IL GABBIANO JONATA
Carissimi Fratelli,
Questa sera è mia intenzione farvi partecipi di alcune riflessioni che traggono spunto dalla lettura di un racconto che mi ha assai entusiasmato e colpito, non tanto per lo stile, quanto perchè assai vicino sia ad alcune esperienze personali, sia ai desideri profondi della persona umana. Questa opera, scritta da Richard Bach, narra la vita del gabbiano Jonathan. Il racconto, propostovi con delle immagini e accompagnato da un messaggio verbale, ha, per me, un altissimo valore simbolico.
Jonathan è un gabbiano diverso dagli altri suoi compagni: mentre lui è più interessato a “volare” e fare nuove conquiste, gli altri amano “non pensare” e si preoccupano solo di mangiare e stare bene. A Jonathan preme soltanto “il sapere” e per poter fare ciò è costretto ad “abbandonare il suo stormo“. La sua “nuova vita“, però, diventa subito densa di difficoltà e imprevisti che, inevitabilmente, lo invitano a desistere da questa “impresa“. Ma i suoi sacrifici non restano vani e, quindi, sente nascere dentro di sè un senso di gioia, di libertà, una nuova ragione di vita e la speranza di un nuovo futuro per tutto lo stormo.
Ma mentre i suoi vecchi compagni lo cacciano perchè oramai diverso, conosce Sullivan, il “vecchio maestro” dei gabbiani, che gli confida: “Vedi Jonathan, sono pochi quelli che capiscono che c’è qualcos’altro oltre il mangiare ed il beccarsi… C’è qualcosa che si chiama perfezione, e che lo scopo della vita è adeguarsi il più possibile a quell’ideale“.
Jonathan ricerca la “sua perfezione“, e più aumenta questa sua ricerca e più aumenta la nostalgia per la sua terra. Diventa pienamente consapevole che le cose che lui ha raggiunto devono essere dette e rese accessibili anche ad altri. Mettere in pratica “l’amore fraterno” vuol dire rendere partecipe della propria verità conquistata anche qualche altro uomo che a quella stessa verità anelasse. E’ per questo motivo che ritorna alla sua terra e qui, inaspettatamente, trova un gruppo di allievi a cui poteva insegnare che “E’ giusto che il gabbiano voli, essendo nato per la libertà; è suo dovere vincere tutto ciò che si oppone alla libertà, superstizioni, abitudini e qualsiasi altra forma di schiavitù… L’unica vera legge è quella che conduce alla libertà. Altra legge non c’è.“.
La possibilità di volo di Jonathan e dei suoi allievi sono, oramai, enormemente superiori a quelle degli altri gabbiani. Jonathan commenta: “Chissà perchè la cosa più difficile del mondo è convincere un uccello che egli è libero e che può dimostrarlo a se stesso, purchè ci metta un po’ di buona volontà… Eppure bisogna amarli… Bisogna vedere la bontà che c’è in ognuno di loro ed aiutarli a scoprirla da se stessi ed in se stessi“.
Quando i suoi allievi sono pronti ad essere dei maestri, Jonathan decide di partire perchè altri stormi possono avere bisogno di una guida.
Il suo allievo inizia la prima lezione: “…un gabbiano è fatto ad immagine del Grande Gabbiano ed è una infinita idea di libertà“.
Leggendo questo racconto ho certamente provato la sensazione di non essere solo lo spettatore di una vicenda, nè di leggere una favola in cui sono protagonisti gli animali. Mi sono trovato completamente implicato, identificandomi non a parteggiare per il buono o per il cattivo, ma a confrontarmi con me stesso. Jonathan è un simbolo, è un qualcosa che è dentro di noi: o perchè lo imitiamo, o perchè, molto spesso, è quello che vorremmo fare e non ne abbiamo il coraggio.
In Jonathan troviamo l’autentico Libero Muratore, l’uomo alla ricerca di un ideale, colui che ha la forza di ubbidire alla propria legge interiore quando sa di essere nel giusto, nonostante i pregiudizi degli altri, colui che prova un piacere particolare nel fare bene le cose a cui si dedica.
Una delle prime considerazioni che scaturiscono dopo la lettura del racconto è che solamente pochi uomini mettono in dubbio che tutti devono realizzare un ideale di perfezione, di libertà e di amore. Eppure tantissimi sono altrettanto convinti che questi ideali sono di pochi. La maggioranza non sembra affatto orientata da questa ricerca nelle proprie scelte.
La conoscenza, l’amore, la coscienza, il senso, la libertà… non la si raggiunge se non a prezzo di un impegno. La libertà è un continuo esercizio di liberazione dai limiti che la impediscono e la perfezione è la conclusione di innumerevoli tentativi.
L’esempio di Jonathan ci insegna che il senso della vita lo si conquista con la ricerca di mete sempre più ideali e ciò che distingue un uomo dagli altri esseri è il suo poter darsi qualcosa che non ha. L’uomo è più ciò che ha costruito che ciò che è. Molti pensano che l’amore, la costanza, il coraggio, la speranza siano capacità innate, oppure siano realtà irragiungibili, e per questo non si impegnano. Pochi la pensano diversamente perchè essere contro la maggioranza è scomodo, o perchè porta con sè un forte dubbio di verità.
Così, la strada per realizzare se stessi, diventa più difficile. Gli altri non sono un aiuto. La mediocrità non stimola mai l’avanzamento. L’ignoranza teme la conoscenza. L’egoismo contrasta l’amore. Il possesso rifiuta la gratuità. Per questo lo stormo va contro Jonathan e ne disprezza i suoi ideali. Ed allo stesso modo avviene per noi uomini.
Se la strada per raggiungere certe mete è difficile, non è impossibile. Ma percorrendo la nostra strada della vita è giusto interrogarci sulla effettiva possibilità di raggiungere certi traguardi, senza andare contro i limiti imposti dalla natura, senza peccare di presunzione o di orgoglio. Ma ciò che dobbiamo necessariamente ricordare è che se Jonathan non avesse sentito una passione per la ricerca, per una più grande libertà o per un vivere che non fosse limitato solo da un arido materialismo, sarebbe rimasto come tutti i suoi compagni dello stormo.
Sono convinto, però, che non può esistere alcun grande ideale senza una altrettanto grande fede, ossia la decisione di vivere con la certezza che quanto esiste non è tutto e che noi viviamo una realtà, cioè la vita attuale, non conclusa, ma che dobbiamo far fruttificare, trasformare e superare.
Jonathan non teme di avventurarsi alla conquista di un ideale. Egli crede nelle sue possibilità. Anche se fidarsi solo delle proprie possibilità può essere azzardato ed esagerato. Ma avere il coraggio di rischiare è anche il primo passo per scoprire e realizzare qualcosa.
Jonathan stesso si accorge che da solo non può superare certi limiti e che dovrà essere qualcun altro ad aiutarlo.
Per raggiungere il suo ideale, egli conosce il senso del gratuito, della generosità, cosciente che la ricerca di un modo di vivere più degno, non gli avrebbe reso più ricca la vita. Non si diventa liberi accumulando ricchezze. Ma la libertà la si raggiunge con un continuo distaccarsi da legami che ci impediscono di volare più in alto. Così come il vero amore è la capacità di amare l’altro per ciò che è e non per ciò che può interessarci. L’amore è il vero senso della vita. E nella Massoneria Universale si ritrova un insegnamento davvero rivoluzionario: insegnare ad un uomo a comportarsi nei riguardi del mondo e della propria vita, non come nei riguardi di una realtà finita , ma come l’artista alle prese con l’opera che deve creare.
Jonathan non vuole migliorare le sue capacità per poter avere un ruolo di capo nello stormo, nè perchè la conoscenza e capacità acquisite potranno permettergli una posizione privilegiata o comoda. Anzi.
Neppure le proprie doti e l’ideale raggiunto sono una ricchezza per se stessi da sfruttare per un proprio tornaconto. Una volta raggiunta la “luce”, se questa perfezione non è comunicata agli altri, cioè a quelli del proprio stormo, tutto è reso vano. Non serve a nulla tenere tutto egoisticamente per se, ma è amore e libertà riuscire ad offrire il meglio di noi gratuitamente a chi vuole migliorare se stesso, dividendo con gli altri la propria gioia di vivere e, soprattutto, aiutandoli ad essere felici, coscienti che, per citare il fondatore dello Scautismo, “la vera felicità è rendere felici gli altri“.
Nessuno, e noi Massoni per primi, possiamo scaricarci delle nostre responsabilità di uomini: tutto ciò che può essere fatto deve essere fatto.
Fr.·. G.M.