IL LIBERO ARBITRIO

“Il Libero arbitrio”

Il Libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di fare le sue scelte; ciò si contrappone alle varie concezioni deterministiche secondo le quali la realtà è in qualche modo predeterminata (destino), per cui in realtà gli individui non compiono scelte, in quanto ogni loro azione è predeterminata prima della loro nascita (predestinazione o servo arbitrio).

            Il concetto di libero arbitrio è molto dibattuto nell’ambito religioso in relazione alla onniscienza attribuita alla divinità nelle religioni monoteistiche. Esso è alla base della religione cattolica, mentre risulta uno dei punti di contrasto con la religione luterana per la quale l’uomo non può in alcun modo agire per liberare la propria anima, mentre il cattolicesimo considerava fondamentale le opere quanto le preghiere.

Alla stessa idea del luteranesimo aderiva anche il calvinismo, per il quale l’uomo era predestinato e per questo a niente servivano le proprie opere e le proprie azioni.

            Il concetto di libero arbitrio ha implicazioni in campo religioso, etico e scientifico. In campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente, non possa utilizzare il suo potere sulle scelte degli individui. Nell’etica questo concetto è alla base della responsabilità di un individuo per le sue azioni. In ambito scientifico l’idea di libero arbitrio determina un’indipendenza del pensiero inteso come attività della mente e della mente stessa dalla pura casualità scientifica.

            Nella storia del pensiero, la libertà del volere ha rappresentato inevitabilmente un  campo di indagine della metafisica. Il tentativo era quello di formulare teorie che spiegassero la natura delle realtà ultime e la reazione tra uomo ed universo. Alcuni filosofi sostenevano che, se l’universo è razionale, esso deve fondarsi su una concatenazione necessaria di cause ed effetti: nulla accade infatti senza una ragione o una causa e ogni effetto appartiene a una successione causale che risale fino alla Prima Causa, cioè a Dio. Un atto assolutamente libero, compiuto da un essere umano, rappresenterebbe un atto incausato all’interno della catena causale; accettare la possibilità di un atto incausato, tuttavia, significherebbe negare la razionalità dell’ordine divino e rende irrazionale l’universo. D’altro canto i sostenitori del libero arbitrio non negano l’esistenza di motivazioni che spingono ad agire, ma affermano che la libertà consiste nell’indifferenza rispetto a esse, cioè nel fatto che la volontà non dipende da tali motivazioni. Questa concezione, detta della libertà d’indifferenza, suscitò un ampio dibattito nel medioevo e trovò un’esemplificazione nel celebre dilemma conosciuto come “l’asino di Burdiano”, attribuito a Giovanni Burdiano: si tratta di un paradosso che assume come esempio l’asino che muore di fame non sapendo decidere, tra due mucchi di fieno uguali, quale mangiare, laddove invece l’uomo, dotato di libertà d’indifferenza, può effettuare arbitrariamente una scelta. La legittimità del libero arbitrio ha costituito anche l’argomento di notevoli dibattiti fra i filosofi della morale: un sistema etico implicherebbe necessariamente il libero arbitrio, poiché negare la facoltà di scegliere come agire parrebbe negare la possibilità di un giudizio morale, e un individuo sprovvisto di giudizio morale non è responsabile delle proprie azioni. Tentando di risolvere il problema, i filosofi hanno assunto una grande varietà di posizioni. Sebbene nel pensiero greco antico, prima di Aristotele, manchi una concezione della libertà e della volontarietà delle azioni, già nei dialoghi di Platone possiamo ravvisare un’affermazione della libertà e della responsabilità dell’uomo quanto alle sue scelte: tuttavia soltanto le azioni concordi con il bene o l’armonia universale sono ritenute realmente libere.

            In epoca moderna, Spinoza negò il libero arbitrio degli uomini, affermando che tutti gli eventi e le azioni sono causati dalla sostanza unica, o Dio; l’unica libertà è quella della sostanza divina, perché Dio agisce per le sole leggi della sua natura e non costretto da alcuno.

La libertà coincide in questo caso con la necessità stessa dell’ordine cosmico, identico a Dio.

            Leibniz rifletterà sul problema di conciliare la libertà dell’uomo con la prescienza divina, accordando la responsabilità morale dell’uomo con la concatenazione delle cause e degli effetti nell’universo.

Dal canto suo Kant, pur escludendo la libertà dall’ambito della concatenazione meccanica dei fenomeni naturali, riteneva irrinunciabile riferirsi ad essa come a un postulato necessario della coscienza morale. In questa maniera Kant distingue il mondo fenomenico e sensibile, retto dal determinismo e dalla legge delle causalità, e il mondo “noumenico”, cioè intelligibile, in cui è possibile l’iniziativa libera e autonoma dell’uomo.

            Il libero arbitrio ha una grande rilevanza in teologia. Uno dei dogmi fondamentali della teologia cristiana sostiene che Dio è onnisciente e onnipotente, e che ogni azione umana è preordinata da Dio. La dottrina della predestinazione, il corrispettivo teologico del determinismo, sembra escludere l’esistenza del libero arbitrio. Poiché moralità e astensione dal peccato sono elementi fondamentali dell’insegnamento cristiano, come è possibile, ci si chiede, che gli individui siano moralmente responsabili se si accetta la predestinazione? I teologi hanno cercato in ogni modo di risolvere questo paradosso.

Sant’Agostino credeva fermamente nella predestinazione, sostenendo che soltanto gli eletti da Dio avrebbero ottenuto la salvezza. Nessuno, comunque, può sapere se è fra gli eletti: tutti sono quindi tenuti a vivere nel rispetto della religione e nel timore di Dio. Per Agostino la libertà era il dono della grazia divina.

Contro Agostino il monaco irlandese Pelagio e i suoi seguaci sostenevano che il peccato originale riguardava solamente Adamo e non l’intero genere umano: pertanto, ciascun individuo, benché assistito dalla grazia divina per raggiungere la salvezza, aveva completa libertà di volere, nello scegliere o nel rifiutare la via tracciata da Dio.

Durante la Riforma protestante il problema del libero arbitrio divenne un terreno di scontro religioso. Esemplare in questo senso è la diatriba che vide opposti Erasmo da Rotterdam e Lutero. In un libello del 1524, De libero arbitrio, Erasmo difese la libertà del volere umano nello scegliere come operare per raggiungere la salvezza, appellandosi all’esempio di Cristo, che agì per i fini della  redenzione. Il padre della Riforma rispose ad Erasmo con lo scritto De servo arbitrio (1525), in cui negava radicalmente la libertà del volere, radicalizzando le tesi agostiniane e affermando la totale dipendenza della salvezza dell’uomo dalla predestinazione e dalla grazia divina.

Tuttavia, il problema non poteva ancora considerarsi risolto: il teologo francese Jacques-Bénigne Bousset tentò nel XVII secolo un approccio diverso, che in seguito sarà ampiamente ripreso: egli affermò che il libero arbitrio e la prescienza divina sono verità certe che devono essere accettate, benché non siano reciprocamente connesse.

            Nel XX secolo il problema del libero arbitrio avrebbe perso in gran parte le connotazioni teologiche che lo distinguevano in passato. Nella filosofia esistenzialista di Sartre Dio e libertà non sono possibili insieme, perché se Dio fosse, esisterebbe un Pensiero che condizionerebbe inesorabilmente l’uomo. Il problema del libero arbitrio, per Sartre, è sotteso alla scelta che l’uomo fa del suo proprio essere dal momento che “l’uomo è condannato a ogni istante a inventare se stesso”.

            Nella vita ciascuno di noi compie delle scelte e deve assumersi delle responsabilità. Quanto più un uomo acquista un ruolo nella società, tanto più diviene responsabile di ciò che fa di fronte agli altri, che lo chiamano a rispondere delle sue azioni. Il nesso fra responsabilità e colpa è sentito dall’uomo come un imperativo che lo stimola a cercare  regole di comportamento e indicazioni precise sul bene e sul male.

La filosofia morale o etica si occupa di questo. Uno dei suoi problemi più importanti, dalla cui soluzione dipende il fondamento dell’agire morale, è la libertà umana.

Il concetto di libertà come arbitrio è complesso; facciamo un esempio: mentre scrivo mi accorgo di essere stanco e desidero fermarmi.

Ma è più opportuno continuare ancora un poco: decido di non fermarmi. Dentro di me si sono presentate due possibilità che ho concepito nell’interiorità della mia mente; le ho esaminate e ho deciso. L’azione reale che rende vive ed operanti le due possibilità dipende da me; me ne accorgo perché sento che la mia scelta è libera.

Il libero arbitrio è la capacità che intuisco dentro di me di decidere tra diverse possibilità d’azione e di far divenire reale una di esse. Non si tratta certamente di una capacità del tutto svincolata da influssi esterni, perché questi esistono nella realtà; tuttavia intuisco che rimane un margine tra tutti gli influssi che subisco dal mondo esterno e la mia scelta. Vedo infatti che, se questo margine non dovesse esistere, non sarei io il soggetto dell’azione ed essa, pertanto, non potrebbe dirsi mia. Il mio libero arbitrio sarebbe del tutto inoperante.

Poiché sono dotato di libero arbitrio, porto la responsabilità della scelta e ne rispondo di fronte a chi me ne chiede conto: in primo luogo la mia coscienza.

            Noi tendiamo a prendere per libero arbitrio la volontà, senza pensare che la nostra volontà non è per niente libera ma è determinata dal periodo e dal luogo in cui viviamo, dal contesto sociale nel quale cresciamo, dal nostro patrimonio genetico, dalle nostre esperienze; sono tutti questi dati che fanno si che la nostra personalità si costruisca in un modo invece che in un altro e che alla fine quella che noi chiamiamo volontà ci faccia decidere in un senso piuttosto che in un altro.

Intendiamo, non si può certo negare che l’esercizio della nostra volontà non contribuisca a cambiare (in bene o in male) il mondo che ci circonda e ad avere effetti su di esso; il fatto fondamentale è che anche quando crediamo di essere “liberi” nelle nostre scelte siamo in realtà determinati dalla nostra personalità, dai nostri gusti, dalle nostre inclinazioni, tutte cose che a loro volta si basano su dati quali le nostre esperienze passate, il contesto sociale in cui viviamo, il nostro corpo, il nostro cervello, dati che sono al di fuori della nostra volontà perché nessuno si può costruire da solo.

            Passiamo ora ad esaminare il temine libertà: Dante all’inizio del Purgatorio fa dire a Virgilio che … “libertà va cercando ch’è si cara / come sa chi per lei vita rifiuta”; “Liberté” è la prima parola che figura nel vessillo della Rivoluzione francese; Libertà è soprattutto uno dei pilastri fondamentali del credo massonico.

Come tutte le parole molto usate, è stata anche abusata, travisata, tradita. In nome della libertà si sono compiuti i più grandi sacrifici, ma si sono anche consumati i più grandi crimini.

Poche parole si prestano ad un maggior ventaglio d’ interpretazioni, in quanto poche sono più ricche di accezioni. Vediamone alcune. Una prima forma di libertà è quella politica. Oggi in molti Paesi si ritiene realizzata questa libertà. Ma lo è veramente? E, quando anche lo fosse, è sufficiente questa condizione esteriore per sentirsi veramente liberi?

Qualcuno ritiene prioritaria la libertà dei bisogni. Qui siamo ancora lontani dall’averla realizzata a livello planetario, se si pensa che un terzo dell’umanità soffre di fame. Ma anche questa non è una libertà che ci rende felici. I Paesi ricchi non conoscono la felicità, tutt’al più godono del benessere materiale.

La libertà dalle peggiori forme di dipendenza fisico-psicologica (droga, sesso, denaro o altro) è certamente una forma più elevata, se si vuole un’aspirazione più nobile. Ma neanche questa è pienamente soddisfacente. E allora? …

            Cominciamo con il puntualizzare che la libertà è una condizione interiore e così ci avviciniamo al concetto di libertà che è al tempo stesso il più elevato e il meno realizzato su questa terra: la libertà dello spirito, tanto cara a noi Massoni.

Ne hanno parlato filosofi e teologi, osservandola da varie angolature, tutte riconducibili però a due posizioni di fondo: quella di chi ritiene l’uomo autosufficiente (filosofi) e quella di coloro che ritengono che la sua vera libertà si possa realizzare solo con l’aiuto di Dio (teologi). Questi ultimi si sono accapigliati nei secoli sulla dottrina della predestinazione, se cioè l’uomo sia veramente libero oppure se tutto sia già scritto indelebilmente nel gran libro di Dio.

            Vista l’importanza della questione, potremmo partire da qui, dalla posizione di Dio nei confronti dell’uomo. Ci piace pensare che il Padre eterno ci lasci liberi di agire e che quindi noi siamo pienamente responsabili delle nostre scelte.

Questa dottrina, che afferma il libero arbitrio dell’uomo, è quella che gli concede maggiore dignità. Non quindi lo riduce a una sorte di manichino nelle mani del suo Creatore, ma ne fa un essere autonomo e artefice del proprio destino. Ma è proprio così? Siamo poi veramente liberi nelle nostre scelte? E i fattori genetici? E quelli educativi? E i condizionamenti socio-ambientali?

Per non parlare del peso, della fortuna e del caso. Contro questa teoria, così bella, ma così facilmente contraddetta dall’esperienza di tutti i giorni, si sono levati in diversi tempi e in diversi contesti storici pensatori autorevoli del calibro di Lutero, Calvino o Maometto.

            Come pronunciarsi su un tema tanto spinoso e dibattuto? Si può solo dire che la posizione di chi ritiene l’uomo artefice del proprio destino è più costruttiva, perché lo spinge ad agire per creare un mondo migliore o per rendersi meritevole del Paradiso. L’altra posizione sarà forse più realistica, più “filosofica”, ma è più immobilista. Perché mi devo affannare per conseguire un certo risultato? Tanto, se è destino che lo raggiunga, lo raggiungerò comunque, se invece non è destino, per quanto mi affanni, non lo raggiungerò mai. Il mondo occidentale è generalmente schierato per il libero arbitrio.

E tutto questo cosa c’entra con la libertà dello spirito, si chiederà qualcuno? Tentiamo di dare una risposta.

Lo spirito è come un gas. Non ha confini e tende ad espandersi ovunque. Se lo lasciamo libero, sale, sale, sale fino ad arrivare a Dio. L’uomo non è arrivato materialmente ai limiti dell’universo o nelle viscere più profonde della terra, ma il suo spirito si. E’ andato addirittura oltre. Da sempre l’uomo tende all’infinito, aspira ad una dimensione sovrumana, desidera l’assoluto. Non solo i filosofi, gli scienziati e gli artisti, ma anche ciascuno di noi poveri mortali pensa con la lente d’ingrandimento e a tutti noi il mondo, prima o poi, una volta o l’altra, “sta stretto”. L’espansione del proprio “io” non va intesa come prevaricazione selvaggia a scapito degli altri. E’ fin troppo noto il detto che “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Tale libertà va intesa come possibilità per ciascuno di realizzare appieno se stesso, nel rispetto tuttavia dei nostri simili. Certamente le condizioni esterne (politiche, socio-ambientali, materiali) possono favorirla, ma soprattutto saranno i fattori educativi a renderla effettiva e pienamente operante.

            Un’umanità nuova sarà quella che nascerà libera, libera dentro. Quella in cui l’uomo verrà educato ad esprimersi per quello che è e non per quello che gli altri o la società vogliono che egli sia. Egli dovrà poter realizzare le proprie aspirazioni in piena libertà, senza condizionamenti materiali, legali o psicologici. Non dovrà “essere dichiarato” libero, dovrà “sentirsi” libero. Certamente le condizioni esteriori, che il progresso o la politica potranno garantire, saranno importanti, ma non saranno determinanti o comunque non saranno sufficienti, potranno essere una premessa, un prerequisito. Qualcuno forse intendeva riferirsi a questo ideale, parlando del superuomo. Non tanto il nostro amato D’Annunzio, quanto forse Federico Nietzsche. A volte i filosofi “estremizzano” i loro concetti per rendere più chiaro il loro messaggio; una versione di più immediata fruizione del superuomo  nietzschiano potrà essere quella dell’uomo libero, artefice autentico del proprio destino.

            La libertà concepita in senso massonico non incontra quegli ostacoli che la delimitano sul piano dei rapporti umani e sociali. Nell’interiorità dell’individuo non esistono confini o spazi altrui da rispettare. Lo spirito ha una dimensione assoluta, incommensurabile. Lo spaziare nell’infinito è un viaggio affascinante, in cui l’uomo nella visione massonica può provare l’ebbrezza che si prova a contatto con l’ossigeno puro.

 Se poi il viaggio avviene in compagnia di altri Fratelli, esploratori dello spirito come lui, sarà ancora più emozionante. Si arriverà al G.A.D.U.? Si rimarrà delusi di non averlo trovato? Si giungerà in un porto tranquillo o si navigherà in eterno in acque burrascose? Si ritroverà se stessi o ci si perderà? Non conosciamo la meta, il Massone segue un istinto insopprimibile, quello che da sempre ha animato i migliori spiriti. Il suo viaggio avviene a tappe, ognuna delle quali gli riserva una nuova emozione. Ad ogni traguardo raggiunto gli si dischiudono nuovi orizzonti più lontani; la sensazione che prova è quella di un viaggio senza fine, ma di un viaggio che lo arricchirà interiormente e che, comunque si concluda, rappresenterà per lui un’esperienza irripetibile. La sua Libertà si manifesterà proprio nel poter condurre a tutto campo una ricerca che si estende negli sconfinati spazi dello spirito.         

                                                              (G, T.)

-Libero arbitrio è il cavo teso in alto sul quale sei costretto a camminare:

non ti è concesso di spiccare il salto ma in ogni punto ti potrai fermare.

-Libero arbitrio è una finestra aperta su tutto ciò che può accaderti un giorno.

Sta a te volger lo sguardo alla scoperta delle infinite scelte che hai intorno.          

                                                                                              (Jnana Yoga – “Guardando oltre…)

-Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto, alto quanto quello della schiavitù. L’unica differenza è che si paga con piacere, e con un sorriso…

anche quando quel sorriso è bagnato di lacrime.                                        

                                                                                              (Paulo Coelho – “Lo Zahir”)

-Non vale la pena di avere la libertà, se questo non implica la libertà di sbagliare.

                                                                                              (Gandhi)

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