da William Shakespeare, Giulio Cesare, atto III, scena II. In realtà il testo nell’edizione originale è inframezzato dalle reazioni degli ascoltatori
monologo di Marco Antonio
Ascoltatemi amici,
romani, concittadini…
Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.
Il male che l’uomo fa vive oltre di lui.
Il bene
sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare.
Il nobile
Bruto vi ha detto che
Cesare era ambizioso. Grave colpa se ciò fosse vero e Cesare con grave pena
l’avrebbe scontata.
Ora io con il consenso di Bruto e degli
altri, poiché Bruto è uomo d’onore,
e anche gli altri, tutti, tutti uomini d’onore…
Io vengo a parlarvi di Cesare morto.
Era mio amico. Fedele giusto con me… anche se Bruto afferma che era ambizioso e
Bruto è uomo d’onore.
Si è vero. Sul pianto dei miseri Cesare
lacrimava.
Un ambizioso dovrebbe avere scorza più dura di
questa.
E tuttavia
sostiene Bruto che egli era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
Si è anche vero che tutti voi mi avete visto
alle feste dei Lupercali tre volte offrire a Cesare la corona di Re e Cesare tre volte rifiutarla. Era ambizione la
sua?
E tuttavia è Bruto ad
affermare che egli era ambizioso e Bruto, voi lo sapete, è uomo d’onore.
Io non vengo qui a smentire
Bruto ma soltanto a riferirvi quello che io so.
Tutti voi
amaste Cesare un tempo, non senza causa. Quale causa vi vieta oggi di
piangerlo? Perché o Senno
fuggi dagli uomini per rifugiarti tra le belve brute.
Perdonatemi amici, il mio cuore giace con
Cesare in questa bara. Devo aspettare che esso torni a me.
Soltanto
fino a ieri la parola di Cesare scuoteva il mondo e ora giace qui in questa
bara e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il rispetto,
signori.
Signori, se io venissi qui per scuotere il
vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Bruto, torto a Cassio, uomini
d’onore, come sapete.
No, no. Non farò loro un tal torto. Oh…
preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini d’onore quali essi sono.
E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una
pergamena con il sigillo di Cesare, il suo testamento.
Ebbene se il popolo conoscesse questo
testamento, che io non posso farvi leggere perdonatemi, il popolo si getterebbe
sulle ferite di Cesare per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro
sangue, no…
No, amici no, voi non siete pietra né legno,
ma uomini.
Meglio per
voi ignorare, ignorare… che
Cesare vi aveva fatto suoi eredi.
Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste?
Dovrei… dovrei
dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare?E allora qui tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a
versarle.
Tutti voi conoscete questo mantello. Io
ricordo la prima sera che Cesare lo indossò. Era una sera d’estate, nella sua
tenda, dopo la vittoria sui Nervii.
Ebbene qui, ecco.. Qui si è aperta la strada
il pugnale di Cassio.
Qui la rabbia di Casca.
Qui pugnalò Bruto, il beneamato.
E quando Bruto estrasse il suo coltello
maledetto il sangue di Cesare lo inseguì vedete, si affacciò fin sull’uscio
come per sincerarsi che proprio lui, Bruto avesse così brutalmente bussato alla
sua porta.
Bruto,
l’angelo di Cesare.
Fu allora
che il potente cuore si spezzò e con il volto coperto dal mantello, il grande
Cesare cadde.
Quale caduta concittadini, tutti… io, voi, tutti cademmo in quel momento
mentre sangue e tradimento fiorivano su di noi.
Che… ah… adesso piangete?
Senza aver visto che le ferite del suo
mantello…?
Guardate qui, Cesare stesso lacerato dai
traditori…
No… no,
amici no, dolci amici… Buoni amici… Nooo… non fate che sia io a sollevarvi in
questa tempesta di ribellione.
Uomini d’onore sono coloro
che hanno lacerato Cesare e io non sono l’oratore che è Bruto ma un uomo che
amava il suo amico,
e che vi parla semplice e schietto di ciò che voi stessi vedete e che di per sé
stesso parla.
Le ferite, le ferite… del dolce Cesare… Povere
bocche mute…
Perché se io fossi Bruto e Bruto Antonio, qui
ora ci sarebbe un Antonio che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna
delle ferite di Cesare donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le
pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi