BETTINO RICASOLI (Firenze 1809 – Brolio 1880)
Nacque a Firenze dal barone Luigi e da Elisabetta Peruzzi il 9 marzo 1809. La sua dimora fu il castello di Broglio, ma la sua vita trascorsa in quei luoghi non fu solo attività di agricoltore ed imprenditore agricolo, che portò alla produzione vinicola ancora oggi famosa, ma anche vita meditativa di anima profondamente religiosa; ma come uomo d’azione, e non contemplativo, capì i problemi religiosi propri della realtà politica del suo tempo, in particolare quelli relativi ai rapporti fra Stato Pontificio e società. I libri di Balbo e del d’Azeglio ebbero presa nel suo primo orientamento politico, e si convinse che le speranze riposte dai neo-guelfi nell’azione politica italiana da parte del papato avrebbero dato luogo a numerose delusioni. Secondo il Ricasoli al papato sarebbe stato opportuno e necessario chiedere una riforma generale del clero, perché “senza religione la società era senza base”. Nel 1846 si fece promotore di una petizione politica con la quale si richiese al granduca di Toscana Leopoldo II di varare riforme liberali e di concedere la Costituzione. Nell’ottobre del 1847 il granduca di Toscana lo inviò da Carlo Alberto, perché questi facesse da mediatore con il papa nel conflitto che era scoppiato tra la Toscana e Modena; quest‟ultima infatti, dopo l‟annessione di Lucca alla Toscana, rivendicava alcuni compensi territoriali. In questa occasione il Ricasoli si convinse sempre più della necessità di “stringere politicamente” la Toscana al Piemonte e non si lasciò abbattere dalle disavventure dell‟Italia del 1849, al contrario esse rinvigorirono la sua fiducia nel Piemonte. Infatti i sui primi pensieri politici erano indirizzati a scacciare tutti i principi e a muoversi poi concordi contro l’Austria. Il 27 aprile del 1859, nel corso della seconda guerra d‟indipendenza, dopo la deposizione di Leopoldo II, fu nominato ministro dell’Interno del governo della Toscana, e dopo l’armistizio di Villafranca assunse il potere direzionale, organizzando l‟annessione del granducato al Piemonte. Alla morte di Cavour nel 1861, dopo la proclamazione del Regno d‟Italia, fu chiamato a succedergli nel governo, e, coerente nel suo programma unitario, impedì che nell’ordinamento amministrativo dello stato prevalessero criteri regionalistici. Insieme al generale problema dell‟avviamento dell‟unificazione politica ed amministrativa dell‟Italia, dovette affrontare il problema del brigantaggio meridionale, e nel 1867 emanò le “Istruzioni per i funzionari di P.S.” con le quali si faceva carico all‟autorità di pubblica sicurezza di “scrutare i bisogni delle moltitudini, conoscerne gli interessi morali ed economici, indagare il grado della loro educazione, e studiarne le vere condizioni sociali, e ciò al fine di meglio esercitare la funzione primaria di polizia, che è la prevenzione dei reati”. Per conseguire quest‟obbiettivo, dicevano le istruzioni, bisognava ricercare e rimuovere le cause del reato, perché “non poche questioni di sicurezza pubblica sono intimamente connesse a gravi problemi sociali, la cui soluzione non può dipendere da semplici misure di polizia, ma da provvedimenti governativi o legislativi d’interesse generale”. Il Ricasoli cercò di risolvere anche il conflitto con la Chiesa, che per lui si collegava all‟idea di una politica ecclesiastica più aperta e tesa ad elevare anche le condizioni del basso clero, e, nel tentativo di trovare una conciliazione, inviò segretamente una delegazione dal papa. La scoperta di questa missione segreta sollevò i clamori dell’anticlericalismo demagogico; non vedendosi sorretto dal Parlamento, si dimise. La sua azione politica negli anni 1859-’61 lo pone tra gli artefici dell’unità nazionale. Nel marzo 1865 partecipò alla Costituente Massonica di Firenze
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