Solstizio d’Estate
Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,
il 24 giugno, mentre il sole entra nel segno del Cancro, domicilio della luna, il tempo di illuminazione della terra, sull’emisfero settentrionale è massimo. A memoria d’uomo questa nozione è sempre stata chiarissima, come pure le sue conseguenze: per un verso la festa della luce al suo massimo splendore, per l’altro l’inizio di una riduzione progressiva dell’illuminazione solare, che raggiungerà il suo minimo sei mesi dopo, al solstizio d’inverno. Migliaia di fuochi si accendono nella notte tra il 23 e il 24 giugno in ogni parte d’Europa e ad essi moltissimi uomini portano 1l loro senso di.festa e il loro timore per lo spegnimento progressivo che sta per iniziare. La tradizione; celtica, a noi molto vicina, vuole che si inizi piantando per terra un albero (forse quello stesso che era stato ritualmente utilizzato il primo di maggio)che rappresenta l’asse del mondo che gira attorno al sole. Accanto all’albero venivano piantati dei grossi rami provenienti da sette alberi sacri: la quercia, il faggio, il pino, l’olmo, il frassino, l’acacia e il pioppo; la preparazione del rogo veniva completata con un cerchio di nove pietre, chiamato “Kelc’h an tan”, il cerchio di fuoco. Il rogo veniva acceso in nove punti diversi, cominciando dall’est, direzione del sole che sorge. Appena si levavano le fiamme dei giovani, armati di torce, alternandosi con delle ragazze con in mano un ramo fiorito, sfilavano davanti al fuoco facendo tre volte nove giri, nel senso della rotazione della terra attorno al sole. Alla fine del girotondo i ragazzi saltavano per tre volte il fuoco poi facevano dondolare le ragazze accanto ad esso per nove volte, tante quanti sono i mesi nei quali il bambino è portato nel ventre della madre, tanti quanti sono i mesi che impiega il grano tra la semina e il raccolto. È interessante notare che, alla fine, tutti si lavavano il viso con la rugiada del mattino, per purificarsi e preservarsi dai malefici durante l’anno; nelle campagne si procedeva infine alla raccolta dei frutti ed erbe medicinali, particolarmente quelli destinati alla preparazione di essenze (in Italia per fare il liquore Nocino occorre raccogliere le noci verdi con il mallo, la notte di San Giovanni). La Chiesa Cattolica ha fissato, nei due solstizi, le feste di San Giovanni Battista, in quello d’estate, e di San Giovanni Evangelista, in quello d’inverno. Giovanni, Joan, Jean, Iohannes: la radice del nome è quella stessa iov che in greco vuol dire violetta; è anche il colore di uno degli estremi dello spettro visibile dall’occhio umano, mentre alle particelle più piccole conosciute dalla chimica si da il nome di “ioni”. Il concetto fisico di LUCE appare così indissolubilmente legato al nome di Giovanni e alle sue due celebrazioni durante l’anno, così come il numero due: due sono i Giovanni così i poli celesti che l’albero-asse del mondo vuole unire; due sono i solstizi come due i luminari, il sole e la luna: in una regione intera della Francia la festa del solstizio d’estate si chiama “Lunade” e si celebra con una processione al chiaro di luna,
a piedi nudi, seguendo un percorso a forma di falce di luna. In molti templi, non solo Cristiani, ai due luminari corrispondono due colonne o due campanili, come avviene in quelli egizi o in quello di Salomone o nelle cattedrali gotiche. D’altra parte alla medesima radice fonetica è facilmente riconducibile il latino lanus, che con la sua rappresentazione bifronte, vede il passato e l’avvenire e rappresenta i due aspetti sempre presenti in qualunque fatto umano: non a caso il San Giovanni d’estate era anche “il San Giovanni che piange” per l’inizio della fase calante della luce, mentre il San Giovanni d’inverno era “il San Giovanni che ride” per l’opposto motivo: al primo il compito di “battezzare con l’acqua”, “di spianare i sentieri di Cristo”, al secondo quello di annunciare il fuoco dell’Apocalisse e di essere presente alla trasfigurazione di Cristo. Se l’acqua del battesimo fissa l’attenzione sulla superficie orizzontale, sul passivo, sul senso di attesa, ciò che avviene attraverso di essa è in realtà una “purificazione” – rendere Igneo – e se qualcuno lo dimenticasse, una voce di tuono lo annuncia dal cielo. E il fuoco, assai più che l’acqua, è l’elemento, legato a Giovanni e contemporaneamente il simbolo e l’insegnamento: si brucia un albero perché, ;in tal modo, in tre mondi, sotterraneo delle radici, aereo del tronco e celeste dei ramj e delle foglie, diventano uno solo: LA LUCE RITORNA LUCE. Ma anche gli elementi, l’acqua della linfa, terra del legno, aria delle foglie e fuoco contenuto, che scaturisce sfregando violentemente due rametti, diventano uno solo: LA LUCE DIVENTA LUCE L’immagine dell’albero cosmico, o Albero della Vita, appartiene ad un gruppo coerente di immagini, simboli e miti, il cui insieme costituisce ciò che gli storici della religione, ed in particolare Mircea Eliade, hanno chiamato il SIMBOLISMO DEL CENTRO: la ricerca che ha sempre ossessionato l’uomo, la ricerca delle origini, dell’inizio assoluto, del Principio da cui il Dio delle diverse religioni ha creato tutto. Tra le rappresentazioni mitiche, ricorrenti, del centro, a tutte le latitudini, c’è l’asse verticale, l’asse del mondo che si drizza al centro dell’Universo e attraversa le tre regioni cosmiche, il cielo, la terra e il mondo sotterraneo; la sua estremità è di solito fissata nella stella polare o nel sole, attorno al quale ruotano tutti i corpi celesti. La nozione di asse del mondo si incarna in tre immagini che assumono forme diverse nelle varie regioni geografiche: albero, montagna, colonna. Così le Ziggurat (Egitto, Mesopotamia, Messico) così la Stupa buddhista null’altro sono se non la rappresentazione della montagna originale a base cubica, e vetta sferica, sulla cima della quale si drizza l’albero cosmico: né differisce il simbolo di molte nostre chiese, delle epoche più diverse, dove una cupola sferica sovrasta il cubo di incrocio tra la navata principale e il transetto, mentre sul colmo della sfera si eleva una freccia, talora un gallo segnavento che ci ricorda che, comunque spiri il vento, non muta la posizione del vertice posto nel sole di cui il gallo è allegoria comune. L’albero di San Giovanni è eretto su un mucchio di legna che, oltreché essere composto dalle sette essenze sacre, ha anche una base cubica sormontata sa una copertura, sempre in legna da ardere, a forma semisferica. Il rogo viene acceso e così si compie il ricordo di un duplice sacrificio: quello del Fiat-lux iniziale, e quello avvenuto molti anni più tardi, quando su un colle a forma semisferica, il Golgota, si innalzò un
altro Albero, a forma di Croce, perché, a redenzione del mondo, ancora una volta l’asse cosmico fosse percorso dal fuoco e dalla luce, immolando quel Verbo origine che è anche “lumen de lumine”: era anche l’unico modo per ritrovare la parola perduta e per insegnare all’uomodi ricerca come ritrovarla a sua volta. Fu appunto l’imposizione del nome di Giovanni a suo figlio che permise a Zaccaria di ritrovare la parola.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. F. CInn,