Massoni e Carbonari calabresi dal 1806 all’Unità
di E. E.
(in Hiram n. 2, febbraio 1986 – Soc. Erasmo, Roma)
da: ESOTERIA
Il periodo francese (1806-1815)
ldecennio napoleonico, durante il quale la Calabria passa sotto il dominio francese, che si conclude con la fucilazione di Gioacchino Murat a Pizzo Calabro nell’ottobre del 1815, è segnato dal ritorno al potere di molti di coloro che sostennero la repubblica napoletana del 1799. Tra di loro mancano non pochi elementi dei Clubs Giacobini come Pasquale Baffi di S. Sofia d’Epiro 1, Giuseppe Logoteta di Reggio Calabria 2, Domenico Bisceglia di Donnici, Nicolò Carlomagno di Verbicaro, e altri. Erano tutti rimasti vittime della reazione borbonica seguita alla vittoria della controrivoluzione sanfedista del Cardinale Ruffo, “il gonfio prete di Nelson, un impasto di superstizione e di peccato”, come lo definisce Oreste Dito 3. Tante di queste vittime erano massoni, che nei Clubs Giacobini, egemonizzati fin dalla nascita nel 1793 dai fedeli di Hiram, come Laubergh, portavano l’esempio e l’insegnamento, se non di Antonio Jerocades, cui si deve tuttavia il sorgere della Libera Muratoria in Calabria 4, di Francesco Saverio Salfi e di Gregorio Aracri, intellettuali di vasto impegno in cui la ricerca della luce della verità partiva dai condizionarnenti di un’educazione molinista, dalla quale si liberavano attraverso una puntuale contestazione dall’interno di quella cultura e di quella visione del mondo, facendo prevalere l’esigenza di un’intima e autentica religiosità5.
La Massoneria in Calabria, come in tutto il Mezzogiorno, venne duramente perseguitata dai Borboni, sulla base anche del largo consenso che la monarchia di Napoli incontrava tra le masse, alle quali la Libera Muratoria veniva presentata come strumento dell’oppressione straniera, per di più condannata dalla Chiesa. Il ritorno dei Francesi con Murat si accompagna alla ricerca del consenso nel mondo delle sette, in seno al quale si individua un sostegno irrinunciabile col quale ripararsi dalle cospirazioni e dalle sommosse sempre possibili specialmente tra le forze armate. La Massoneria e la Carboneria sono le istituzioni che meglio possono svolgere il ruolo di difesa organica del potere nel Meridione: questo è il giudizio che ne danno i murattiani.
“Fu una massoneria di maniera -riconosce Armando Dito, riprendendo un giudizio del padre6 – formale, paralizzata dalla volontà napoleonica, che… ne fece la cariatide simbolica del suo cesarismo”.
Il giudizio è severo ma non può non essere condiviso, se è vero che è la Carboneria a incontrare il favore di quanti vogliono sottoporsi al duro esercizio della virtù nella verità. E tuttavia il tema dei rapporti massoneria-carboneria, con tutte le differenze di simboli e riti, in relazione alla loro proiezione nel politico, meriterebbe un diverso approfondimento. Bisognerebbe cioè indagare fino a che punto il dissolversi delle Logge massoniche nelle Vendite carbonare, sia dovuto ad un’autonoma scelta di diversa identità, o sia invece da riportare all’impossibilità di ancorare a lungo la Libera Muratoria ad un potere quale che sia, e in special modo ad un potere che fa del militarismo “più pomposo” (Dito) la base su cui edificare un consenso originariamente cercato col trinomio “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza”, cui i massoni di tutti i tempi conferiscono significati propri e in ogni caso alternativi a quelli che si realizzano in certi momenti della storia. Così come andrebbe indagata la ragione per cui il trinomio massonico viene sostituito nelle Vendite carbonare con quello di “Libertà, Uguaglianza, Patria”, che non sia solo quella della valenza nazionalistica (limitata però alle regioni meridionali), intorno alla quale sarebbe dato registrare una sorta di convergenza con la pretesa propria del regno murattiano di legittimarsi come regno dell’Italia Meridionale, onde contrastare la posizione filoborbonica che agitava lo stesso tema.
In ogni caso non è elusa l’esigenza di educare le masse al concetto di uno stato dell’Italia del Sud senza i Borboni, sicché, mentre la Massoneria si rivolge alle “classi elevate”, la Carbonerla è diretta al “popolo”. Ed Oreste Dito precisa che “mentre la Massoneria figge lo sguardo nel Grande Architetto dell’Universo… la Carboneria umanizzò una delle tante forme massoniche”7. Una valutazione questa che se da un lato elimina un possibile dualismo tra le due istituzioni dall’altro sembra formulata sulla scorta dell’interpretazione ricorrente nelle carte di polizia, come quelle pubblicate anni fa da Giuseppe Gabrieli sulla “Rivista Massonica”8.
Una lettura secondo le linee proprie della storiografia massonica potrebbe portare a conclusioni non sempre coincidenti con l’ipotizzata equazione, di cui qui si è fatto cenno. Merita però di essere riletta quest’altra parte della valutazione di Oreste Dito: “La Massoneria è la mente che non si stanca mai e che dirige sempre; la Carboneria fu il braccio che ne plasmò il concetto: e mentre la Massoneria è universale ed eterna, la Carboneria fu particolare e temporanea”9. Sicché viene avvalorata l’ipotesi in base alla quale la Massoneria, per sua natura, rifiuta il contingente, su cui tuttavia agisce “umanizzandosi” in altre forme e con il tipo di impegno imposto dalle necessità dei momento. Alla Massoneria i Carbonari ricorrono per quella parte – aggiunge ancora il Dito – del simbolismo che meglio concorreva a scuotere i sentimenti dei popolo” e “visse soltanto il tempo necessario ad infondere negli uomini le virtù del cittadino e il sentimento della Patria”10. Ciò che si evince anche dalla formula del giuramento carbonaro, incentrato sulla difesa della Patria anche a costo della vita, mentre nei due Gradi della Carboneria, quello di Apprendista e di Maestro, il passaggio dal primo al secondo, detto viaggio al monte degli ulivi, ripete “le sofferenze, le atrocità, le prepotenze che la tirannide aveva fatto soffrire al Cristo, uomo e Dio”11. Il passaggio da un Grado all’altro è poi, come è noto, raggiungibile attraverso i quattro viaggi dalla Baracca alla Foresta, e ancora all’interno della Baracca, con una non secondaria differenza coi passaggi simbolici dell’iniziando attraverso gli elementi tutto all’interno del Tempio di Hiram. La spiritualità dell’iniziazione massonica, umanizzandosi nell’affiliazione carbonara, ricorre dunque ad una più accentuata “materialità”, per ottenere l’adesione a riti in ultima analisi preparatori all’azione da svolgere al di là della Foresta.
Un altro aspetto del problema è nella questione se si debba parlare di protezione della Massoneria sulla Carboneria o di controllo. “La Massoneria – osserva a questo riguardo Gabrieli – accoglieva ovviamente i galantuomini, mentre nella Carboneria troviamo i braccianti che non potevano certo battersi per un’Italia unita o per la repubblica, ma miravano unicamente alla terra di cui una buona parte era in mano proprio ai galantuomini”12. In tale interpretazione il concetto di popolo si arricchisce di soggetti sociali diversi da quelli contenuti nell’equiparazione del popolo al terzo stato, alla borghesia, propria del pensiero politico rivoluzionario francese, e prevalente anche in Italia per buona parte del secolo XIX. Per di più da quest’angolo visuale non sfugge che la Carboneria possa avere svolto una funzione di contenimento della jacquerie calabrese, in un tentativo, peraltro non riuscito, di conciliazione delle pretese padronali sulla terra e delle rivendicazioni contadine, nei confronti delle quali le leggi eversive della feudalità rimangono lettera morta, anche a causa della composizione sociale del murattismo (galantuomini, contadini poveri e braccianti, militari di vario grado).
Le Vendite carbonare erano abbastanza diffuse in Calabria: ad Altilia, ad opera di Gabriele De Gotti, a Cosenza, dove troviamo l’Acherontea dei Bruzi, l’Equilibrio, il Soccorso; ad Aprigliano, S. Fili, S. Pietro in Guarano, a Paola, a S. Benedetto Ullano, a Pedace, a Zumpano, a Celico, a Rogliano, e ancora a Tessano e a Castelfranco, come a Catanzaro dove si ha notizia di due Vendite al pari di Reggio Calabria, e infine a Squillace, a Crotone, a Mesoraca, a Nicastro, a Maida, a Monteleone (oggi Vibo Valentia) e a Palmi, oltre che nel distretto di Gerace13.
Nella Carboneria si ritrovano esponenti di non secondaria importanza provenienti dall’esperienza repubblicana del 1799, che a partire già da prima dei 1813, quando il conflitto con Murat appare ormai insanabile, rigettano la protezione francese in seguito all’atteggiamento decisamente antipopolare e repressivo assunto dal governo murattiano in Calabria. La Massoneria invece continua a sostenere il murattismo anche dopo la ormai constatata incapacità del governo di garantire l’applicazione delle leggi emanate a favore dei ceti più umili, come quelle del 1806. La ripresa dei Lavori nelle Logge massoniche, mentre sul trono ritornano i francesi, prima con Giuseppe Bonaparte e poi con Gioacchino Murat, è fortemente condizionata alla volontà del potere, “tanto vero – rileva Armando Dito – che Gioacchino Murat ne era il Gran Maestro e Giuseppe Zurlo, Ministro degli Interni o come dicevasi della Polizia, Gran Maestro Aggiunto”14.
Tale condizionamento induce a scegliere la Carboneria, per continuare a edificare Templi alla virtù. “Numerose le Logge in Calabria sotto il dominio napoleonico – narra ancora Armando Dito -: ‘Allievi di Salomone’, Pizzo, ‘Alunni di Pitagora’, Paola, ‘Colonia Venetria’, Stilo; ‘Costanza Erculea’, Tropea; ‘Federazione Achea’, Belvedere; ‘Filantropia Ipponese’, Monteleone (oggi Vibo Valentia); ‘Filantropia Numestrana’, Nicastro; ‘Gioacchino I’, Cosenza; ‘Monti d’Ariete’, Belmonte; ‘Pitagorici Cratensi’, Cosenza; ‘Perfetta Armonia’, Reggio; ‘Umanità Liberale’, Catanzaro; ‘Virtù Trionfale’, Bagnara; ‘Virtù’, Reggio; ‘Zaleuco’, Gerace; ‘Valle della Viola’, Mammola”. 15
La rottura definitiva tra Carboneria e murattismo è segnata dalla impiccagione di Vincenzo Federici di Altilia, considerato il vero capo dell’Istituzione in Calabria, avvenuta nel 1813; e nei due anni successivi l’esaltazione dei sentimenti antifrancesi, in nome della difesa della patria, porta all’uccisione di Gioacchino Murat e alla restaurazione della monarchia borbonica a Napoli, senza che quest’ultimo fatto debba necessariamente presupporre un momento preferenziale della Carboneria, che in ogni caso non disdegna di sostenere le richieste della concessione della costituzione dei 1812, aprendo così una nuova fase nel processo di formazione dello stato nazionale in Italia.
Borbonici e Francesi aiutano l’espansione della Carboneria, senza però riuscire nell’intento, alternativamente motivato, di servirsene come strumento di potere, sicché, secondo Oreste Dito, essa “per lo scopo educativo che seppe rivolgere alla completa rigenerazione del popolo, non formò borbonici, non formò francesi, ma seppe infondere ne’ cuori dei montanari calabresi il sentimento nuovo della patria, e d’allora i Calabresi incominciarono a sentirsi italiani”16.
Il periodo delle esperienze costituzionali (1820-1821)
La fase delle battaglie costituzionali, nel biennio 1820-1821, è preceduta all’interno della Carboneria da un profondo ripensamento che coinvolge quasi tutte le Vendite carbonare calabresi. Proprio nel 1820 matura la scissione della Carboneria in due sette contrapposte. Da un lato si schierano a sostegno dei Borboni i Calderari, guidati dal principe di Canosa, dall’altro i “repubblicani”, con alla testa ancora Gabriele De Gotti di Altilla e Gaspare Andreotti dell’Acherontea di Cosenza.
La restaurazione borbonica nelle Due Sicilie avvia un periodo di ferrea repressione, che costringe la Massoneria a manifestarsi “con diverse filiazioni”, tutte comunque ispirate a criteri di riforma e di rinnovamento, dopo le strumentalizzazioni e la tutela napoleonica e murattiana. In Calabria i secolari problemi della regione non trovano adeguata soluzione nei provvedimenti amministrativi del governo di Napoli. Nel 1816 viene istituita la provincia di Calabria Ultra prima, corrispondente all’attuale provincia di Reggio Calabria, che va ad aggiungersi a quella di Calabria Ultra seconda (Catanzaro) e Calabria Cura (Cosenza), mentre la politica demaniale non produce gli effetti attesi dai ceti rurali, per la mancanza di una qualsiasi volontà legislativa in questo campo. I contrasti intorno alla proprietà della terra diventano pertanto più acuti, specie nella Sila, senza che il governo borbonico riesca a regolare per legge i rapporti sociali nelle campagne. In questo clima matura la frattura insanabile all’interno della Carboneria calabrese tra i sostenitori di una nuova costituzione da richiedere ai Borboni (contando per questo sulla disponibilità dichiarata del Duca di Calabria, erede al trono) e coloro (in verità un piccolo gruppo minoritario) che individuano nella repubblica lo strumento costituzionale adeguato a soddisfare le esigenze politiche e sociali cui si rifanno le Vendite carbonare, nel loro spirito originario.
I fatti del ’20-’21 trovano perciò la Calabria interessata alle esperienze costituzionali, pur in presenza di vivaci contrasti tra i Carbonari. La risposta prontamente favorevole al moto del Morelli, da tempo iscritto alla Carboneria, che costringe Ferdinando 1 a concedere la costituzione alle Due Sicilie, e l’adesione alle iniziative rivoluzionarie di Guglielmo Pepe, massone e carbonaro insieme, sono i momenti in cui meglio si manifesta un’ampia convergenza del movimento democratico e liberale della regione in relazione al problema sollevato dal Pepe della “fondazione della monarchia costituzionale”. Per di più proprio intorno a tale questione si realizza un importante incontro tra Massoneria e Carboneria connotato dall’individuazione di comuni obiettivi. Raffaele Poerio, Gran Maestro della Carboneria Catanzarese, si dichiara ormai convinto che “Mercé i penosi e lunghi travagli del nostro Sacro Ordine il Sole più lieto risplende nelle Foreste e coi suoi cocenti raggi ispira al nostri petti libertà”17.
Ma l’esperienza costituzionale durerà ben poco. La rigida politica di restaurazione, inaugurata in Europa col Congresso di Vienna, esige che il potere monarchico non travalichi i limiti imposti dall’assolutismo all’espressione delle esigenze politiche e sociali, che, se possono essere manifestate al sovrano, non possono trovare nella costituzione garanzie rappresentative. La concessione della costituzione a Napoli viene pertanto considerata un grave errore politico, che può portare a conseguenze facilmente prevedibili in fatto di estensione della libertà.
I Borboni rifluiscono pertanto sul più vieto assolutismo, rientrano a Napoli con l’aiuto delle truppe austriache, omologando il loro regno a quelli delle altre regioni d’Italia e ponendo sotto rigida tutela politica anche Francesco, duca di Calabria ed erede al trono, per le sue spiccate tendenze carbonare.
La repressione vede, tra i primi, Michele Morelli salire sul patibolo, nel luglio del ’22, dopo aver rifiutato l’assistenza religiosa e invocato da Dio la giusta punizione per il re spergiuro. A Cosenza, in particolar modo, l’intendente De Matteis esercita il suo zelo con inusitata violenza, perseguendo non solo i capi ma anche i gregari del moto costituzionale, mentre Raffaele Poerio tenta invano la riscossa a Gimigliano, a Staletti (il paese di Aracri),a Mesoraca e a Rossano, vedendosi costretto a fuggire a Malta.
Alle repressioni e alle esecuzioni spesso sommarie, orchestrate dal Principe di Canosa, nominato Ministro di Polizia nel governo provvisorio del 15 marzo 1821, si aggiunge “lo spurgo” degli ufficiali e dei funzionari settari, che avevano sostenuto le rivendicazioni costituzionali e partecipato, a vari livelli, alle riforme politiche appena avviate.
In effetti l’epurazione dei carbonari dagli uffici e dagli alti gradi dell’esercito è resa necessaria dal fatto che “fino alle estreme classi della società la Carboneria aveva reclutato i suoi numerosissimi adepti: mettendo da parte gli ultimi avanzi del moto giacobino del ’99, i molti ed influenti ed esperti militari e funzionari e professionisti che il regime murattiano aveva esaltato e le folte schiere dei carbonari, restava ben poco su cui fondare un’attiva opera di Governo”18. Perciò il re raccomanda di concentrare i provvedimenti epurativi sul mondo della scuola e della burocrazia, evitando che coloro i quali provengono dalle Vendite carbonare possano “riassumere posti direttivi o subalterni nell’apparato dello Stato”19.
La nuova restaurazione borbonica a Napoli avviene pertanto dopo una fase in cui Carbonerla e Massoneria hanno maturato esperienze tali che hanno consentito loro una sensibile espansione nella società e nello Stato, per cui i governi di Napoli dovranno in ogni caso adottare una politica che senza disattendere le direttive della Corona, emanate sulla base della politica ribadita a Lubiana, tenga nella dovuta considerazione il consenso di base di cui godono le sette carbonare e la Massoneria. Quest’ultima impensierisce un po’ meno il regime, mentre la Carboneria appare insidiosamente divisa al suo interno, tanto che il primo ministro Medici sarà costretto ad ammettere, scrivendo al principe Ruffo, che il suo Ministero “rimane nella dolorosa posizione di essere Carbonato presso i Calderari, e Calderato presso i Carbonari”20, con ciò riconoscendo che, se -come dice nella conclusione della lettera – nel novembre del ’22 “è preferibile essere boja piuttosto che Ministro di Stato”, il moto costituzionale, con le esperienze di governo avviate, ha posto le basi di nuove e diverse fasi di lotta contro i regimi assoluti, che d’altra parte non possono che ricorrere alla più dura repressione.
La ricerca di nuove vie di opposizione (1822-1848)
Il ritorno dei Borboni a Napoli con le armate austriache è anche l’inizio di un lungo periodo caratterizzato, a parte il tentativo di ripresa dell’azione insurrezionale dei ’37, dalla frattura tra Stato e società, tra monarchia borbonica e istanze di rinnovamento. E però non va trascurato che proprio nel due decenni che sembrano dominati dal ristagno del movimento liberale gli effetti dell’azione di propaganda svolta dalla Carboneria trovano riscontro nel comportamento dei governi borbonici del primo periodo post-costituzionale, che non possono ignorare, pur senza rinunciare all’impiego degli strumenti repressivi, che la Carboneria ha contribuito a diffondere nel paese “idealità costituzionali e concetti democratici”, per i quali l’azione di contenimento condotta dal governi dei Ciriello, dei Medici e dei Canosa non può dirsi concluso con la pura e semplice estromissione dei settari dagli uffici e dalle scuole del regno.
D’altra parte è dato registrare anche in Calabria mutamenti di una certa importanza nel corpo sociale, come “il rafforzamento del nuovo ceto borghese” (Cingari) sensibile alle istanze liberali e un certo miglioramento nelle campagne, favorito anche dalla politica demaniale borbonica, che se non incide profondamente sull’assetto generale della proprietà terriera, impone in ogni caso la dimostrazione della legittimità del possesso da parte dei proprietari, inducendo, nel casi di palese usurpazione, a nuove possibilità di uso delle terre demaniali da parte dei contadini21.
Dopo il fallito tentativo della spedizione del Pepe nel 1830, che si aggiunge a quelli del Rosaroll a Messina e del Morice in Irpinia, la tradizione carbonarica in Calabria si accosta, più che alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, alla setta denominata I Figliuoli della Giovine Italia, fondata da Benedetto Musolino. E questo il risultato delle riflessioni avviate sulle sette e sulle cospirazioni degli anni precedenti, in cui si sono ravvisati limiti funzionali e operativi che portano a cercare nuovi modi di aggregazione.
Gli storici, non solo profani, divergono nella valutazione di questa nuova setta, di derivazione carbonara, secondo Oreste Dito, per ricordare “troppo da vicino il militarismo illuminato e democratico della Carboneria”22. Giuseppe Berti la fa sorgere nel biennio 1832-1834, mentre Franco Della Peruta la colloca decisamente nel 183423. La questione dell’anno di nascita non è secondaria, in quanto una sua accettabile definizione consente di verificare la tempestività con cui il fronte d’opposizione al Borboni operante nelle società segrete reagisce al tentativi rivoluzionari del ’30-31.
In realtà nel 1834 l’azione di reclutamento da parte del Musolino risulta ben avviata da tempo, per cui deve essere dato il massimo credito a quanto Musolino stesso ricorda in un suo scritto: “L’idea di fondare la setta della Giovine Italia Meridionale surse in me dopo i casi infelici di Romagna del 1831″24. Nella stessa occasione si rafforza in lui la convinzione che solo una setta organizzata sul piano militare può condurre a fondo la battaglia contro i Borboni. Pertanto il giudizio di Oreste Dito, facente leva sul carattere militare della setta musoliniana come su quello che maggiormente attrae gli elementi dispersi dell’antica Carboneria, appare accettabile, anche se va integrato nella valutazione globale delle premesse ideali e politiche cui si ispira la nuova società segreta. In questo quadro, ancora, il Dito fa prevalere l’ascendenza mazziniana della setta del Musolino, mentre altri, come Berti, tende a negarla del tutto. Ora, non c’è dubbio che la premessa di fondo è data dal rilievo mazziniano delle insufficienze proprie della Carboneria: la scissione subita, la repressione borbonica dopo il ’21 vengono analizzate e ripensate nelle loro conseguenze così come nei loro presupposti. Per Mazzini il momento critico da esaltare è quello della limitazione dell’obiettivo nazionale all’ambito territoriale meridionale oltre che l’incapacità strutturale della monarchia borbonica di accettare qualsiasi riforma costituzionale in senso democratico. Da qui la necessità di porsi l’obiettivo primario dell’unità nazionale, dell’indipendenza dallo straniero e della libertà garantita dalla repubblica.
Tali premesse ricorrono anche in Musolino, e se è difficile negare almeno l’influenza mazziniana su di lui, è altrettanto difficile non riconoscere il carattere autonomo de I Figliuoli della Giovine Italia nella concezione dei riti e dei gradi inseriti nella prospettiva di quello che Musolino definisce “lo svolgimento finale del problema umanitario”. Non solo quindi il problema nazionale-unitario”, ma anche quello sociale sta a cuore al Musolino, che individua nelle battaglie da compiere un momento di elevazione politica, morale e sociale, per pervenire alla trasformazione della società in senso democratico ed egalitarto. Il tema sociale è invece dal Mazzini considerato privo di priorità rispetto a quello nazionale e unitario.
In grande maggioranza gli ex carbonari aderiscono alla setta del Musolino, mentre l’espansione mazziniana in Calabria è del tutto trascurabile, almeno fino al 1848, anche se elementi di notevole livello intellettuale e politico sono già dalla parte del Genovese.
“Ciò che in primo luogo divideva Musolino da Mazzini – nota Paolo Alatri – era il rifiuto che il primo opponeva al misticismo romantico dell’altro: Musolino aveva avuto una formazione, e conservava una mentalità, sostanzialmente illuminista, positivista, naturalistica, materialistica e ateistica”25, che trova conferma nelle modalità di affiliazione alla sua setta. Esistono due gradi: agli affiliati di primo grado si svelano gli scopi immediati della setta – la cacciata dello straniero, l’abbattimento dell’assolutismo, l’unità nazionale, la dittatura rivoluzionarla del partito democratico. Quelli del secondo grado, una ristrettissima élite definita “Padri della Missione Suprema” sono invece consapevoli del fine ultimo, che è una radicale trasformazione della società, “lo svolgimento -come s’è già ricordato – finale del problema umanitario”. Si prevedono inoltre un Capo Supremo, residente a Roma, Dieci Consoli nelle regioni italiane, un Colonnello a capo di ogni provincia, e un Capitano per amministrare il comune. E esplicitamente richiesto che nessun affiliato sia analfabeta, forse perché il veicolo di trasmissione delle idee della setta è affidato al segno grafico essoterico e non al simboli propri dell’esoterismo.
Gregorio Aracri e Luigi Settembrini sono tra i primi ad aderire da Catanzaro alla setta del Musolino, mentre da Cosenza si accosta Raffaele Anastasio e da Reggio Girolamo Arcovito.
Nel ’37 si tenta la prova dello scontro con i Borboni. L’esperimento però, non autorizzato, fallisce, anche per una delazione e i principali capi vengono in seguito arrestati. Musolino stesso è imprigionato a Napoli nel maggio del ’39, e dopo di lui il fratello Pasquale, Luigi Settembrini, Saverio Bianchi, Raffaele Anastasio, Nicola Ricciardelli.
L’arresto del Musolino segna la fine della setta, e l’opposizione ai borboni resta affidata a tentativi generosi ma non bene organizzati, che portano alle dure condanne della Gran Corte Criminale di Cosenza per i fatti del marzo ’44, alla fucilazione dei fratelli Bandiera, alla repressione seguita ai moti di Reggio Calabria nel ’47. E tuttavia durante queste prove s’affaccia un gruppo di giovani, liberali e democratici, che offrono anche un bell’esempio di vita vissuta tra cospirazione e letteratura. Sotto la guida di Francesco De Sanctis poi daranno vita al movimento letterario e politico che il critico irpino definisce, appunto, “romanticismo calabrese”26 che manifesterà il grado di maturità ideale e politica negli anni ’48-60 e che vede, tra gli altri, impegnati Domenico Mauro, Biagio Miraglia, Giuseppe Campagna, Vincenzo Padula.
Intanto il fronte liberale e democratico si allarga, in Calabria, tanto che la costituzione che il re di Napoli concede nel ’48, convocando anche i comizi elettorali, non è altro che una presa d’atto, peraltro tardiva, della maturazione di nuove condizioni politiche. Il contenimento delle istanze democratiche e liberali che i Borboni contano di attuare ad elezioni concluse trova a Cosenza, dove vengono eletti al parlamento Domenico Mauro e Benedetto Musolino, l’immediata risposta del Governo provvisorio, presieduto da Giuseppe Ricciardi e in cui sono presenti anche il Musolino e il Mauro, mentre Biagio Miraglia dirige “Il Calabrese”, organo d’informazione ufficiale. E’ un momento di grande tensione ideale e politica, che vede l’esperimento di un governo liberale il quale però ben presto si rivelerà incapace di condurre a fondo la battaglia contro i Borboni, per l’articolata composizione sociale del gruppo dirigente. E’ un mese denso di avvenimenti quello della metà maggio metà giugno del ’48 a Cosenza27 , durante il quale i massoni della città fondano il Circolo Nazionale con Tommaso Ortale, Domenico Mauro, Federico Anastasio, Francesco Federici, Biagio Miraglia, Pietro Salfi2′ . A Castrovillari svolge regolarmente i suoi Lavori la Loggia “Lagana”, con il sacerdote Raffaele Salerno, Muzio Pace, Carlo Maria Loccaso, mentre altre Logge e nuclei massonici lavorano a S. Demetrio Corone, a Lungro, a Spezzano Albanese, a S. Lorenzo, a Saracena, a Cassano, ad Amendolara, a Diamante e a Paola.
Nella città di Catanzaro, Templi alla virtù si edificano nella Società Evangelica, con Domenico Angherà, i Greco, Gregorio Aracri, Eugenio De Riso29, mentre a Nicastro frequentano i Templi di Hiram, tra gli altri, Giovanni Nicotera e Francesco Stocco30.
La Massoneria, in tutti i suoi Gradi, è ora manifestamente impegnata a sostenere l’esperimento rivoluzionario, assieme ai mazziniani, ai radicali come Musolino e Mauro e alle altre componenti del movimento liberale calabrese.
La rivoluzione dura, però, appena un mese. Essa è l’unica del Meridione: la controrivoluzione, attuata con successo dal Borboni, non riesce a incontrare ostacoli consistenti, soprattutto sul piano militare, ma anche per l’incapacità dei governo Ricciardi di dominare il processo politico in corso. Musolino non sarà avaro di critiche nei suoi confronti, rivendicando a se stesso e al Mauro chiarezza di idee e di propositi non condivise dalle altre tendenze emerse nella rivoluzione calabrese. in cui prevale una tattica attendistica che apre la via ad un epilogo di segno repressivo e reazionario31.
La diaspora della democrazia e la campagna di liberazione dei Mezzogiorno (1848-1860)
L’epilogo del ’48 in Calabria provoca la caduta verticale della tensione ideale e politica che aveva animato la regione. La diaspora dei capi della rivoluzione verso i luoghi dell’emigrazione politica priva la
Calabria degli elementi necessari alla ripresa immediata della battaglia contro i Borboni. Corfù, Malta, Marsiglia, Parigi, e ancora Genova e Torino accolgono gli esuli calabresi che, specialmente negli stati sardi, hanno modo di ripensare alle esperienze del passato e di prepararsi a nuove e più dure prove per la libertà, l’indipendenza e la democrazia nella prospettiva unitaria e nazionale.
Soprattutto a Genova gli emigrati politici calabresi compiono scelte decisive per il futuro del movimento liberale nel suo complesso. Qui i contatti con i capi della democrazia italiana, a cominciare da Agostino Bertani (in seguito a fianco di Adriano Lemmi), Carlo Pisacane, per finire a Mauro Macchi e Francesco De Sanctis, inducono i Musolino, i Miraglia, i Mauro, i Mileti e tanti altri a prendere atto della necessità di coniugare i temi della indipendenza e dell’unità con quelli della democrazia e della giustizia sociale32.
Le proposte dei murattiani, nel 1855, per una soluzione tripartita della questione italiana (con un regno del Nord da affidare al Savoia, uno del Centro da assegnare al Papa e uno nel Sud da mantenere per il Murat con la protezione francese) incontra un vasto fronte di opposizione, in cui molti calabresi, massoni o vicini alla Massoneria, svolgono un ruolo di primo piano, a difesa del principio di nazionalità e di indipendenza, sotto la guida di Carlo Pisacane33 anche se alcuni, come Stocco, non sono insensibili alle suggestioni della politica cavouriana connotata da una certa disponibilità verso il murattismo, articolata com’è e condizionata da rapporti internazionali che oggettivamente fungono da contenimento delle esigenze unitarie.
Nicotera e Mileti, specialmente, premono per il ritorno immediato all’azione nel Mezzogiorno, in un confronto non sempre agevole con mazziniani, garibaldini e democratici avanzati come Musolino. La spedizione del Pisacane è da loro incoraggiata e sollecitata, mentre Bertani non nasconde le sue perplessità. Il Massone Nicotera è il calabrese più eminente al seguito di Pisacane, mentre Carlo Mileri (presente nella Massoneria napoletana post-unitaria), dopo il fallimento dell’impresa, si accosta al radicalismo di Bertani, divenendone il portavoce nel movimento garibaldino e in seguito nei primi anni di vita unitaria.
Dopo il ’57 il tema delle alleanze politiche necessarie per liberare il Mezzogiorno dal Borboni si svolge in direzione della partecipazione della democrazia italiana alla Società Nazionale col motto “Italia e Vittorio Emanuele”, che segna la scissione, da tempo maturata, tra l’intransigenza mazziniana e la disponibilità garibaldina alla collaborazione con il Cavour e Casa Savoia.
Intanto in Calabria il partito borbonico registra sensibili diminuzioni di consenso: molti proprietari terrieri, delusi dalla politica demaniale del governo di Napoli, ispirata a rozzo paternalismo, passano nelle file dei liberali, condizionando così fin dall’inizio l’esito finale dell’iniziativa garibaldina nelle regioni meridionali e, in particolar modo, in Calabria, finendo con l’egemonizzare il movimento liberale con comportamenti “gattopardeschi”34.
La rivoluzione del ’60 si configura così come il risultato delle spinte divergenti all’interno del movimento garibaldino. Nonostante i decreti di Garibaldi a favore dei contadini poveri, emanati in Sicilia e in Calabria (abbastanza incisivi quelli a favore dei contadini della Sila e dei Casali di Cosenza, dell’agosto del ’60), 1 rapporti sociali nelle campagne non subiscono alcun mutamento, specie dopo la partenza del Generale per Napoli. A Cosenza il Governatore Generale da lui nominato, Donato Morelli (cui nel ventennio post-unitarlo verrà intitolata una Loggia massonica a Rogliano) vanifica gli effetti dei decreti garibaldini, chiamando a far parte del governo gli esponenti della grande proprietà terriera, come i Guzzolino.
I massoni, a liberazione avvenuta, sostengono il plebiscito per l’annessione della Calabria al Piemonte, avviando anche la ripresa dei Lavori con le garanzie concesse dallo Statuto albertino, e partecipando così al rinnovamento della vita massonica, dopo la dispersione durante il periodo borbonico, che sarà avviata da Garibaldi con la sua Gran Maestranza del Supremo Consiglio di Palermo35.
Fin dal 1860, o poco più tardi, riprende i Lavori una delle due Logge esistenti a Cosenza al tempo di Gioacchino Murat, I Pitagorici Cratensi (l’altra era, come s’è detto, la Gioacchino I). Essa assume la denominazione di Pitagorici Cratensi Risorti, ad indicare che delle due Logge del periodo murattiano quella dei Pitagorici era stata la meno esposta alla strumentalizzazione da parte del potere (ma il giudizio storico non concorda con tale valutazione). Ciò dovrebbe anche significare la volontà della Massoneria cosentina di risorgere all’insegna dell’autonomia e della libertà, per dedicare tutto il Lavoro d’Officina ai fini istituzionali della Libera Muratoria.
Animatore de I Pitagorici Cratensi Risorti è Erennio Ponzio, priore di una confratemita religiosa (come il parroco Beniamino De Rose, massone e mazziniano) e personalmente impegnato, dal settembre al novembre del ’60, a sostenere sulle colonne de “Il Monitore Bruzio”, il giornale ufficiale del governo della Calabria Citra, le ragioni dell’annessione, per plebiscito, della Calabria al Regno del Piemonte36. Nel “Supplemento” del 13 ottobre pubblica un accorato lungo appello al clero cosentino per invitarlo a partecipare al plebiscito e convincere i fedeli cattolici a votare per il si, presentando la consultazione come un momento decisivo a favore della libertà e dello statuto, con Vittorio Emanuele37.
Erennio Ponzio è da poco uscito dal carcere e col Grado 30, su incarico del Grande Oriente d’Italia, edifica la Loggia di cui si è detto, accogliendovi – come riferisce il Maestro Venerabile Alessandro Lepiane in un rapporto al G.O.I, del 1878 – “un buon numero di cittadini stimabili, la maggior parte perseguitati sotto il governo borbonico, che in quel tempo naturalmente avevano una influenza grande nel paese” 38.
Tutto sembra volgere al meglio per la Massoneria cosentina, che tuttavia non riesce ad impedire “l’ammissione di uomini indegni di appartenervi – scrive ancora Lepiane – ed entrati al solo fine di valersene come un mezzo e come una forza onde far fortuna nel mondo profano”.
In effetti l’esercizio della vita democratica nel primo ventennio postunitario a Cosenza, e, si può dire, in tutta la Calabria, vede il concorso di forze politiche nuove, come il movimento operaio, sia pure egemonizzato da borghesi, specie nelle società operaie di Mutuo soccorso39 e il movimento cattolico, cui la Libera Muratoria, in una prima fase almeno, apporta il contributo notevole dei grado di perfezionamento morale raggiunto nelle Officine. Epperò la corruzione e l’arrivismo che, specialmente dagli anni ’70 in poi, connoteranno la lotta politica locale, non vedono immune, soprattutto a Cosenza, la stessa Massoneria, alla quale chiedono ipocritamente la Luce elementi che ben presto -denuncia ancora Lepiane, “prostituirono la Famiglia massonica cosentina, rovinarono il paese con una amministrazione gretta e partigiana, sfatarono i loro Fratelli onesti”40.
Tale durezza di linguaggio, che in ogni caso riflette le reali condizioni della Libera Muratoria cosentina, è dovuta anche all’incarico commesso dal Grande Oriente al Venerabile Lepiane di riferire sulla situazione della Massoneria a Cosenza, che il 7 ottobre dei 1874 costruisce la Loggia Bruzia, su iniziativa di Pietro De Roberto, la quale viene riconosciuta il 3 dicembre dello stesso anno. La “Pitagorici Cratensi Risorti” non manca di protestare e di ostacolare il sorgere della Loggia del De Roberto, e nell’agosto del 1875 Mariano Maresca 33, Presidente della Sezione Concistoriale di Napoli, scrive ad Erennio Ponzio che la Loggia da lui precedentemente costruita deve essere demolita, “perché composta di elementi intinti di delitti e colpe, e alcuni erano stati sottoposti a giudizio profano e condannati”41.
A questo punto i Pitagorici Cratensi Risorti decidono di uscire dal Templi di Hiram e di rivolgersi a Catania, dove si pratica il culto della Madre Potenza di Rito Egiziano, ottenendo di costituire a Cosenza una Madre Loggia Provinciale. Inoltre, secondo Lepiane, scelgono di atteggiarsi a repubblicani, ingaggiando una persistente campagna diffamatoria contro gli ex Fratelli massoni.
Si apre così il tormentato capitolo della Massoneria a Cosenza dopo l’Unità, mentre a Catanzaro, nel 1864, si edifica la Tommaso Campanella, “per preparare la gioventù ad una nuova guerra contro l’Austria per la conquista di Venezia…”42. A Reggio Calabria la Massoneria, dipendente dal Supremo Consiglio di Palermo, tra il 1863 e Il 1870, è impegnata contro il “movimento borbonico-clericaletemporalista -, specie con la Loggia Domenico Romeo, capo della rivolta del 184743.
Una storia quella della Massoneria in Calabria, prima e dopo l’Unità, in cui è dato rilevare “la reciprocità necessaria” (Mola) tra Iniziazione massonica e impegno politico per la conquista della libertà e dell’indipendenza prima e per la difesa e l’espansione della democrazia dopo il 1860. Per essa il giudizio storico, specie degli storici massoni, non può ovviamente esprimersi in termini apologetici o di condanna, come non può delineare piste preferenziali tra i Lavori di Loggia trasformati in fenomeni socio-politici, ma va riferito al difficile tema della “secolarizzazione” della Libera Muratoria, senza perdere di vista “i dettati delle Costituzioni di Andersen” che vietano l’esercizio della politica nelle Officine, e senza peraltro trascurare che ”In molti casi – (come quello di cui ci siamo occupati, n.d.a.) – nota ancora Aldo A. Mola – proprio l’organizzazione massonica fu il più efficace veicolo di politicizzazione, cioè di educazione ai princìpi ideali presupposti e costitutivi dei ‘programmi , di partito”44.
NOTE
1) Ed Stolper, La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, P, VII, Pasquale Baffi, un martire dimenticato, in “Rivista Massonica”, n.4, aprile 1976, pp. 232-236. Ma vedi anche Mariano D’Ayala, I liberi muratori di Napoli nel secolo XVIII, in “Archivio storico napoletano”, XXIII, 1898, IV; Cesare Morisani, Massoni e Giacobint a Reggio Calabria (1740-1800), Reggio Calabria, 1907, nonché Carlo Francovich, Storia della Massoneria italiana dalle origini alla Rivoluzione Francese, La Nuova Italia, Firenze, 1975 (2a edizione).
2) Armando Dito, Giuseppe Logoteta massone e giacobino, in “Rivista Massonica” n. 10, dicembre 1977, pp 609-610.
3) Oreste Dito, L’influenza massonica nella storia calabrese dal 1799 ai nostri giorni, Brenner, Cosenza, 1979.
4) Su Jerocades vedi l’ampia nota bibliografica di Michele Cataudella, A. Jerocades: aspetti di letteratura giacobina in Calabria, in “Periferia”, n. 16, genn.-apr. 1982, pp 3-19. Sulle origini della Massoneria in Calabria vedi però Salvatore Stranieri, La Massoneria a Ginfalco, ne “LaSila”, marzo 1982, n. 3, in cui si riporta un documento che dà notizia della fondazione di una Loggia massonica nel 1723, ad opera del “duce di Girifalco del nobil casato di Caracciolo di Napoli”.
5) Sul Salfi vedi G. B. De Sanctis, Francesco Saverio Salfi patriota, critico, drammaturgo, Pellegrini, Cosenza, 1970; Carlo Gentile, Francesco Saverio Salfi, Brenner, Cosenza 1974; sull’Aracri cfr. invece Raffaele Aversa, Gregorio Aracri da Staletti, Pellegrini, Cosenza, 1969. Su tutto il periodo in cui vissero il Salfi, l’Aracri, Jerocades e gli altri personaggi di seguito citati, fondamentale resta Gaetano Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Casa dei Libro, Reggio Catabria, 1978 (ristampa).
6) Armando Dito, Storia della Massoneria Calabrese Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Brenner, Cosenza, 1980 p. 18.
7) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit., p. 22. E’ interessante, a questo proposito, quanto dice il Pike:”La forza cieca del popolo deve essere controllata e guidata, come la forza cieca del vapore che fa muovere le pesanti armi metalliche e girare e pesanti ruote ed è fatta per perforare e caricare il cannone e per tessere i più delicati merletti”, e altrove: “La forza deve essere regolata dall’Intelletto. L’intelletto è per il popolo e per la forza dei popolo ciò Cile il sottile ago è per la bussola della nave” …… E ancora: “I tiranni usano la stessa forza del popolo per incatenarlo e renderlo schiavo. Sicché il popolo va educato alla lotta per la sua stessa liberazione, cessando così di essere la “titanica potenza dei giganti, che costruisce le fortificazioni dei tiranni ed è incorporata nelle loro armate… La pietra grezza è il popolo: questa massa rozza e disorganizzata. La pietra cubica, simbolo di perfezione, è lo Stato, poiché i governanti derivano i loro poteri dal con senso dei governati e le leggi esprimono il volere del popolo, il governo è armonico, simmetrico, efficiente, con i poteri debitamente distribuiti ed equilibrati”(Alberi Pike, Morals and Dogma, vol. 1, Bastogi di A. Manuali, Foggia, 1983, pp. 43, 45, 48).
8) Giuseppe Gabrieli, Dall’Archivio Canosa: Massoneria e Carboneria, in “Rivista Massonica”, n.9, dicembre 1978, pp. 582-586.
9) Oreste Dito, ibidem.
10) Oreste Dito, ibidem.
11) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit., p. 23. In altri contesti si trovano anche cinque Gradi, da Apprendista a Gran Maestro.
12) Giuseppe Gabrieli, Dall’Archivio Canosa ecc., cit. p. 582.
13) Giuseppe Gabrieli, Legami massonico carbonari, in “Rivista Massonica”, n. 3, marzo 1977, p 147-152.
14) Armando Dito, Storia della Massoneria ecc., cit., p. 23
15) Armando Dito, ibidem.
16) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit. P. 20; idem, Massoneria, Carboneria ed altre societá segrete nella storia dei Risorgimento italiano, Forni, Bologna, 2 a rist., 1979 (cfr. anche l’edizione del 1905, Roux e Viarengo, Torino-Roma); Giuseppe Leti, Carboneria e Massoneria nel Risorgimento Italiano, Libreria ed. Moderna, Genova, 1925 (cfr. anche la ristampa anastatica Forni di Bologna).
17) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit., p. 32.
18) Gaetano Cingari, Mezzogiorno e Risorgimento, La restaurazione a Napoli dal 1821 al 1830, Laterza, Bari, 1976, p. 23.
19) ibidem.
20) Gaetano Cingari, Mezzogiorno e Risorgimenlo ecc., cit., pp. 103-104.
21) Gaetano Cingari, Risorgimento Calabro, in Calabria, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1983, pp. 31-37.
22) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit., p. 35.
23) Franco Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d’azione”, 1830-1845, Feltrinelli, Milano, 1974, p. 260; Giuseppe Berti, I democratici e l’iniziativa meridionale nel Risorgimento, Feltrinelli, Milano, 1962, pp. 196 e segg,
24) “La Situazione”, opuscolo del 1879, cit. in Benedetto Musolino, Giuseppe Mazzini e i Rivoluzionari Italiani, introduzione di Paolo Alatti, Pellegrini, Cosenza, 1982, vol. 1, p. 7.
25) Benedetto Musolino, Mazzini ecc., cit.
26) Francesco De Sanctis, La scuola cattolicoliberale e il romanticismo a Napoli, XI, Einaudi, Torino, 1953, pp. 57 e segg. ; Gaetano Cingari, Romanticismo e Democrazia nel Mezzogiorno, Domenico Mauro, Esi, Napoli, 1965; Antonio Piromalli, La letteratura calabrese, Guida, Napoli, 1977, pp. 135-153
27) Oreste Dito, La rivoluzione calabrese del ’48, Brenner, Cosenza, 1980.
28) Oreste Dito, L’influenza massonica ecc., cit., pp. 40-41
29) Gaetano Cingari, Romanticismo e democrazia ecc., cit., ad nomina; su De Riso cfr. Gustavo Valente, Emigrazione politica di Calabresi. Il marchese Eugenio De Riso, in “Rivista Storica del Risorgimento”, 1954, pp. 603-608.
30) Su Stocco vedi anche Pietro Camardella, I Calabresi della Spedizione dei Mille, Accademia Cosentina, 1976, pp. 47-58. Sul Nicotera vedi, per tutti, Vincenzo Giordano, La vita e i discorsi di Giovanni Nicotera nelle legislature, IX, XI e XII, Tip. Nazionale, Salerno, 1952.
31) Benedetto Musolino, Giuseppe Mazzini ecc., cit , 1, pp. 339-420.
32) Gian Biagio Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Olschki, Firenze, 1979; Silvia Rota Ghibaudi, L’emigrazione calabrese in Piemonte (1848-1860), in ”Calabria Nobilissima”, XIV, 1960, no. 39-40, pp. 1-18; Bianca Montale, L’emigrazione politica in Genova e in Liguria (1849-1859), Sabatelli, Genova, 1982, per gli esuli calabresi a Genova vedi quanto riporta Enrico Esposito, Carlo Mileti e la democrazia repubblicana nel Mezzogiorno, di prossima pubblicazione in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucama”, 1984.
33) Matteo Mazziotti, La reazione borbonica nel regno di Napoli, Dante Alighieri, Roma, 1912, pp. 340-341.
34) Gaetano Cingari, La Calabria nella rivoluzione del 1860, in Problemi del Risorgimento Meridionale, D’Anna, Firenze-Messina, 1965, pp. 154-241.
35) Aldo Alessandro Mola, L’internazionalismo massonico di Giuseppe Garibalai, in AA.VV., Garibaldi e il Socialismo (a cura di Gaetano Cingari), Laterza, Bari, 1984, pp. 147-164; idem, Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica, prefazione di Paolo Alatri, Bompiani, Milano, 1977.
36) I Giornali Politici Calabresi del Risorgimenlo (a cura di Giuseppe Grisolia), Cultura Calabrese Editrice, Belvedere M.mo (CS), 1983, “Il Monitore Bruzio”.
37) “IlMonitore Bruzio”, Supplemento, anno 1, n. 10.
38) Oreste Dito, La massoneria cosentina, Brenner, Cosenza, 1978, pp.7 e segg.
39) Enrico Esposito, Il movimento operaio in Calabria. L’egemonia borghese (1870-1892), Pellegrini, Cosenza, 1977.
40) Oreste Dito, La massoneria cosentina, cit., p.7.
41) Oreste Dito, op. cit., p.8.
42) Armando Dito, Storia della Massoneria calabrese ecc., cit., p. 27.
43) Armando Dito, op. cit., p. 36.
44) Aldo Alessandro Mola, L’internazionalismo massonico ecc., cit., p. 147.