CARLO PISACANE (Napoli 1818 – Sanza 1857)
Il patriota e scrittore Carlo Pisacane nacque da nobile famiglia e, giovanissimo, divenne sottotenente del genio dell’esercito borbonico; ma nel 1847 disertò, fuggì da Napoli ed emigrò prima a Londra, poi in Francia, poi in Algeria, dove si arruolò nella Legione Straniera. Avuta la notizia dei moti di Milano del 1848, tornò subito in Italia, dove partecipò all’ultima fase della prima guerra d‟indipendenza; nel 1849 fu membro della Commissione di guerra e capo di stato maggiore durante la difesa della Repubblica Romana. Intanto il suo credo politico passava dal primitivo mazzinianesimo a posizioni più radicali ed a tendenze socialiste, anche a seguito dei contatti avuti con Cattaneo e con alcuni socialisti francesi: riflettono queste nuove idee i quattro volumi da lui scritti: “Saggi storici-politici-militari sull’Italia”. Verso il 1855 si riaccostatò al Mazzini, in vista di un’azione rivoluzionaria nel Mezzogiorno e, convinto che l’indipendenza dell’Italia doveva scaturire da una serie di rivoluzioni di popolo, nel 1857 organizzò una spedizione nel napoletano per cercare di portare all‟insurrezione quelle popolazioni. Nonostante contrarietà d’ordine tecnico, quale la mancata consegna di armi da parte di Pilo, il quale aveva dovuto rifugiarsi a Malta, e nonostante le titubanze che regnavano all’interno del Comitato napoletano, che avrebbe dovuto assecondare la sua azione, con ventiquattro compagni sbarcò a Ponza e liberò i detenuti politici che erano nelle carceri; trecento di costoro lo seguirono nello sbarco a Sapri, dove sarebbe dovuta cominciare l’insurrezione. Ma nella sua azione di rivolta non fu seguito dalla popolazione ed i “300 giovani e forti” furono circondati e massacrati dall‟esercito borbonico. Pisacane, apertosi un varco, si rifugiò a Sansa dove, prima di cadere nelle mani nemiche, preferì darsi la morte. Ecco come l’episodio di Carlo Pisacane e dei suoi uomini di Ponza venne raccontato da un cronista contemporaneo, un testimone diretto, il ponzese Giuseppe Tricoli, nella sua “Monografia per le isole del Gruppo Ponziano”:
“il partito liberale italico ideò un movimento nel reame napoletano, ed a riuscirvi sopra il vapore di Sardegna il Cagliari furono imbarcati 18 casse di armi come mercanzie e 25 emigrati corsi, romagnuoli, coi regnicoli Carlo Pesacano capo, Giovanni Nicotera, e Giovanni Falcone, quali sottocapi, ed invece di far rotta di spedizione per Tunisi, approdavasi in Ponza il dì 27 giugno 1857, verso le cinque pomeridiane, prestando danni alla macchina. Vi accorreva il capitano del porto Montano Magliozzi, il pilota pratico, e l’ufficiale di piazza, che furono osteggiati (presi in ostaggio), la deputazione sanitaria era divertita (fuorviata), mentre due lance inosservate per la esterna scogliera, sbarcavano 18 dei cennati individui armati di due botti (fucili a due colpi), con giubba e berretta rossa, immettendosi nel vicolo la Caletta, preceduti dallo stendardo ancor rosso, gridando viva l’Italia e la repubblica tirando fucilate. Attoniti i custodenti e gli abitanti nel vedere quei furibondi impadronirsi della scorridoja (barca) di marina, scambiarsi i colpi con taluni soldati, uccidendo il tenente di servizio, ed occupata parimenti la gran guardia, la batteria-molo, e il palazzo del comando, ove si
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erano riuniti gli ufficiali, e segnata la resa tutti furono prigionieri sul Vapore. Ecco in breve i terrori della rivoluzione scoppiarono, armandosi da circa due mila dei servi di pena fra ex militi, rilegati, e presidiarii colle armi ricavate dalla truppa, e disbarcate dal legno in due botti, tromboni, pistole e stili. Fattasi imponente la massa rabbrividivano i naturali (gli abitanti) perché tutto cedeva, aperto il bagno (penale), e le altre prigioni della relegazione, e circondariali, un torrente di forsennati coi gridi sediziosi girava per lo abitato e pei casali, crescendo in audacia ed in eccessi, allorché il fuoco consumava le officine della comandazia, del giudicato, del municipio e de posti degli urbani, di polizia e di gendarmeria: indi col proclamare la repubblica quei ribaldi sbrigliati, mettevano a sacco l’intera isola, non esclusi i commestibili e gli arnesi ancorché infimi; mentre essi festeggiavano all’imbrunire della sera bensì con la obbligata illuminazione, e banda musicale, aumentavansi le angosce de’ sbalorditi ponzesi rannicchiati per le remote caverne coi funzionari, ed eternavansi i momenti del lottare benanche fra i disagi, ed il certo sterminio, dopo tanto bisbigliare e ladrocinare, senza speranza di soccorso o freno a quella deplorabile scena. Verso la mezzanotte salpava intanto al tiro di cannone il piroscafo con ancora 323 di essi servi di pena de’ più audaci, dirigendosi a Sapri presso le coste di Salerno”. L’appartenenza alla Massoneria di Carlo Pisacane fu rivelata dal gran maestro Ernesto Nathan nel discorso del 21 aprile 1918 al Teatro Costanti.
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