini sembra essere minacciata. Assistiamo quotidianamente a
una lotta di tutti contro tutti, all’interno di una logica di “avidità generalizzata”.
Il problema, comunque, è come gestire questa rivalità tra gli esseri umani?
Credo che noi tutti dovremmo valorizzare il “convivialismo” cioè la capacità
di con-vivere o vivere insieme con gli altri… valorizzando la cooperazione e la
solidarietà umana, cercando di costruire una società priva di conflitti tra gruppi
o individui, perché l’aspirazione di ogni essere umano è quella di vedersi riconosciuto
nella sua singolarità e nella sua dignità. è questo ciò che l’uomo ha
sempre cercato, dall’inizio della sua storia. Noi dobbiamo sforzarsi ad andare
verso una società diversa… dominata dal senso della “curam”, cura in senso latino
del termine, intesa come sollecitudine sia verso se stessi, sia verso gli altri,
specialmente verso chi è a noi più prossimo. Dobbiamo, in poche parole, inventare
un “nuovo umanesimo”… dobbiamo inventare altre maniere di vivere, di
produrre, di amare, di pensare e di insegnare… convivialmente senza odiarci e
senza distruggersi. Questo deve essere, secondo me, lo scopo dell’uomo di oggi.
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