Tavola
incisa da un Apprendista
della R\ L\ Concordia all’Or\ di Firenze
L’appartenenza alla Massoneria mi ha dato l’opportunità di rileggere il
famoso libro conosciuto come “Pinocchio”; ma il cui vero titolo è
“Le avventure di Pinocchio”.
Naturalmente ho fatto un po’ di ricerche che non hanno portato alla
certezza che Carlo Lorenzini, detto il Collodi , appartenesse alla
Massoneria, anche se sono abbastanza significative varie allusioni.
Già l’inizio:
“C’era una volta,..
-un Re…
-No…”
Sembra una provocazione, se si tiene conto che i destinatari sono i
“piccoli” lettori, i ragazzi, soli competenti di fiabe e regole
fiabesche.
Il “c’era una volta” lo sappiamo è la strada maestra, la parola
d’ordine del mondo della fiaba, ma in questo caso la strada è ingannevole,
perché appena varcata la soglia di quel regno ci si accorge che, non esiste
il Re.
E’ così che poi nel mondo degli “adulti” si cerca di essere
tutti il Re, il Principe Azzurro, anche perché solo loro avranno la
“principessa”, Ognuno avrà dunque la sua “armatura”,
costruita come meglio gli riesce per mascherare difetti del
“Principe” che forse non c’è.
A scrutare fra gli interstizi di queste sette parole si scopre subito una
favola nella favola, una favola diversa dove il “burattino” deve
apparire con tutti i suoi difetti, dove è costretto a superare tutti gli
ostacoli che gli si presentano per diventare “uomo”.
Il favoleggiatore ha dato accesso sì al luogo delle fiabe, ma di una fiaba
diversa, drammaticamente incompatibile con l’altra regale e antica terra di
fiabe, certificata dalla presenza della corona.
Appare ancora attuale il noto giudizio espresso dal Croce su Pinocchio:
“Che, cioè, nella sua ingenuità il burattino rappresenta il formarsi
dell’uomo secondo un metodico ritmo universale. Più recentemente,
dall’orizzonte critico si è levata la proposta interpretativa che in vario
modo ha spiato nel libro per dar conto del fascino che esso emana da un suo
sottofondo accattivante, provocatorio, e dalla sua singolarità di durare proprio
mentre si fa antico, quasi promessa di verità riposte e inconsuete,
occhieggianti qua e là non si sa bene dove e quando, magari dappertutto e
sempre, come in rilucente luccichio che si spegne se si fissa e si ravviva
non appena si guarda con la coda dell’occhio.
In lodevole discrezione ha cercato di scoprirlo, tale fascino, il
Servadio, aprendo la struttura dei dati non più con la chiave psicoanalitica,
precedentemente usata, ma con quell’esoterica, nella volontà di racchiudere
dentro limiti definiti ciò che è qualificato “esoterico”
Ciò che va tenuto presente in tali zone intermedie tra scienza e
parascienza è il giudizio del Burckhart, cui il Servadio, si rifà, secondo
cui ogni ricerca para o ultra-scientifica, che miri all’aspetto qualitativo
della realtà pescando nel fondo, agisce come un uomo che spenga le luci per
meglio esaminare l’essenza del buio.
E’ sufficiente aver presente un dato storico esplicativo di fondamentale
riferimento che nel pieno e diffuso fulgore dei lumi settecenteschi Lessing
indicò, nientemeno che per l’educazione dell’intero genere umano, la ricerca
centrata sui meri avvenimenti nei miti e sulle allusioni simboliche. Appunto
a tale tipo di ricerca spetta l’aggettivo “esoterico”.
Nell’orizzonte critico attuale di Pinocchio l’esoterismo si staglia in modo
ipotetico anche quando venga visto nel riscontro analogico come itinerario
formativo in vari riti e miti primitivi, saghe leggende, circostanze
narrative inerenti a permutazioni; con la catabasi nel ventre di animali, con
la crescente coscienza della morte per il contrasto con il senso della vita,
e soprattutto con gli usi iniziatici.”
C’è un’immagine, nel racconto, che tutto incastona, coordina, anima:
l’immagine della strada. Ma la strada di Pinocchio è quella ideale-eterna
descritta da Vico; le “Avventure” scorrono sì nel tempo (il tempo
risorgimentale) ma medesimamente in un’atmosfera che non ha tempo, sottofondo
armonioso e remoto della più umana della avventure quella del farsi uomo
nella liberazione dell’istintivo e dal caudaco secondo una legge, tanto
severa quanto provvedente, che condiziona e converge a buon fine la
gradualità erronea dei passi.
In quel tempo risorgimentale si sentiva la necessità di conciliare Cristo
e Mazzini, le catacombe e le società segrete, La Giovane Italia e l’Italia
giovane già largamente Massonica. In particolare dopo che l’adesione di
Garibaldi alla Massoneria aveva dissolto molte diffidenze politiche verso
quest’ultima, molti Mazziniani, trovano motivo di tranquillizzare la propria
coscienza, non immemore dei valori del Cristianesimo, ma contemporaneamente
predisposta nell’allargare l’orizzonte in zone di meditazione politicamente
disinteressate, in cui l’unione prevaleva sul contrasto.
Ora Collodi fu Mazziniano ed è presumibile che si trovò ideologicamente
sul piano inclinato che separava/univa Mazzini alla Massoneria.
Da quest’ultima accolse i principi sapienzali anch’essi inclini
all’ermetismo, nonché il metodo di esprimerli in fantasiosità simbolistica,
ma nel continuo legame con la tradizione italiana, imbevuta d’acqua
battesimale Cristiana.
Le assonanze con i rituali Iniziatici sono così evidenti che basta
ricordare le iniziazioni studiate dagli antropologi che si presentano in due
specie: quelle che avviano i puberi alla vita naturale-sociale, e quelle che
avviano i puberi e gli adulti ad una vita superiore alla umana ordinaria. In
Pinocchio ricorrono ambedue.
Gran parte iniziatica ha l’albero, anche e/o soprattutto quale simbolo
d’ascensione ovvero di un esistenza nuova a guisa di forma umana nuova, o
meglio neonatale.
Dal legno-materia prima, allorché è lavorato a regola d’arte, emerge
Pinocchio, burattino sì, ma che deve farsi uomo, e che pertanto contiene già
la figura umana inserita nel suo corpo di legno. Ecco iniziato quel percorso
iniziatico che deve condurre l’uomo ad una profonda trasformazione di tutti.
i vari piani del suo essere, trasformazione resa possibile con il morire
quale profano e rinascere quale iniziato Libero Muratore.
Non a caso si evidenziano in Pinocchio i diversi Viaggi compiuti durante
le cerimonie d’Iniziazione che il Profano compie attraverso i quattro
elementi per diventare Apprendista Libero Muratore.
Anche Pinocchio, oltre ad attraversare l’elemento acqua e l’elemento
fuoco, viaggiando sul dorso del colombo attraversa l’elemento aria, e poi c’è
l’elemento terra quando approda alla sua agognata Spiaggia, nelle vesti di un
Pinocchio stanco ma sicuro è ormai pronto a rinascere sotto le sembianze di
un Uomo, di un Iniziato, di un Risvegliato.
Ulteriori specifici richiami all’iniziazione ad Apprendista sono
rappresentati allorché Pinocchio dopo essere stato impiccato (cioè gli è
stata messa una corda al collo) è costretto a bere un calice di bevanda
amara, simbolo dell’amarezza dei rimorsi provocati da un non adempimento
degli impegni assunti, dai tre medici che simbolicamente rappresentano le tre
Luci della Loggia Massonica Maestro Venerabile, I e II sorvegliante), ai
quali è dato il compito della “cura” materiale ma soprattutto
spirituale.
Alla luce di tali numerosi ed espliciti riferimenti. alla ritualità
massonica presenti nel testo di Lorenzini, sorge spontaneo il domandarsi se
l’autore di Pinocchio sia o no Libero Muratore, Mentre Coco e Zambrano
ipotizzano una tale appartenenza, il Tempesti sembra esserne convinto, dato
che solo con l’essere a perfetta conoscenza della Ritualità Massonica è
possibile in forma volutamente velata descrivere i tanti episodi presenti nel
testo; e considerando l’epoca cui risale il testo era difficile conoscere
senza appartenere.
Affermerei che sia difficile trovare un passo, una Costruzione, un modo di
interpretare l’opera che non ci faccia pensare alla Massoneria e ai suoi
Rituali.
Mi viene in mente l’episodio della sveglia fatta a Pinocchio all’osteria
del Gambero Rosso, a Mezzanotte in punto, con tre colpi.
Importante è porre l’accento anche sul fatto che puntualmente emerge la
figura psicologica del burattino che è paragonabile a quella dei profano che
procede per tentativi senza organizzazione.
Altro incontro a valenza psicologica è quello tra Pinocchio e il
Padre-Maestro che avviene nel ventre del pescecane che l’aveva ingoiato; qui
sembra proprio di essere nella Camera di Riflessione: al buio, con una
lucina.
E forse non è a caso che appena usciti dal ventre-Camera di Riflessione,
sul dorso del tonno insieme Maestro e allievo, superando il “mare”
dell’inconscio approdano finalmente alla spiaggia che rappresenta la solida
percezione del proprio Io. Ed è così che il Burattino-Profano rinasce
Uomo-Iniziato.
Se si analizza l’opera del Collodi da un punto di vista
simbolico-numerologico, è interessante soffermarsi sul N° 4, numero che è il
più ricorrente.
Ed ecco che è per 4 soldi che è venduto l’abbecedario, in sostanza è
venduto ciò che simboleggia lo strumento della conoscenza.
Dunque il numero 4:
quattro sono gli elementi , ed è il numero che è capace di indicarci la
spazialità terrestre, quindi è simbolo della materia.
Il10 è simbolo della realizzazione spirituale (per Pitagora era il numero
perfetto su cui i suoi allievi dovevano giurare) e non è a caso che
moltiplicando questo per il 4 si ha 40, e quaranta sono i soldi che Pinocchio
regala alla Fata che poi saranno trasformati in 40 zecchini d’oro.
Quando Pinocchio è stato restituito alla sua forma originale dai Picchi
silvestri, la Fata gli fa una proposta che parrebbe singolare; “se vuoi
rimanere con me tu sarai mio fratellino ed io la tua buona sorellina”.
Dichiarandosi sorella la Fata conferma che tanto Pinocchio ha bisogno di lei
quanto lei lo stesso di Pinocchio ed ecco che si deve chiedere in che senso
essi sono fratello e sorella e la risposta è che sono legati da una
fraternità fatale, iniziatica. Le due fraternità collaborano alla loro
crescita, anche la fata è legata ad un percorso iniziatico e sembra essere
tanto legata alla simbologia Massonica la sua “Morte” che come
sappiamo Morte non è.
La fata alchemica d’ogni Povero ma amoroso soldo ha fatto zecchino: non la
ricchezza indica il tesoro, ma il conseguimento per trasformazione. Il numero
40, numero arcaico, indica come si è detto il numero perfetto, insomma la
conclusione del Viaggio.
La forma della trasformazione per noi è la morte: e le ultime righe, che
trattano della trasformazione di Pinocchio, raccontano la morte di Pinocchio.
Durante la notte, durante il sonno, Pinocchio ha scelto di morire, ha
chiamato a se gli assassini, tutte le forme del fuoco e dell’acqua, l’omino
di Burro, i febbroni, i fulmini delle sue nottatacce, il Serpente, il
Pescatore verde.
Egli ha usato tutta la sua leggenda, tutto il suo destino per uccidersi: e
con il suo suicidio tutti i mostri che esistevano come destino Pinocchio
scompaiono per sempre.
Nessuno poteva uccidere Pinocchio se non Pinocchio – se così si chiamerà –
di carne.
Pinocchio guarda quel burattino misterioso, meraviglioso e buffo. Nella
casa del nuovo Pinocchio resta quella reliquia morta e prodigiosa, il nuovo e
vivo dovrà coabitare col vecchio e morto, Ma quel metro di legno continuerà a
sfidarlo.
Ma la trasformazione non tocca solo Pinocchio ma anche Geppetto: nato
falegname, è ora promosso a “intagliatore di cornici”, E ..
oleografia è la via di transito ai simboli della vita
E vorrei concludere con le riflessioni conclusive del Manganelli sulle
Avventure di Pinocchio:
– Parole inesatte, refusi, parole aggiunte da mani distratte, perdute,
raccattate, parole impossibili, parole caute, da “dizionario” ci
mettono sull’avviso: vi sono righe in cui le parole che vanno lette non sono
scritte. Anche il silenzio è parola.
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