IL NOME

Il filosofo legge ancora parole, noi moderni pensieri. F. Nietzsche

(…) lo sviluppo della scienza moderna occidentale è stato basato su due grandi conquiste, l’invenzione del sistema logico formale dai filosofi greci […] Albert Einstein

Abbiamo un’idea di che cosa sarebbe il mondo, di cosa saremmo noi esseri umani se non esistessero i nomi, se non ci potessimo chiamare per nome, se non potessimo chiamare le cose, i pensieri con un nome,il loro nome? La domanda è pleonastica, solo provocatoria. È oltremodo evidente che l’uomo non ha mai potuto né potrà mai fare a meno di dare un nome a tutte le realtà che lo circondano. E questo nome l’uomo, nella sua storia millenaria, l’ha dato in diversi modi, iniziando con qualcosa poco più di un grugnito, per terminare con i segni dell’alfabeto, la base sulla quale poggia la sua più evoluta e grande forma di espressione: la scrittura, La scrittura, sia detto per completezza, è nata per diversi motivi, sui quali gli esperti hanno molto dibattuto. Senza, però, entrare troppo nello specifico, possiamo senz’altro dire che hanno concorso alla nascita della scrittura più moventi: di carattere estetico (spirito artistico), di carattere magico (tanto il primitivo dell’antichità quanto il selvaggio attuale identifica l’oggetto con la sua immagine, credendo di poter influire sulla cosa rappresentata o impedire malefizi o allontanare il pericolo che ne può derivare), oppure di carattere pratico, come quello mnemonico (nel contare e nella vita commerciale, nella vita giuridica o religiosa), o quello di tutelare i propri averi e di esternare il pensiero. Nell’antichità, in particolare nel vicino Oriente, il pensiero venne fissato con dei segni. Il segno, il nome, fu creato, con caratteri inizialmente ideografici (pittografici, ma non solo), per rappresentare intimamente la realtà enunciata, l’oggetto nella proposizione. In ciò furono maestri i Sumeri1) (dalla fine del IV° millennio a.C.) e, dopo pochi secoli, gli Accadi2); che sono stati la culla delle grandi civiltà, quando anche i segni del linguaggio parlavano, appunto, con la nuda realtà delle cose, liberi da ogni forma di stilizzazione è convenzione, proprie della odierna civiltà occidentale, ma non solo. Una piccola annotazione semantica sulle parole segno e nome: della parola greca offua (séma, “segno”) si è discusso molto, ma per Semerano3) sarebbe più convincente l’ipotesi che essa derivi da una base semitica riconducibile all’ebraico sem (“nome, segno”), accadico Sumu, aramaico sema, arabo ism “nome”.4) Allo stesso modo,le origini della parola latina nomen, dal greco ovoya (onoma)5) sarebbero da riconnettersi, sempre secondo Semerano, “alla forma remota di accadico nabùm (dare un nome).6)  Un tempo,il segno, il nome, è stato carico di significati, anche magici, scaramantici, e con gravi riflessi psichici, oppure che riflettevano semplicemente le credenze, i valori, le speranze, i sogni dei genitori nei confronti dei figli (la Bibbia e la mitologia greca sono zeppe di esempi). Ve ne furono alcuni con una funzione plasmatrice, di creazione del mondo. Un primo esempio lo troviamo nel Genesi (1, 5):

Dio vide che la luce era cosa buona

 e separò la luce dalle tenebre

e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. […]

Dio chiamò il firmamento cielo.

 Un altro esempio lo rinveniamo nel bellissimo poema cosmogonico babilonese, probabilmente di epoca anteriore all’opera precedente, Enuma Elis7)  (Quando in alto) che parla della creazione: 

Quando in alto non era nominato il cielo

in basso la terraferma nome non aveva,

Apsu, il primordiale, il genitore di loro,

e Tiamat, la genitrice di tutti loro,

le loro acque insieme mescolavano,

e arbusti non s’intrecciavano

canneti non si vedevano,

quando degli dei non esisteva alcuno,

con nomi non erano chiamati,

i destini non erano fissati,

allora furono procreati gli dei in mezzo a loro:

Lahmu e Lahamu vennero all’esistenza,

con un nome furon chiamati […]

 Parla della potenza del nome anche la cosmogonia indiana (Brhad-Aranyaka-Upanisad,8) 1 lettura, brahmana 4):

All’origine c’era solo lo Atman sotto forma di Purusa.

Purusa si guardò attorno e null’altro vide al di fuori di sé.

“Io sono colui che è” disse: e quello fu il suo nome,

Ma poi ebbe paura, come accade a chi è solo.

Rifletté: “Di che debbo temere, se nulla esiste al di fuori di me?” Perché si ha timore soltanto di un altro

Tuttavia non provava piacere nella sua solitudine;

e, poiché si estendeva quanto un uomo e una donna abbracciati

divise se stesso in due parti, maschio e femmina.

Così il vuoto fu colmato dalla donna.

Stringendola in un amplesso,

Purusa generò la stirpe umana. […]

Tutto il mondo non era ancora” manifesto:

egli lo rese manifesto con il nome e con la forma dicendo:

“Questo così si chiama, questa ha tale forma”

 Possiamo ora dire di quale altra funzione ebbe il nome nell’antichità, funzione che potremmo definire essenziale, esistenziale. Il concetto è questo: Dio esiste (lo conosciamo) tramite o grazie al suo nome, nel senso che sostanzialmente Dio esiste in noi, cioè lo conosciamo perché lo possiamo chiamare con il suo nome, e questo pur condividendo la tesi di chi sostiene che conosciamo Dio (che siamo consapevoli di Dio) con la semplice intuizione. ’ La Bibbia conferma l’assunto della funzione esistenziale del nome. Infatti in essa, e in generale in tutte le scritture ebraiche, ricorrono innumerevoli volte le quattro lettere del Nome di Dio (nella traslitterazione latina: Y-H-W-H o J-H-W-H) ed è detto che il primo essere umano a venirne a conoscenza direttamente è stato Mosè. Nell’Esodo (versi: 6, 2-3), infatti, è scritto:

“Dio parlò a Mosè e gli disse:

“lo sono YHWH. Sono apparso

ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe

come Dio Onnipotente, ma con il mio nome di YHWH

non mi sono manifestato a loro.

Del resto il nome rappresentato dal tetragramma è da sempre troppo sacro per gli Ebrei per essere, tranne che in casi eccezionali, pronunciato; nella lettura della Bibbia e nelle preghiere esso è sostituito, per tradizione millenaria, da altre parole, delle quali la più usata è “Ha-Shem”, che significa Il Nome. La cosa è tanto più significativa in quanto She è il nome di uno dei tre figli di Noè e, secondo la base ebraica di cui è detto più sopra, i Semiti, e gli Ebrei in particolare, sono gli unici a potersi definire Popoli che hanno un nome. Da rimarcare che le consonanti di HaÉeM (H-8-M) sono le medesime del nome di Mosè (M-$-H). A quanto afferma la Cabala ebraica9) (o Qabbalàh o Kabbalah o Cabalà o Cabbala), tutti gli insegnamenti della Torah sono contenuti nelle quattro lettere del Nome santo, lettere grazie alle quali  è avvenuta la creazione del mondo. Di più: l’intera Torah contiene 1820 volte il nome di Dio, pari a 70 volte 26; e 26 è il valore numerico del Nome: Y(10) – H(5) – V(6) – H(5), mentre 70 è il valore della parola Sod, segreto, quindi l’intera Torah costituisce il “Segreto del Nome”. Rimanendo in ambito cabalistico, bisogna dire che dal nome di Dio (Yod – He -Vav – He) derivano, fra l’altro, le sei dimensioni spaziali 10) rappresentate dalle ultime 6 Sephirot del primo blocco di 10 (in totale sono 32) che costituisce una parte dei misteriosi sentieri di saggezza con cui Dio ha scolpito e creato il mondo così come contenuto nel Sefer Yetzirah (il Libro della Formazione), base, appunto, della Cabala. Sin qui ho detto brevemente del nome, delle sue origini e di alcune sue funzioni, del suo significato più profondo e più vero, riferendomi ad un periodo lontano in cui – esisteva un rapporto strettissimo, biunivoco, tra il nome e l’oggetto/concetto dallo stesso rappresentato, Ma quel rapporto stretto tra nome e oggetto rappresentato è andato, per molteplici ragioni, via via alterandosi sino a perdersi definitivamente, Questo processo è iniziato grossomodo nel periodo classico ellenico. Del resto quel periodo fu caratterizzato da menti indubbiamente eccelse ma è pur vero che erano già gli epigoni di Omero 11) , di Talete, Anassimandro e Anassimene 12) , i quali ancora conoscevano i veri, antichi significati dei nomi, ereditati soprattutto dalle antiche culture mesopotamiche ed egiziane.  Nel mondo classico greco avvennero due fatti straordinari, fatti che si innestavano in un ambiente che registrava una lunga diatriba: se il linguaggio, i nomi fossero un prodotto esclusivamente umano (ipotesi convenzionalista) o se dipendessero  dalla  natura e  quindi con origine nel suono e nell’etimo 13) delle parole (ipotesi naturalistica). Fra i tanti filosofi interessati si possono citare: Democrito (460-370 a.C.), Antistene (436-366 a.C), Aristotele (384-322 a.C.), Epicuro (341-270 a.C.) e altri ancora, ma soprattutto Platone (427-347 a.C.), il quale fece dire a Socrate nel Cratilo, per mettere in ridicolo il modo disinvolto”e facilone con cui alcuni contemporanei si dedicavano all’ipotesi naturalistica, che non era “da uomo assennato, dopo aver riposto fiducia in essi e in coloro che li hanno stabiliti, insistere che si sa qualcosa”. Platone propose una terza via rispetto a quella convenzionalista e naturalistica: quella della verità, perché solo la verità consente di distinguere i discorsi veri da quelli falsi; non solo: i nomi devono essere l’essenza delle cose: il nome è uno strumento per insegnare e per distinguere l’essenza. E per Platone i nomi che evocano l’essenza delle cose sono le idee, Le idee introducono un concetto nuovo, rivoluzionario che fa da ponte tra il nome e la cosa, che stabilisce un legame tra le idee e i nomi delle cose: è la creazione ufficiale del triangolo semiotico, che sarà sviluppato e che avrà ripercussioni fino ai giorni nostri. Due fatti straordinari dicevo:

1) l’affermazione dell’alfabeto, risultato di continue e progressive stilizzazioni;

2) e l’affermazione del ragionamento formale o meglio del pensiero formale, un principio rivoluzionario che costituirà un filo rosso che attraverserà tutta la storia della filosofia e della scienza nei successivi 2500 anni. Sul primo fatto bisogna dire che le origini dell’alfabeto risalivano al II millennio a.C. in tutto il Medio Oriente e che andavano di pari passo con l’abbandono della tradizione orale, ma fu solamente tra il VI . ed il V secolo a.C. che l’alfabeto per la; prima volta si collocò al centro di un processo di grandi mutamenti sotto i profili sociale, politico, economico e culturale, processo che creava la società di massa, la legislazione scritta, una intellettualità laica. Di più: in quel periodo la memoria del passato lentamente svaniva come base del sapere di fronte all’affermarsi della scrittura, la scuola si basava sul leggere e scrivere, cioè sul manipolare segni, la filosofia diventava dialettica e logica, in matematica era stato introdotto il metodo assiomatico deduttivo, il concetto di infinito, la dimostrazione per assurdo, il paradosso, il continuo e l’incommensurabile.

Sul secondo fatto, strettamente legato al primo, è doveroso spiegare che pensare formalmente significa effettuare ragionamenti intorno alla realtà (facendo calcoli, previsioni o scoperte), manipolando i segni del linguaggio, senza bisogno di una effettiva comprensione del significato dei segni stessi. Tutto ciò significa anche collocarsi in un mondo di strutture puramente sintattiche manipolabili ed attendersi l’ottenimento di conoscenze attorno alla realtà. Tale manipolazione non poteva che riguardare, ovviamente, i segni alfabetici, che nell’epoca della Grecia classica, come ho già ricordato, erano già stilizzati e già abbondantemente svuotati del significato originario. ° I fatti sopra esposti (affermazione dell’alfabeto, il conseguente distacco dalla tradizione orale e l’affermazione del pensiero formale) hanno sancito il passaggio da un periodo (quello pre-classico) in cui dominava un rapporto stretto tra il mondo reale (la cosa) e il mondo del linguaggio (il nome, il segno) (mondi esposti nel triangolo semiotico di Platone di cui più sopra) e in cui il segno/nome era simbolo e quindi qualcosa di non convenzionale e la cui interpretazione era sapienza, ad un periodo in cui il rapporto tra i due mondi era sintattico in quanto avente come centro l’alfabeto, manipolando i cui segni, si poteva modificare la realtà, Tutto questo, se da un lato ha contribuito alla corruzione ed alla perdita dei significati originali delle parole, significati sui quali da sempre i filologi si accapigliano, dall’altro ha costituito le fondamenta della scienza e della civiltà occidentale ed ha dato alla matematica i suoi caratteri essenziali, Nella nostra era, l’argomento dei nomi e della loro perdita di significato è stato trattato da menti grandissime; ne cito solo alcuni: il filosofo greco Sesto Empirico (180-220 d.C); Agostino (354-430 d.C.), il quale considerava  i nomi “l’aspetto fondamentale della lingua”; John Wilkins 14) (1614- 1672) intendeva fare con le parole ciò che Linneo15) realizzerà con le piante; scrisse che “se si apprendono i caratteri e i nomi delle cose si verrà istruiti anche sulla natura delle cose”: F. Nietzsche (1844-1900) diceva che “Il filosofo legge ancora parole, noi moderni pensieri”, con ciò intendendo che chi medita sulla vicenda dei nomi si sentirà oltremodo arricchito di valori; L. Wittgenstein 16) (1889- 1951): “perché il nome è il rappresentante dell’oggetto nella proposizione, [ne risulta che] la totalità delle proposizioni è la raffigurazione pittorica del mondo”. A proposito di Nietzsche mi pare interessante citare il suo contributo17) su una delle principali riflessioni di Anassimandro riguardante l’aneipov (apeiron) tradotta come infinito dai successori “eretici” di quell’antico filosofo, il cui pensiero era: ”L’uomo nasce dall’infinito e torna all’infinito”; ma la parola àpeiron andrebbe tradotta18) alla luce del semitico apar “polvere, terra”, dell’accadico eperu e più tardi dell’ebraico ‘aphar, entrambi con il significato di “polvere, fango”: pertanto la frase dovrebbe essere più correttamente intesa: “L’uomo è polvere e polvere tornerà”. Quanto, invece, al pensiero formale, il lessico filosofico della Grecia classica è durato sino al  Rinascimento, dopo il quale hanno trovato spazio altri lessici: algebrico, logico e computazionale. E questo grazie ad un ceto intellettuale multilingue in grado di concepire la creazione di nuovi linguaggi formali e generare una civiltà e una matematica universale. Il paradigma sintattico subisce una trasformazione: il mondo reale cessa di essere la realtà di tutti i giorni per diventare tecnologia industriale, laboratorio scientifico, e il linguaggio cessa di essere il latino scolastico per diventare il linguaggio dell’algebra e del calcolo. Il mondo mentale perde i caratteri platonici e aristotelici e diventa un regno di modelli meccanici. Nel XIX secolo proliferano le teorie prive di qualsiasi aggancio al reale, le teorie matematiche diventano sempre più lontane da qualsiasi tipo di lealtà empirica. Il triangolo semiotico di Platone , sul quale insisto per comprendere meglio la struttura  e l’evoluzione del pensiero formale,è stato sviluppato  ed arricchito di significati soprattutto grazie a Frege 19)  e a De Saussure 20), ed è diventato il seguente.  E veniamo al XX secolo, all’era moderna. Completata, credo si possa tranquillamente affermare, senza sforzo, la perdita di comprensione della natura delle cose attraverso i nomi, mi sembra di poter concludere che la scienza ci ha portati, forse definitivamente, al rigetto della mente: il triangolo semiotico si è ridotto alla coppia Interpretazione/Rappresentazione: il linguaggio rappresenta la realtà (le parole rappresentano l’oggetto) e la realtà può interpretare il linguaggio  (l’oggetto crea nuove parole), ma la realtà eil linguaggio sono due mondi molto diversi e quindi il pensiero formale non ha più nulla di logico né di naturale. D’altro canto, rappresentare, interpre- tare, codificare, digitalizzare, tutti ter- mini basilari del paradigma sintattico proprio del pensiero formale, sono parte del vivere quotidiano dei nostri tempi. Il computer ne è l’esempio più lampante, ma anche le carte di credito, i codici a barre, gli elettrodomestici e la codificazione del nostro DNA sono esempi del moderno pensare formalmente.


TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. PAOLO SITA .

NOTE

1 Non è ancora ben certo se il primato sia appannaggio dei Sumeri o piuttosto dei vicini abitanti dell’Elam o di quelli della bassa valle dell’Indo.

2 Furono così chiamate quelle popolazioni di origine semitica (non lo erano i Sumeri, le cui origini sono ancora sconosciute) che conversero nel III° millennio a.C. verso la fertile pianura del Tigri e dell’Eufrate, integrandosi con i pacifici Sumeri.

3 Semeran o, G. (2001) L’Infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco. A cura di Luca Sorbi, Milano, p. 184.

4 Si tenga altresì conto della più tradizionale e prudente posizione assunta da H. Frisk (Griechisches Etymologisches Wérterbuch, Heidelberg 1970, Band I1., pp. 695-696) che indica tutte le difficoltà emergenti dalle proposte etimologiche avanzate.

5 Anche in questo caso, la soluzione più tradizionale propone una normale derivazione di matrice indeuropea (da *nonm), per cui il tema greco si confronta, e.g., con lat. nomen, ved. nama-, etc; vedi Frisk, Griechisches Etymologisches Wérterbuch, Il., pp. 396-397.

6 Cfr, Semerano, ibidem.

7 Poema scritto in accadico, scoperto nel 1876 tra le tavolette di argilla della Biblioteca di Assurbanipal (669-629 a.C.), ma che risale più probabilmente al tempo delre di Babilonia Hammurabi (1792-1750 a.C.) o di Nabucodonosor 1(1124-1103 a.C.).

8 Le Upanisad (scr. upa-nisad– “sedersi vicino”) rappresentano la parte conclusiva dei Veda (scr. “conoscenza, saggezza”): la loro datazione risale ad un periodo compreso tra il 700 e 300 a.C., e trattano dell’origine e del destino dell’uomo, della ragione della sua esistenza, del fondamento dell’universo e della vita.

9 Deriva dall’agglutinazione di tre parole, tre archetipi: KA(F) (funzione penetrante), B(ET) (funzione contenitrice/recipiente), LA(MED) (funzione misurante); quindi significa grossomodo: “Introduzione della misura nel recipiente”, vale a dire “La Tradizione Divina”, L’archetipo indicail modo in cui dai simboli sono nati gli oggetti, dall’idea creatrice di Dio la realtà delle cose.

10 Tolta la He finale: altezza (Yod-He-Vav), profondità (Yod-Vav-He), sz oriente (He-Yod-Vav), L= occidente (He-Vav-He), meridione (Vav-Yod-He)e settentrione (Vav-He-Yod).

11 Incerto il periodo della sua esistenza; alcuni suppongono che si collochi nell’VIII secolo a.C.

12 Tutti e collochi nell’VIII secolo a.C. tre appartengono alla cosiddetta Scuola di Mileto: Talete (VIL-VI mandro (610-547 a.C.), Anassimene sec. a.C.), Anassi- (586-528 a.C.).

13 È interessante notare come la parola derivi dal tentico”. greco étymos, che significa “vero” o “autentico”

14 Crittografo e glottoteta inglese, protagonista nella ricerca scientifica a Oxford e Londra, creatore di una importante lingua artificiale.

15 Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi con la sua opera Philosophia botanica, Stockholm (R. Kiesewetter), Amsterdam (Z. Chatelain) 1751, ove espone (alla sezione 15) il principio fondamentale della distinzione tra Dispositio et denominatio.

16 Filosofo e logico austriaco; capitale il suo Tractatus logico-philosophicus (trad. di F. P. Ramsey e C. K. Ogden, London inglese a cura 1922).

17 La citazione è tratta dal. filologo Giovanni Semerano (1911-2005) nel suo L’Infinito: un equvoco millenario, Milano 2001

18 La traduzione è sempre peisti e dei di G. Semeranò. Si noti, però, che la maggioranza degli indeuro- grecisti mantiene la classica etimologia che fa risalire tale lezione al péras– “limite”, tema nominale preceduto dal prefisso negativo a-, quindi d-peiron.

19 Gottlob Frege (1848-1925): logico tedesco.

20 Ferdinand de Saussure (1857-1913): linguista svizzero. Egli modificò i vertici semiotici introducendo i concetti di significato, significante e riferimento.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. PAOLO SITA

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