ROBERTO GERVASO

Roberto Gervaso nasce a Roma il 9 luglio 1937. E’ giornalista, storico e scrittore. E’ noto per le sue massime, i suoi aforismi, i suoi interventi precisi e taglienti; val la pena introdurlo con le sue stesse parole: “Io sono un divulgatore e un polemista. Ho questa vena un po’ epigrammatica e aforistica: non potrei mai scrivere non dico un romanzo, ma neanche un racconto, perchè non ho il tipo di fantasia necessario. Ho bisogno di fatti e di attaccare: sono un po’ un pubblico ministero, non sono capace di difendere nessuno salvo me stesso, e comunque mi difendo attaccando“.

Roberto Gervaso studia prima in Italia, poi negli USA conseguendo una laurea in Lettere moderne. Diventa presto collaboratore di quotidiani e periodici: il suo lavoro si dimostra da subito molto prolifico. Lavora anche per radio e televisione, in radio e in televisione, dove viene chiamato in qualità di opinionista o commentatore, sia politico che di costume.

A partire dalla seconda metà degli anni ’60 si dedica alla divulgazione storica: insieme all’amico e collega Indro Montanelli firma sei volumi dell’opera “Storia d’Italia”.

Come commentatore politico, a partire dal 1996 e ininterrottamente fino al 2005, conduce “Peste e Corna e… Gocce di storia”, alle 7.30 del mattino su Retequattro. Nel 2002 presenta il programma “Storie dell’altro secolo”.

Vive a Roma ma è solito girare l’Italia (e l’estero) frequentando convegni e conferenze dove è spesso invitato. Appena gli è possibile trova rifugio nella sua casa di Spoleto che contiene  una fornita e ricca biblioteca.

Ama anche la musica classica: tra i suoi compositori preferiti vi sono Bach, Wagner, Brahms, Grieg e Vivaldi.

Nel corso della sua carriera Gervaso ha anche avuto modo di incontrare molti protagonisti del XX secolo come Georges Simenon, Salvador Dalì, Andres Segovia, Arthur Miller, Lauren Bacall, Michail Gorbaciov e David Rockefeller.

Nel 1981 è stato scoperto appartenere della lista massonica  P2 (con la tessera n.622).

I suoi 40 libri sono stati tradotti in molti paesi tra cui Stati Uniti, Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna, Germania, America Latina, Giappone, Bulgaria e Polonia. Nella sua carriera ha avuto numerosi riconoscimenti letterari tra cui due prestigiosi Premi Bancarella.

Dopo una lunga malattia Roberto Gervaso si spegne a Milano il 2 giugno 2020, all’età di 82 anni.

Ci ha lasciato Roberto Gervaso, un gigante del giornalismo, lo scrittore che collaborò con Indro Montanelli alla Storia d’Italia. Un lutto che lascia un grande vuoto

Frasi fulminanti, dense di umorismo, l’anticipazione dei tweet: Gervaso si dilettava in questo esercizio e gli aforismi avevano dato vita a libri divenuti dei «best seller». Tra tutti, «La mosca al naso» e«il grillo parlante».

«Ti piacerà», dice. È una Roma di mezzo agosto e si cammina per strada da stranieri, stralunati, con il tramonto che arriva senza che te ne accorgi e i grilli smettono di cantare e cominciano a parlare sottovoce. Ricordano, con il sorriso che si illumina seguendo il profilo di una ragazza, come se lui avesse ancora vent’anni. «Le illusioni non hanno età». Uno di questi grilli è Roberto Gervaso. È l’ultima volta che ci siamo visti, un paio di anni fa. Gervaso se n’è andato senza recriminare nulla, magari un po’ sorpreso che quest’avventura sia davvero finita. A luglio avrebbe compiuto 83 anni. Qualche tempo fa disse che sulla sua tomba avrebbe voluto questa epigrafe: «Qui giace Roberto Gervaso, che ancora stenta a crederci». Non è detto che non abbia cambiato idea. Non si sa mai come vestirsi per il proprio funerale, l’abito migliore per uscire di scena, probabilmente con il farfallino. Non è un vezzo. È il segno di un’intelligenza che non sapeva stare ferma, curiosa, disincantata, brillante, leggera come quella di chi con un balzo è pronto ad andare sulla luna, lì dove ci sono tutte le cose che gli umani hanno smarrito sulla terra: gli amori, il potere, le vanità, i ricordi, il senno. Negli ultimi tempi forse si era un po’ stancato di restare in equilibrio su un’esistenza elettrica. «Cosa vorrei come regalo per la mia vecchiaia? Un po’ di quiete». Ma una quiete senza noia. Qualche volta faticava a riconoscersi nel mestiere di una vita. «Mi dispiace – mi diceva quella sera in osteria – che ti tocca vivere la bassa stagione del giornalismo. Ricordati però sempre di rispettare i tuoi santi, i maestri di quest’arte minore. Non lo devi fare solo per te, ma per i morti. Fino a quando c’è ancora qualcuno che fatica per scrivere, senza buttare via le parole, allora non tutto è perduto». Il giornalismo in realtà non è al capolinea. Si evolve. Cambia faccia. Si perde e riappare. È per questo che Gervaso ha continuato a scrivere fino all’ultimo giorno. C’era ancora bisogno di lui. Tutto comincia con un pezzo ritagliato con cura quando ancora era uno studente in cerca di una strada. «A 16 anni ho preso una copia del Corriere della Sera. In terza pagina – raccontava in un’intervista a Ario Gervasutti – c’era un taglio basso firmato da un certo Indro Montanelli. Il titolo era: Polli a Cinecittà. Raccontava di una sua visita a una marmaglia di comparse romane durante una pausa pranzo. Da quel giorno con la paghetta ricevuta da mio padre insegnante di educazione fisica compravo il Corriere e ogni volta ritagliavo Montanelli per incollarlo su un album e leggerlo, rileggerlo, postillarlo».

Passa qualche anno. Gervaso come premio per la maturità classica va a Roma, ospite del nonno. E che fa? Prima di partire scrive una lettera raccomandata a Montanelli. Era il 28 luglio 1956. Indro non solo risponde, ma lo invita a casa. È la porta scorrevole della sua vita. Montanelli lo porta al Corsera. Diventerà qualcosa di più di un maestro. È, alternandosi con Mario Cervi, il compagno di strada di Montanelli nell’avventura editoriale della Storia d’Italia. «Mi fece scrivere con lui sei volumi. Ci spartimmo i diritti d’autore al 50 per cento, quando al massimo avrei dovuto avere il 15. Abbiamo venduto più di 18 milioni di copie».

Parte con Montanelli, poi va da solo. Ci sono anni in cui si dedica alle biografie: Cagliostro, Casanova, i Borgia, Nerone. Racconta gli italiani, con arguzia, con quel tanto di distacco che serve a vedere meglio le cose, senza mai giudicarli, qualche volta con tenerezza, regalando altre volte frustate e compassione. Svela vizi e carisma dei potenti. Non li risparmia. È una firma e un volto. Le sue interviste sono un genere letterario. Famosi e non famosi. Potenti o caduti in disgrazia. Dittatori in fuga e donne dal fascino eterno. Quella che ama di più è a Georges Simenon, gli invidia le donne e la scrittura. Interviste riconoscibili. Non c’è bisogno di leggere nome e cognome per capire di chi sono. Domande brevi, risposte nette, ritmo, velocità e colpi di fioretto per mettere a nudo chi hai davanti. Non è tenero neppure con se stesso. È da lì, da quel non sapere perdonare all’umanità la bellezza meschina, che nascono i suoi famosi aforismi. «M’accorgo del cielo infinito solo se una rondine ne percorre un tratto». «Mi fido solo dei medici che sottovalutano i miei sintomi». «È difficile conoscere se stessi perché crediamo di essere migliori di quel che siamo». «Alla cintura di castità preferisco le bretelle».

Il suo errore si chiama Licio Gelli. Non ne riconosce i piani. Si iscrive alla loggia massonica P2 come se fosse il circolo Pickwick. «Non ho mai chiesto nulla, non ho mai dato nulla». Ne pagherà le conseguenze. Professionali e sociali. «Non mi sono neanche pentito, perché non c’è niente di cui pentirsi».

Il suo nemico è stato il «cane nero».così da lui definito “Quale maleficio s’insinua nella depressione? Chi decide che dobbiamo passare sotto le sue forche caudine, inermi e inerti, subendo e soffrendo? Perché la natura che ho sempre amato e onorato mi diventa ostile? Perché i libri, che sono la mia vita, perdono ogni interesse? Perché tengo alla larga gli amici e, quando mi sono vicini, è come se fossero assenti? Perché la mattina non mi alzerei mai? Perché invidio l’ultimo clochard che incontro per strada, alla stazione, sui gradini di una chiesa? ” La depressione che per tre volte nella sua vita è arrivata a scarnificargli la mente e il corpo. Non ti curi mai fino in fondo, la combatti con le unghie e con i denti, con la speranza di sopravvivere. La depressione è il rogo dell’anima. Ti cancella i ricordi più belli, come la madre di tutti i dissennatori. «Ho fatto i conti con tre crisi depressive, a 23, 43 e 71 anni. Complessivamente 10 anni di atroci patimenti». Alla fine ha avuto la forza di guardarla in faccia. Ora non ne ha più paura, perché sa che non può fargli più nulla. «È la morte più brutta perché ti mantiene vivo». Buonanotte, Roberto.

Alcuni  aforismi

«La vita è la più monotona delle avventure. Finisce sempre alla stessa maniera»

«L’Italia resta in piedi perché non sa da quale parte cadere»;

 «Ci tengono compagnia più i dubbi che le certezze».

 «Chi non è padrone di sé, finisce servo degli altri»;

«Il desiderio, qualunque desiderio, diventa una tortura quando non si è più in grado di soddisfarlo»;

«Nessuno è abbastanza intelligente da far capire a un cretino che è un cretino»;

«Il mio senso di colpa non nasce dai piaceri che mi sono concesso, ma dai peccati che mi sono negato»;

«Quando una donna non ci ama più il primo ad accorgersene è il suo nuovo amante»;

«Il fascismo degli antifascisti non mi fa meno paura di quello dei fascisti»;

 «Il colmo dell’infelicità è essere felici senza saperlo»;

«Ho tutte le donne che vogliono».

Questa voce è stata pubblicata in Massoni illustri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *