IL CREDO DI MAZZINI
di C. G.
A parte qualsiasi considerazione particolare in merito a Giuseppe Mazzini, non, credo sia facile cogliere la sintesi delle dichiarazioni programmatiche in momenti precisi e pagine bene delineate, di tutti gli uomini suscettibili di venire indicati come “Iniziati”. Forse perchè, il « credo » è cosa più congeniale ad una posizione risolubile in termini di dogmatica; certo è che dalle parole o negli scritti degli iniziati, risulta in genere difficile, isolare in cornici adeguate ed esaurienti, un’autentica « professione di fede ».
Per il Mazzini è possibile tenere altro discorso, essendo stata, la sua vita, « altro viaggio », ossia la proiezione continua della Luce nel mondo delle Tenebre. Tanto che, riprendendo la immagine dei Carducci, Eglì svegliò i dormenti, come Giordano Bruno; anzi trasse alla vita e si condusse dietro « un popol morto ». La iniziazione di G.M. ebbe dunque la propria inconfondibile fisionomia in relazione alla sua inconfondibile iniziatica missione.
Su tale strada, ogni parola, ogni gesto e addirittura ogni riga, contengono le componenti – per il Mazzini – di una professione di fede: una professione di fede costante e consapevole, insonne, continua, incisiva: l’assieme dei suoni ritmati nella predicazione dei nuovo S. Giovanni Battista: « vox clamantis » in mezzo alle tenebre.
Ma per cogliere il momento più efficace di una sintesi ideologica, in un personaggio del genere, credo sia opportuno cogliere il momento in cui l’iniziato si pone tra due posizioni contrapposte ed esprime il proprio giudizio sui « due secoli armati l’uno contro l’altro », ossia nel momento della dialettica storica e più ancora della dialettica umana. Lo scritto Dal Concilio a Dio espresso sotto forma di lettera al Papa ed ai membri del Concilio Vaticano Primo, è nato e si è maturato in quel preciso momento storico-ideologico.
Da una parte la tradizione religiosa raccoglieva e garantiva tutti gli elementi superstiti dei conservatorismo. Dall’altra, la nuova storia si faceva faticosamente avanti. Da una parte la strada era stata aperta dal Sillabo, dall’altra, da Aspromonte e Mentana. Con eguale senso inequivocabile, il Passato ed il Presente si fronteggiavano decisi. Mazzini si pose in mezzo e parlò, da iniziato, il linguaggio dell’avvenire.
L’avvenimento storico che sembrò coagulare per un momento il garibaldismo, il patriottismo, l’ansia dei rinnovamento civile, in faccia a Pio IX ed alle superstiti, tenacissime pretese dei temporalismo, fu, nel 1869, l’Anticoncilio.
Indipendentemente dalle interpretazioni critiche (e più ancora polemiche) che si sono date in vari tempi e luoghi, resta il fatto documentato dalla Stampa italiana e straniera e dal volume che Giuseppe Ricciardi raccolse nel 1870. A Napoli, nel teatro S. Ferdinando e nella casa dei deputato Ricciardi, convennero le forze dell’anticonformismo italiano e non restarono sole.
La Francia era allora sotto il dominio, sia pure vacillante, di Napoleone III e gli esuli francesi, i politici, si trovavano d’accordo con i rappresentanti della letteratura e della scienza nel chiedere il ritorno alla libertà.
Di più: era in crisi la leadership Napoleonica e di questo, contro il conformismo ad oltranza della classe politica italiana, Giuseppe Ricciardi ebbe l’intuizione.
Infine è da tenere presente il capovolgimento oramai scontato, dei punti di riferimento tradizionali della cultura.
L’astrattezza metafisica era superata dalla concretezza dell’esperimento e la nuova religione sperimentale era la scienza liberatrice: il Positivismo significava la nuova concezione della vita e dell’uomo.
Significativa è l’adesione dei filosofi e degli scienziati all’Anticoncilio.
La protesta significava il rigetto della politica moderata, il rifiuto dei separatismo di Cavour (ridotto in pratica formula di comodo), la rivendicazione di Roma capitale, il bagliore o preludio di una Costituente, il rinnovamento della legislazione italiana, con l’abolizione della Religione di Stato. Il programma aveva implicazioni storiche e sociali notevoli. Quando in esso si legge che il lavoro non dev’essere imposto, ma scelto in funzione delle attitudini, i collegamenti con la tradizione socialista dei Falansteriani, sono validi e chiari quanto quelli con il Sansimonismo. Il principio di fondo resta il valore illuminante della istruzione rispetto alla educazione cattolica tradizionale delle masse. Il riscatto delle plebi è visto, almeno per certi versi, mazzinianamente su un piano morale.
L’autosufficienza in termini ragionevoli è considerata propedeutica all’esercizio dei diritti politici.
L’Anticoncilio fu rapidamente dissolto: preoccupati di porre in evidenza , con un senso di superiorità interessato, il lato « eccentrico » delle iniziative di Ricciardi, gli scrittori dei ramo si sono dimenticati spesso di quella battaglia per i diritti civili.
Il Governo italiano chiuse il teatro con la forza, impressionato dalle grida ostili all’indirizzo di Napoleone III. Il popolo non era ancora maturo per partecipare. Nell’Anticoncilio si era parlato di diritto al lavoro ed alla istruzione, ma a livello di riformatori e di utopisti. In grande parte, tutto restò come prima.
Pure, se si volesse tracciare un giudizio politico dell’avvenimento ricordando sopratutto la immediata adesione di Garibaldi, dei Reduci, di qualificati esponenti della Massoneria e di deputati della Sinistra, non si potrebbe dimenticare che ne venne rafforzata la pressione della opinione pubblica sul problema di Roma e, a scadenza più lunga, sugli altri problemi insoluti d’Italia. Questo, alla vigilia di grandi eventi, come la Breccia di Porta Pia.
Mazzini non aderì all’Anticoncilio. Non impedì vi aderisse Federico Campanella. Non sarebbe mai venuto comunque a compromessi con il suo antico compagno di cospirazione, Giuseppe Ricciardi. Trasse però da quel l’avvenimento, l’occasione per guardare più in alto e più avanti. Non s’interessò dell’Anticoncilio ma dei Concilio, non di Ricciardi, ma del Papa, non dei moto italiano nella sua immediatezza storica, ma della storia dei mondo configurata nello sforzo della libertà dello spirito, di cui l’Italia doveva avere l’iniziativa.
Il credo di Mazzini si completa (se tanto si può dire) e si statuisce, si rende definitivo ed insuperato.
Non attraverso un dialogo, ma una polemica senza possibilità di ritorni. Egli interpreta le aspirazioni della parte più avanzata delleforze politiche italiane, ma non si ferma all’anticlericalismo. Interpreta contemporaneamente le aspirazioni note e ignote, di milioni di uomini e di diecine di secoli ad avere una visione completa e sicura, una morale valida al di qua e al di là della tomba; ma non si ferma alla consolazione religiosa nè lo sfiora l’idea della istituzionalità ecclesiastica sia pure in vesti nuove od in forme rinnovate. Eppure la sicurezza dell’apostolo si traduce, anche nel linguaggio, in una catena di affermazioni di principio, in una epistola che noti lascia spazio al destinatario, nel manifesto dell’eretico convinto e dei riformatore intransigente. Tale tono viene a G. M. dall’avere impostato il problema in rapporto non solo al cozzo dei Passato con il Presente, ma anche alla certezza dell’Avvenire. E’ la fisionomia dell’iniziato che perfettamente si rivela, nell’avere inteso il suono di voci che non solo alla massa sfuggivano, ma a tutto un mondo culturale, etico e sociologico: il mondo del positivismo. Ad esso erano già pronti ad abbeverarsi comunque gli spiriti ribelli come il Ricciardi. Ma, dalla conclusione di tutti i problemi con il parametro dell’al di qua, non sarebbe scaturita una soluzione definitiva e globale. L’avvenire sarà fermato nella oggettività della Scienza, ma al prezzo di legare l’uomo al determinismo della Natura.
Mazzini invece, discendeva dal l’Umanesimo rinascimentale. Egli ricavava la linfa dei proprio pensiero dal concetto che l’Uomo è i! Mediatore dell’Universo, da un principio quindi sostanzialmente iniziatico. Alimentava inoltre, il Mazzini, tale convinzione, al fondamentale criterio della evoluzione unitaria e perenne sul piano dello Spirito, del superamento indispensabile delle maschere empiriche e della loro fatale eredità di condizionamento. Dalla Autocoscienza al Mondo e dall’Analogia dell’universo alla interpretazione critica e consapevole dell’Io che approfondisce quotidianamente se stesso.
In tale area d’ispirazione autenticamente iniziatica, non c’è posto per la soluzione religiosa, almeno nel senso dogmatico e tradizionale. E si badi bene che il calore e l’irruenza di G. M. sono tali da farlo paragonare – in queste ed in a!tre occasioni – ad un seconde) Maometto. Egli fu effettivamente un profeta, e non disarmato, perchè armò e comandò uomini, i quali non si battevano solo per la riuscita di una congiura, ma per la integrale trasformazione del mondo. Del profeta ha qui tutta l’assolutezza delle convinzioni e la potenza dei linguaggio, ma il suo credo è ancora troppo imperniato sulla visualizzazione dell’avvenire. Egli non guardava al Cielo, ma alla Terra. Essa però risulta inserita in un generale disegno di armonia che accoglie « cielo e terra ,, « al quale ha posto mano, e cielo e terra » secondo la immagine – non poetica, bensì iniziatica – di Dante.
La colpa maggiore di cui Mazzini leva l’accusa contro il Vaticano non èdi avere ostacolato solo la libertà d’Italia, ma di non avere compreso la esigenza di libertà di duemila anni di storia. La più tremenda requisitoria ch’egli indirizza alla Chiesa di Roma, sta nella constatazione inequivocabile che quella Chiesa si è staccata dalla Vita, ha preteso porsi al di sopra della Coscienza e dei Progresso, ha inteso conchiudere nel breve tempo di una incarnazione terrena, il destino – ed il giudizio di un uomo, ha adombrato nel mito di una (tradizionalmente pagana) personificazione solare, la concreta presenza storica dell’iniziato di Nazareth, ha sostituito alla Rivelazione delle Incarnazioni successive del Principio – individuale e collettivo – in evoluzione, lo immobilismo della Rivelazione del Dogma.
Non è certo questo tutto e comunque neppure è definito, il credo del Maestro. Anche perchè il credo di un iniziato non ha mai termine, è nota di assonanza tra un passato lontanissimo ed un insondabile avvenire. Ma, risalendo all’Umanesimo di Pico attraverso il Sansimonismo nel cui ambiente si formò Mazzini giovane e protendendosi verso il dramma di una Umanitá in movimento verso nuovi approdi d’idee, secondo la Legge della Evoluzione dei mondi, la delineazione di queste poche sfaccettature può forse avviare alla comprensione piena della luminosa totalità dei Modello.
NO TA
Nella occasione delle polemiche sulla opportunità o meno dell’Anticoncilio, solo la voce di Aurelio Saffi si levò in qualità di ufficiale testimonianza dei Maestro. Ma la forza del documento mazziniano resta ancora oggi sconvolgente: « Voi potete scagliare oggi, morendo, l’anatema su questa Morale: ma io vi giuro ch’essa predominerà in tempo non lontano su quella che voi, pur violandola ad ogni tratto della vostra condotta, affermate a perpetua nel mondo ». Oltre che dal giornale L’Unità Italiana, la posizione di G. M. è documentata dalle pagine degli Scritti editi e inediti (ed. nazionale) e dall’Epistolario (ivi) riferentisi a quello specifico periodo. Resta qualcosa a dire ancora forse sul suo grande avversario.
Spirito ardente e in alcuni momenti apparso bizzarro, estroso comunque ed egocentrico, Giuseppe Ricciardi, di nobile famiglia napoletana, visse intensamente il dramma patriottico, culturale ed umano dei suo secolo.
Fu letterato, poeta, filosofo, saggista e sopratutto giornalista ed agitatore. Deputato al Parlamento Napoletano ed a quello Subalpino, era stato esule e condannato a morte dopo i fatti dei 1848, ma restò sempre esule in patria come il suo Maestro, Giuseppe Mazzini.
Era stato infatti il Ricciardi uno dei primi adepti della Giovane Italia, con il nome di Camposampiero. Ma aveva subito rotto con il Mazzini per incompatibilità di carattere, per divergenza sui piani d’azione rivoluzionaria e per contrastanti orientamenti sul piano filosofico. Nella Camera peraltro, sedendo a Sinistra e anticipando le più ardite impostazioni dei Meridionalismo, il Ricciardi non dimenticò di essere mazziniano. Sulla sua qualità di L. M. ancora si discute, malgrado la testimonianza del Leti, l’amicizia con Garibaldi e le denunce (comunque anonime) risultanti nell’Archivio Arcivescovile di Napoli. L’Epistolario di G M. è altrettanto ricco di riferimenti a G. R. quanto ricche di discussioni e riferimenti sono le opere politiche del mazziniano ribelle, il quale fu in sostanza prima del 1848, l’uomo di punta della emigrazione italiana in Francia e dopo l’Unità, fra le altre cose, il precursore del divorzio, (insieme a Salvatore Morelli).
A lui s’intitolarono a Foggia, una via, la Società operaia, il Circolo dei Reduci. Il Capitolo RosaCroce della Valle del Cervaro per mezzo secolo ha portato il suo nome.
(da L’INCONTRO delle genti, anno XXIV, aprile-giugno 1984 – Ed. E.R.A.-INCONTRO s.r.l.. Roma)