Da una ricerca del compianto Fr.’. Giuliano Brunello
La religione di un laico spiegata alla figlia
Altiero Spinelli
(Da “Il Corriere della sera” 01-11-00)
Cara Renata,
congratulazioni, salvo che per il greco scritto, per i tuoi voti. Quel cinque è però una vera e propria vergogna, perché se fosse accompagnato da altri cattivi voti si spie gherebbe, ma così solo è un atto di accusa contro di te, da cui è difficile difendersi.
Ora, profitto del fatto che sto in treno e che esso non balla così violentemente come in Italia per rispondere alla domanda che mi hai fatto una volta, quale sia in fondo la mia religione. Noi tutti, e perciò anch’io, siamo cose abbastanza misteriose. Nasciamo senza nessuna ragione, viviamo a casaccio per qualche tempo, moriamo senza nessuna ragione. Viviamo cioè costruiamo un mondo fatto di noi stessi e delle cose e persone con cui stabiliamo certe relazioni. Ci proponiamo di vivere bene, cioè di costruirci un mondo del quale possiamo dire: sì, è bello, valeva la pena di farlo, senza il mio lavoro non sarebbe esistito, ed ecco io l’ ho fatto. Taluno riesce a poter dare questa coscienza alla propria vita, altri non ci riesce. Ma anche se non ci si riesce si desidera, riuscirci. Questo mondo è aufs Nichts gestellt (posato sul nulla). Non c’ era prima che io lo facessi e sparirà con me. Questa circostanza spaventa molti uomini, i quali allora per attenuare la loro paura fanno una strana costruzione. Immaginano che ci sia un costruttore di mondi che non abbia la loro labilità, ma sia eterno; trasferiscono a lui la loro qualità di esseri viventi, cioè di costruttori consapevoli che dicono alla loro costruzione: sì, è bella e sono contento di averla fatta. Ma questo costruttore se lo immaginano eterno. E lo chiamano Dio. Cosa divento allora io? Divento un piccolo incompleto figlio di Dio. Se sono incompleto, vuoi dire che in qualche modo mi sono staccato da lui, sono decaduto. Sono cioè un peccatore. La mia aspirazione profonda deve essere allora di ricongiungermi a lui. Chi ci riesce è un santo.Questo ricongiungimento non può aver luogo che con l’aiuto di Dio stesso che avendo pietà di noi ci manda un legislatore il quale ci fa conoscere la sua volontà (Mosè per gli ebrei, Maometto per i musulmani), o addirittura si fa uomo e prende su di sé il nostro stato di peccatori (Gesù per i cristiani). La religiosità consiste nell’esprimere la propria gratitudine a Dio, la propria volontà di obbedire alla sua legge, la propria aspirazione a ricongiungersi a lui, a diventare santo.
Altri accettano invece la nostra condizione di costruttori effimeri. Non si lasciano illudere dal fantasma di Dio vedendo bene che esso non è altro che la proiezione in termini assoluti di noi stessi. Non noi siamo fatti ad immagine di Dio, a Dio è fatto a immagine nostra. Se Dio significa costruttore del cosmo (= mondo ordinato) dal caos (= mondo disordinato) – e in tutte le religioni Dio ha di fronte a sé il caos e ne tira fuori ilmondo – questa non è altro in forma favolosa che la rappresentazione di noi stessi, di me stesso. Non ci sono altri dei che noi, almeno noi non ne conosciamo altri. Ogni volta che si pretende di conoscerne uno in realtà è qualche uomo che parla per lui, che cioè costruisce un mondo religioso e morale per sé e per gli altri. Sono grandi costruttori. Un filosofo tedesco li ha chiamati Gesetzgeber der Zukunft, legislatori deI futuro; ma sono loro i costruttori. Il loro presunto Dio non parla mai altrimenti che attraverso la loro bocca. Così puoi capire perché per esempio io ami molto Mosè, Gesù, Maometto, e senta profondamente la grandezza della loro costruzione senza sentire assolutamente il bisogno di toglier loro il merito della loro forza creatrice per trasferirla a Dio.
Quelli che pensano così, e io sono uno di questi, vedono bene che c’è una forza misteriosa più possente di noi e del nostro mondo che ci andiamo sempre di nuovo costruendo. Se si vuole la si può anche chiamare Dio ma vediamo chiaramente che cos’è. È il caos da cui siamo nati, da cui tiriamo fuori il cosmo e che c’inghiottirà di nuovo, anzi tende sempre a inghiottirci. In fondo è vero che il mondo tende a Dio, ma ciò significa che tende a decomporsi, a morire. Il Dio vero non è vivente, viventi siamo noi, il Dio vero è la morte, l’andare verso il basso, verso il disordine verso il peccato, verso il contrario della nostra natura di costruttori. Per adoperare la terminologia cristiana si può dire che in realtà Dio è il Diavolo. Nota che anche chi erede in Dio, dopo avere solennemente affermato che esiste, eterno e onnipotente, mette prima di lui il caos, e perpetuamente contro di lui il Diavolo, cioè ancora la morte, il peccato, la decomposizione. Cioè anche il loro onnipotente Dio è un pover’uomo che in realtà non è perfetto, ma deve aspettare la fine del mondo per diventarlo.
Se però la forza superiore, Dio, è la morte e il Diavolo, se è la tendenza a degradarsi, la nostra aspirazione deve essere non già a ricongiungerci con lui, ma a staccarci da lui, a costruire cioè il nostro cosmo, a essere saggi.
E’ questa in sostanza la religione di Lao-tze, di Buddha, di Ornerà, degli umanisti. La differenza fra i due tipi di religioni la scopri infallibilmente nel modello che ciascuna di esse pone agli uomini. Da una parte gli si dice: cerca di diventare santo, cioè di raggiungere Dio che è sopra di te e che è la vera vita. Dall’altra gli si dice: cerca di diventare saggio, cioè di staccarti da Dio che è sotto dite e che è la morte. –
La religione della santità è sempre intollerante verso quella della saggezza perché considera il saggio un presuntuoso che vuoi fare a meno di Dio e che perciò è in stato di peccato. La religione della saggezza è invece sempre tollerante verso quella della santità, perché pensa che essa è in fondo una variante fantasiosa di se stessa. Poiché il Dio della santità non è che una maniera fantastica di rappresentare la natura intima e misteriosa dell’uomo, santo non è che una forma fantastica del saggio.
Questa è la mia religione, se vuoi dare a questo modo di pensare un tale nome. E poiché l’enorme maggioranza degli uomini ha più o meno paura della propria misteriosa natura di viventi preceduti, accompagnati e seguiti dalla morte, e desidera non già negare questo mistero, ma avvolgerlo in veli e trasferirlo ad un essere superiore, accade che in tutta la storia umana, in un modo o nell’altro, la religione della santità, la più puerile, è sempre stata enormemente più diffusa di quella, più sobria e adulta della saggezza. Comunque, credo che tu abbia ragione quando dici che la vera religiosità non ha nulla a che fare con il sentimento, con Io sdilinquimento dolciastro di fronte a pensieri che sono austeri e che per essere intesi devono essere affrontati con animo austero.
Be’, speriamo che il mio trattatello di teo o diabolo-logia non ti sia riuscito troppo astruso e non ti abbia annoiata troppo.
Arrivederci presto,
Papà
26 marzo 1955 in treno Parigi-Lussemburgo
L’autore di questa lettera, Altiero Spinelli, sarà ricordato da una mostra che si tiene dal 6 al 26 novembre al Vittoriano; di Roma. L’esposizione, che ricorderà la vita di Spinelli dagli anni giovanili alla morte, avvenuta nel 1986, sarà inaugurata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e dal sindaco di Roma Francesco Rutelli.
“Un padre severo e pronto al dialogo”
Renata Colorni ricorda l’adolescenza
Dio e il diavolo, il caos e l’ordine; la saggezza e la santità. Ma anche il rimprovero severo per un brutto voto in pagella. La lettera di Altiero Spinelli che pubblichiamo qui a fianco è stata ritrovata qualche mese fa da Renata Colorni, figliastra dell’autore e destinataria della missiva, tra le sue carte. Alll’epoca, siamo nel marzo del 1955, Renata, figlia di Ursula Hirschmann e delfilosofq antifascista Eugenio Colorni aveva quindici anni e tante domande su Dio e la religione. Per lei e per le sue due sorelle, Silvia e Eva, Altiero Spinelli, compagno e in seguito marito della madre, era l’unico padre conosciuto: l’amore tra la moglie di Colorni e Spinelli era nato a Ventotene quando i due esponenti antifascisti erano entrambi al confino, legati da ideali in parte comuni (Colorni partecipò attivamente all’elaborazione del Manifesto europeista, firmato da Spinelli e Ernesto Rossi, anche se ci furono divergenze su chi avrebbe dovuto guidare l’Europa federata). Quando Eugenio Colorni fu ucciso a Roma dalla banda Koch 1128 maggio 1944, poche settimane prima dell’arrivo degli Alleati in città, Renata aveva quattro anni e il matrimonio dei suoi genitori era già finito.
«Il testo di quella lettera — ricorda Renata Colorni che oggi è responsabile dei Meridiani Mondadori — rappresenta molto bene la personalità di Spinelli, il suo rapporto con noi figlie (le tre avute da Ursula e Colorni e le tre nate dal matrimonio di Ursula con Spinelli ndr). Era un padre severo ma aperto, vitale e pieno di una grande gioia di vivere. Con noi parlava di tutto: politica, religione, letteratura. Era un uomo molto colto ma non pedante: citava i filosofi greci, parlandone come se fossero suoi amici. Raccontava anche degli anni trascorsi in prigione, ma senza vittimismo, anzi ricordando aneddoti divertenti». In casa si respirava un atmosfera laica: Spinelli, come si capisce dalla lettera, era agnostico. Ursula Hirschmann era un‘ebrea per nulla praticante: «Io, invece – ricorda Renata Colorni – a quell’epoca mi ero avvicinata alla religione, frequentando gli Scout e in famiglia ero bonariamente presa in giro per questa mia mania, di cui quasi mi vergognavo». Eppure nella lettera non c’e ironia: il padre dell’europeismo prende sul serio i dilemmi della figlia adolescente e cerca di spiegarle il suo punto di vista con un tono allegramente pedagogica, affrontando senza paura i grandi temi dell’esistnza, la spiritualità, il cosmo, la paura della morte.
Cristina Taglietti