CARLO ALBERTO SALUSTRI “TRILUSSA”

Li framassoni de jeri
Li frammassoni de oggi

Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

1871-1950

  PREMESSA Del tutto anomala, rispetto ad altre situazioni presenti tra i protagonisti della storia letteraria italiana, appare la vicenda di Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa, poeta dialettale romano fiorito tra gli ultimi anni dell’800 e la prima metà del ‘900. La decisione di richiedere l’ammissione alla Libera Muratoria la matura in tarda età tanto che la domanda, che pure era stata accolta, non ha seguito per la morte improvvisa del poeta. Ed è curioso come anche la nomina a senatore lo raggiunga appena venti giorni prima della sua morte, il 21 dicembre 1950, quando ormai la vita gli aveva dato tutto quello che un artista può desiderare compreso l’ultimo riconoscimento – appunto quello di senatore a vita – per aver con le proprie opere illustrato la Patria, come dice la motivazione firmata da Luigi Einaudi.
Trilussa non era mai stato un compiacente osservatore delle vicende dell’Italia, ma le aveva sempre trattate con quella ironia che nasceva da una sorta di comune buon senso popolare – che pervade tutta la sua opera – quando aveva sorriso sulle guerre propiziatrici dell’impero, o quando, senza eccessi e col sorriso sulle labbra di chi intravede, nelle umane vicende, il buffo e talvolta inutile agitarsi dei piccoli che vogliono apparire grandi, colpisce il regime fascista senza usare mai, però, il metro pesante della fustigazione o dell’invettiva. D’altronde nello stesso modo aveva ironizzato, durante l’era liberal-democratica, verso quei governi, e poi anche verso i partiti che andavano allora formandosi e che erano ovviamente agguerriti e rinchiusi nelle loro ideologie nascenti, talvolta con riferimento al fasti e nefasti ottocenteschi e risorgimentali, talaltra per esplicita certificazione di nascita dovuta alle incalzanti nuove esigenze della storia e dell’umanità.
Tuttavia al di là delle polemiche ideologiche, preme sottolineare come proprio dai quattro sonetti intitolati alla Massoneria di ieri e di oggi, emerga invece una posizione dei poeta che non è senz’altro negativa della Istituzione, mentre da altre appare evidente l’insofferenza di Trilussa per quanto il regime andava costruendo. Mentre la satira dei sonetti “massonici” non colpisce direttamente l’ideologia, che anzi trova modo di apprezzare, ma irride anche bonariamente all’atteggiamento di coloro che vi appartengono, forse perché appunto borghesucci ministeriali che nulla hanno a che vedere con il “generone” dei vecchi borghesi romani, nelle poesie ispirate al regime fascista capovolge completamente lo sfottimento e colpisce più l’ideologia che non le persone, così come aveva già fatto a proposito delle imprese coloniali e delle velleità imperiali dell’Italia della fine dell’Ottocento e dei primi del Novecento.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando dopo la caduta del fascismo e la liberazione in Italia riprendono le attività anche culturali, e pure i lavori della Massoneria riprendono “forza e vigore”, Trilussa, sollecitato da amici massoni, chiede l’affiliazione che viene senz’altro accettata e che purtroppo soltanto la morte impedisce di sancire ritualmente. E d’altronde la sua non è una richiesta senza coscienza, è sorretta dalla conoscenza, almeno libraria, delle cose della Massoneria, e dalla certezza della buona fede delle persone che lo invitavano.
Virtualmente, però, Trilussa – che aveva per tutta la vita creduto nel “Libero Pensiero”, non certamente quello sbandierato da coloro che lo invocavano a giustificazione del proprio tornaconto e di una malintesa libertà faccendiera; che aveva avuto sempre presente il trinomio massonico e si era sforzato di applicarlo coerentemente nella propria vita; che, nonostante l’ironia e il pessimismo nei confronti dell’uomo, non era stato mai un ateo – può essere annoverato nella schiera di coloro che sono o sono stati massoni a buon diritto e non solo perché la sua domanda era stata formalmente accettata.
Li framassoni de jeri (1911) Che credi tu? Ch’a le rivoluzzioni
fussero carbonari per davero,
còr sacco su le spalle e er grugno nero?
Ma che! E’ lo stesso de li frammassoni. So’ muratori, sì, ma mica è vero
che te vengheno a mette li mattoni!
Loro so’ muratori d’opinioni,
cianno la puzzolana ner pensiero. Tutta la mano d’opera se basa
ner demolì li preti, còr proggetto
de fabbricaje sopra un’antra casa. Pe’ questo so’ chiamati muratori
e er loro Dio lo chiarneno Architetto…
Ma poco più j’assiste a li lavori! II. E siccome er Dio loro è libberale,
ma gira gira è sempre er Padreterno,
ne vìè ch’er frammassone va ar governo
ce trova er prete e ce rimane eguale. Se sa, l’ambizzioncella personale
je strozza spesso er sentimento interno:
è un modo de pensà tutto moderno
e in questo nun ce trovo ‘sto gran male. Se er frammassone cià li tre puntini,
er prete cíà er treppizzi, e m’hai da ammette
che armeno in questo qui je s’avvicini; vedrai che troveranno la maniera
de sarvà capra e cavoli còr mette
un puntino per pizzo e… bona sera! Li frammassoni de oggi (1911) I. Un anno fa, quann’ero frammassone,
se strignevo la mano d’un fratello
me ricordavo der tinticarello,
ma lo facevo senza convinzione. Annavo in Loggia pe’ giocà a scopone,
a sett’e mezzo, a briscola, a piattello,
con uno scopo solo, ch’era quello
de poté mijorà la condizzione. Ma da quanno ce chiusero la Loggia
nun trovi più nessuno che ce crede,
nun trovi più nessuno che t’appoggia. Perché la Fratellanza Universale
che ce riuniva tutti in una fede
finì co’ la chiusura del locale. II. Er frammassone d’oggi, s’è prudente,
pe’ sta tranquillo e fa’ la vita quieta,
invece del giochetto de la deta
s’adatta a salutà romanamente. Così che ce capischi? Un accidente.
Finché l’associazione era segreta
se sapeva dall’a fino a la zeta,
nome e cognome d’ogni componente. Invece mò, che non è più un mistero,
chi riconosce er frammassone puro?
Chi riconosce er frammassone vero? Chi riconosce er frammassone esperto
che, nun potenno lavorà a lo scuro,
te dà le fregature a lo scoperto?
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