LA SACRA SINDONE

LA  SINDONE  DI  TORINO: IPOTESI  DI  UN  DELITTO

dai libri: “Il Secondo Messia” di C. Knight e R. Lomas

“La vita, la morte, la sopravvivenza dei Cavalieri Templari”di Luciano Rossi

“La vera Croce” di Carsten Peter Chiede e Matthew d’Ancona

Per capire bene di che cosa parleremo, devo necessariamente inquadrare il periodo storico durante il quale avvenne il fatto che ci interessa da vicino inoltre, dato che si tratta di vicende che tutti noi più o meno  conosciamo, cercherò di essere molto sintetico.

I personaggi protagonisti della storia della Sindone sono tre:Filippo IV° detto “Il Bello”, il Papa Clemente V° e l’ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei Templari Giacomo De Molay.

Il re di FranciaFilippo IV° sul finire del XIII secolo si trovò ad affrontare una situazione economica fallimentare: la crociata promossa dal padre nel 1284 contro l’Aragona e le guerre contro Inghilterra avevano totalmente prosciugato le casse reali. Decise così di chiedere un contributo forzato ai religiosi francesi imponendo una nuova tassa, il che lo portò ad un feroce scontro con il Papa Bonifacio VIII°, scontro che ebbe il suo epilogo quando, dopo essere stato scomunicato, Filippo sequestrò lo stesso Bonifacio ad Anagni usando su di lui violenze fisiche in seguito alle quali morì pochi mesi dopo (episodio conosciuto come “lo schiaffo di Anagni”).

          Il re era stato inoltre costretto a svalutare la sua moneta per ben due volte e ne aveva fatte coniare di nuove con contenuto di oro ridotto, così da essere chiamato “il re falsario”. Filippo aveva anche tentato più volte di convincere il Papa a sciogliere l’Ordine dei Templari, ai quali doveva la maggior parte dei suoi debiti, e ad intraprendere un’azione violenta contro di loro, ma i contrasti politici tra i due poteri erano talmente accesi che Filippo non potè realizzare il suo progetto.

Il sovrano di Francia non ebbe successo nemmeno con il successore di Bonifacio, Benedetto IX°, che fu eliminato con il veleno dai suoi stessi sicari. Nel 1305 Filippo riuscì finalmente a far nominare papa un suo uomo di fiducia: l’Arcivescovo di Bordeaux, che prese il nome di Clemente V°.

A questo punto il re intensificò le azioni per il raggiungimento del suo progetto contro l’Ordine dei Templari fino a rompere tutti gli indugi il 13 Ottobre 1307 quando fece recapitare a tutte le guarnigioni sparse nella Francia ordini segretissimi e sigillati che dovevano essere aperti simultaneamente ed immediatamente eseguiti alla stessa ora: tutti i Templari dovevano essere catturati ed arrestati, i loro presidi messi sotto sequestro ed i loro beni confiscati.

Nonostante qualche timida protesta da parte del papa, le reazioni politico-militari e le minacce esplicite di Filippo ebbero successo e tutti i Templari di Francia e d’Italia vennero arrestati (la stessa cosa non accadde in Inghilterra, Scozia Germania, Spagna, Portogallo ecc., ma questo non è argomento attinente a questo specifico lavoro).

          Purtroppo il Gran Maestro commise un gravissimo errore: ordinò ai Cavalieri Templari di deporre le armi e di lasciarsi arrestare, convinto che il papa sarebbe intervenuto in loro favore.

L’accusa infamante e gravissima verso l’Ordine era quella di eresia, in particolare vennero loro contestati i peccati di sodomia, sputo sulla croce, idolatria, baci osceni e quello di non riconoscere Gesù crocifisso come figlio di Dio

          In pochissimo tempo iniziarono i processi sommari dell’Inquisizione ed i roghi nei quali morirono migliaia di Templari.

Per quanto riguarda il Gran Maestro Dell’Ordine,Jacques De Molay, egli fu arrestato all’alba del 13 Ottobre 1307 nel Tempio di Parigi.

Documenti rinvenuti in un edificio templare scozzese ci raccontano con precisione le varie fasi del suo processo e delle sue torture. Il Sacerdote Guillaume Imbert, invitò De Molay a confessare evitandosi così inutili sofferenze, ma il Gran Maestro rifiutò. Allora l’inquisitore uscì con una frase del Vangelo, che dette inizio ad una vera e propria “Lectio Evangeli” e al tempo stesso ad un’atroce parodia  della Passione di Cristo:

“allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare”– cominciò a dire Imbert –

A queste parole i carnefici iniziarono la loro opera e lo fustigarono con due fruste alle cui estremità erano fissate due doppie sfere di metallo; lo si colpì al dorso ed alle gambe, risparmiando però le braccia.

Alle parole successive:

“E i soldati, intrecciata una rosa di spine, gliela posero sul capo”

una corona di spine, preparata per l’occasione, venne schiacciata sul capo a de Molay facendogli sanguinare il capo e la fronte.

“Ma quelli gridarono: “via, via, crocifiggilo!.”

A queste parole il Gran Maestro venne fissato ad una tavola di legno (probabilmente una porta) con chiodi a sezione quadrangolare; i due piedi vennero sovrapposti in modo da usare un unico chiodo; de Molay fu sospeso allo strumento di tortura solo per tre punti; era in preda a dolori lancinanti, ma non perse conoscenza. Il peso del corpo diretto verso il basso impediva l’ espansionedella gabbia toracica, sì che l’unico modo per evitare l’ asfissia era sollevarsi facendo pressione sui piedi trafitti dai chiodi, manovra che provocava un atroce accentuazione del dolore.

La lettura prosegue implacabile:

“Uno corse a inzuppare d’aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce.”

Così, attenendosi alle Sacre Scritture, Imbert offrì al Templare uno strac­cio imbevuto d’aceto. Scorrevano lentamente le ore: de Molay comincia a vacillare e domandò cosa doveva fare per essere deposto dalla croce, ma l’inquisitore si rivolge a lui con altre parole del Nuovo Testamento:

“ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”

          Così detto prese un pugnale e lo conficcò nel torace del crocifisso, senza spingere a fondo per non ucciderlo.In preda ad atroci sofferenze, il Gran Maestro rese la sua confessione.

          A questo punto De Molay fu tolto dal legno sul quale era stato inchiodato, posto su un letto ed il suo corpo coperto con un telo di lino.

E’ da qui che partiamo per la nostra ipotesi circa la Sindone di Torino.

Si può presumere che a causa dei gravi traumi subiti, Molay piombò in uno stato di “acidosi metabolica”, un disturbo dovuto alla sovrapproduzione  di acido lattico nel sangue e che si osserva spesso negli atleti spremuti fino al limite della spossatezza. Inoltre la sua temperatura corporea salì alle stelle, l’uomo cominciò a sudare in maniera profusa  e stava per morire quando fu tolto dai chiodi.

          Il Templare fu adagiato sul sudario (il telo di lino come se fosse il lenzuolo funebre di Gesù) a faccia in su e ricoperto con la parte rimanente del telo. In questo modo gli umori delle ferite (sudore mescolato a sangue acidotico) fluirono intorno. Poiché il lenzuolo aderiva completamente al dorso di Molay, il sangue e il sudore lasciarono un’impronta grossolana sul tessuto sottostante, mentre la parte di telo che lo copriva davanti poggiava soltanto sui punti in rilevo, di modo che, evaporando, il sudore filtrava attraverso il tessuto.

          Disteso sul letto e sorretto dai cuscini, il Gran Maestro aveva il capo sollevato, la vita e le ginocchia flesse e, di conseguenza, le mani sospinte fino alle cosce. Jacques de Molay non morì anzi guarì dalle ferite e fu giustiziato il 13 Marzo 1314, ben 7 anni dopo il suo arresto e dopo 4 anni di processo.

          Recentemente il Prof. Alan Mills, attraverso analisi chimico-fisiche, spettro e termografiche, ha dimostrato che l’impronta sindonica è la reazione della cellulosa del lino a contatto del sebo e del sudore acido della pelle umana. Essa è strutturalmente molto vicina alla così detta “Impronta Volkringer”, la reazione che la linfa di una foglia produce nella cellulosa della carta di un erbario.

Noto come autoossidazione, questo processo è una reazio­ne estremamente lenta che, per arrivare al punto di saturazio­ne, impiega un numero elevatissimo di anni, trascorsi i quali inizia a calare con estrema lentezza. Stando alla teoria di Alan Mills, l’impronta sindonica dovrebbe diventare via via sem­pre più vaga – come in effetti sembra sia accaduto nel corso dei secoli – fino a scomparire definitivamente.

Anche se questo tipo di impronte associate con gli esemplari botanici pressati sulla carta non sono infrequenti, l’immagine sindonica rimane unica nel suo genere, essendo il risultato di un’improbabile combinazio­ne di circostanze che, prese singolarmente, non sono eccezionali. Resta però il fatto che, se il corpo sotto il telo fosse di una persona già morta (e non in coma), non avremmo potuto avere il fenomeno sopra descritto.

L’ analisi al radiocarbonio, effettuata da ben tre laboratori universitari (dell’Arizona, di Oxford e del Politecnico di Zurigo) ha dimostrato in maniera definiti­va che la Sacra Sindone di Torino data fra il 1260 e il 1380, un periodo che giustificherebbe l’identificazione dell’immagine con il personaggio di Jacques de Molay.

          Per chi non lo sapesse, la datazione con il Carbonio 14 si basa sul fatto che qualsiasi reperto organico, al momento della sua morte, comincia a rilasciare nell’atmosfera questo isotopo radioattivo che ha accumulato durante la sua vita. Dato che si conosce con esattezza il tempo di questo rilascio (il C-14 si dimezza ogni 5563 anni), si può conoscere l’età di un resto organico qualunque, semplicemente misurando la quantità di Carbonio 14 in esso ancora presente. Questo è quanto è stato fatto, prelevando tre pezzetti dello stesso telo alla presenza di tutte le autorità ecclesiastiche nel 1988.

La nostra teoria,secondo la quale Molay sarebbe stato crocifisso e sua sarebbe l’impronta sindonica, si fonda sui seguenti dati di fatto:

1. L’epoca coincide con la datazione al radiocarbonio del tes­suto della Sindone;

2. la presenza di un lenzuolo funebre è spiegata dall’ abitu­dine dei Templari di farne uso nei rituali che alludevano alla Risurrezione. Ancora oggi molti massoni utilizzano questi lenzuoli nelle loro cerimonie;

3. Molay fu arrestato con l’ accusa di eresia, basata in parti­colare sul rinnegamento di Cristo e della croce. Queste colpe avrebbero indotto l’inquisitore incaricato dell’interroga­torio del Gran maestro a considerare un atto di giustizia l’applicazione di una forma di tortura tecnicamente si­mile alle sevizie riservate a Gesù;

4. le vittime dell’Inquisizione venivano denudate e gli inqui­sitori spesso inchiodavano i prigionieri a pali o tavole in legno;

5. la prova dei rivoli di sangue sull’impronta sindonica in­dica che la vittima non venne inchiodata a una croce simme­trica, ma che un suo braccio fu sollevato in senso verticale so­pra il capo. Tale dettaglio spiegherebbe l’ apparente lussazione della spalla, su cui si specula da anni;

6. la prova fisiologica dell’immagine sulla Sindone dimo­stra al di là di ogni possibile dubbio che il torturato venne di­steso su un grande letto morbido, e non su una lastra sepol­crale. Al momento della deposizione, quindi, egli doveva essere vivo e in condizione di guarire;

7. la vittima rimase in coma per ventiquattro ore prima che il lenzuolo fosse rimosso, lavato e riposto in un cassetto per cinquant’ anni esatti. Si tratta di una condizione essenziale per la chimica dei «radicali liberi», identificata di recente quale re­sponsabile della creazione dell’impronta;

8. la cattura e la tortura di Molay avvennero nell’ ottobre del 1307, in un’epoca, cioè, compresa nell’arco di tempo indicato quale data di formazione della Sindone dall’ analisi al carbo­nio 14 (stando ai risultati di questo esame, le piante usate per il lino sepolcrale cessarono di essere organismi vivi tra il 1260 e il 1380);

9. è un fatto noto che i Templari, come Gesù, portavano i ca­pelli e la barba secondo l’uso nazareo. Ciò significa che, al pa­ri dell’immagine sindonica, Molay aveva i capelli lunghi fino alle spalle e una folta barba. Pur sapendo che la somiglianza fisica costituisce un’ esile prova documentaria, non possiamo tuttavia fare a meno di notare una straordinaria corrisponden­za tra il volto della Sindone e uno dei pochi ritratti del Gran maestro pervenuti fino a noi;

10. i primi a organizzare l’ ostensione della Sindone furono i membri della famiglia Charney, discendenti del cavaliere che era stato arrestato assieme a Molay e, più tardi, spedito alle fiamme con lui;

Con la morte nera (cioè la peste) che affliggeva la cristianità, la Chiesa te­meva che l’immagine di Jacques de Molay, impressa come per prodigio sulla Sindone, rivelasse al mondo il terribile segreto della sua crocifissione. Era necessario mantenere nascosta l’i­dentità dell’immagine sindonica o la Chiesa rischiava di esse­re spazzata via dal nuovo culto di Molay, proprio com’ era accaduto con quello di Cristo, da cui essa stessa era germinata. Alla fine la Chiesa risolse la cosa ammettendo l’ esposizione pubblica della Sindone e alimentando così la convinzione po­polare, in un primo tempo avversata, che il volto sul telo fosse quello di Cristo.

Per quanto riguarda coloro che, nonostante le prove più che evidenti circa la datazione della Sindone, si ostinano a volerla riconoscere come una vera reliquia, devo dire che spesso le loro teorie si basano soprattutto sul fatto che quello ritrovato sul telo è stato riconosciuto come vero sangue umano dalle prove del DNA e quindi quello non può essere un falso medievale dipinto. Tuttavia i nostri autori hanno dimostrato che la Sindone non è un falso medievale, né si tratta di una pittura, ma non si tratta nemmeno dell’immagine di Gesù.

Niente nella storia può dirsi vero al cento per cento. Anche se, in genere,la storia convenzionale e le leggende religiose vengo­no presentate come «fatti», la prudenza insegna ad accogliere come vere soltanto le soluzioni più probabili. Per la prima volta nella storia, abbiamo ora una spiegazione delle origini della Sacra Sindone del tutto sensata e perfetta­mente coerente con i dati raccolti, inclusa l’importantissimadatazione ricavata con l’analisi radiocarbonica. E non basta. Siamo anche riusciti a individuare il movente e l’occasione che avrebbero portato alla formazione dell’impronta del telo sindonico, nonché a esporre il singolare insieme di circostanze che soddisfano le condizioni chimiche ambientali essenziali alla produzione di questa immagine unica, così come furono descritte dal professor Mills dell’università di Leicester.

Se accettare l’ evidenza sarà diffici­le per molte persone, e gravido di dolorose conseguenze, poi­ché richiede un completo riesame delle loro convinzioni ormai radicate, confidiamo comunque che, con il passare del tempo, la verità riuscirà a conquistare tutti.

APPENDICE

Si tramanda, storia o leggenda che sia, che quel giorno, dal rogo, Jaques de Molay abbia pronunciato queste parole: “…Desideriamo che i no­stri volti siano rivolti verso la cattedrale di Notre Dame, e desideria­mo cantare le lodi dell’Onnipotente con il Te Deum, mentre il fuoco farà massacro delle nostre carni. Quanto a voi, miserabili, indegni di essere chiamati uomini, che avete insozzato ed infangato un Ordine Sacro, ascoltate: tu, Filippo, re dell’inganno e della menzogna, e tu Clemente, fantoccio guascone che crede di essere degno del soglio pontificio, e tu Nogaret, abile spia e concertatore dell’infamia e del disonore, ascoltate: sarete al cospetto del Santo Tribunale di Dio en­tro l’anno per rispondere delle vostre nefandezze”.

Quattro settimane dopo, il 20 aprile 1314, il papa moriva durante un viaggio da Avignone verso la sua terra natale ed il suo corpo, esposto nella cattedrale con indosso i paramenti pontifici, fu colpito ed incene­rito da un fulmine entrato attraverso una delle vetrate; Filippo, nel set­tembre dello stesso anno, morì per le conseguenze di ferite riportate da una caduta da cavallo; il 31 dicembre 1314, Nogaret moriva colpito da una forma di meningite acuta.

M. L. 28/1/2004

Questa voce è stata pubblicata in Lavori di Loggia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *