Il viaggio della Sindone di Roberto Antonio Capostagno |
La Sacra Sindone conservata a Torino fin dal 1578 è, secondo una tradizione cristiana plurisecolare, il sudario funebre di Gesù Cristo. Si tratta di un telo di lino lungo circa 4,36 m e largo 1,10 m, di colore giallo ocra, sul quale sono visibili impronte che riproducono l’immagine, sia frontale sia dorsale, di un uomo apparentemente morto per crocifissione. Seguire le tracce del Santo Sudario – dalla sua preistoria orientale, alla supposta presenza a Costantinopoli all’epoca della quarta crociata, fino alla ricomparsa documentata in Europa – significa addentrarsi in una ricerca che a tratti assume i sapori del giallo internazionale e spesso evoca atmosfere da epopea cavalleresca, dove si è costretti, nell’analisi critica delle fonti, a discernere tra il vero e il falso, tra il probabile ed il verosimile, in un intreccio di pellegrini oranti, documenti canonici, discendenti di crociati, preti, dame, cavalieri Templari, atti processuali e monaci Teutonici. Un’immagine “non fatta con le mani” Il 15 agosto dell’anno 944 avviene il trasferimento a Costantinopoli di un’immagine definita dai documenti acheropita, cioè “non fatta con le mani”, che faceva da vari secoli la gloria di Edessa, l’attuale Urfa, a sud-est della Turchia. In Edessa il telo era venerato col nome di Mandylion, ripiegato ed incorniciato in un reliquiario mostrante il solo volto, come un ritratto. Il trasferimento del Mandylion a Costantinopoli è ricordato da due “sinassari”, libri liturgici della chiesa bizantina. Secondo vari interpreti delle fonti si sarebbe comunque trattato di un “ritorno” della reliquia, forse già conosciuta nella città imperiale fin dall’VIII secolo, miracolosamente scampata alla furia iconoclasta scatenata per quasi due secoli dall’ortodossia cristiano-bizantina. Comunque sia andata la storia precedente, il sacro lino è sicuramente ancora nella capitale imperiale quando, nel corso della quarta crociata, Baldovino di Fiandra e Bonifacio del Monferrato, con la complicità di Venezia, dirottano verso le mura millenarie di Costantinopoli la spedizione militare voluta dal Papa Innocenzo III per la riconquista del Santo Sepolcro e da loro diretta. Nel 1204 la metropoli bizantina viene espugnata e saccheggiata dall’esercito latino: dell’enorme bottino fanno parte innumerevoli reliquie cristiane, che per mille strade prenderanno poi la via dell’Europa. Varie fonti medievali menzionano, tra le reliquie della città di Costantino, un lino, con impressa l’immagine di un uomo martirizzato, ritenuto tradizionalmente, e venerato, come l’indumento funerario di Gesù Cristo. Durante il feroce sacco della città, però, del Sacro Lino si perdono momentaneamente e misteriosamente le tracce. Il Sacro Lino “ricompare” in Francia Dell’indumento funebre di Gesù, e con tale precisa designazione, riappaiono notizie certe nelle fonti successive al 1350, quando la reliquia, appartenente ora alla famiglia Charny, viene esposta al culto nella cittadina di Lirey in Francia, nella diocesi di Troyes. Quale via può aver seguito la preziosa reliquia per giungere in Europa? L’unica traccia documentale esplicita delle vicende della Sindone subito dopo la presa della metropoli già capitale del vecchio Impero Romano d’Oriente è contenuta in una supplica inviata a papa Innocenzo III da Teodoro Angelo Comneno, nipote di Isacco II Angelo Comneno, imperatore di Costantinopoli al momento del saccheggio del 1204. Nel testo che sarebbe stato composto a Roma e che ci è giunto nella trascrizione di un cartulario (cioè una raccolta di copie di documenti), è espresso lo sdegno per il saccheggio delle reliquie ed è richiesto l’intervento del pontefice per promuovere il recupero della Sindone che, secondo il cartulario, si trovava ad Atene. La notizia che nel primo decennio del secolo XIII la Sindone fosse conservata ad Atene troverebbe ulteriore conferma in una dichiarazione del 1207 di Nicola d’Otranto, abate di Casola. Otto de La Roche, già feudatario della Franca Contea, nel 1205 riesce a farsi infeudare da Bonifacio del Monferrato come duca di Atene. È certo meritevole d’interesse e d’indagine il fatto che un suo discendente diretto, Gautier VI, che conservava ancora nel 1350 il titolo di duca d’Atene, divenuto conestabile di Francia, cadrà sul campo di battaglia di Poitiers nel 1356, fianco a fianco del compagno d’armi Goffredo di Charny, primo possessore noto in Europa della Sindone. Tra i fatti certi, comunque, vi è che dopo il 1207, e fino alla metà del secolo successivo quando ricompare dal nulla in Francia, i documenti attualmente conosciuti non danno più alcuna notizia della Sindone: si può ipotizzare che tale silenzio sia imputabile alle severe sanzioni pontificie comminate per il traffico delle reliquie sottratte a Costantinopoli. Ian Wilson, noto e autorevole storico inglese della Sindone, adombra l’ipotesi che il Santo Sudario sia stato trasportato dall’oriente in Europa dai cavalieri dell’Ordine templare. Nel 1954 viene trovato nel villaggio inglese di Templecombe, in una ex casema templare, un pannello di legno che reca dipinto un volto simile a quello raffigurato sul Sacro Lino. Il leggendario e potentissimo Ordine cavalleresco di monaci-guerrieri, già custode del Tempio di Gerusalemme, era probabilmente giunto all’apice del suo potere politico ed economico quando Filippo IV il Bello, re di Francia, il 13 Ottobre del 1307 fece arrestare contemporaneamente tutti i Templari, i quali, accusati di idolatria e atti contro natura, saranno poi inquisiti, processati e quindi condannati. Dagli atti processuali risulta che i Templari adorassero effettivamente una testa barbuta conosciuta come Baphomet, un reliquiario a forma di testa o forse una scultura, descritta dai monaci interrogati dopo aver subito la tortura da parte dell’Inquisizione, nelle forme più disparate, ma che comunque potrebbero tutte richiamare la Sindone. Tuttavia, l’ipotesi del passaggio in Europa della Sindone tramite i Templari non è accettabile senza molte riserve e sono parecchi gli studiosi che si oppongono a questa teoria. Il “mistero” di come la Sindone arrivò a Goffredo di Charny Dal canto suo, Goffredo de Charny, signore delle terre di Lirey, in Champagne, sembra comunque uscire direttamente da un racconto del ciclo cavalleresco. Dopo una vita movimentata e piena di avventure, tutta improntata ai più alti ideali della cavalleria medievale (ed intorno ai quali il nostro scriverà anche un libro di buon successo: una sorta di manuale del perfetto Chevalier), nel 1355 viene incaricato ufficialmente dal re di portare il suo stendardo di battaglia. È un grande riconoscimento che il cavaliere non disonora: l’anno successivo, infatti, muore eroicamente nella battaglia di Poitier, nella strenua difesa del cosiddetto Orifiamma, una lingua di tessuto rosso fiammante, simbolo del potere supremo e dell’onore del re di Francia. Come sia giunta la Sindone nelle mani dell’eroico vessillifero di Francia non è ancora stato appurato con certezza dai ricercatori. Vediamo le ipotesi che sono state fatte a tal proposito. La Sindone potrebbe essere stato un bene di famiglia pervenuto a Goffredo per via femminile, forse proprio da sua moglie, discendente di Ottone de La Roche, il primo duca di Atene al tempo della caduta di Costantinopli. Oppure potrebbe essergli stata affidata durante un periodo di prigionia in Inghilterra, nel castello di Goodrich nel 1342, magari portatavi proprio dagli ultimi custodi Templari, scampati ai roghi e alle carceri di Francia. Altra ipotesi plausibile è che il Sacro Lino sia stato affidato al cavaliere de Charny proprio da quel Gautier VI de Brienne, col quale condivise il tragico destino a Poitiers, suo compagno d’armi, probabile amico e feudatario viciniore della Champagne, anch’egli discendente del primo duca d’Atene ai tempi della quarta crociata: era infatti pronipote di Otto de La Roche. Oppure, de Brienne, come del resto la stessa consorte, potrebbero aver rivelato all’indomito cavaliere il nascondiglio della Sindone in oriente: questo spiegherebbe il rapido viaggio di Goffredo oltremare, fino a Smirne nel 1345, ufficialmente compiuto al seguito del Delfino. Dai Charny ai Savoia e a Torino Comunque sia andata, la storia “europea” del Sacro Tessuto dopo la riapparizione in mano ai de Charny è invece sufficientemente documentata per potersi dire nota: nel 1453 la reliquia viene ceduta da Margherita, ultima erede degli Charny, al duca Ludovico di Savoia. Le travagliate vicende del ducato dei Savoia porteranno in seguito la Sindone a più riprese da Chambéry, in Piemonte, in altre città della Francia e dell’Alta Italia, fino alla traslazione definitiva nella città di Torino nel 1578. La Sacra Sindone, di proprietà di Casa Savoiaper oltre mezzo secolo è stata assegnata, in un lascito testamentario del capo della Casata ed ultimo Re d’Italia S.A.R. Umberto II di Savoia, al Sommo Pontefice. Il re in esilio è morto a Ginevra nel 1983, anno dal quale la sacra Sindone è divenuta, dunque, di proprietà pontificia. |
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