PASCOLI – ESOTERISTA E DANTISTA

Pascoli esoterista e dantista di M. N.

  La R.·.L.·. “Giovanni Pascoli” n. 1089 all’Oriente di Bologna ci ha offerto la felice opportunità, il giorno 20 febbraio 2002, di perseguire nella nostra incessante ricerca alla gloria del Grande Architetto dell’Universo e per il bene e il progresso dell’Umanità. Considero dunque un grande onore e privilegio l’aver concesso al Fr.·. Roberto Rinaldi e a me la possibilità di tracciare questa tavola di riflessioni a quattro mani, o a due voci, se volete.
Riflessioni, che sia per la complessità e delicatezza del tema affrontato – “Pascoli esoterista e dantista”-, sia per lo spazio limitato che ci assegniamo per il giusto equilibrio tra esposizione ed attenzione, vogliono essere appunti per uno stimolo a più approfondite letture e riflessioni. Vorrei anzi giungere, come dirò al termine, di questo saggio a operative proposte per il Bene dell’Umana Famiglia Italiana, dell’Ordine in generale e, naturalmente, della menzionata Loggia in particolare. Una Tavola di appunti che dedico in particolare ai Fratelli che si sono appena uniti a noi e che siedono a Settentrione sotto la colonna degli Apprendisti. Avranno tempo, partecipando assiduamente ai lavori, di sgrossare la pietra grezza e di raccogliere un giorno il maglietto. E ciò per quell’aurea catena ininterrotta della trasmissione della tradizione massonica. Uno degli anelli di questa catena, senza dubbio, tra i più famosi, è stato il Fr.·. Giovanni Pascoli, cui è intitolata la R.·.L.·. che ci ha invitato a compiere questo studio. 
Secondo lo storico Aldo Mola, Giovannino fu iniziato il 23 settembre 1882 alla loggia “Rizzoli” di Bologna, all’età di ventisette anni, poco prima di partire per raggiungere la sua prima cattedra d’insegnamento liceale a Matera. Era lo stesso anno in cui si era laureato, con una tesi di letteratura greca sul poeta Alceo. Lo stesso Mola lamenta come la sua appartenenza alla Massoneria sia sistematicamente ignorata da biografi e critici e come, per contro, la sua adesione alla nostra istituzione sia fondamentale per comprendere la sua poetica, e aggiungo, come vedremo, anche la sua interpretazione dantesca. Moriva a Bologna il 6 aprile 1912, Giovanni Pascoli legato come noto alla Lucchesia. Si era allora in un duro periodo di confronto elettorale. La notizia che la sua salma sarebbe stata tumulata a Barga presso Castelvecchio, transitando per Lucca, mobilitò le associazioni della Dante Alighieri, Il Libero Pensiero, – associazioni entrambe fondate e guidate da massoni- come i partiti dell’allora sinistra, tutti intenzionati a renderle onore. Anche la Massoneria lucchese manifestava formalmente l’intenzione di salutare il passaggio all'”Oriente eterno” di Pascoli. Apparve il 9 aprile un manifesto che riportava la firma del dott. Argenti, commissario prefettizio del Comune di Lucca, che invitava la cittadinanza a rispettare la volontà dei familiari che avevano richiesto l’astensione da ogni manifestazione esteriore. In gran parte della popolazione tali disposizioni provocarono stupore, poi indignazione quando si seppe che il commissario prefettizio, da giorni a Bologna per seguire le vicende del funerale, non aveva mai autorizzato tale manifesto. Si apprese, inoltre, che Mariù, la sorella del Pascoli, era rimasta amareggiata poiché nessuno della famiglia aveva mai avanzato una tale richiesta. Ad onta del tentativo di rendere silente il passaggio da Lucca della salma di Pascoli, il 9 aprile alcune migliaia di persone accorsero lo stesso alla stazione, dove i cancelli erano stati chiusi e gli accessi presidiati dalle forze dell’ordine. Secondo un rapporto della prefettura, i servizi di sicurezza “furono travolti dall’orda della moltitudine colà accorsa” e sarebbe stato impossibile impedire, senza spargimento di sangue, l’invasione della stazione. Infuriava il vento e l’acqua, ogni casa era vestita a lutto – riportano le cronache – ma il corteo, per volontà della sorella Mariù, proseguì senza soste al lume di fiaccole e torce a vento, fino al cimitero di Barga, dove il feretro giungeva a notte inoltrata. La stampa nazionale dava ampio risalto alla scomparsa del poeta e i fogli democratici accusavano di servilismo le autorità lucchesi, imputando al prefetto di aver emanato l’ordine di boicottaggio per favorire il partito clericale nella campagna elettorale in corso. Nonostante ciò, si scriveva, l’immensa folla riuscì a compiere una dimostrazione di affetto che, senza la partecipazione delle autorità e con tutte le ingiustificate ostilità frapposte, era riuscita ancor più solenne. Il giornale cattolico “L’Avvenire d’Italia”, invece, parlava di sceneggiata e di dimostrazione settaria voluta a Lucca dalla loggia Burlamacchi e dall’associazione del Libero Pensiero. Poi bollava con parole di fuoco “l’opera triste compiuta con infinite arti dalle sétte massoniche, per ottenebrare (…) la purissima ed incantevole idealità cristiana” del poeta. (Tra parentesi, che nella massoneria vi sia una costellazione di valori naturali, mai chiusi al cristianesimo, come nel caso di Pascoli, ma anche di De Amicis – e l’elenco sarebbe lungo -, lo ha persino, inconsapevolmente, scoperto e valorizzato il cardinale di Bologna Biffi, a proposito della sua lettura cristiana del Pinocchio – altra opera di letteratura, esotericissima, del nostro Fr.·. Collòdi.) 
Anche alcuni giornali dell’epoca avvaloravano l’appartenenza libero-muratoria dell’autore di Myricae, scrivendo esplicitamente nei loro necrologi, di “Pascoli massone”. Va detto a onor del vero che la sorella Mariù sempre respinse con fastidio le voci dell’iniziazione muratoria del fratello, da lei giudicate insinuazioni malvagie, anche temendo che portassero a ritenere che la cattedra universitaria del Pascoli e la sua fama letteraria non fossero dovute a meriti propri. E’ un timore che ben conosciamo e che ancora, aldilà delle aperture alla società manifestatesi con la Gran Maestranza di Gustavo Raffi, conduce tuttora molti Fratelli a mantenere una loro riservatezza sull’adesione massonica proprio per impedire voci maligne. 
Risiede, in parte, in questa volontà di Mariù, esecutrice testamentaria dell’opera letteraria di Pascoli, uno dei motivi per cui quasi mai brilla, nella critica letteraria dell’opera di Pascoli, la luce sulla sua appartenenza massonica, l’influenza di quella cultura iniziatico-esoterica comune del resto anche a Carducci e a D’Annunzio.
Nonostante quest’assenza la critica letteraria su Pascoli si è ampiamente lasciata influenzare da pregiudizi di natura politico-filosofico-religiosa piuttosto che lasciarsi guidare dal giudizio estetico, ha guardato più al “contenuto” che alla resa poetica dell’ispirazione.
L’opera del Pascoli è stata così soggetta a molte incomprensioni. Fra i critici di area liberale, quelli di “sinistra” gli furono favorevoli apprezzando il suo socialismo umanitario ed il suo scetticismo teologico, mentre quelli di “destra” gli furono contrari per lo stesso motivo, perché non apprezzarono quel suo persistere “nel solco di un socialismo sia pure pacifista ed idillico”; fra i critici di area cattolica, generalmente ostili al Pascoli, non mancarono dei convinti sostenitori della sua arte, i quali riconobbero al poeta romagnolo una certa “ansia tutta cristiana e francescana del suo filantropismo”; per contro i critici di area marxista si vendicarono della defezione del Pascoli dal socialismo militante (avvenuta dopo l’esperienza del carcere), giudicando l’uomo un “conservatore egoista” e il poeta uno che attinge la propria ispirazione, “refrattaria ai cimenti della nuova idea”, dalle “scuderie della borghesia”, portatore di “un’ideologia socialistico-reazionaria” che plaude con il discorso La grande proletaria s’è mossa all’espansionismo colonialista di un’Italia al termine della sua esperienza giolittiana. Non vogliamo qui entrare in un’analisi politica, di un’epoca pur ormai lontana, ma di un’epoca post-risorgimentale, in cui la Massoneria aveva comunque un suo ruolo politico-sociale. Si vuole qui semplicemente sottolineare il fatto che, dopo la sua prima adesione negli anni giovanili a quell’Internazionale anarchico-socialistica che fu una frangia della massoneria, rappresentata dai FF.·. Bakunin e Andrea Costa, alla sua partecipazione a manifestazioni antigovernative, al tentativo insurrezionale nel 1879, che condussero al suo arresto, all’esperienza traumatica del carcere per alcuni mesi e alla successiva piena assoluzione, tutto ciò determinò il distacco di Pascoli da una politica militante di parte. Da allora, non si può non rilevare che, dalla sua successiva adesione alla massoneria, tre anni dopo, fino a tutta la sua vita il Pascoli etico e diffusore di un messaggio sociale, ma anche il poeta, cioè l’uomo intero, restò sempre fedele nel propugnare il principio di fratellanza, che non è solo il centro del Trinomio ma che è il caposaldo dei Landmarks massonici. Pascoli, come allo stesso modo, il Fr.·. De Amicis, fu sempre fedele a un ideale di socialismo umanitario, che ripudiava da un lato il dogma della “gelida” dottrina marxista della lotta di classe e da un lato accoglieva il più puro principio cristiano, quello delle origini, della mansuetudine evangelica e dell’esoterismo francescano, quello, in altre parole, della fraternità fra gli uomini, quel costante appello alla bontà, all’amore, alla solidarietà e alla pace. 
Va anche detto, per inciso, che le dispute seguite ai funerali di Pascoli erano, comunque, le ultime schermaglie di una battaglia per laicizzare la società italiana che si stava spegnendo, e che avrebbe lasciato irrisolta una delle questioni fondamentali della storia dell’Italia liberale. Con la morte di Pascoli, si chiudeva un ciclo, e le aspettative di modernizzazione del mondo laico erano frustrate dall’esito delle elezioni politiche del mese di ottobre, dove in quasi tutti i collegi avevano la meglio i candidati conservatori. Poi il fascismo, con la chiusura delle logge massoniche, il dopoguerra segnato dalla guerra fredda e dalla paura del “pericolo rosso”, che portava al ricovero sotto lo scudo crociato, toglievano adeguato supporto politico alla cultura laica e al pensiero massonico, solo in parte rimaterializzatisi con le conquiste dei diritti civili degli anni settanta del Novecento.
Sia l’Arte muratoria che quella del linguaggio si reggono sull’energia della parola elaborata ed evocatrice. Fu proprio un grande letterato massone, Göethe, a proporre nel suo Faust la cosciente riconciliazione tra Parola (matrice delle lettere) ed Azione (ovvero lavoro), attraverso la mediazione di Pensiero ed Energia. Per queste ragioni non può certo stupire il fatto che laddove parola e lavoro assumono un corpo unico, ovvero l’arte letteraria, la presenza dei Massoni sia sempre stata e continui ad essere nutrita. E’ questo è, e non può essere altrimenti, il caso di Pascoli. Voglio e devo essere, per lo spazio limitato, estremamente sintetico nell’indicare quest’identità tra il Pascoli poeta e il Pascoli massone ed esoterista, fatta l’identità in Pascoli come diffusore del pensiero massonico, poeta civile, vate dei destini dell’Italia e celebratore della sua gloria che gareggia col suo maestro, il Fr.·. Carducci, e con l’amico-nemico D’Annunzio, con le Odi e inni, i Poemi del Risorgimento e le Canzoni di Re Enzio.
Un primo spunto di riflessione è certamente quell’ideale di Eden, di paradiso terrestre perduto, di sogno della palingenesi pitagorica, rappresentato dalla vita nel mondo della campagna, quell’idillio georgico di Virgilio- altra grande figura esoterica- che rappresenta da un lato quella ricerca ciclica dell’età dell’oro e dall’altro una nitida anticipazione delle migliori istanze ecologiste e no-global verso una vita più a misura d’uomo di taluni orrori e aspetti detestabili della vita cittadina e della globalizzazione economica con i suoi amari squilibri, di quell’armonia sociale e cosmica che si potrebbe raggiungere se non vivessimo del superfluo e sotto il dominio del guénoniano “regno della quantità”. Nella vita legata alla terra, nel ciclico succedersi delle stagioni, Pascoli vede il deposito di quei valori tradizionali autentici come solidarietà, bontà, purezza morale, semplicità, saggezza, contrapposti alla realtà contemporanea. Anche i temi astrali, di quelle stelle che decorano il soffitto del nostro Tempio, spesso si allineano nei suoi componimenti. Al contrario annotava Pascoli in pagine di lucida profezia in Una sagra, discorso del 1900: “i più forti ingoiano i più deboli… verrà tempo in cui si potrà dinotare per nome l’unico possessore di tutto il mondo: un tiranno al cui servizio sia un genere umano di schiavi…Il genere umano precipita verso l’abisso della monarchia unica e del possessore unico. Si presenta ai nostri occhi l’orribile galera terracquea in cui tutti gli uomini lavoreranno meccanicamente…ubbidendo al cenno invisibile del solo despota che impera nell’unica Babilonia.”
Ancora il costante rapporto con la morte, l’ignoto e il mistero, l’inconoscibile verso cui l’anima si protende ansiosa, tesa com’è a captare i messaggi enigmatici che provengono dal mondo, non traducibili in nessun sistema codificato dalla scienza, ma che necessita anche degli strumenti non razionali dell’intuizioni. 
Occorre rilevare che la stessa prova del dolore e della sofferenza cui fu sottoposto Pascoli nella prima gioventù, per l’omicidio del padre, deve aver assunto, dopo il terzo grado massonico, forti connotazioni hiramitiche, quella “nuova disposizione interiore”. E qui non dico di più, se non segnalare quel dato comune di come il dolore e la morte siano una dimensione trascendente di purificazione ed elevazione, modello esemplare di un ispirato messaggio etico e metafisico destinato all’umanità intera. 
Infine accenneremo al suo amore, per molti aspetti, del passato classico, di quel mondo greco-latino che fu una costante delle sue poesie e delle sue traduzioni, veduto nella sua ansia di totalità, come conoscenza delle ultime cose, dell’ignoto e del mistero, di quegli arcani indicibili, “forze incognite incessanti”.
E, infatti, nondimeno, si dovrà segnalare, come è stata definita, e solo noi massoni sapremo coglierne probabilmente appieno il significato e il senso, “quella perenne auscultazione del mistero che è al di là delle cose più usuali”, che anche nelle “piccole cose”, negli oggetti più comuni, sa rendere la presenza di un’altra dimensione, carica di significati simbolici. E’ certamente in ciò che sta la grandezza del poeta “fanciullino”, nella sua capacità di scoprire aspetti inediti del reale. E soprattutto un modo nuovo di vederlo e rappresentarlo. E ciò anche dal punto di vista stilistico. Anche tra le parole, come tra gli oggetti del mondo reale non v’è superiorità ma anche il più umile ha legittimità di significato e di significante, avviene lo stesso processo di libertà. Non c’è lotta di classe nell’ambito semantico. Accanto a parole dotte, auliche, preziose, antiquarie, trovano posto, come eguali, termini gergali attinti dalla civiltà contadina, assieme ai termini del parlare comune si affratellano parole provenienti da lingue straniere, accanto a formule tratte dall’antica poesia classica siedono precisi termini della moderna botanica e ornitologia. Per non parlare poi delle onomatopee, del fonosimbolismo, del linguaggio analogico, delle metafore e delle sinestesie,- per cui le forme si trasmutano continuamente le une nelle altre-, tutti elementi che sono cifre caratteristiche della poetica pascoliana. E che, non a torto, lo fanno, per la critica contemporanea, appartenere più che alla corrente cosiddetta “decadentista”, a quella, – insisto, a buon diritto e solo dei massoni possono meglio comprenderlo – a quella “simbolista”. Infatti come il simbolo- secondo la corretta definizione di Plutarco- non dice, ma allude, suggerisce, così è, sempre, la poesia di Pascoli, anche nella più minuta, al di la dei suoi vividi quadretti impressionistici, per cui dietro la presunta compattezza della realtà si dischiude sempre una trama di analogie segrete, di significati simbolici misteriosi.
Paradossalmente la sua stessa poetica del “fanciullino”, malintesa dalla stragrande maggioranza, da tutti quanti hanno costantemente rifiutato e respinto come si dirà uno degli vertici fondamentali dell’opera pascoliana, ne ha determinato – pur restando sempre tra i grandi della poesia italiana- mode e fortune. Non meno di tre generazioni della scuola dell’obbligo, dagli anni cinquanta ai settanta – anch’io vi appartengo – sono state nutrite di poesie di Pascoli, vedendovi in esse soltanto l’aspetto retorico-sentimentale, viziato dal giudizio di Croce – mi raccomando sempre di fare attenzione a Croce che fu sempre un esplicito antimassone- di un Pascoli che “si aggira in un piccolo mondo perché non conosce e non è in grado di dominarne uno più vasto”. Al contrario dei giudizi estetici di Croce di cui un massone farà sempre bene a diffidare, accoglieremo invece con favore la definizione di Pascoli “poeta cosmico” del grande Luciano Anceschi, che tradurremmo con il poeta dell’architettura dell’universo. Altrettanto, con orrore, andrà disdegnata la recente analisi critica, condotta con i logori strumenti di indegni eredi della psicanalisi freudiana, sulla sessualità turbata del poeta, arrestata all’età del “fanciullino”, con il conseguente recupero di talune sue poesie, in cui gli aspetti funerei dovrebbero apparire, secondo questi critici, come morbosi. Che sarebbe un po’ come dire, per analogia, che siccome i massoni hanno una forte pratica con i segni di lutto hanno tutti una sessualità turbata. Se proprio si volessero adottare gli strumenti della psicoanalisi per la critica alla poesia pascoliana meglio si adatterebbero quelli del Fr.·. Jung e dei post-junghiani, che meglio capiscono archetipi miti simboli ed esoterismo platonico, per capire la bellezza del senso tragico della vita che promana dalla poesia di Pascoli e del come Pascoli, potrebbe dire James Hillman, “faceva anima”.
Si diceva della poetica del fanciullino. In questo famoso saggio del 1897 il poeta romagnolo attribuisce la scoperta del fanciullino al tebano Cebes, uno dei protagonisti del dialogo platonico Fedone. E’ il personaggio che di fronte alla socratica dimostrazione dell’immortalità dell’anima, della sua preesistenza e perennità, confessa come in noi tutti, al modo di un fanciullo, vi sia sempre lo sgomento e la paura della morte.
Per renderci conto di quanto Pascoli fosse acuto e profondo, in altri termini esoterico, per scoprire come la scuola sia spesso una stanza vuota e la stanza col lettino di Freud sia una stanza di comprensioni parziali e perciò incomprensioni, per avere una visione sinottica, completa di Pascoli occorre, davvero, una grande opera di risarcimento culturale verso il poeta di San Mauro.
Si racconta che Pascoli nel suo studio avesse tre scrivanie, una per le sue poesie, la seconda per le traduzioni, una per i suoi saggi di critica dantesca. Per un occhio addestrato sarà facile scorgervi l’analogia con i tre seggi del Tempio e con le tre luci – che sempre restano nei nostri cuori -, la forza – la poesia, la bellezza – le traduzioni, la sapienza- il lavoro su Dante. E proprio in quest’ultima, ma prima scrivania che scrisse la trilogia – Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante (1898), Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro (1900), La mirabile visione. Abbozzo di una storia della Divina Commedia (1902) e avrebbe anche desiderato scrivere, se non fosse passato all’Oriente Eterno, un non mai compiuto La poesia del mistero dantesco. In questa sua continua attività di dantista si aspettava fama e invece gli procurò solo delusioni. Tuttora a questo aspetto, quello di più alto grado come abbiamo veduto, si continua a perpetrare un “no, grazie”. I libri citati – cui va aggiunta l’edizione postuma del 1915 delle Conferenze e studi danteschi – restano pressoché introvabili.
Come Pascoli, chi ora qui scrive- il paragone è certamente irriverente nel mondo profano ma dove tutti i Fratelli, anche quelli scomparsi, sono eguali nella fraterna catena d’unione massonica è lecito-, ritiene che all’attività speculativa del massone si debba sempre accompagnare quella operativa e che quest’ultima non sia scomparsa con l’istituzione della massoneria moderna, ma che più semplicemente il Tempio si edifichi con altri strumenti e materiali; ancora, allo stesso modo del poeta del Gelsomino notturno, ritengo che illuminismo o laicismo ed esoterismo non siano due anime che convivono nella nostra istituzione, con la prevalenza ora dell’una ora dell’altra, ma due facce della stessa medaglia. In tale visione mi sarà concesso perciò annunciarvi che ho convinto un piccolo e raffinato editore romagnolo ad inaugurare una collana, intitolata tois sebastikois, ai venerabili, la denominazione che spettava al più alto grado dei pitagorici, i cui primi titoli saranno proprio gli introvabili, e spregiati, saggi pascoliani su Dante. Davvero, come dice una massima esoterica, la pietra più disprezzata è la pietra di fondamento. La pietra più spregiata da tutti deve essere raccolta e classificata, con le innumerevoli altre pietre, per sviluppare l’edificio, e spesso un genere di lavoro di scavo è necessario per portare alla luce di nuovo le pietre seppellite profondamente dell’edificio immortale. E’, questo, il medesimo genere di lavoro cui si dedicarono alcuni pensatori del XIX e XX secolo, a proposito di Dante. C’è una lunga linea di studi esoterici danteschi che, partendo dal Fr.·.Ugo Foscolo, vanno dall’altrettanto introvabile – o trovabile a carissimo prezzo – ponderosa opera del Fr.·. Gabriele Rossetti Il mistero dell’amor platonico del Medio Evo, derivato dai misteri antichi del 1840, passando per Pascoli, fino a Luigi Valli con Il linguaggio segreto di Dante e dei fedeli d’amore e fino al Fr.·. René Guénon. La proposta (o riproposta) delle opere principali degli esponenti più interessanti del cosiddetto pensiero tradizionale – a cominciare dall’italiano Pascoli, ma penseremo anche a Rossetti e forse allo stesso Valli che ha goduto di migliori fortune editoriali- di libri eterodossi, misconosciuti ed emarginati per decenni, nel caso di Pascoli si è raggiunto il giro di boa del secolo- ci sembra quanto mai utile e necessaria in un panorama editoriale, in materia di esoterismo, sempre più ammorbato dai fumi dell’immenso ed infinitamente riscaldato minestrone della new age e dove le opere degli esoteristi stranieri- le fortune del citato Guénon fanno da esempio- vi appaiono il piatto forte anche per quell’insana e vieta passione, solo italiana, per tutto ciò che è straniero e che ci consentirà un risarcimento verso il completo pensiero pascoliano e magari una ripresa degli italianissimi studi tradizionali su Dante e di studi massonici su Pascoli – la cui unica eccezione in questi ultimi decenni è rappresentata soltanto dal libro, pubblicato dalla Bastogi nel ’76, Saggi massonici di poesia – Giovanni Pascoli del compianto Fr.·. Carlo Gentile, che, ricordo, dal ’67 al ’70 fu Gran Sorvegliante, dal ’73 al ’76 Grande Oratore e dal ’76 al ’78 Gran Maestro Aggiunto. L’operativo lavoro, al quale ci accingiamo con nuovo vigore, permetterà, infine, una riscoperta di quella sapienza italica, rigorosamente greco-latina, che, da Pitagora al Fr.·. Arturo Reghini per fare un solo nome tra i più recenti, mai si estinse e che, a chi vi si impegna, vi assicuro, prodiga senno, benefizio e giubilo.
Spero che in tale benemerente opera di ristampa di opere neglette del Fr.·. Pascoli, tanti Massoni ci siano di sostegno. E se di ognuna delle quattro opere dantesche di Pascoli si riuscirà a vendere, e perciò diffondere, almeno duecento copie ci parrà, in un certo qual modo, di aver ottemperato, in tal caso, al giuramento che gli apprendisti conosceranno, a tempo debito, all’aumento di salario. Inseguire Dante, intessendo sulle orme della Commedia, il proprio affannoso viaggio terrestre; questa è la fascinosa epopea critica del dantismo pascoliano, che si potrà dispiegare nuovamente dinanzi agli occhi, in un viaggio misterioso nell’oltretomba dantesco che il poeta di San Mauro tramutò nella sua personale ricerca e di cui ci darà un assaggio lo studio seguente tracciato dal Fr.·. Roberto Rinaldi. Sono tutte opere, quelle citate su Dante, che ci fanno intravedere l’antichissima origine della nostra istituzione, ben più remota dell’inglese istituzione della moderna massoneria. Come deve infine dichiarare proprio il francese Guénon nel suo saggio L’esoterismo di Dante è lecito “pensare che da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la ‘catena della tradizione’ non fu mai interrotta nella terra d’Italia”. Ma, al di là del concetto, a lode di Pascoli dantista, si scoprirà come il suo maggiore impegno, per oltre un secolo tradito e seppellito da ignoranza, fanatismo e ambizione, consentirà illuminazioni vivissime, sottraendo la Divina Commedia dalle tenebre della storia e dell’allegoria per innalzarla ai vertici del perenne simbolismo della poesia. 
Dice Pascoli in Minerva oscura: “Il viaggio pare uno di quelli che possiamo ricordare d’aver fatti da fanciulli (Dante è come un fanciullo vicino a Virgilio), un poco a piedi, poi portati di peso in carrozza, poi discesi senza averne coscienza intera, balzati di qua e di là, tra cigolii e schiocchi e scricchiolii e tonfi, con qualche carezzevole parola mormorata all’orecchio in mezzo a un rotolare continuamente e sordamente fragoroso.” Già gli Apprendisti vi distingueranno un’eco del loro recente viaggio iniziatico tra gli elementi.
E qui davvero concludo, sul limitare di questa soglia, per lasciare posto ai successivi studi, il viaggio di sparsi appunti pascoliani, nel quale avete voluto accompagnarmi con la vostra tolleranza di cui vi ringrazio. M.   N.
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