L’UTOPIA MASSONICA
di Sante Fedele (Università degli Studi de Messina)
Cosa dobbiamo intendere per cultura massonicamente parlando
La cultura che ci cinsente di interpretare il mondo in cui viviamo e possibilmente di trasformarlo è anche consapevolezza delle nostre radici, di un patrimonio ideale che, depurato dagli elementi contingenti e caduchi, può essere ancor oggi utilmente riproposto come fonte d’ispirazione per affrontare problematiche quanto mai attuali. Pensiamo ad esempio alla stringente attualità che gli avvenimenti degli ultimi anni, col riproporsi virulento degli integralismi religiosi, hanno conferito all’ideale massonico della tolleranza. Nell’Inghilterra di inizio Settecento, in un paese ancor dilaniato dalle lotte di religione tra protestanti e cattolici si produce un evento straordinario: uomini che pur appartenenti a differenti partiti politici e credi religiosi s’incontrano nelle Logge massoniche, superano attraverso il dialogo steccati paralizzanti, si riconoscono reciprocamente come fratelli. È un esempio sublimedi tolleranza che deve essere richiamato alla memoria e riproposto con forza in tutta la sua pregnante attualità. 1 massoni praticano la tolleranza come componente intrinseca alla fratellanza. Poche settimane fa a Vibo Valenzia, in Calabria, ho partecipato alla tornata rituale di una Loggia il cui Maestro Venerabile, di origine iraniana, è di fede musulmana. Sull’altare con la squadra e il compasso erano presenti non uno ma due libri della Legge: La Bibbia e il Corano. È stata un’esperienza meravigliosa. La tolleranza è del resto componente basilare di quella vocazione cosmopolita e umanitaria della Libera Muratoria Universale che si esalta nella concezione massonica della società aperta, in cui il pluralismo non viene inteso come statica separatezza di diverse comunità nazionali o religiose ma come convivenza e dialogo di più posizioni: uno spazio condiviso in cui gli uomini possano vivere in arinonia e collaborare al miglioramento dell’umana famiglia. Ma la società aperta per essere autenticamente tale presuppone la laicità dello Stato, la cui neutralità nei confronti delle diverse credenze religiose costituisce strumento di salvaguardia per tutti contro ogni forma di prevaricazione, allo stesso modo in cui la scuola pubblica è per i massoni il luogo deputato a garantire il contemperamento di lealismo costituzionale e integrazione rispettosa delle culture di provenienza. All’avanguardia per l’integrale laicità dello Stato sono stati storicamente i massoni francesi, cui si deve se nel 1905 la Terza Repubblica, la Repubblica massonica come è stata non a torto da taluni definita, perviene all’affermazione della separazione assoluta tra Stato e Chiesa e quindi alla piena e integrale laicità dello Stato, da cui scaturisce il primato attribuito alla scuola pubblica. Se ci riflettiamo per un istante, ci rendiamo conto che l’integrale laicità dello Stato e quindi la parità di diritti riconosciuti a tutti gli uomini indipendentemente dal loro credo politico o religioso è ciò che ha fatto sì che la Francia, erede e custode gelosa degli immortali principi dell’89, sia stata per larga parte del Novecento la patria d’elezione di perseguitati politici d’ogni parte del mondo, compresi i massoni italiani andati esuli in Francia per sfuggire alla persecuzione fascista. La tolleranza, la laicità, vorrei quantomeno accennare ad altri due concetti cardine del contributo che dalla Massoneria è venuto al progredire del mondo in cui viviamo: la virtù e l’armonia. Virtù e armonia per come massonicamente intese sono al sorgere della Massoneria speculativa mirabilmente raffigurati non tanto in trattati filosofici quanto nell’opera musicale di un gigante del Settecento: Mozart. La virtù è intesa da Mozart nel senso di forza interiore, non più determinata dal privilegio della nascita ma dall’esercizio di una pratica di vita virtuosa e dal riconoscimento reciproco tra i giusti. L’armonia come una prospettiva di sviluppo delle potenzialità di ognuno nel rispetto degli equilibri naturali e dei diritti degli altri, come l’ideale di una parabola esistenziale che l’individuo possa percorrere e concludere in pace con se stesso, con gli altri e con il contesto naturale che lo circonda. Mi sia consentito un azzardo: vi è forse un filo che lega questi concetti di virtù e di armonia per come emergono dall’opera del Fratello Mozart e quell’articolo della Costituzione americana, Costituzione anche materialmente redatta da padri costituenti con comprovata appartenenza massonica, in cui si afferma il diritto alla ricerca della felicità: dove ovviamente la felicità non è edonismo, egoistica soddisfazione degli appetiti individuali ma l’esatto contrario: l’appagamento interiore che scaturisce dalla consapevolezza di una pratica di vita virtuosa, di una autorealizzazione rispettosa dei diritti dei propri simili.
Cos’è la Fratellanza per un massone
I Massoni praticano quotidianamente la Fratellanza all’interno delle loro Logge ma sono animati al tempo stesso da una pulsione costante: allargare la pratica della fratellanza a tutti gli uomini e a tutte le genti, e adoperarsi perché le Colonne del Tempio progressivamente si dilatino sino ad abbracciare l’intera umanità. Vi è un paradosso nell’operare del massone: il massone lavora per la fine della Libera Muratoria, cioè per un futuro, per un tempo ultimo in cui l’affermazione dei principi massonici avrà pervaso il mondo sino al punto da rendere superflua l’esistenza della massoneria come istituzione separata rispetto al resto del mondo profano, pervaso dai nostri ideali, È utopia? Certamente. Ma l’utopia è il sale della storia, il fuoco interiore che riscalda i nostri cuori. Quando ero giovane, negli anni che precedettero e seguirono l’esplosione sessantottesca, i rivoluzionari d’allora eravamo soliti dire che ci consideravamo ‘Cittadini d’Utopia’, la città degli uomini liberi perché eguali ed eguali perché liberi. Oggi, alla luce della maturazione che mi è derivata dall’esperienza di vita massonica, mi sentirei di dire che Utopia è la città degli uomini liberi ed eguali, perché Fratelli.
Tratto da “HIRAM” n° 2/2014