Ma Mazzini non fu massone !
Quante volte, Fratelli che mi leggete, vi è capitato di udire una consimile affermazione!
Il cuore vi si è gonfiatodi amarezza e forse voi, privi di documentazione da esibire, avete rinunciato ad una vana discussione.
Purtroppo c’è stato un periodo, la storia di Alessandro Luzio imperando, nel quale molti anche nostri FF.’. e dei più illuminati, hanno creduto che Mazzini non abbia mai <formalmente> appartenuto alla Massoneria. Taccio di quelli che hanno dipinto Mazzini antimassone.
Eppure, quando la morte colse l’Apostolo e viventi erano ancora i suoi discepoli e compagni di lotta, quando facile sarebbe stata una definitiva smentita, il Gran Maestro Mazzoni poteva invece indirizzare alla Comunione queste parole:
“Carissimi Fratelli,
Un’immensa sventura ha colpito la patria e I’Istituzione.
GIUSEPPE MAZZINI
ha cessato di vivere. L’Italia nostra piange sul feretro del più grande, del più amoroso dei suoi cittadini. L’Ordine massonico è immerso nel cordoglio; per la perdita del più ardente suo Apostolo, del più prode e del più santo dei suoi figliuoli.
In ogni cuore italiano è lutto e desolazione, e tutte le anime, sinceramente affezionate al pieno trionfo dei santi principi del vero e del bene, sentono la grandezza della sciagura che ci incolse e con pietoso affetto al caro Estinto mandano l’ultimo salve.
Noi, Figli della Vedova, più che tutti, proviamo I’amaro vuoto che questa subita morte ha lasciato fra noi. La mestizia che occupa i nostri cuori deve con segno esterno manifestarsi, laonde tutte le Officine della Comunione prenderanno il lutto per sette sedute consecutive.
E vi salutiamo col mesto amplesso di pace.
Il Gran Maestro
Giuseppe Mazzoni. “
La Rivista Massonica del tempo scriveva che la mattina del 17 marzo 1882 comparve per la prima volta la bandiera Massonica nelle strade di Roma. Il giorno precedente era stato affisso questo manifesto:
“Il Grande Oriente d’Italia invita tutti i Liberi Muratori, a qualunque nazione appartengano, sparsi attualmente nella Valle del Tevere, a raccogliersi domenica mattina alle ore 9 nella Piazza del Popolo verso il Pincio, per prendere parte alla cerimonia funebre in onore del defunto Fratello Giuseppe Mazzini.
II Gran Maestro
Giuseppe Mazzoni.”
D’altra parte, anche prima della morte del Maestro, si erano avute manifestazioni da parte di Liberi Muratori italiani nelle quali la qualifica massonica di Mazzini era pubblicamente conclamata. Tipica fra tutte è quella della R.’. L.’. “Progresso Sociale” all’Or.’. di Firenze che, nella sua adunanza del 7 settembre 1870, adottò una deliberazione a proposito dell’arresto di Giuseppe Mazzini a Palermo e della sua relegazione nel forte di Gaeta, deliberazione che ebbe larga risonanza nella stampa del tempo.
Ecco il testo della deliberazione stessa:
“I Liberi Muratori della Loggia “Progresso Sociale” di Firenze, avendo appreso dai giornali che il loro illustre Maestro e Fratello Giuseppe Mazzini, è stato tradotto nella fortezza di Gaeta e sottoposto ad accusa, deliberano di mandare un fraterno saluto al grande cittadino, e di mettersi in tutto a sua disposizione, onde contribuire a rendergli più lievi le amarezze del carcere.
Il Venerabile
G. Gherardi.
Dunque, per il Gran Maestro Mazzoni, e per tutti i Liberi Muratori di quel tempo, Mazzini era Massone. Da quando? Dove? Da chi?
Lo si ritrova nelle sue note autobiografiche: nel carcere di Savona. Dal vecchio Massone e Carbonaro Passano. Scrive Mazzini che incontratosi con Passano nel corridoio di quel carcere mentre si ripulivano le celle, gli sussurrò affrettatamente di aver trovato modo di corrispondere e gli chiese i nomi dei capi.
“Rispose col rivestirmi di tutti i poteri e battermi sulla testa per conferirmi non so qual grado indispensabile di massoneria”.
Non credo che alcun Fratello troverà a ridire sulla sostanziale validità di questa iniziazione che trova riscontro con altre iniziazioni dell’ultimo periodo clandestino, non meno rapide e drammatiche anche se meno illustri.
Quanto alla carriera Massonica percorsa dal Grande, non meravigli se Egli passò direttamente dal primo al trentatreesimo grado.
Giuseppe Zamardelli lo superò di parecchio in rapidità di carriera, poiché fu iniziato nella R .’. L .’. “Propaganda Mass .’. ” all’Or.’., di Roma il 12 gennaio 1889 e promosso immediatamente al supremo grado.
Per Mazzini passarono trentasei anni prima che il Supremo Consiglio di Palermo, nel 1866, decretasse il suo aumento di luce al 33° grado.
Due anni dopo, la R.’. “Lincoln” di Lodi, lo nominò suo Venerabile onorario ad vitam.
La Rivista Massonica riporta la tavola diretta dal M.’. Ven.’. Mazzini a quella Loggia; tavola densa di pensiero iniziatico:
“Fratelli ! Accetto con sentita riconoscenza I’onore che avete voluto farmi eleggendomi vostro presidente onorario. Fra voi e me esiste dunque un vincolo di fratellanza che si tradurrà, spero in opera.
Londra, 3 giugno 1868.
Giuseppe Mazzini.”
Il giorno prima, 2 giugno, Mazzini aveva scritto alla Gran Loggia di Palermo una importante tavola, che troviamo in un rarissimo opuscolo1 e di cui riportiamo una sola frase, sempre a causa dello spazio tiranno:
“… patria e politica sono dunque inseparabili dall’opera vostra. E voi i primi in Europa avete inteso e sentito questa verità! L’antico spirito dell’Istituzione vivifica i vostri lavori, per questo mi mandaste un saluto d’affetto fraterno, per questo io spero in voi e l’accolgo non solo riconoscente ma lieto”.
Nella tenuta 24 luglio 1869, la R.’. L.’. “Stella d’Italia” all’Oriente di Genova, elesse il Fr.’. Mazzini a proprio membro onorario.
Egli rispose con una tavola che vale la pena; di riportare, almeno parzialmente:
“A G. B. Filippacci per la “Stella d’Italia”
<<Genova>>
<Fratelli,
<<la vostra Loggia è composta principalmente d’operai e ne vedo Venerabile un uomo a cui strinsi con affetto la mano quando, anni or sono, io m’adopravo, celato in Genova e fidato alle cure d’operai, a una impresa generosa di Pisacane che fallì, ma preparò I’avvenire. Accetto dunque lietamente I’onore che volete farmi.
<<Vostro ora e sempre
<<Giuseppe Mazzini>>
Ed il primo ottobre del 1870 Egli rispondeva alla Loggia “La Ragione” sempre accettando il conferimento dello stesso onorevole mandato, sempre chiamando “Fratelli” i destinatari e firmandosi “compagno e fratello”.
Tale documentazione non dovrebbe ormai consentire a nessuno di formulare delle riserve sulla reale appartenenza di Giuseppe Mazzini alla Massoneria.
La questione ritornò recentemente all’ordine del giorno quando un tipografo romano, componendo il testo del primo discorso del G.’. M.’. Laj, scambiò Giuseppe Mazzoni con Giuseppe Mazzini, per cui si leggeva che il magliette di Gran Maestro era stato retto, fra gli altri, da Giuseppe Mazzini.
Il cambio di una lettera consentì, naturalmente, degli attacchi da parte di dissidenti e ci fu chi affermò ancona una volta che Mazzini non era Massone.
Eppure la Grande Maestranza gli fu offerta e solo dopo matura riflessione egli ritenne di non potere accettare il maglietto.
E noto il brano di una lettera pubblicato nel trattato-libello di Alessandro Luzio, edito quando le persecuzioni stavano scatenandosi contro di noi.
Lo storico in parola, avversario non sempre sereno ed in questa circostanza neppure onesto, riportò solo la prima parte della lettera di Mazzini: <<Capo dell’alleanza repubblicana, come posso io farmi ispiratore della Massoneria, ecc. ?>>.
Dall’opera del Luzio si deduce quindi un rovente rifiuto dell’Apostolo ad assumere la Gran Maestranza.
Se il più voluminoso libello che ci sia stato dedicato in questo secolo fosse rimasto senza risposta (ed il calcolo era proprio quello, poiché I’assorbimento della élite nazionalista nelle file del fascismo aveva, direi, scientizzato l’avversione dei fascisti per la Massoneria), oggi soltanto sarebbe tentabile una ricerca di controllo sulla documentazione dell’opera in parola ed in ispecie sul punto dolente: il brano che abbiamo riportato.
Il nostro troppo poco compianto Giuseppe Leti, 33°, autorevole storico del Risorgimento, stava in quel periodo lavorando intorno ad un saggio sulla Carboneria e la Massoneria nel Risorgimento Italiano. Ma stava anche per partire per I’esilio, costrettovi dal medesimo regime che avrebbe premiato, con la feluca di Accademico, il Luzio.
Al vecchio cuore dolorante del Sovrano Gran Commendatore Ettore Ferrari, più delle persecuzioni squadriate, più del confino domiciliare, più della statua a Mazzini che viveva compiuta ma che non avrebbe mai visto eretta, pungeva atrocemente il coltello avvelenato dello storico aulico. E si fece promettere da Leti che non sarebbe partito prima di aver compiuta I’opera. E Leti rimase ed il libro uscì.
In un’altra opera Massonica pubblicata in esilio, Leti lamentava l’immediato sequestro delle copie, operato dalla polizia fascista.
Fra le colonne dell’Eterno Oriente si rassicuri il Fratello saggio ed intrepido. Non tutte le copie furono sequestrate, non tutta la semente andò dispersa.
Il libro fu il nostro strumento di lavoro prediletto, fu l’arma più efficace, perché costruita sotto il fuoco nemico. Fu per chi scrive un conforto a bene sperare, cui ricorreva ogni volta che la desolazione di un’avvilente realtà gli invadeva I’animo.
In quei tristi moment i, la chiusa del libro scuoteva. l’animo in un brivido di commozione e di speranza. Vale la pena, di riportare quelle righe perché servono e serviranno ancora:
<<V’è – scrisse Giuseppe Mazzini – una legge che trascina uomini e cose, legge imposta da Dio, legge che vuole lo sviluppo delle facoltà e dei destini dell’umanità, e contro la quale non possono né la tirannide degli uni, né la viltà degli altri>>. E’ noto che le previsioni e le profezie di Mazzini non fallirono mai…
Abbozzato Io spirito che alla pervade l’opera del Leti, preambolo necessario perché l’edizione italiana è ormai introvabile e l’edizione francese di Gloton non è facile procurarsela, torniamo alla lettera <mutilata>> dal Luzio.
Leti non fece che pubblicare il seguito della lettera, e segnatamente queste righe:
<<Se Garibaldi si dimettesse e mi proponessero a G(ran) M(aestro), ci penserei; ma in ogni modo non accetterei se non proponendo prima i miei patti, e vincolando più esplicitamente la Massoneria al disegno ch’io lavoro a compiere>.
Non si trattava dunque di un rifiuto reciso, anzi, non era affatto un rifiuto ma una condizionata presa in considerazione di una eventualità non verificatasi poi.
Successivamente, circa un mese dopo, scriveva ancora: <<Per ragioni lunghe a dirsi, e dopo aver pensato e ripensato, è meglio che io non sia G(ran) M(aestro)>>.
Forse sì; perché Egli, veramente saggio iniziato, sapeva che la parte non può essere il tutto e che chi rappresenta la Parte non può rappresentare il Tutto.
Molto giustamente è stato affermato che l’opera della Massoneria Italiana fu ed è sostanzialmente ispirata dalla fede del Grande Apostolo2.
Abbia dunque il Massone italiano quel <<temperamento mazziniano che vuol dire odio e negazione dell’espediente>> secondo la felice sintesi pronunciata dal G .’. M .’. Torrigiani sulla tomba del G .’. M .’. Nathan, tremenda accusa che pende sul capo di troppi mazziniani <<politici>>.
Sia dunque il mazzinianesimo un abito spirituale, un costume di condotta morale per tutti i Massoni.
Ma non attentiamo alla universalità dell’idea massonica, cittadina del Tempio, tentando di costringerla nell’angustia del tempo e dello spazio di qualunque Chiesa.
Convinciamoci che è infinitamente più logico “regolarizzare” il brevetto del F.’. Giuseppe Mazzini che non dichiarare “mazziniana” la Massoneria Universale.
Giordano Gamberini 33°
1) G. Calosi, Un brano di storia mass.’. contemporanea. Palermo 1869
2) In << Rivista Massonica >>, gennaio 1922.