WAKE UP, OCCIDENTE, SVEGLIA
Il testo letto all’American Enterprise Institute di Washington.
WASHINGTON
– Grazie d’essere venuti. Grazie a tutti. Bè, a tutti purché in questa sala non
vi sia il tipo (un fondamentalista islamico, suppongo) che si inserisce nelle
mie telefonate e in francese (un francese-libanese, direi) mi minaccia con
queste parole: «Vous restez toujours cachée chez vous. Mais nous allons vous
trouver tout le même». (Lei sta sempre nascosta in casa. Ma noi la
troveremo lo stesso). Eh, no: monsieur Nous-Allons-Vous-Trouver-Tout-le-Même.
Io non mi nascondo affatto. Non mi sono mai nascosta, non mi nasconderò mai. In
casa ci sto molto perché lavoro sempre e il mio lavoro si fa in casa. Comunque
ora sono qui. Maintenant je suis ici. Je suis ici et c’est moi, sono qui
e sono io, che prima o poi ti beccherò: scemo. Grazie anche a Lei, Michael
Ledeen, per avermi invitato a parlare in questo prestigioso deposito di
cervelli che chiamano American Enterprise Institute. Grazie d’aver detto
quelle belle cose su di me, (alcuni non gliene saranno grati), e soprattutto
d’aver sottolineato quanto mi dia disagio e quindi mi sia difficile mostrarmi
in pubblico. Da molti anni non mi mostro in pubblico. Molti. Cioè da quando
venni a Washington per leggere alcune pagine del mio romanzo «Inshallah».
Neanche dopo la pubblicazione de «La
Rabbia e l’Orgoglio» in Italia, in Francia, in
Spagna, in Germania eccetera, ho aperto bocca o mi son fatta vedere in
pubblico. Niente interviste, niente televisioni, niente pubblicità. Lo stesso
accadrà quando il libro uscirà in Olanda, in Ungheria, in Polonia, in Romania,
in Scandinavia, in Grecia, in Israele, in Argentina, in Australia, in Corea, in
Giappone, in Cina. E il motivo non è quello malignamente fornito da chi non mi
vuol bene: la malattia che chiamo l’Alieno, le mie rughe, l’età. L’Alieno lo
tengo a bada. Gli ho fatto capire che se mi uccide muore con me, che quindi è
meglio vivere con me. E per quanto vivere con me sia arduo, per ora ci sta. Le
rughe sono le mie medaglie. Onorificenze che mi son guadagnata. E invecchiare è
bellissimo. Perché, come uso dire, a invecchiare si conquista una libertà che
da giovani non avevamo. Una libertà assoluta. Data l’alternativa, inoltre, aver
quest’età è la cosa migliore che potesse capitarmi. Che possa capitare a tutti.
No: il motivo per cui mi tengo in disparte e anche dopo l’uscita de «La Rabbia e
l’Orgoglio» non ho dato interviste, non sono apparsa in televisione, non
sono andata a stringer mani come un candidato che chiede voti, è ben diverso.
Sta nel fatto che mostrarmi in pubblico è per me un’auto-violenza, un disturbo.
Sono una persona ossessionata dalla privacy. Conduco una vita molto
severa, mi piace star sola. Star sola mi consente di fare ciò che voglio:
scrivere, studiare. E poi il tempo passa così velocemente. Me ne rimane poco e
in quel poco non c’è posto per esibizionismi che servono solo ad esaudire le
altrui curiosità.
Perché sono qui, all’American Enterprise, dunque? Perché qui faccio ciò
che non ho fatto e non faccio in Europa? Semplice. Perché dall’11 settembre
siamo in guerra. Perché la prima linea di questa guerra è in America. Non in
Europa. Oggi come oggi l’Europa è in retrovia. Anche quand’ero corrispondente
di guerra preferivo stare in prima linea, non in retrovia, e qui non mi sento
nemmeno un corrispondente di guerra: mi sento un soldato. Il dovere d’un
soldato è combattere. Sono qui per combattere e per combattere questa guerra ho
un’arma speciale. Un’arma che non serve a sparare: serve a pensare, far pensare,
svegliare chi dorme. Cioè un libro. Un piccolo libro (187 pagine) che si chiama
«The Rage and the Pride».
Questo «The Rage and the Pride» che in Europa ha fatto e fa tanto
fracasso, ha provocato e provoca reazioni tanto opposte. Da una parte quelli
che lo amano, lo riveriscono, gli cantano osanna. Dall’altra quelli che lo
odiano, che lo condannano, che lo insultano, e che vorrebbero bruciarlo insieme
a me come negli Anni Trenta i nazisti di Berlino bruciavano le librerie.
«Brucia la strega, bruciala. Ammazza l’eretica, ammazzala». Questo «The Rage
and the Pride» che scoppiò all’improvviso, rubandomi al romanzo che stavo
scrivendo, e che da allora mi imprigiona con le sue traduzioni, mi ossessiona
col suo successo, mi schiavizza al punto di mettermi addosso una sorta di
risentimento. A volte, di nausea. Questo «The Rage and the Pride» che
partorii in poche settimane, col raziocinio che viene dalla saggezza e tuttavia
col candore d’un bambino. Il bambino che nella fiaba di Grimm strilla: «Il re è
nudo!». (Sì: il re non porta neppure le mutande, nella fiaba di Grimm, ma i
cortigiani non fanno che lodare i suoi abiti: «Che bel mantello indossa oggi,
Maestà, che bei pantaloni». E il bambino strilla con candore: «Il re è nudo!»).
Il re è nudo e la mia arma di soldato è l’arma della verità. Una verità che
prende l’avvio dalla verità di cui ora vi leggo il seguente brano.
«Dall’Afghanistan al Sudan, dall’Indonesia al Pakistan, dalla Malesia all’Iran,
dall’Egitto all’Iraq, dall’Algeria al Senegal, dalla Siria al Kenia, dalla
Libia al Ciad, dal Libano al Marocco, dalla Palestina allo Yemen, dall’Arabia
Saudita alla Somalia, l’odio per l’Occidente cresce. Si gonfia come un fuoco
alimentato dal vento, e i seguaci del fondamentalismo islamico si moltiplicano
come i protozoi d’una cellula che si scinde per diventare due cellule poi
quattro poi otto poi sedici all’infinito. Chi non se n’è accorto, guardi le
immagini che ogni giorno ci vengono dalla televisione. Le moltitudini che
inzuppano le strade di Islamabad, le piazze di Nairobi, le moschee di Teheran.
I volti inferociti, i pugni minacciosi, i cartelli col ritratto di Bin Laden, i
falò che bruciano la bandiera americana e il fantoccio coi lineamenti di Bush.
Chi non ci crede ascolti i loro osanna al Dio-Misericordioso-e-Iracondo, i loro
berci Allah-Akbar, Allah-Akbar, Jihad-Jihad. Altro che frange di
estremisti! Altro che minoranze di fanatici! Sono milioni e milioni gli
estremisti, sono milioni e milioni i fanatici. I milioni e milioni per cui,
vivo o morto, Ousama Bin Laden è una leggenda uguale alla leggenda di Khomeini.
I milioni e milioni che, morto Khomeini, hanno ravvisato in lui il nuovo
leader, il nuovo eroe. Sere fa vidi quelli di Nairobi, luogo di cui non si
parla mai. Gremivano la piazza più che a Gaza o Islamabad, e a un certo punto
il telecronista chiese a un vecchio: «Chi è per te Ousama Bin Laden?». «Un
eroe, il nostro eroe!» rispose il vecchio, felice. «E se muore?». «Ne troviamo
un altro» rispose il vecchio, sempre felice. In altre parole l’uomo che di volta
in volta li guida non è che la punta dell’iceberg: la parte della montagna che
emerge dagli abissi, e il vero protagonista di questa guerra non è lui. È la Montagna. Quella
Montagna che da millequattrocento anni non si muove, non esce dagli abissi
della sua cecità. Non apre le porte alle conquiste della civiltà, non vuol
saperne di libertà e giustizia e democrazia e progresso. Quella Montagna che
nonostante le scandalose ricchezze dei suoi padroni, dei suoi re, dei suoi
principi, dei suoi sceicchi, dei suoi banchieri, (pensa all’Arabia Saudita),
vive ancora in una miseria da Medioevo. Vegeta ancora nell’oscurantismo e nel
puritanesimo d’una religione che sa produrre solo religione. Quella Montagna
che affoga nell’analfabetismo. Quella Montagna che essendo segretamente gelosa
di noi, segretamente attratta dal nostro sistema di vita, attribuisce a noi la
colpa delle sue povertà materiali e intellettuali…».
Una verità che molti, troppi, non vogliono udire. Non vogliono vedere, non
vogliono ammettere. Oh, quasi tutti riconoscono che Bin Laden non è uno stinco
di santo. Che non merita il Nobel per la Pace, neanche quello che dettero all’ex
terrorista Arafat. Ma nessuno ammette che egli sia solo la punta dell’iceberg,
la parte visibile della Montagna. E quelli che lo ammettono lo fanno
bisbigliando. Bisbigliano perché hanno paura. L’altra sera Bush ha detto: «Ci
rifiutiamo di vivere nella paura». Sante parole, bella frase, signor
presidente. Ma inesatta. Perché l’Occidente vive nella paura. Gli occidentali
hanno paura. E non soltanto paura di saltare in aria, d’essere decimati da una
bomba nucleare o biologica. Paura di parlare, di accusare ad alta voce la Montagna. Il mondo
islamico, la religione islamica, la Montagna. Paura d’essere definiti razzisti se lo
fanno. Reazionari quindi razzisti. L’epiteto con cui le cicale del Politically
Correct ricattano chi non conosce il significato della parola razzismo.
Perbacco: si può fare di tutto, si può dire tutto di tutti, oggigiorno. Si può
denigrare i cristiani, i buddisti, gli ebrei, gli indù. Si può mettere alla
gogna i preti cattolici imputati o non imputati di pedofilia, insinuare che
ciascuno di loro è uno stupratore di infanti. Si può irridere il crocifisso
come il cosiddetto presidente del cosiddetto partito islamico italiano ha fatto
alla televisione in Italia, chiamandolo «un cadaverino ignudo che spaventa i
bambini mussulmani». E, sempre in Italia, una mussulmana può chiedere che quel
cadaverino-ignudo sia tolto dalla sala chirurgica nella quale partorisce. Un sindaco
può pagare un mediatore, un go-between, per lo scolaro mussulmano che
rifiuta di parlare con la maestra perché è una femmina. Ma guai al cittadino
che se ne lamenta o peggio ancora protesta. Guai alla Fallaci che scrive il suo
discorso-della-montagna. «Razzista, razzista!». Sono diventati i nuovi padroni
della Terra, questi figli di Allah. L’Islam-non-si-tocca.
Visto quel che mi succede coi vari Monsieur
Nous-Allons-Vous-Trouver-Tout-le-Même, (sbaglio o anche l’arabo processato
in Virginia quale membro di Al Qaida e presunto complice dei kamikaze
morti l’11 settembre parlava anzi parla francese?) mi chiedo come i mussulmani
e le cicale d’America reagiranno al mio «The Rage and the Pride», qui in
prima linea. Me lo chiedo perché in retrovia, in Europa, per questo libro ho
pagato e pago un prezzo davvero pesante. Chi si congratula del milione e passa
di copie vendute in Italia in meno d’un anno o del mezzo milione di copie
vendute in Francia e in Spagna e in Germania in meno di quattro mesi non si rende
conto che per ogni copia ho pagato quel prezzo… In un disgustoso e
sgrammaticato libello dal titolo «L’Islam castiga Oriana Fallaci, la vecchia
mai cresciuta», ad esempio, l’individuo secondo il quale il crocifisso è un
cadaverino ignudo che spaventa i bambini mussulmani ha oltraggiosamente
diffamato il mio defunto padre e invitato i suoi correligionari a punirmi
(leggi giustiziarmi) in nome di Allah. Per spronarli meglio ha addirittura
citato tre versi del Corano. Versi da cui risulta che il crimine d’aver scritto
«La Rabbia
e l’Orgoglio» dev’esser proprio lavato col sangue. E per evitare equivoci
ha addirittura riassunto tale necessità con un lapidario «Andate a morire con la Fallaci». Da allora le
minacce alla mia vita non si contano, le mie case sono considerate dalla
polizia italiana «case a rischio», e quel buon giovanottone che vestito da
poliziotto vi scruta senza sosta è qui per controllare che tra voi non ci sia
un inviato della Montagna.
Ma v’è di meglio. Nell’articolo che lo scorso marzo scrissi per denunciare la
rinascita dell’antisemitismo in Europa, l’individuo
dell’andate-a-morire-con-la-Fallaci veniva liquidato da me con un semplice ma
doloroso «Fuck you». E indovina in che modo due quotidiani italiani mi
espressero solidarietà. Quello della cosiddetta destra, Il Foglio,
pubblicando un trafiletto incorniciato che diceva «Fuck you, Fallaci».
Quello della cosiddetta sinistra, Liberazione, estendendo il Fuck-you-Fallaci
su un’intera pagina e a lettere gigantesche. Manco si fosse trattato della morte
d’un Papa. Quanto alla Francia, quando si tratta di proteggere i figli di Allah
dimentica perfino i tre principii che regolano ogni società civile: quello che
si chiama Libertà di Pensiero, quello che si chiama Libertà di Espressione, e
quello che si chiama Libertà di Stampa. Lo scorso giugno i comunisti mussulmani
del MRAP (movimento che all’ombra della parola più sputtanata del mondo, la
parola Pace, promuove l’amicizia-tra-i-popoli) mi portarono in tribunale
chiedendo che «La Rage
et l’Orgueil» venisse sequestrato. E ciechi di paura, dimentichi del mio
articolo sull’antisemitismo, gli ebrei della LICRA (lega contro il razzismo o
qualcosa del genere) gli si accodarono. Loro, per chiedere che sulla copertina
di ogni copia venisse incollata una scritta simile all’avvertimento che deturpa
i pacchetti delle mie sigarette: «Attenzione! Questo libro può essere dannoso
alla vostra salute». (Oddio, signori della LICRA. Anche voi mi fate venire in
mente i banchieri ebrei di Berlino che negli anni Trenta, sperando di salvarsi,
prestavano i soldi a Hitler. E che pochi anni dopo si ritrovarono nei forni
crematori). Bè, il saggio giudice respinse entrambe le richieste sostenendo che
giungevano tardi. Bestseller Numero Uno, il libro era già stato letto da
troppi francesi. Ma allora MRAP e LICRA mi denunciarono per «istigazione
all’odio», reato che nel paese in cui venne inventata la ghigliottina prevede
il carcere nonché multe da finire sul lastrico, e il 9 ottobre sono stata
processata di nuovo. Definita abbietta, infame, iniqua. Il 20 novembre il nuovo
giudice (stavolta una signora che durante l’arringa del mio difensore si
rivolse amabilmente alla Pubblica Accusa sospirando «pazienti, avvocato,
pazienti ancora un poco») emanerà la sentenza. E non chiedetemi se penso di
finire sul lastrico o decapitata in Place de la Concorde come Maria
Antonietta e Madame Roland e le monache di Bernanos. Oggi il romanziere
Houellebecq, processato per aver dichiarato in un’intervista che quella
mussulmana è la-religione-più-stupida-del-mondo e che il-Corano-è-scritto-male,
(vero), se l’è cavata con un aspro rimprovero: «Ciò che ha detto non è nobile, Monsieur».
Però tempo fa Brigitte Bardot venne condannata per molto meno, povera Brigitte.
Cioè per aver brontolato che la
Francia è stata invasa dai mussulmani e che i mussulmani
hanno introdotto un sistema barbaro per sgozzare gli agnelli. Quasi ciò non
bastasse, da settimane il mio difensore (un ebreo) riceve minacce di morte
identiche alle mie. Sia in Svizzera che in Belgio che in Germania i figli
d’Allah mi preparano altre delizie legali. E a ciò va aggiunto il marocchino
solennemente premiato da Kofi Annan (il segretario dell’Onu) per non so quale
contributo da lui dato alla Pace. Povera Pace. Scrivendo e parlando coi
giornalisti, infatti, da un anno costui mi offende dichiarando che «di sicuro
ce l’ho con l’Islam in seguito a chissà quali smacchi subiti con gli uomini
arabi». (La mia risposta è a pagina 179. Dice che graziaddio non ho mai avuto
rapporti sessuali o sentimentali o amichevoli con un uomo arabo. Dice anche che
la volgarità di questo pacifista dimostra in pieno il disprezzo che gli uomini
arabi vomitano sulle donne. Un disprezzo che contraccambio con tutto il cuore).
Accadrà anche qui in prima
linea? Dovrò combattere anche qui su due fronti, il fronte degli invasori e il
fronte dei loro sostenitori cioè dei collaborazionisti? In tal caso, ve lo
rammento: io non sono il tipo che per sfuggire ai pericoli e alle persecuzioni
si converte all’Islam. (O a qualsiasi altro credo politico e religioso). Più si
tenta di tapparmi la bocca, di intimidirmi, più mi scateno e combatto. Al
terrorismo fisico e intellettuale che seguì l’edizione italiana de «La Rabbia e
l’Orgoglio», cioè l’andate-a-morire-con-la-Fallaci, i Fuck-you-Fallaci
della destra e della sinistra, ho replicato con l’edizione francese. Traducendo
il libro in francese ho inserito varie pagine che rincarano la dose, rafforzano
la mia tesi. Pagine che ho messo anche nell’edizione spagnola, tedesca,
olandese. Agli attacchi della stampa francese, alle fascistiche cretinate dei
vanesi che sul Corriere della Sera definii «Moscardini da friggere
nell’olio bollente e mangiare ben caldi», ho replicato con l’edizione
americana. E traducendo il libro per l’America ho inserito altre pagine che
rincarano ancor di più la dose. Rafforzano ancor di più la mia tesi. Quelle
pagine vanno anche nelle edizioni per la Gran Bretagna, il
Canada, l’Australia, la
Nuova Zelanda, l’India. E naturalmente non posso continuare a
fare questo in eterno. Oltre al francese e l’inglese non maneggio altre lingue.
Ma l’italiano lo conosco bene. Appena possibile inserirò quelle aggiunte in una
nuova edizione italiana. E a quel punto Dio sa cos’altro avrò da dire. Messa a
punto finale. Una messa a punto cui tengo parecchio, ed ecco qua. Nel mio
piccolo (ma non più tanto piccolo) libro non sono tenera con l’Islam. Ne
convengo. Spesso sono addirittura feroce. Lo riconosco. (Domanda che m’insegue
da mesi come un’ombra: «Le dispiace? Ha qualche pentimento, qualche ripensamento?».
Risposta: «Neanche per sogno. Al contrario»). Lo prova, insieme alle
testimonianze che offro su quel mondo senza speranza, il mio orgoglio per la
cultura occidentale. Questa nostra cultura che, nonostante le sue colpe, a
volte i suoi orrori, (pensa all’Inquisizione e ai campi di concentramento e a
Hiroshima), ci ha tolto dalle tende del deserto. Ci ha nutrito il giardino del
Pensiero. Ci ha elaborato il concetto della bellezza, della morale, della
libertà, dell’uguaglianza. Ci ha dato un sistema che è lungi dall’esser
perfetto, che spesso è una menzogna ma che tutto sommato è migliore degli
altri: il sistema che si chiama Democrazia. Ha compiuto straordinarie conquiste
nel mondo della Scienza, ha eliminato malattie, ci ha procurato il benessere. Ha
inventato strumenti che rendono la vita più facile e più intelligente, ci ha
portato sulla Luna e su Marte. Meriti di cui la cultura islamica non può certo
vantarsi.
Eppure con noi occidentali sono ancor meno tenera. Ancor più feroce. Sapete,
tutti definiscono «La Rabbia
e l’Orgoglio» un pamphlet. Un saggio politico, un’invettiva, un pamphlet.
Io lo definisco una predica, invece. Anzi, un «J’accuse». Una
requisitoria simile al «J’accuse» che Émile Zola scrisse nel 1898 per
l’Affare Dreyfus. E questa predica, questa requisitoria, non l’ho diretta ai
figli di Allah. (Tanto non sarebbe servita a nulla). L’ho diretta a noi stessi.
Alle nostre vigliaccherie, alle nostre ignoranze, alle nostre inadeguatezze,
alle nostre pagliacciate, alle nostre miserie. La miseria del nostro sistema
educativo, ad esempio. L’ignoranza dei nostri insegnanti e dei nostri studenti.
Le vigliaccherie e le pagliacciate dei nostri politici. Lo squallore e
l’inadeguatezza dei nostri leader. Il bieco fascismo che si nasconde
dietro il falso pacifismo dei nostri presunti rivoluzionari. (Gente cui manca
soltanto il randello e la camicia nera). E la licenza contrabbandata come
libertà, ossia il rifiuto di capire che la libertà non può esistere senza
disciplina anzi autodisciplina. Che i diritti non possono esistere senza
doveri. Che, come diceva mio padre, ogni diritto porta in sé un dovere e chi
non osserva i propri doveri non merita alcun diritto. Però c’è qualcosa che
manca, nel mio piccolo libro. C’è un «J’accuse» che ho dimenticato. Ed
oggi, in questo prestigioso deposito di cervelli, sento proprio il bisogno di
riempire quel vuoto.
J’accuse, io accuso, gli occidentali di non aver passione. Di vivere
senza passione, di non combattere, di non difendersi, di fare i
collaborazionisti per mancanza di passione. Oh, io ce l’ho la passione: vedete.
Scoppio, io, di passione. Ma sia in Europa che in America non vedo che gente
senza passione. Perfino le cicale che vogliono mandarmi al rogo sono tipi senza
passione. Pesci freddi, larve guidate soltanto dall’astio e dall’invidia o dal
calcolo e dalla convenienza: mai dalla passione. E gran parte della colpa è
vostra. Perché siete voi che avete lanciato questa moda. La moda del raziocinio
a oltranza, del controllo, della freddezza. «Calm down, be quiet, be cool».
Voi che siete nati dalla passione, voi che siete diventati un popolo grazie
alla passione della vostra rivoluzione. Così non capite cos’è che muove i
vostri nemici, i nostri nemici. Non capite cos’è che gli permette di combattere
in modo tanto globale e spietato questa guerra contro l’Occidente. E’ la
passione. La forza della passione, cari miei! E’ la fede che viene dalla
passione. E’ l’odio che viene dalla passione. Allah-Akbar, Allah-Akbar!
Jihad-Jihad! Quelli son pronti a morire, a saltare in aria, per ammazzarci.
Per distruggerci. E i loro leader, (veri leader), lo stesso. Io
l’ho conosciuto, Khomeini. Ci ho parlato, ci ho litigato, per oltre sei ore in
due giorni diversi. E vi dico che quello era un uomo di passione. Che a
muoverlo era la fede, la passione. Bin Laden non l’ho conosciuto. Peccato…
Però l’ho guardato bene quando appariva in tv. L’ho guardato negli occhi, ho
ascoltato la sua voce, e vi dico che quello è un uomo di passione. Che a
muoverlo è la fede, l’odio che viene dalla passione. Per combattere la loro
passione, per difendere la nostra cultura cioè la nostra identità e la nostra
civiltà, non bastano gli eserciti. Non servono i carri armati, le bombe
atomiche, i bombardieri. Ci vuole la passione. La forza della passione. E se questa
non la tirate fuori, non la tiriamo fuori, io vi dico che verrete sconfitti.
Che verremo sconfitti. Vi dico che torneremo alle tende del deserto, che
finiremo come pozzi senz’acqua. Wake up, then! Sveglia, wake up.