SIGNORE E SIGNORI… ALIGHIERO NOSCESE
di Gabrieli Duma
Cosa resta di un uomo, quandola sua vita si ferma, rendendolo un abitante del passato? Attraversata la soglia del metà cammino me lo chiedo. E ancora di più mi chiedo cosa resta di un uomofamoso, che ha condiviso gran parte della sua identità con l’immagine, o le immagini, che milioni di persone avevanodi lui. Cosa resta di quelle immagini, dei sorrisi o delle lacrime, delle emozioni che ha suscitato? A parte i pochi scelti dalla Storia come immortali, quelli cui è dato lanciare il proprio riverbero sui millenni, di certo la fama può poco controil tempo, che quando inghiotte lo fa senza riguardi e lascia indietro, per chi resta, solo unpiccolo sacchettodi ricordi. Un sacchetto insignificante finché non gli si dà attenzione. Non appena scosso, però, o guardato più da vicino, il sacchetto manda una polvere di memoria così penetrante che è impossibile non starnutire fuori, dalla cantina dei ricordi, odori, voci, vibrazioni leggere, che riprendono corpo intatte, come appena dietro una porta che sembrava di averla socchiusa il giorno prima. In quel giorno, però, sei cresciuto più di un metro, hai cambiato colore di capelli, se ti sono rimasti, e la luce degli occhi ha preso sfumature inaspettate. In un attimo attraversi la soglia e sei lì, seduto sul divano,la famiglia intorno variamente indaffarata e gli occhi che ridono, presi al laccio dallo schermo di uno scatolone decorato da un paio di vistose manopole e saldato dal; suo stesso peso a una mensola di vetro’ che quattro ventose succhiano e incollanò a due pacifici tubolari di alluminio dorato, imbullonati a dovere a un alto -per me altotrespolo di legno bruno. È sabato, lo scatolone offre primi piani in bianco e nero… “Signore e Signori… Alighiero Noschese!” Cosa farà stasera? La domanda rimbalza fra il divano e la tavola già apparecchiata e prelude allo stupore dei commenti successivi, agli “no… incredibile, vieni a vedere sembra proprio lui… ma anche la voce!” Cosa farà stasera? La curiosità rimanda alla prima volta che ho imparato che esisteva l’imitatore. E l’imitatore è solo lui, unico, quella specie di magocapace di prendere sembianze e voci di altri: di Alberto Sordi, Giulio Andreotti, Ugo Zatterin, Tito Stagno, Ruggero Orlando… nomi che appartengono al mio immaginario di bambino solo perché l’imitatore lì imita. Io ho conosciuto quei personaggi perché Alighiero Noschese li imitava e riconoscevo Alighiero Noschese quasi esclusivamente nell’imitazione di quei personaggi. Vederlo senza trucco, alle prese con se stesso, dava l’idea che mancasse qualcosa, c’era quasi l’imbarazzo di non sapere chi fosse quel signore delicato, forse fragile, che, maestro diironia, diceva di sé: “per voi le voci passano, a me entrano e restano, restano dentro… la mia voce… fra tante belle voci che imito, la mia vera voce è questa schifezza che state ascoltando…”. Era così tanto se stesso nel momentoin cui si plasmava sulle molte identità che raccontava, che veniva chiamato: attore, ladro di anime, vampiro, camaleonte, clown… ma anche… fragile, insicuro, ipocondriaco… e tanti nomi ancora, che trascolorano e si fondono nell’unica sintesi: Noschese. È un nome che ancora oggi sentirlo mi sposta sul binario del tempo. Cosa resta di quell’uomo tanto gentile e trasparente da lasciarsi attraversare dai mille volti e dalle mille voci con cui giocava e divertiva, di quell’uomo di pléstilina che, cadendo, ci si sarebbe aspettati potesse rimbalzare come un personaggio da cartoon? Resta una biografia, che vuol dire pagine di vita. Pagine. Leggendo certi racconti mi chiedo sempre quante pagine può durare la vita di un uomo o di una donna e vedo che per quante possano essercene di chiare, semplici, da lettura veloce, ce n’è sempre qualcuna piena di ombre, rugosa, spiegazzata, con i segni che sfumano e in partesi confondono. Sono le pagine del misterodi ogni esistenza, che fanno pensare, insegnano molto a chi vi indugia, non danno mai certezze, solo domande, e puniscono mandando in confusione chi si illude di possederne la chiave.
Pagine di vita.
Alighiero Noschese nacque a Napoli, nel quartiere Vomero, e vi trascorse l’infanzia. Aveva antenati polacchi ed una nonna tedesca, era figlio di un funzionario delle Dogane del Tirrenoe di una professoressa. Per volontà paterna intraprese studi di giurisprudenza, che alternava però alla passione per il teatro e la politica. Divenne segretario della federazione giovanile comunista di Napoli. Del periodo universitario resta un aneddoto goliardico, che racconta di due impegnativi esami superati conferendo rispettivamente con la voce di Amedeo Nazzari e con quella di Totò. Già da quel momento, evidentemente, l’attore fu promosso apieni voti superando l’avvocato. Dopo un timido inizio da giornalista venne assunto come praticante nel giornale radio della Rai, allora diretto da Vittorio Veltroni (padre di Walter). All’inizio degli anni cinquanta fu scritturato nella Compagnia di Prosa della RAI di Roma. Dal ‘53, Garinei e Giovannini gli affidarono la trasmissione radiofonica Caccia al tesoro, mentre contemporaneamente proseguiva l’attività teatrale con la compagnia Billi e Riva. Continuando ad alternare i successi teatrali a quelli radiofonici, nel ‘54, ottiene una parte nel primo sceneggiato televisivo messo in onda: Il dottor Antonio. Dopo la partecipazione a vari programmi, a metà degli anni sessanta, furono ancora Garinei e Giovannini a permettergli, come protagonista in teatro dei due spettacoli: Scanzonatissimo e La voce dei padroni, di sperimentare per la primavolta l’imitazione di personaggi politici, i quali, a dispetto di ogni previsione, parvero compiacersi dell’effetto dimaggior visibilità ottenuta. Nel 1969, con la partecipazione al varietà televisivo del sabato sera Doppia coppia, arriva la consacrazione a personaggio di primo piano, contanto di autorizzazione a imitare, questa volta in televisione, i personaggi politici, cosa fino ad allora proibita. Determinante risulta il consenso dell’ex docente presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica. Da quel momento, essere imitati da Noschese diventa sinonimo di celebrità, lusinga da cui raramente si sono visti politici immuni. La brillante carriera prosegue con le due edizioni di Canzonissima presentate da Corrado nel 1970 e nel 1971, e successiva– mente con Loretta Goggi in Formula due nel 1973. ° Alighiero condivise sempre la creazione delle sue mirabili caricature con il grande sceneggiatore napoletano, autore dei suoi testi, Dino Verde, e la truccatrice Ida Montanari. Lo scatolone, in rigoroso bianco e nero, continua a offrire all’occhio della mia memoria le memorabili interpretazioni del telegiornalista Mario Pastore, costretto a smentire ogni notizia appena data con un: “Mi dicono che non è vero”; del giornalista Rai Jader Jacobelli che giustificava la messa in ondadelle tribune elettorali con il bisogno di “di…sputare” sui problemi del Paese; della sospirosa annunciatrice Mariolina Cannuli; del toscanissimo Amintore Fanfani; dei giornalisti Paolo Cavallina, Ruggero Orlando, Tito Stagno, Ugo Zatterin; poi di Mike Bongiorno, Gianni Morandi, Alberto Sordi, Ugo La Malfa, Giovanni Leone, Marco Pannella… Finché lungo questa teoria di brillanti successi qualcosa si incrina… è il 1974 interferenze sul mio schermo annunciano le pagine sgualcite. 1 “si dice” prendonoil posto dei suoi giochi, delle sue imitazioni. Si dice che il divorzio dalla moglie sposata nel ‘63 e il conseguente allontanamento dai suoi due figli, sia per Noschese un brutto colpo, che lo affonda sempre più nella depressione. Si dice sia un male forse covato da sempre, come l’ombra della sua geniale capacità di rifugiarsi nelle maschere che rappresenta. Negli anni seguenti partecipò ad alcune trasmissioni sulle neonate televisioni private, sì dice che nulla fu più come prima. Anche la Storia d’Italia, che virava rapidamente al cupo clima degli anni di piombo, contribuì a gelare il fuoco del suo entusiasmo. L’ultimo programma televisivo a cui partecipò, Ma che sera condotto da Raffaella Carrà nel 1978, e che avrebbe dovuto segnare il suo rientro dopo quattro annidi silenzio, andò in onda proprio durante i giorni del rapimento di Aldo Moro, in un’atmosfera che non disponeva certo al sorriso e alla satira politica. : Ora il televisore tace. Il rumore grigio delle trasmissioni interrotte è l’unico suono che accompagna la notizia del 12 novembre 1979: Alighiero Noschese decide di sospendere le prove de L’inferno può attendere, spettacolo teatrale che preparava con Maria Rosaria Omaggio, e si fa ricoverare per curare la sua malinconia. Ora il tenero sorriso dell’imitatore è pallido e sfumato. Il lucente bianco e nerodi tanti varietà s’è fuso in un grigio che deborda e lo ingloba, trascinandola sua favola verso un tragico e assurdo epilogo. L’assurdo, quando irrompe in una storia è disarmante, perché si nutre di normalità, non permette alcuna plausibile spiegazione, eppure sì manifesta in modo così significativo, da rendere impossibile il tacere. Così gli eventi divengono mistero. Mistero, parola cara all’iniziato… e torbida per il profano.
Il mistero di Noschese.
Un colpo di pistola alla tempia mentre era ricoverato a Villa Stuart, clinica privata romana. Ma come mai era armato? Chi ha permesso a un ricoverato con esaurimento nervoso e crisi depressive di tenere un’arma? Fu imperdonabile cialtroneria, negligenza o malafede? Qui il mistero sublima in italica confusione e mescola l’appartenenza alla Massoneria del Cavaliere Kadosh del Rito Scozzese (iscritto dapprima alla fratellanza di Piazza del Gesù, poi lasciata per entrare nel Grande Oriente d’Italia, prima di finire nella P2 di Gelli), con la patologia e con la presenza nellastessa clinica, nello stesso giorno, di Giulio Andreotti, ricoverato per una operazione alla cistifellea e di Mariolina Cannuli, la tanto imitata annunciatrice… 1979, nel pieno degli anni di piombo, gli umori del piombo avvelenano ogni cosa. Un generale dichiara alla rivista l’Espresso che “per i depistaggi sulle stragi della prima metà degli anni ’70, si era fatto ricorso anche a telefonate affidate ad’un abile imitatore, abile anche nei dialetti…” La favola si ammala di deviazione, per un contagio cui nonresta immune la Storia di cui è parte, coi suoi servizi deviati, la sua massoneria deviata… La speranza è che ogni cellula ammalata sia già parte di un sistema attivatosi a produrre i suoi anticorpi. Ma tutte le supposizioni, essendo solo supposizioni, offendono la memoria di chi fu e l’intelligenza di chi resta. Ciò che dolorosamente resta è che la mattina del 3 dicembre il revolver personale ferma, a soli 47 anni, la vita del Fratello Alighiero Noschese. Un colpo alla tempia nella cappella del giardino della clinica romana. La salma viene poi trasportata e tumulata, come da sua volontà, nel cimitero di San Giorgio a Cremano, ove riposa tuttora, nel luogo incui, durante i difficili pe- riodi di depressione, amava ritirarsi in meditazione presso un istituto religioso. “E se fosse davvero diventato un così abileimitatore solo per colmare un vuoto interiore sconosciuto? Di fronte al mistero di un uomo che si toglie la vita bisognerebbe tacere…”, dirà Enzo Biagi. Resto un poco in silenzio. Con un piccolo sforzo una melodia semplice e vivace si avvicina e rimbalza nell’orecchio interno con la voce di Noschese. Quella voce, tutt’altro che una schifezza, ora intona: “Ma che sera questa sera… ci vediamo un’altra sera. Questa sera, buona sera… Alighiero vi salutae se ne va”, La porta discretamente si richiude. Nel silenzio del Tempio Interiore ora lo vedo con chiarezza, ciò che resta di quell’uomo: èun semplice, candido e luminoso sorriso.