Il discorso / Le discours / Oration
André Michel Ramsay (1686?-1743)
PREMESSA
André (Andrew) Michel Ramsay, di
origini scozzesi e presbiteriane,ma convertitosi al cattolicesimo
“quietista” di Fénelon intorno al 1710, è rimasto celebre in
Massoneria per il famoso “discorso” che avrebbe dovuto pronunciare
nel marzo del 1737 dinanzi ad alcune logge di Parigi, venendone poi impedito da
un’ordinanza del cardinale Fleury. A proposito del Discours ramsayano,
M. MORAMARCO scriveva ne La Massoneria ieri e oggi che esso «(…) ha segnato,
in positivo e in negativo, lo stile del Rito Scozzese. In positivo, perché gli
ha suggerito quello spirito eclettico e universalista che costituisce vanto per
il Rito; in negativo, o quantomeno in senso anti-universalistico e
“fantastico”, privilegiando la componente cavalleresca e situando in
essa l’origine dell’Ordine Massonico.
Il peccato originale di Ramsay sta – come vedremo – nell’aver letto la vicenda
cavalleresca in chiave ingenuamente apologetica, ignorandone cioè gli aspetti
brutali e deleteri.
A.M. Ramsay (…) entrò in Massoneria [n.d.r.: iniziato alla “Horn
Lodge” di Londra nel Marzo 1729, il Cavaliere di Ramsay fu l’Oratore
titolare della Loggia “Il Luigi d’Argento” all’Oriente di
Parigi] (…) portandovi tutto il suo amore smodato per la Cavalleria e gli
Ordini onorifici (suo zio era stato scudiere dell’Ordine del Cardo, il cui
emblema appariva nell’araldica della casa Buglione di Lorena, presso la quale
Ramsay fu precettore e storico). (…) Analizzando il suo Discours
s’incontra una prima interessante affermazione: le leggi dell’antichità, avendo
in vista la conquista militare, l’espansione di un popolo a danno d’altri, non
poterono diventare leggi universali. L’amor di patria, male inteso, distrusse
l’amore per l’umanità. La Massoneria sorse così – continua Ramsay per
rivalutare quella che è una massima scolpita nella natura umana, formulabile
nel modo seguente: “Il mondo intero non è che una grande Repubblica, di
cui ogni Nazione è una famiglia“.
Cosmopolitismo in piena regola, che influirà sull’orientamento di molti Massoni
nei secoli successivi. Ma ecco che Ramsay, subito dopo, si prova a fondare
storicamente il suo “cosmopolitismo” e non trova di meglio che indicarne
i precursori nei Crociati. Cade, ci sembra, nel grottesco, quando li definisce
“uomini superiori”, liberi da “interessi grossolani”, e
mostra scarso acume analitico nel non distinguere tra autentico cosmopolitismo
e aspirazioni colonizzatrici di monarchie cattoliche di cui le Crociate furono
fallimentare strumento.
Ramsay arriva ad attribuire ai Crociati – verso i quali prova, evidentemente,
un complesso filiale – il costume del “divertimento” (tipico delle
logge francesi del ‘700, che organizzavano balli e discorsi di società),
affermando che con quello essi volevano rendere più amabile e appetibile lo
studio della filosofia. Qui la fantasia è sbrigliata, perché non pare proprio
che tra gli scopi istituzionali della Cavalleria figurasse la diffusione della
passione filosofica, né che i Cavalieri fossero i campioni della via di mezzo
dei “piaceri innocenti”, dato che le loro attitudini comportamentali
potevano andare dalla rinuncia ascetica allo stupro delle donne (…).
Poco oltre Ramsay istituisce un parallelo tra i “segreti” della
Libera Muratoria e le “parole di guerra” che i Crociati si
scambiavano per avvertirsi reciprocamente del pericolo, quando i saraceni
scivolavano quatti quatti nei loro accampamenti per sgozzarne qualcuno. Storia
comanda, invece, di considerare i segreti di mestiere delle corporazioni
muratorie medievali come il retroterra dei segni, delle parole, dei
“toccamenti” adottati dalla Massoneria.
Il nome di Libero Muratore – recita il messaggio di Ramsay ai Massoni
parigini – non deve dunque essere preso in senso letterale, grossolano e
materiale, come se i nostri Istitutori fossero stati dei semplici operai della
pietra o solo dei genii curiosi che volessero perfezionare le Arti. Essi erano
non soltanto abili architetti che intendevano consacrare i propri talenti e i
propri beni alla costruzione di Templi esteriori, ma anche Principi religiosi e
guerrieri che volevano illuminare, edificare e proteggere i Templi viventi
dell’Altissimo … ” (cioè gli esseri umani: Ramsay si riferisce qui
al voto cavalleresco di difendere i pellegrini, le donne, i bambini, i deboli).
(…) Ramsay si avvia alla conclusione del Discours rievocando i tempi nei
quali, tornando dalla Terra Santa, i “Principi religiosi e guerrieri”
(André Michel, evidentemente, non era sfiorato dal dubbio che i due aggettivi
potessero fare a pugni tra loro) fondarono Logge un po’ dovunque nelle contrade
d’Europa. In epoca successiva, tuttavia, le Logge furono neglette e l’Ordine
Massonico languì. Solo in Scozia “si conservò nel suo splendore“.
Accanto a queste gustose farneticazioni – psicologicamente comprensibili in un
aristocratico che invece d’andar fiero si vergognava del fatto che i primi
Massoni, gli operativi, fossero in massima parte lavoratori manuali – Ramsay
disse anche alcune cose interessanti. Oltre al brano sul
“cosmopolitismo”, che abbiamo visto sopra, c’è nel Discours,
un deciso riferimento all’analogia tra Massoneria e scuole misteriche
dell’Antichità e un passo – di rilievo storico – in cui lo scozzese anticipa,
come annota il Francovich, l’idea più rivoluzionaria di tutto il secolo
decimottavo (anche se in realtà qualcosa di simile era stato proposto nel
secolo precedente dal vescovo dell’Unitas Fratrum, Jan Comenius): l’Enciclopedia.
Ecco il passo in questione:
… Tutti i Grandi Maestri, in Germania, in Inghilterra, in Italia e altrove
esortino tutti i Sapienti e gli Artigiani della Fratellanza a riunirsi per
fornire i materiali di un Dizionario Universale delle Arti Liberali e delle
Scienze utili, escluse soltanto la Teologia e la Politica (…). Quest’opera
crescerà in ogni secolo, secondo l’aumento delle Luci …”.
In queste parole riemerge il Ramsay massone, che invita alla laboriosità e alla
concorde ricerca (l’esclusione dal protocollo ch’egli proponeva di teologia e
politica si spiega appunto con l’intenzione di evitare frizioni in seno al
costituendo Collegium Lucis). L’afflato universalistico che le permea (e
che si ritrova anche nei Viaggi di Ciro) ci fa accettare l’altro Ramsay,
quello dell’amore smodato per le presunzioni nobiliari; d’altra parte egli non
poteva sapere quanto la critica storica è giunta ad appurare, e cioè che le
Crociate furono tutt’altro che imprese “idealistiche” e che il voto
cavalleresco di protezione degli inermi (n.d.r.: il voto rimase per lo più
lettera morta) non poteva annullare il valore intrinsecamente discriminatorio e
le complicità della Cavalleria nella situazione dell’epoca».