“Non gridate più”: invocazione alla pace
La poesia Non gridate più, scritta da Ungaretti dopo la fine della seconda guerra mondiale, è contenuta nella raccolta Il Dolore (sezione I ricordi).
NON GRIDATE PIÙ
Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.
Il poeta si rivolge agli uomini sopravvissuti a quell’immane tragedia che continuano a funestare il mondo con l’odio di parte e le divisioni politiche. Queste grida piene di rabbia e di rancore coprono le flebili voci dei morti che invocano pace, rendendo inutile il loro sacrificio: in questo modo, è come se venissero uccisi di nuovo[1]. Gli uomini calpestano la memoria con la stessa non curanza con cui calpestano l’erba, ma solo l’impercettibile sussurro di chi non c’è più può indicare a chi è rimasto la via della salvezza.
La rima (udire/perire) e la ripetizione di parole (non gridate/ non gridate; se/se) e di suoni (cessate, sussuro, passa, crescere, se, sperate) creano l’effetto di una invocazione sommessa e dolente, che sembra svanire nel nulla.
[1] Ungaretti utilizza l’espressione Uccidere i morti una figura retorica detta adynaton (in greco: impossibile) che consiste nell’affermare come se fosse certo qualcosa di impossibile a realizzarsi.