SENSAZIONI

Sensazioni

(M. L.)

           Mi è stato chiesto di riportare i miei pensieri, le mie sensazioni, le mie interpretazioni ai mille simboli che animano la nostra presenza in un tempio. Anche se questi miei pensieri, in fondo, dovessero essere dei dubbi.

           In realtà tutto ciò richiede un percorso interiore. Non voglio avere la pretesa, né tanto meno la presunzione e quindi l’ottusità, di negarlo a me stesso.

           Mi negherei che tutti gli input concettuali che i simboli che ci circondano in un tempio inevitabilmente e necessariamente devono essere vissuti per essere compresi: vissuti con un animo ed un pensiero realmente critici. Ovverosia liberi. Ed affinché il mio pensiero ed il mio animo possano essere realmente liberi è necessario un percorso interiore, appunto.

           Un percorso interiore che è evidentemente diverso in ognuno di noi, ma che in ogni caso ognuno di noi è chiamato a compiere.

           Alcuni avranno trovato questo cammino immerso in una valle verde dove la pace e la serenità dominavano gli umori dei loro animi; altri, invece, saranno stati chiamati ad un avventuroso viaggio in una notte buia e tempestosa.

           Il mio iter, nonostante le date indicano che sono qui ormai da più di un anno, è cominciato da poco: il mio percorso interiore si è appena fatto individuare nella mia mente, nel mio animo. Sono rimasto immobile, forse attonito, per più di un anno intero.

           Durante questo anno, non posso essere così ottuso, appunto, da negarlo a me stesso, la confusione, la rabbia, e certamente un irrefrenabile desiderio di far valere la mia personalità, mi hanno affollato la mente. Nel tempio, ma soprattutto fuori. Un anno durante il quale, nella mia vita profana, ho dovuto affrontare situazioni, persone, esperienze completamente nuove. Mi sono trovato, per la prima volta, di fronte a decisioni dalle quali ero consapevole sarebbero dipese le sorti del mio futuro. Decisioni per me importanti, le quali, giorno per giorno, mi imponevano di scegliere approcci logici ai problemi, scegliere atteggiamenti da assumere di fronte alle situazioni, alle persone. Spesso anche a dispetto delle emozioni che in quel preciso momento stavo vivendo.

           I primi verdetti stanno bussando alla mia porta, e mi dicono che alcune decisioni sono state prese seguendo la migliore delle logiche, altre invece no.

           Sono comunque nelle condizioni psicologiche di guardarmi indietro e fare un piccolo bilancio. E pur non volendo pensare se per me sia positivo o negativo, sono consapevole che tale bilancio punti il dito, (in maniera cinica, spietata, peraltro!) sul cammino, sul percorso interiore che devo, più che intraprendere, a questo punto portare avanti. E devo portarlo avanti se voglio crescere come uomo.

           Adesso comincio a rendermi conto che il tempio può diventare per me il luogo in cui poter dedicare le mie energie più pure ad un cammino da compiere fuori, nella vita profana.

           Ciò premesso vi sarà facile comprendere il motivo per cui, dovendo parlare dei significati di cui ho riempito le cose viste nel tempio, i pensieri che queste hanno mosso, i dubbi che hanno suscitato ed i percorsi interiori che tali elucubrazioni hanno avuto, beh.. .dovendo parlare di tutto ciò non posso che far riferimento alla prima cosa che entrando in un tempio polarizza l’attenzione di un profano:                                                             LIBERTA’      UGUAGLIANZA       FRATELLANZA.

Queste tre parole sono riportate sopra lesta del GTMT; queste tre parole dominano i Lavori. Quindi li regolano; ne costituiscono lo spirito, l’essenza, la sostanza.

           O forse, meglio ancora, ci vogliono servire da stimolo, come se ci volessero imporre di tenere a mente quali sono gli obiettivi in direzione dei quali devono essere rivolti i nostri sforzi?

           LIBERTA’. Certo il senso che racchiude in sé questo concetto ha infiammato  l’animo dell’uomo da sempre. I libri di storia in definitiva parlano di tre cose: potere politico, economia, libertà.

           Ma nel 2000, soprattutto per noi che siamo abituati a vivere in una Repubblica fra le più liberali del mondo, quell’accezione credo sia obsoleta e non penso che quell’incisione voglia rievocare nulla di simile. Con ogni probabilità la LIBERTA’ cui si fa riferimento è la libertà di parola, d’espressione, di pensiero. Esattamente lo stesso genere di libertà di cui ognuno di noi gode in uno Stato democratico. Con una differenza: nel momento in cui ci avvaliamo di questa libertà di parola, di pensiero, di espressione in qualunque luogo si voglia (a scuola, a lavoro, in mezzo alla strada) bisogna essere preparati a raccoglierne i frutti o a pagarne le conseguenze a seconda che il nostro interlocutore la pensi come noi oppure  no.

           In un tempio questa liberà è davvero totale, nel senso che, indipendentemente dal modo in cui siano viste le medesime cose dagli altri Fratelli, il pensiero di ognuno di noi deve costituire uno spunto di riflessione e non un elemento di valutazione o di giudizio.

           Sì, ma credo sia riduttivo ricondurre il tema della LIBERTA’ alla possibilità di esprimere una propria idea senza essere giudicato, ma semplicemente rappresentando uno spunto di riflessione per la platea. O meglio: questa è una cosa di grande importanza, ma credo sia importante spostare l’attenzione all’origine. Voglio dire: siamo certi che libero sia il nostro spirito, che libera sia la nostra mente, nel momento in cui avviciniamo problematiche di qualunque genere?

           Siamo certi di non essere mai coinvolti, a seconda degli argomenti, da passioni, frustrazioni, amori, affinità o peggio ancora preconcetti di qualunque genere? Siamo certi di conoscere davvero noi stessi tanto da riuscire a dire quello che vogliamo, quello che sentiamo e non quello che riteniamo giusto dire in una determinata circostanza, o peggio ancora, quello che sappiamo il nostro interlocutore voglia sentirsi dire in quella situazione?

           Siamo davvero liberi, tanto da essere sicuri di noi stessi al punto di volerci mostrare alla platea nudi, come realmente siamo, con i nostri pregi e difetti? Siamo davvero liberi al punto di vivere serenamente i nostri limiti, tanto da volerli cercare per poi provare a superarli? Siamo davvero liberi da sfuggire allo spirito di competizione che anima le giornate di ognuno di noi, che lo si voglia o no, sin da quando siamo bambini?

           Siamo davvero liberi tanto da vivere serenamente i confronti che attimo dopo attimo la vita ci propone e ci impone, anche quando siamo noi i perdenti? Siamo davvero liberi al punto di riuscire a parlare ed ascoltare con spirito libero?

           UGUAGLIANZA. Personalmente ho sempre creduto che il concetto di uguaglianza trovi riscontro esclusivamente in materie scientifiche. Mai nelle relazioni sociali.

           Nel tempio tutto i Fratelli sono uguali perché ognuno di noi ha eguale diritto rispetto agli altri di esprimere le proprie idee; e le idee di qualunque Fratello sono di uguale peso e di eguale importanza rispetto a quelle di qualunque altro, compreso il GTMT.

           Ma siamo sicuri sia davvero così? Siamo certi di ascoltare con eguale attenzione le parole del Fratello Rossi piuttosto che quelle del Fratello Bianchi? Siamo sicuri che i nostri rapporti personali, le nostre opinioni, i giudizi che inevitabilmente portiamo dentro di noi ci consentano di dare lo stesso peso alle parole che ascoltiamo?

           Siamo certi che il rapporto che intimamente ci lega con l’oratore di circostanza ci permetta di essere liberi di prestare a lui uguale attenzione rispetto a quella che garantiamo a qualunque altro?

           Siamo certi di riuscire ad astrarre i concetti che la dialettica di ognuno di noi vuole esprimere dall’identità (e dalla sostanza) della persona che li esprime, tanto da renderli assoluti, ed in quanto tali UGUALI a quelli espressi da qualunque altra persona?

           FRATELLANZA. Qui non può non entrare in giuoco il mio modo di sentire questa emozione. Forse sin troppo sanguigno, ma è il mio modo. E’ il mio modo di essere, di sentire, di vivere. E fa parte del pacchetto!

           Fratello, nella sua accezione positiva (dal momento che non mi posso permettere il lusso di interpretarlo diversamente) per me è un amico. Ed un amico è un pezzo di me, del mio animo, della mia essenza, della mia formazione. Una cosa fatta per lui è una sensazione di gioia che pervade la mia mente; un affronto fatto a lui o un torto fatto a lui è una pugnalata che infliggo su di me, è un insulto che faccio alla mia dignità di uomo, alla mia fierezza di essere quello che sono.

           Noi tutti proviamo questa sensazione, viviamo questa emozione ogni volta che ci vediamo?

                                                             Or T di FOLLONICA     Settembre 1999      E T  V T 

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