Questa pianta si chiama Melìa Azedarach var, Japonica, detta anche “Albero dei rosari” perché, prima dell’avvento della plastica, con i suoi semi venivano confezionati i rosari. E’ una specie frugale e rustica, resiste bene al freddo, all’inquinamento, al vento e tollera lunghi periodi di siccità. Non mostra particolari esigenze e si adatta bene anche a terreni poveri. Per le sue proprietà repellenti è praticamente immune da attacchi da parte dei fitofagi.
Non è una pianta rara, né è famosa per qualche virtù medicamentosa, anzi, è una pianta velenosa (sempre se venisse ingerita). Non è celebrata da artisti come la pianta di alloro o da poeti come l’olivo, non è possente come la quercia, il cipresso o il leccio. Tuttavia, pochi altri tipi di piante possono dire di poter resistere ad una esplosione atomica ravvicinatissima. Ebbene, questo è un Hibakujumoku, cioè un albero sopravvissuto, come dice la parola giapponese.
Il suo nome deriva da Melìadi che, nella mitologia greca, erano le ninfe del frassino. In greco il frassino si chiamava bumelìa, da “bu” che significa “grande” e melìa, l’albero propriamente detto. Senza il prefisso, il solo termine melìa indicava una specie ben precisa, l’orniello (Fraxinus ornio). Melìa ha la stessa radice di méli che significa “miele”
Erano considerate Melìadi anche le due nutrici Ida e Adrastea che accudirono il piccolo Zeus sul monte Ditte nell’isola di Creta, dove lo nutrirono con miele e latte munto dalla capra Amaltea, quando questi fu nascosto dalla madre Rea per salvarlo dal padre Crono. Secondo un’altra leggenda queste ninfe, proteggevano i bambini che venivano abbandonati sotto gli alberi.
L’accostamento tra miele e frassino non è casuale perché l’orniello è anche detto “albero della manna”, una linfa viscosa e zuccherina che i Greci chiamavano “il miele dell’aria” o il “miele di rugiada”.
Tutti sanno che IL 6 Agosto del 1945 l’aviazione americana sganciò una prima bomba atomica sulla città di Hiroschima. Gli effetti furono devastanti: morirono subito oltre 220.000 persone, alle quali vanno aggiunte altre 200.000 che morirono in conseguenza a malattie provocate dalle radiazioni. La cosa destò molta impressione, anche perché la guerra era oramai quasi finita e ha dato adito a riflessioni sulla pericolosità estrema di un tale gesto.
Nessuno avrebbe mai creduto che esseri viventi potessero resistere a tali temperature, e quando gli abitanti superstiti della città si resero conto che alcune piante erano sopravvissute allo scoppio e all’immenso calore di oltre 4000 gradi e che l’anno dopo avevano di nuovo germogliato, raccolsero i semi di queste piante e fecero nascere nuovi esemplari con i quali allestirono un grande parco verde nell’epicentro della scoppio. Lo chiamarono “parco della pace”. E’ una meravigliosa area verde dove si diceva che non sarebbe cresciuto nulla per 75 anni, eppure oggi il parco è un luogo ricco di vita, pieno di alberi, piante e fiori. Il parco è stato costruito come augurio di un mondo dove regni la pace. L’atmosfera è solenne e a tratti anche toccante.
Si tratta di 12 ettari di verde all’interno del quale c’è un museo a memoria di quanto accaduto. Nel parco non si respira aria triste o di rassegnazione, semplicemente sembra un monito costante al perenne ricordo di quel giorno per tutti gli uomini del mondo. Due cose a me personalmente hanno toccato il cuore: una è la visione di tante bottiglie d’acqua abbandonate, il che non significa noncuranza come si potrebbe immaginare, queste sono lasciate volutamente in memoria o, se vogliamo, quale testimonianza di tutti coloro che, subito dopo l’esplosione, cercavano disperatamente acqua da bere. L’altra è il monumento a Sadako Sasaki, una bambina che aveva 2 anni quando si salvò dalla esplosione e che a 12 anni si ritrovò affetta da leucemia. Sadako seguendo una leggenda secondo la quale se fosse riuscita a completare 1000 gru con gli origami avrebbe potuto esprimere un desiderio e sarebbe tornata a correre. Purtroppo non riuscì nel suo intento, ma ancora oggi tantissime ragazzi di ogni parte del mondo fanno le gru con gli origami, le lasciano ai piedi del suo monumento e un po’ in tutto il parco, quali simboli di pace. E’ certamente un’esperienza intensa ed emozionante.
Questi alberi, e lo stesso parco, sono simboli molto forti di speranza, di forza, di voglia di vivere, di tanto coraggio, di tenacia e di rigenerazione; della vita che vince sulla morte, che è più forte della stupidità umana e di chi ha “inventato” la guerra.
Le piante attualmente nel parco stanno producendo fiori, frutti e semi, come quelli che io stesso ho raccolto ai loro piedi. Possiamo quindi dire che quelle che ho fatto crescere io sono le nipoti delle Hibakujumoku del 1945.
Sul cenotafio che raccoglie quanto rimasto delle vittime, c’è riportata una frase in giapponese:”Riposate in pace, che noi (loro) non ripeteremo (ripeteranno) l’errore”.