Che fare
Venerabilissimo, Rispettabili Fratelli Maestri,
……. che fare …….
Debbo confermare che questo tema, invero affascinante, con la sua sfumatura interrogativa, ma anche esclamativa, ha arrovellato il mio pensiero per svariato tempo.
Che cosa significhi nella organizzazione mentale e funzionale il domandarsi “Che fare? “ è problematico definirlo in quanto presume esatte cognizioni delle possibili
evoluzioni, sia del pensiero, che dell’agire e non ammette titubanze o giustificazioni a posteriori.
La risposta all’interrogativo non deve dare adito a soluzioni di compromesso,
bensì porre l’interpellante nella condizione di divenire padrone della decisione e della inerente risposta.
Nell’habitus del ricercatore il dubbio ha ragione di albergare in quanto egli dispone delle cognizioni necessarie alla soluzione del caso, ma, in mancanza di esse, l’interrogativo pone in essere la possibilità risolvente.
Esso, infatti, sarà data dall’applicazione, dallo studio, dall’attenzione, dalla disponibilità, dall’apertura mentale e psicologica, dalla ricettività, dalla capacità di analisi, di sintesi, dall’essere libero da qualsiasi influenza esterna che condizioni la personalità ed originalità delle scelte.
A questo punto tutto è più chiaro in quanto dalla rilettura delle righe che precedono appare evidente che i sostantivi elencati hanno una chiara collocazione in quel sistema di vita che viene riconosciuto come Massoneria.
Ci si potrà, a questo punto, domandare come sia possibile che in una scuola iniziatica, come d’altra parte in qualsivoglia scuola di tale estrazione e tendenza, l’interrogativo “Che fare” preluda in modo assoluto alla risoluzione certa.
La risposta, a mio avviso, è consequenziale e logica in quanto gli strumenti posti
a disposizione sono gli unici mezzi atti a dare certezza.
Anche se nascondono il significato ultimo della loro essenza, essi esprimono sempre, e dall’istante in cui li si analizza, un ben preciso binario che non ammette altra possibilità che non sia la profonda e costante adesione alla ricerca sistematica.
Ecco quindi che il “Che fare “, nella vita iniziatica e spirituale ha trovato la sua risposta.
Non sono necessari arrovellamenti cervellotici al fine di stabilire una precisa attuazione del proprio iter vitale, è sufficiente essere costantemente coerenti, aderenti in modo ortodosso, a tutti quei canoni, quelle norme, quelle esortazioni che la vita di ricerca da noi prescelta ci propone.
Se il “Che fare” viene recepito come l’accettazione supina, fatalistica ed ineluttabile dei fatti contingenti, l’essere si trova in una situazione statica e non vi potrà essere azione.
È l’ombra nella quale vegeta l’amorfo che non ha recepito alcuna capacità evolutiva, il dinamismo della vita in ogni sua manifestazione.
Non per nulla dal seme al frutto, dal gene all’essere, dal caos all’ordine, dal nulla
al tutto, procede un continuo “Che fare” che prelude ad una risposta, ad una soluzione, consone alle necessità relative all’evoluzione della specie.
Solamente il ricercatore solerte si pone immediatamente in atteggiamento positivo nei confronti dei problemi stessi poiché non abdica alla propria dignità volitiva.
Il “Che fare”, anche se appare, in un primo momento, ostacolo all’azione, rappresenta invece bivio di soluzioni, le più disparate, dalle allettanti alle razionali.
Ecco che diventa non ostacolo, ma momento di profonda meditazione ed analisi, durante, il quale l’uomo, posto nella posizione di allerta, viene instradato alla ricerca ed il suo raziocinio viene sollecitato da un profondo studio dei fatti e stimolato alla scelta di soluzioni che possono soddisfare in modo ampio l’iter evolutivo.
Ognuno di noi, oggi Fratelli iniziati, siamo passati da tale bivio, infatti quando abbiamo bussato alla porta del Tempio, l’interrogativo ci si è posto in essere e ribellandoci ad un particolare status vivendi abbiamo risposto al “Che fare” ricercando soluzioni dinamiche.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. AUGUSTO CAMOSSO
5/2/1988 dell’e .’. v .’.