Il messaggio (inascoltato) di Pitagora
8 Giugno 2020
In questi giorni difficili, dove la pandemia incipiente, accompagnata da guerre, carestie, morti – secondo il canone proposto dall’Apocalisse di Giovanni il visionario – induce a riflettere sul senso della nostra esistenza, cerchiamo, più o meno inconsapevolmente, rifugio nei grandi sapienti del passato. Per recuperare, dai loro lasciti di saggezza, l’allegorico filo che, come quello donato da Arianna a Teseo, potrà consentirci di uscire dall’insidioso labirinto nel quale ci siamo – o ci hanno – cacciati. Sottraendoci così alle ferocia del Minotauro, l’essere metà uomo e metà bestia, che sembra incarnare alla perfezione la violenza, la crudeltà, l’inumanità del nostro tempo. Pitagora di Samo è certamente uno di questi sapienti in grado di illuminare il nostro tortuoso cammino.
Pietagoras musice inventor/fuganda sunt omnibus modis et abscindenda/languor a corpore/impericia ab anima/a ventre luxuria/a civitate sedicio/a domo discordia/et a cunctis rebus intemperancia. E’ una iscrizione del XV secolo che compare nel Duomo di Ulm, sotto un busto che ritrae quel grande, padre del pensiero universale e artefice della Schola italica, una summa, straordinaria nella sintesi e nella efficacia, del suo insegnamento: Pitagora, (fu) l’inventore della musica/ sono da rifuggire e da scongiurare in ogni modo/ la fiacchezza dal corpo/ l’imperizia dall’anima/ dal ventre la lussuria/ dallo stato la sedizione/ dalla casa la discordia/ e da tutte le cose l’intemperanza. In una parola, armonia. “La virtù, la sanità fisica, ogni bene e la divinità sono armonia: perciò anche l’universo è costituito secondo armonia. Anche l’amicizia è uguaglianza armonica”, diceva appunto Pitagora. L’universo, sosteneva ancora, è tratto dal Caos mediante il Suono, sulla base dei principi che regolano i rapporti musicali. Armonia designa il primo rapporto 1:2, quello che riguarda L’Uno – l’Essere da cui tutto sgorga – ed il molteplice che esso genera; lo Spirito ed il Caos, ossia la materia informe.
Armonia è giusta proporzione, concordanza, accordo. Significa, in primo luogo, adattamento, incastro, collegamento, connessione e, quindi, giusta rispondenza delle parti con l’intero, simmetria. Aristotele, a proposito dell’anima, diceva che i Pitagorici la riconducevano ad “Armonia perché l’armonia è mescolanza e sintesi dei contrari.” E che per questo si trattava dello strumento più idoneo a rimuovere la discordia tra gli uomini. Per altro non ne era molto convinto …
Nella sua celebre “Iconologia”, quella della edizione del 1593, Cesare Ripa così definisce la Musica, nella quale Armonia, figlia di Ares e di Afrodite, è identificata: “Donna, giovane, a sedere sopra una palla di color celeste, con una penna in mano, tenga gli occhi fisi in una carta di Musica, stesa sopra un’Incudine, con le bilancie a’ piedi, dentro alle quali siano alcuni martelli di ferro.” Siede perché “la Musica” è “un singolar riposo dell’animo travagliato. La palla scopre che tutta l’armonia della Musica sensibile si riposa, e fonda nell’armonia de’ Cieli, conosciuta da’ Pitagorici …”
Per questo, aggiungeva, “… volentieri porgemo gli orecchi alle consonanze armoniche, e musicali. Et è opinione di molti antichi gentili, che senza consonanze musicali non si potesse haver la perfettione del lume da ritrovar le consonanze dell’anima, e la simmetria, come dicono i Greci, delle virtù … “
Ecco, oggi non porgiamo più gli orecchi alle bellezze della natura che si manifestano attraverso straordinarie consonanze armoniche.
Non abbiamo più tempo – né voglia né passione – per indagare, conoscere, sapere perché la fiacchezza del nostro corpo e della nostra mente, schiacciati dalla ignoranza e dalla indifferenza di questo tempo, ce lo impedisce.
Non siamo più capaci, come invece sapevano fare bene i seguaci di Pitagora e della sua Scuola, di rifocillare la nostra anima, ignorante ed inquieta, col frutto della vera conoscenza, lasciandola così corrompersi e consumarsi.
Non riusciamo a tener sgombro il nostro ventre dalla lussuria da intendersi, in questo contesto, non tanto come abbandono ai piaceri del sesso, quanto, piuttosto, come ossessivo e smodato desiderio di avere, disporre, godere di ciò che si ritiene serva a rendere facile e confortevole l’esistenza: un impulso ossessivo che si impone, corrompendola, sulla nostra coscienza.
Non abbiamo più il senso dello stato, della cosa pubblica, del bene comune proprio perché ovunque ha attecchito la mala pianta della sedizione – dal latino seditio, ossia se, a parte ed ire, andare – che genera nella politica, nell’economia, nella società, in tutte le sue diverse articolazioni, dissidi, conflitti, lotte più o meno dichiarate, in grado solo di produrre malefiche discordie. E capaci di rigenerarsi persino nelle dimensioni che, ancora in un lontano passato, erano ritenute la più sicure ed affidabili, le nostre case, le nostre famiglie, i nostri amici …
E’ l’intemperanza, ci suggerisce ancora la saggezza di Pitagora, che va rifuggita, perché l’incapacità di essere moderati, sobri, virtuosi conduce inevitabilmente alla perdizione.
Ritornare all’armonia, allora. Ma come? Ce lo suggerisce Giamblico quando riferisce che pitagorici autentici erano solo coloro che si sottoponevano al rito della iniziazione, in forza del quale erano esortati “alla fortezza” (andreia); a “liberare e sciogliere l’intelletto (nous), che tutto vede e ascolta”, mentre “ il resto è sordo e cieco”; a “ispirare e comunicare all’intelletto pensieri salutari e divini, dopo averlo purificato e variamente esercitato tramite i sacri misteri della scienza“ (mathematikon orgiasmos.)
Andreia è virilità, coraggio, fortezza; è la dote dell’essere valoroso ed intrepido, sempre pronto ad affrontare a viso aperto le difficoltà della vita, rifuggendo dalla paura e dalla inerzia.
Nous è intelletto, ma è anche mente e spirito: Giovanni Semerano, grande esploratore delle antiche lingue mesopotamiche, lo accosta al semitico ne-um, ossia parola e pure espressione oracolare, a sua volta da riconnettere ai romani nomen e numen. Dare il nome alle cose è il potere che l’Eterno assegna ad Adamo nell’Eden: chi ha questo potere domina le cose stesse.
Infine il mathematikon orgiasmos: mathema, da cui la parola matematica,significa studio, scienza, cognizione, disciplina; mathematikos è lo studioso, colui che è propenso ad imparare. A sua volta orgiasmos, da orgia, ossia culto misterico, cerimonia sacra, rito è la celebrazione dei santi misteri, ai quali sono ammessi solo coloro che hanno avuto il coraggio di morire per rinascere nuovi nello spirito e nel sentimento, acquisendo quindi, attraverso la catarsi, il viatico per intraprendere, da uomini veri, la difficile strada della vita.
Utopia? Forse. Utopia, ovvero ou topos, un non luogo, la intendeva Tommaso Moro. L’Isola che non c’è … Paul Claudel, poeta e drammaturgo, sosteneva disincantato che “quando l’uomo tenta di immaginare il Paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile inferno”. Forse ignorava Giordano Bruno che ne “Gli eroici furori” aveva pitagoricamente affermato: “Non è armonia e concordia dove è unità, dove un essere vuol assorbire tutto l’essere; ma dove è ordine et analogia di cose diverse; dove ogni cosa serva la sua natura”.
V. S.