I VANGELI

I VANGELI

COME E’ STATA SCRITTA LA VITA DI GESÙ      

Ogni anno si vendono milioni di copie del Nuovo testamento, e la stragrande maggioranza degli acquirenti è attratta dagli scritti più famosi di tale raccolta: i quattro vangeli, che portano i nomi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Ciononostante i testi sono senza firma e furono chiamati così solo prima della metà del II secolo d.C. Si diffuse a quel tempo la notizia che Matteo e Giovanni erano due dei dodici apostoli di Gesù, mentre Marco l’aveva accompagnato nelle sue peregrinazioni, o aveva avuto con lui un contatto tramite l’apostolo più celebre, Pietro, o attraverso Paolo, il quale non era stato un discepolo e si era convertito dopo che Gesù gli era apparso in una visione.

La stesura in greco.

I vangeli non furono composti in aramaico, la lingua madre di Gesù, bensì in greco. È probabile che, dopo la morte di Cristo, alcune persone o dei gruppi di credenti, soprattutto provenienti dalla Galilea e da Gerusalemme, avessero trascritto in aramaico, e su fogli di papiro, parole e miracoli del maestro. Forse miravano a utilizzarli come appunti per diffondere la fede in un messia già morto, ma «risorto e seduto alla destra di Dio» per tornare presto a giudicare il mondo. L’intero materiale venne tradotto in greco prima che fossero trascorsi trent’anni dalla morte di Gesù, avvenuta probabilmente nell’aprile dell’anno 30. La traduzione si deve all’interesse di altri seguaci, anche di origine ebraica, però della diaspora: non vivevano quindi più in Palestina.  Tali fedeli dovettero credere che i pagani si sarebbero così convertiti al messaggio di salvezza del messia, proprio come avevano predetto i profeti e, in particolare, Isaia: «Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore» (66:20). Gli ebrei della diaspora parlavano greco, la lingua del commercio e della cultura nel Mediterraneo orientale sin dall’epoca di Alessandro Magno.

Marco, il primo Vangelo.

 Con ogni probabilità a quei compendi di detti e azioni di Gesù — alcuni erano relativamente lunghi, come la cosiddetta fonte (o documento) Q — si aggiunse ben presto una breve cronaca della passione e della morte del salvatore, seguita poi da resoconti circa la resurrezione e le epifanie del Cristo. Tutto questo materiale, sommato all’abbondante tradizione orale sulla vita di Gesù, fece sì che negli anni settanta del I secolo d.C. vedesse la luce il primo Vangelo, quello di Marco. Venne forse redatto a Roma, non soltanto per diffondere le parole del messia, ma anche perché i romani riuscissero a capire la distinzione tra i cristiani e gli altri ebrei, prossimi a chi aveva preso parte alla sanguinosa rivolta degli anni 66-70 d.C., culminata nella distruzione del tempio di Gerusalemme. Marco non si limitò a raccogliere i testi che aveva consultato. Secondo alcuni autori, li collocò anche sotto una nuova luce: quella della teologia di Paolo, un seguace di Gesù che non aveva conosciuto il maestro.

L’ombra di Paolo

L’idea centrale del Vangelo di Marco si basa su un’interpretazione di Paolo: Gesù è il salvatore di tutta l’umanità perché si è sacrificato sulla croce, concetto che avrebbero poi ripreso gli evangelisti successivi. Non va dimenticato che i vangeli vennero composti dopo la morte di Paolo e all’esterno della Palestina, nelle aree dove questi aveva predicato ai gentili, cioè ai non ebrei.  I vangeli furono influenzati dalla teologia di Paolo perché ne condividevano le posizioni, diverse da quelle di altri seguaci di Gesù, i giudeo-cristiani. Questi ultimi, presenti a Gerusalemme e nella Galilea, vedevano Gesù come un profeta — umano, e non divino — che, stando alle Scritture, sarebbe giunto come messia per liberare Israele dai suoi nemici, anche con la guerra, e aiutato dagli angeli; avrebbe compiuto la promessa secondo cui il popolo eletto d’Israele avrebbe dominato sulla terra; avrebbe perciò portato il regno di Dio prima in Israele e poi nel  resto del mondo. Paolo attribuiva invece a Gesù  una dignità quasi divina, superiore a quella di un profeta o di un messia terreno. Ne interpretava inoltre la morte e la resurrezione come atti di redenzione che avevano cambiato la storia non solo d’Israele, bensì di tutta l’umanità. Quella morte rappresentava un sacrificio volontario a Dio, deciso dalla divinità stessa: il supplizio del messia sulla croce redimeva i peccati degli esseri umani. Non a caso scrive Marco: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (10:45). È questo il senso delle parole che l’autore mette in bocca a Gesù durante l’ultima cena: «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti» (14:24). Il Vangelo di Marco ebbe grande diffusione e circolò tra le comunità dell’Asia Minore, della Siria e dell’Egitto.

Matteo, il secondo Vangelo.

 Meno di un decennio più tardi, negli anni ottanta, fu concepito il secondo Vangelo, quello di Matteo. L’autore, sconosciuto, offrì una chiave di lettura nuova rispetto al Vangelo di Marco, modificando o aggiungendo dettagli, forse poiché conosceva più fonti. Malgrado ciò, riprodusse  con alcune varianti quasi l’ottanta per cento del testo precedente, aggiungendovi l’insieme di detti di Gesù (il documento Q) e incorporando materiale proprio nonché tradizioni tramandate all’interno del suo gruppo di appartenenza, probabilmente insediato ad Antiochia di Siria. l’autore non era uno dei dodici apostoli. Se lo fosse stato, si sarebbe espresso nella lingua materna, l’aramaico, e invece citala Bibbia nella versione greca, non in quella ebraica. Non solo: i suoi due testi principali di riferimento, Marco e la fonte Q, erano stati redatti in greco. Se ci si basa su questi presupposti appare evidente che Matteo non fu uno degli apostoli, bensì  uno “scriba” giudeo-cristiano di lingua greca, la stessa in cui compose il suo Vangelo.  Nel testo di Matteo Gesù viene descritto come il nuovo Mosè che spiega come va intesa la legge divina. Poteva farlo proprio in quanto messia.

Luca,il terzo Vangelo

Matteo si era permesso di fornire una versione corretta e accresciuta d un Vangelo già noto. Ben presto il suo esempio fu imitato da una persona di cui ignoriamo l’identità e che per tradizione chiamiamo Luca. Viveva probabilmente a Efeso, dove risiedevano vari gruppi di seguaci di Gesù, sia giudei sia gentili. La sua opera fu il terzo Vangelo, elaborato verso il 90 d.C. La maggior parte degli studiosi crede che, dopo aver letto il testo di Matteo, Luca avesse deciso di non considerarlo come sua base e di servirsi piuttosto delle due fonti dello scritto precedente, ovvero il Vangelo di Marco e il documento Q. L’uso di un greco elegante ci da della Bibbia greca conoscenza profonda della Bibbia greca indicano che Luca era un  ebreo della diaspora e che quindi ellenizzato   — o un proselita, un gentile convertito alla fede cristiana che da anni  frequentava la sinagoga. Luca era convinto che il suo compito fosse meritorio.  Difatti nel suo prologo al vangelo afferma di aver indagato; tutto il materiale già esistente su Gesù si dalle origini, e spiega di voler organizzare il  materiale per fare un resoconto ordinato per il lettore. Aveva perciò  l’obiettivo di conferire una maggiore solidità «agli insegnamenti” ricevuti dai cristiani  anche se è incerto che abbia potuto   apportare materiale di prima mano. Il Gesù di Luca è il più umano di quelli  presenti nei quattro vangeli. E’  un essere divino, il“Signore”, ma è un uomo – compassionevole, sempre prodigo a fare del bene. Dimostra inoltre una sensibilità particolare per i peccatori, i poveri, le donne e in generale le persone che vengono discriminate. Un dato degno d’importanza il fatto che i Vangeli di Luca e di Matteo cominciano solo al terzo capitolo, perché i primi due — di solito denominati “vangeli dell’infanzia” — furono aggiunti in un secondo momento, agli inizi del II secolo d.C., quando il testo venne revisionato com’è possibile ricostruire dallo studio delle varianti. Sappiamo per certo che quei capitoli sono un’aggiunta successiva perché i personaggi che compiono nel resto di entrambi i vangeli ignorano completamente quanto viene narrato nei primi due capitoli. L’immagine di Gesù e della madre, come pure le genealogie di Cristo e i concetti teologici, sono così diversi nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca che si ha l’impressione di avere a che fare con due Gesù diversi. A parte la questione dell’infanzia di Gesù, nel complesso i primi tre vangeli mostrano una struttura biografica simile, e in molte vicende seguono una stessa linea. Per questo sono                                                           denominati sinottici (dal greco synopsis, sguardo d’insieme) e si possono rappresentare graficamente su tre colonne parallele che mostrano azioni e parole di Gesù simili tra loro. Risulta quindi più semplice esaminarne le  varianti, le aggiunte e le omissioni. Il quarto  angelo, invece, quello di Giovanni, contrasta in modo notevole con i primi tre.

Il quarto Vangelo.

 Sappiamo che Giovanni fu l’ultimo a mettersi all’opera, Difatti s’intuisce che conosceva i testi precedenti, soprattutto quello di Luca, e la sua teologia su Gesù come messia è molto più approfondita, nonché radicalmente diversa in certi aspetti importanti. Si ritiene che il testo sia stato scritto a Efeso verso il 100 d.C., ed è probabile che venne redatto da un gruppo di autori ugualmente talentuosi, i quali vi lavorarono in fasi diverse. Di sicuro l’autore non fu l’apostolo Giovanni, perché quanto espresso in questo vangelo sulla natura del messia diverge dalla concezione dei contemporanei di Gesù. Secondo – l’evangelista Giovanni, il logos, la parola o verbo di Dio, che è Dio  stesso — concetti non presenti nel Primo Vangelo —, s’incarna in un uomo, Gesù, e forma con lui un persona unica, divina,che esiste dall’eternità. Una simile divinizzazione di Gesù sarebbe stata inconcepibile per chi avesse vissuto nel suo tempo. Il Gesù del Vangelo di Giovanni è molto diverso da quello dei sinottici. Per i primi tre la predicazione del regno di Dio è il centro della missione di Gesù; il regno  (il dominio di Dio sulla terra) comincerà in Israele,e si salveranno solo coloro i quali siano già preparati alla penitenza e abbiano rispettato le leggi divine. Tuttavia per Giovanni il nucleo fondamentale consiste nel presentare Gesù come inviato dai cieli e dal padre: è il rivelatore che annuncia la chiave della salvezza per l’uomo e ascende al luogo da cui è provenuto. Giovanni sottolinea che il Gesù comparso sulla terra è il figlio di Dio, incarnato in un essere umano. Questo Gesù è perciò una sorta di profeta ultimo la cui missione consiste nel ricordare alle genti che è lui l’inviato di Dioe che entrambi sono una stessa entità. Chi comprenderà il suo messaggio sarà anch’egli figlio di Dio, e così potrà salvarsi. Tra i sinottici e il Vangelo di Giovanni ci  sono enormi differenze nel modo di esprimersi di Gesù: nei  primi mostra una predilezione per detti brevi e sferzanti, per frasi concise e ritmate, spesso polemiche; in Giovanni, invece, Gesù parla con discorsi lunghi e solenni. Esistono inoltre delle differenze, ad esempio in Giovanni risultano assenti le tematiche che sono importanti per i sinottici: manca, per esempio, il riferimento diretto alla morte sulla croce come atto di espiazione per i peccati dî tutti gli Uomini, o viene meno l’allusione esplicita all’eucarestia. Pure il contesto cronologico e geografico della vita pubblica di Gesù è diverso. Secondo i sinottici, Gesù predica per un anno e per lo più in Galilea. Fa visita a Gerusalemme una sola volta. Secondo Giovanni, Gesù si reca a Gerusalemme quattro volte e lì assiste a tre Pasque; la sua vita pubblica dura, perciò, due anni e mezzo o tre. Solo alcuni eventi pubblici di Gesù descritti nel quarto Vangelo compaiono anche nei sinottici. I miracoli di Gesù diminuiscono: se i sinottici ne menzionano circa quarantacinque, nel quarto si riducono a sette. Alcuni di questi, come la resurrezione di Lazzaro o la tramutazione dell’acqua in vino durante le nozze di Cana, nei sinottici non compaiono. Del resto i miracoli non sono indizi del potere di Dio o nei sinottici, bensì “segni” destinati a suscitare la fede in un Gesù messia e rivelatore: “[Gesù]” manifestò la  sua gloria ei suoi discepoli cedettero in lui» (2:11). Questo è quanto narra Giovanni riguardo al miracolo di Cana. Le differenze si possono spiegare  in questo modo: Giovanni cerca di presentare un’immagine di Gesù che ritiene più profonda, spirituale e autentica. Per tale ragione rielabora quanto conosce sul Cristo. Il carattere simbolico e mistico del quarto Vangelo suggerisce che i suoi autori non volessero solo riprodurre la tradizione giunta sino a loro, bensì illustrare chi credevano fosse in realtà Gesù: l’inviato celeste del padre. La divinizzazione di Gesù, che aveva iniziato Paolo, giunge qui al massimo livello, e massima è la distanza tra questo Gesù divino e il Gesù storico.

ANTONIO PINERO-

PROF. EMERITO DELL’UNIVERSTA’ COMPLUTENSE DI MADRID SPECIALISTA IN LNGUA E LETTERATURA DEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

Tratto dalla riviste “STORICA”  N°  138

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