IL TEMPIO
La mente libera e curiosa può trovare stimoli alla
riflessione in quasi ogni libro, e spesso buoni spunti. Capita così che si
getti lo sguardo su una bancarella e, tra i libri a basso prezzo, si scorga
qualcosa che ci attrae e ci riguarda.
A me è accaduto di comperare in questo modo Il libro del
vero massone di Ulisse Bacci. Leggendolo, la mia attenzione si e’
soffermata al punto in cui l’autore scrive: <<I Massoni dettero da
parecchi secoli, e danno ancora, il nome di ” Loggia ” tanto al corpo
massonico, che raccoglie Apprendisti, Compagni, Maestri, quanto al recinto in
cui quel corpo si riunisce ed esercita nei propri lavori. Però, se il nome di
Loggia è proprio la vera ed autentica significazione del corpo massonico,
composto dai Fratelli dei gradi simbolici, è assolutamente inadatto a
significare il luogo in cui il corpo si aduna e che è meglio indicato, anche
pel carattere dell’istituzione, dalla parola ” tempio”, pure essa
usata, e di preferenza, dagli antichi massoni>>. Sono perplesso.
La Loggia è l’insieme dei Fratelli, su questo non ci sono dubbi. E, la parte
essenziale della Massoneria, senza Fratelli non si può nulla. Ovviamente devono
essere effettivamente Fratelli (come già affrontato in un precedente lavoro).
Ma quando così è, il più è fatto, anzi si potrebbe dire che è stato fatto tutto
quello che era necessario. Tanto è vero che la prima Massoneria speculativa si
trovava ad operare nelle osterie, e la stessa fondazione della G.L.
d’Inghilterra è raccontata storicamente come l’incontro di alcuni uomini ad un
tavolo di un locale (quattro locande: “Oca e graticoia”, “Alla
corona”, “Al melo”, “Al bicchiere e all’uva”). E il Tempio?
E’ sicuramente venuta dopo la necessità di una
struttura specifica in cui ritrovarsi. Una evoluzione giustificabilissima. E’
il naturale, ed umano, desiderio di migliorare, di onorare, di rendere sacro.
Fare un Tempio, un luogo, oltre che un tempo in cui operare, per semplificare
quella altrimenti difficilissima opera di alternativa (altra nascita appunto)
al mondo profano. Ma non deve essere il nostro preminente desiderio. Mi spiego meglio. Il Santo non ha bisogno
della cattedrale, ma non tutti i monaci sono santi, non tutti i soldati eroi.
Ed allora ci vuole la maestosità della cattedrale, l’ordine perentorio del
comandante, per aiutare il credente un po’ pigro o il cavaliere indeciso. Certo
se fossimo tutti senza macchia, basterebbe uno schiocco delle dita del M.V. e
lì sarebbe il Tempio, anche in assenza di arredi, come sarebbero altrettanto
inutili i grembiuli e i guanti, perché innocenza e purezza non avrebbero
bisogno di essere confermate o rappresentate. Perché allora questa involontaria
confusione tra i due termini, cui sembra voler accennare l’autore dei libro?
E’cosa dì non poco conto, giacché una errata visione del problema potrebbe
creare il rischio che il Tempio sovrasti la Loggia. Che la forma sovrasti la
sostanza. Dovremmo allora ridurre tutto all’osso? Trovarci sotto i ponti? Certo
che no. E’ un problema, come dicevo, di priorità.
Ma proviamo a rivolgerci, per ampliare e approfondire, ad un autore più noto,
J. Boucher e vedere cosa ci propone nel suo libro “La simbologia
massonica”.
«Gli autori massonici discutono ancora sugli appellativi rispettivi di Tempio e
di Loggia. Per alcuni la Loggia è il Tempio stesso; per gli altri, è solo un
gruppo di Massoni, per altri ancora, la Loggia non esiste che nel momento in
cui i Massoni sono riuniti e si annulla dopo. In realtà la Loggia è un gruppo
di Massoni, una entità collettiva, definita, che possiede una propria vitalità,
uno spirito particolare. Un Massone “visitatore”, cioè colui che si
reca occasionalmente in una Loggia diversa da quella a cui appartiene, sente
nettamente la differenza di “spirito” tra questa Loggia e la sua. Al
contrario, il locale è indifferente, una Loggia può riunirsi in tale o talaltro
Tempio senza che il suo carattere venga alterato».
Anche Boucher si pone in qualche modo il problema o per
meglio dire ammette che il problema esiste, ed evidenze tre scuole di pensiero.
Una minimalista (la Loggia è solo un gruppo di Massoni) che non credo meriti
commenti. Una che riconosce un legame di identità tra Loggia e Tempio e che
andrebbe valutata comprendendo su quale dei due termini l’Autore ponga
l’accento. Cioè ogni volta che una Loggia si riunisce abbiamo un Tempio, ma
potrebbe anche sottintendere che ogni volta che un qualsiasi Gruppo di Massoni
si riunisce in Tempio si ottiene la Loggia. E una scuola di pensiero, infine,
che identifica la Loggia con i Lavori, finiti i quali la Loggia sparisce. Sin
qui nulla di speciale. Nella spiegazione, però, Boucher presenta una quarta
possibilità, certamente più completa e attendibile, almeno riguardo la
definizione di Loggia, introducendo il concetto di spirito di Loggia. Credo che
su questo argomento meriti spendere alcune parole.
Abbiamo spesso parlato tra Maestri della opportunità o meno
di fare riunioni congiunte, e alcuni di noi hanno espresso l’opinione che in
ciò non avvertivano imbarazzo o difficoltà di sorta. Affermazione in qualche
modo smentita dai fatti (scarso gradimento di queste tornate) ma anche dalla
tradizione stessa che definisce i Fratelli di altre Logge come visitatori, che,
anche se conosciuti, devono essere invitati (aspetto in realtà solo teorico,
per taluni, e va bene così). Eppure la ritualità è quella, i ruoli anche. Cambiano solo i Fratelli. Non si parla
di sovranità della Loggia, che è altra cosa, solo di qualcosa di impalpabile,
di non spiegabile, che si avverte o non si avverte – e non saprei dire chi è
nel giusto e neppure se c’è un atteggiamento giusto – ma piuttosto il
riconoscimento di diversi modi di vivere e percepire la stessa realtà. Ma
certamente la conseguenza più importante dell’accettazione di questa quarta
possibilità, è che lo spirito di Loggia sopravvive alla apertura e chiusura dei
lavori della Loggia stessa, indipendentemente non solo dall’esistenza dei
Tempio, ma anche dal fatto che la Loggia si riunisca, che i suoi Membri si
ritrovino, cambino. Muore solo con lo smantellamento della Loggia o con la
caduta dei valori che assieme definiscono il suo Spirito. Credo che molti siano
gli spunti che nascono da queste semplici considerazioni. Non c’è il tempo, e
non è neppure il momento, di esaminarli tutti. Mi limiterò a citare un classico
dell’aneddotica massonica, in cui si racconta di un Presidente degli Stati
Uniti, Massone, che stimolava un suo consigliere anch’esso Massone ma di
Loggia, a frequentare i lavori, e cercava di convincerlo a chiedere un
trasferimento per stare assieme, facendogli presente che il M.V. della sua
Loggia era uno veramente bravo e preparato, e che tutti e due ben conoscevano
giacché era … il Giardiniere della Casa Bianca. Vero o falso che sia il
racconto vuole sottolineare come tra i Massoni veri: – è l’uomo privo dei
suoi metalli che conta, non il suo ceto o la sua posizione economica- non tutte
le Logge sono eguali. Prendiamo allora insegnamento da questo
e siamo pure tolleranti, ma solo sul Tempio, sulla forma, diventando
intransigenti solo quando siamo certissimi della sostanza. «Bisogna che tu
abbia imparato da altri o scoperto da te stesso le cose di cui eri ignorante.
Ciò che tu apprendi, dunque, lo ricevi da altri in modo non autonomo, ciò che
invece scopri, lo hai in modo autonomo e personale, ma scoprire senza cercare è
cosa assurda e rara, mentre scoprire cercando è cosa accessibile e facile,
d’altra parte è impossibile cercare senza sapere cosa cercare»
(Archita di Taranto)