IL LAVORO DEL MURATORE
Se seguì poi la folla, che procedeva lentamente e che ora aveva formato un cerchio intorno all’area della futura casa. Il proprietario, la sua famiglia e i principali fra gli ospiti, furono invitati a scendere nella fossa, dove la prima pietra, appoggiata a una parete, era già pronta per essere posta. Un muratore tutto in ghingheri, con la cazzuola in una mano e il martello nell’altra, tenne un brioso discorso in versi, che in prosa possiamo rendere solo imperfettamente.
“A tre cose,” egli cominciò, “bisogna badare in una costruzione: che sia opportunamente situata, ben fondata e perfettamente eseguita. Il primo punto è certamente di competenza del proprietario; poiché, come in città solo il principe e il comune possono determinare dove si debba costruire, cosi in campagna è prerogativa del padrone dire: qui e non altrove ha da essere la mia casa”.
A queste parole Edoardo ed Ottilia non osarono guardarsi, benché fossero vicinissimi e l’uno in faccia all’altra.
“ll terzo punto, l’esecuzione, è a cura di molti operai; che sono pochi quelli cui non tocchi occuparsene. Ma il secondo, le fondamenta, è compito del muratore e, per dirla schietta, è il cardine di tutta l’opera. È un lavoro serio, e serio è questo nostro invito, poiché questa solennità si comincia nel profondo della terra. Qui, dentro a questo spazio strettamente scavato, fateci l’onore d’essere testimoni del nostro lavoro segreto. Ora deporremo questa pietra ben stagliata e tra poco queste pareti di terra, ora adorne di belle e degne persone, non saranno più accessibili e verranno completamente colmate.
“Questa pietra, che col suo angolo determina l’angolo retto della costruzione, col suo profilo rettangolare ne informa la regolarità, colla sua orizzontalità e verticalità suggerisce l’equilibrata posizione di tutti i muri e di tutte le pareti, noi potremmo senz’altro deporla, poiché riposa perfettamente sul suo stesso peso. Ma neppur qui deve mancare la calce, quale elemento di coesione: poiché come le creature che già per natura si sentono l’una verso l’altra inclinate, si associano ancor meglio quando la legge le unisce, cosi anche le pietre, che già combaciano per la forma, si saldano ancor meglio per mezzo di queste forze coibenti; e poiché non s’addice rimanere oziosi fra gente che lavora, così voi pure non sdegnerete di farvi qui nostri collaboratori”.
Cosi dicendo porse la cazzuola a Carlotta, che con essa spruzzò di calce la faccia inferiore della pietra. Altri furono invitati a far lo stesso e la pietra fu subito posata; dopo di che a Carlotta ed agli altri fu offerto il martello perché con un triplice colpo consacrassero formalmente l’unione della pietra col suolo.
“Il lavoro del muratore”, prosegui l’oratore, “che ora vedete all’aria aperta, anche se non si svolge in segreto, è però destinato a restar nascosto. Le fondamenta accuratamente eseguite vengono sotterrate e in presenza delle mura che noi stessi abbiamo tratte alla luce, v’è appena chi alla fine si ricordi di noi. I lavori dello scalpellino e dello scultore seducono di più la vista, e noi dobbiamo perfino reputare una fortuna che l’imbianchino cancelli completamente la traccia delle nostre mani e si appropri del nostro lavoro nell’atto di rivestirlo, lisciarlo e colorirlo.
“Chi, dunque, meglio che il muratore lavora per soddisfazione personale quando eseguisce bene quello che fa? Chi più di lui agisce unicamente in forza di quella molla che è, la coscienza del proprio valore? Quando la casa è compiuta, il suolo spianato e lastricato, il muro esterno rivestito d’ornamenti, attraverso tutte le sovrapposizioni penetra ancor sempre I’occhio del muratore e riconosce quelle regolari accurate commessure, a cui I’insieme deve la sua esistenza e la sua conservazione.
“Ma come colui che ha commesso una mala azione deve temere che, nonostante ogni cautela, essa venga ugualmente alla luce, cosi chi ha fatto il bene in segreto deve attendersi che anche questo venga un giorno alla luce, contro la sua intenzione. Questo è il motivo per cui di questa pietra angolare noi facciamo anche una lapide commemorativa. Qui in queste nicchie variamente scavate, vari oggetti devono essere sotterrati a testimonianza per una lontana posterità. Queste scatole metalliche saldate contengono notizie scritte; su queste lastre di rame vengono incise varie cose degne di memoria; in queste belle ampolle di vetro sotterriamo il miglior vino vecchio, con la sua data di nascita; non mancano monete di vario valore, coniate quest’anno; tutte cose che abbiamo ottenuto dalla generosità del nostro padrone. E rimane ancora del posto, per il caso che qualcuno dei signori qui presenti avesse desiderio di trasmettere qualche cosa alla posterità”.
Facendo una breve pausa il compare girò lo sguardo intorno, ma come suole accadere in simili casi, nessuno era preparato, tutti erano colti alla sprovvista, finché un giovane e vivace ufficiale prese l’iniziativa e disse: “Se devo contribuire con qualche cosa che ancora non sia stato deposto in questo prezioso ripostiglio, mi taglierei un paio di bottoni dall’uniforme, poiché meritano bene di passare ai posteri”. Detto fatto! e allora molti altri ebbero idee del genere. Le donne non tardarono a depositare qualcuna delle loro piccole forcine; fialette di profumo ed altri ornamenti non furono risparmiati; solo Ottilia esitava, finché Edoardo non la riscosse con una parola amichevole dalla contemplazione di tutti gli oggetti offerti e collocati nella pietra. Allora ella sciolse dal collo la catena d’oro, cui aveva
tenuto appeso il ritratto del padre, e la depose lievemente sopra gli altri ricordi: dopo di che Edoardo diede ordine in fretta che immediatamente si calasse e si cementasse il ben commesso coperchio.
Il giovane muratore, che in quest’operazione s’era mostrato attivissimo riprese la sua posa d’oratore e continuò: “Noi poniamo questa pietra per l’eternità, a garanzia del più lungo godimento possibile da parte dei proprietari presenti e futuri di questa casa. Ma mentre qui sotterriamo una specie di tesoro, pure insieme pensiamo, durante la più stabile di tutte le operazioni, alla caducità delle cose umane; noi presupponiamo una possibilità che questo coperchio saldamente sigillato possa di nuovo venire sollevato, il che non potrebbe avvenire altrimenti se non quando tutto fosse distrutto ciò che noi non abbiamo ancor neppure compiuto. Ma appunto perché questo venga compiuto, distogliamo il pensiero dall’avvenire, ritorniamo al presente! Sollecitiamo il nostro lavoro, appena terminata questa festa, si che nessuno degli operai che dovranno proseguire l’opera sulle nostre fondamenta debba restare ozioso, e la casa cresca rapidamente fino al suo compimento, e dalle finestre che ancora non ci sono, il padrone, coi suoi e cogli ospiti, possa lietamente contemplare la contrada, alla cui salute, come a quella di tutti i presenti, ora beviamo!”
Cosi dicendo vuotò d’un fiato un finissimo calice di cristallo e poi lo gettò in aria, poiché significa un empito di gioia spezzare la coppa di cui ci si serve nell’allegria.
Wolfgang Goethe,”Le affinità elettive”, capitolo IX, Einaudi editore (Traduzione di Massimo Mila).