Covid, l’occasione per ripensarci
Pubblicazione: 06.11.2020 – Matilde Leonardi
Il tempo del Covid è e deve essere Kairos, un tempo non vuoto, un’opportunità di incontrare l’aldilà del tempo, nel nostro tempo
Sembra tanto tempo fa ma è solo dagli inizi di marzo 2020 che l’Oms ha dichiarato che il mondo ha una pandemia in corso. Già da inizio febbraio, però, i miei amici di Pechino hanno chiuso il loro centro di riabilitazione pediatrica e tutti i loro bambini disabili sono a casa. Mi hanno chiamata dicendo che devono riorganizzare tutto, ma non sanno come fare che la gente deve stare a casa, c’è il coprifuoco, le famiglie sono tutte spaventate. “È un coronavirus, ti ricordi la Sars del 2003? Qui dopo quella epidemia dicono di essere preparati, ma sembra diverso, più grave. Non ci sono molte notizie, ma i nostri amici di Taiwan dicono che è grave, che i cinesi non stanno dicendo tutto. Tutti gli operatori del centro si sono organizzati per seguire da remoto, con un approccio la teleriabilitazione, i bambini, ogni operatore ha un numero di famiglie e spiega ai genitori cosa fare e poi controlla con videochiamate come va e cosa fanno”.
Non capisco ancora la gravità, penso che sia una delle solite epidemie che colpiscono paesi lontani, scemano e restano nei libri di infettivologia, come l’ebola, che noi europei guardiamo come un fenomeno distante. Ma questo Covid-19 è diverso, ce ne rendiamo conto presto, il 20 febbraio esce il primo articolo in cui un collega cinese descrive sintomi neurologici da coronavirus. Ricordo di aver chiamato subito la responsabile della Brain Unit all’Oms e da allora non ho più smesso di sentirla ogni settimana.
A Brescia una settimana dopo la dichiarazione dell’epidemia nasce la prima Neurocovid Unit del mondo, guidata dal prof Padovani. Arrivano pazienti che presentano complicazioni neurologiche da Covid o che hanno sintomi neurologici come prima manifestazione di Covid, Le immagini dei camion militari che il 18 marzo a Bergamo portano via le vittime del virus fanno il giro del mondo L’Oms stabilisce una Neurocovid task force, di cui faccio parte, per monitorare la situazione e le complicanze da Covid. Cominciano a essere pubblicati altri dati cinesi, ma l’Italia di fatto è il primo Paese che vive la tragedia dell’epidemia e i nostri medici bravissimi capiscono cose fondamentali che i cinesi non ci ha detto: mettere i pazienti in rianimazione supini, dare subito eparina.
Io in comando a Brescia per supporto alla ricerca ascolto quello che i colleghi in prima linea dicono sulla gestione di questa onda. Di giorno raccolgo e leggo dati, parlo con l’Oms per capire come usare le informazioni e poi quando comincia la notte chiamo i miei amici e colleghi da ogni parte del mondo pronti a recepire tutte le informazioni utili e in attesa dell’onda. Le sirene erano nelle mie notti bresciane l’unico rumore che rompeva il silenzio fuori mentre facevo le chiamate. Morti, tantissimi morti soprattutto anziani, e migliaia di persone infette.
Man mano che passavano i giorni le immagini delle rianimazioni che si cominciavano a riempire anche nei Paesi vicini si ricorrevano sugli schermi. Uomini sofferenti, stesi in letti con ventilatore e mascherina. Tutti uguali, tutti indistinguibili. Mi sono venute in mente le parole della scrittrice Etty Hillesum nell’ultima delle sue lettere del dicembre 1942, quando descrive le persone nel campo di segregazione di Westerbork in Olanda, dove venivano ammassati gli ebrei prima di essere mandati nei campi di concentramento.
Etty scrive: “Tutta l’Europa sta diventando pian piano un unico, grande campo di prigionia. Tutta l’Europa finirà per disporre di simili, amare esperienze. Sarà monotono se noi ci riferiremo scambievolmente i fatti nudi e crudi – le famiglie lacerate, le proprietà sottratte, le libertà perdute. (…) Su quell’arido pezzo di brughiera di cinquecento per seicento metri naufragano anche diversi protagonisti della vita culturale e politica delle grandi città. Tutte le scene che li circondavano sono state bruscamente abbattute con un solo colpo potente, ed essi stanno ancora un po’ tremanti e spaesati su quel palcoscenico aperto e pieno di correnti d’aria che si chiama Westerbork. Intorno a quelle figure sradicate dal loro contesto si può ancora respirare l’atmosfera di una vita irrequieta, e di una società più complicata di quella del campo. Essi vanno lungo il sottile filo spinato, le loro sagome in grandezza naturale scorrono indifese sulla grande distesa del ciclo. Bisogna averli visti camminare laggiù… La loro ben forgiata armatura di posizione, reputazione e proprietà s’è sfasciata, e ora essi sono rivestiti soltanto dell’ultima camicia della loro umanità. Si trovano in uno spazio vuoto, delimitato da ciclo e terra, dovranno riempirlo da soli con le loro potenzialità interiori – là fuori non c’è più niente. Ora ci si avvede che nella vita non basta essere un abile politico o un artista di talento, la vita richiede tutt’altre cose nella miseria estrema. Sì, è vero, siamo messi alla prova nei nostri fondamentali valori umani. (E. Hillesum, Lettera a due sorelle dell’Aia, Amsterdam, dicembre 1942 in Lettere 1942-1943, Adelphi edizioni).
In questa nostra prova mondiale, diversa perché causata da un virus e non dall’uomo, gioca un ruolo essenziale l’organizzazione dei servizi. Questa pandemia ha messo alla prova la politica perché di fatto ha svelato come e se i servizi sanitari e la cultura di un Paese sono in grado di affrontare una tale emergenza e su quali valori si basa la politica. EFNA, la federazione dei pazienti neurologici europei, già in aprile aveva fatto un comunicato stampa a nome di milioni di pazienti neurologici che erano terrorizzati di poter essere discriminati nei pronti soccorso a causa delle loro diagnosi neurologiche. Il 7 aprile, giornata mondiale di sensibilizzazione per l’autismo, la presidente americana delle famiglie, madre di un ragazzino affetto, scrive che questa giornata mondiale del 2020 verrà ricordata come la “giornata mondiale della discriminazione contro chi è affetto da autismo” poiché se suo figlio andasse in un PS americano in diversi stati troverebbe un’ordinanza in cui, a prescindere dalla gravità della situazione clinica, gli può essere negato il ventilatore a favore di un altro paziente senza alcuna diagnosi pregressa.
Questo terrore di selezione, che scorre come un fiume rumoroso sotto le parole dei notiziari, pervade anziani, malati, persone con disabilità, famiglie. Si può essere discriminati non perché si è troppo gravi per Covid, ma perché non ci sono mezzi e i servizi sanitari per tutti e si privilegiano i più giovani e sani a priori? I sistemi sanitari si stanno confrontando con una domanda molto complessa generata dall’epidemia Covid-19. Mantenere la fiducia della popolazione nella capacità del sistema sanitario di soddisfare in modo sicuro i bisogni essenziali e di controllare il rischio di infezione nelle strutture sanitarie è la chiave per garantire comportamenti e aderenza adeguati per la salute pubblica.
Oltre agli immediati studi sui sintomi e sulle possibili vaccinazioni sono fondamentali le informazioni sui servizi e sulla loro tenuta. A fine marzo l’Oms pubblica la “Guida operativa per il mantenimento dei servizi sanitari essenziali durante l’epidemia Covid-19” (WHO 25 marzo 2020) che verrà aggiornata e integrata a giugno (WHO 1 giugno 2020), e in cui vengono fornite indicazioni su una serie di azioni immediate mirate che i Paesi dovrebbero prendere in considerazione a livello nazionale, regionale e locale per riorganizzare e mantenere l’accesso a servizi essenziali sanitari di alta qualità per tutti. Un sistema sanitario ben organizzato e preparato, infatti, ha la capacità di mantenere equamente accessibili i servizi essenziali durante un’emergenza, limitando la mortalità diretta ed evitando un aumento di mortalità indiretta. Quando i sistemi sanitari sono sopraffatti, sia la mortalità diretta per epidemia, sia la mortalità indiretta dalle condizioni prevenibili con il vaccino e curabili aumentano notevolmente. L’analisi sull’epidemia dell’Ebola 2014-2015 suggerisce che l’aumento del numero di decessi causati da morbillo, malaria, HIV/AIDS e da tubercolosi attribuibile a guasti del sistema sanitario ha superato le morti per Ebola. (Elston, J. W. T., Cartwright, C., Ndumbi, P., & Wright, J. (2017). The health impact of the 2014–15 Ebola outbreak. Public Health, 143, 60-70; Parpia, A. S., Ndeffo-Mbah, M. L., Wenzel, N. S., & Galvani, A. P. (2016). Effects of response to 2014–2015 Ebola outbreak on deaths from malaria, HIV/AIDS, and tuberculosis, West Africa. Emerging infectious diseases, 22(3), 433)
La capacità di un sistema di mantenere la fornitura di servizi sanitari essenziali dipende dalla sua capacità di base e dal carico di malattia, e dal contesto di trasmissione Covid-19. L’Oms, così come molte società scientifiche nazionali e internazionali, fa partire diverse survey sull’erogazione dei servizi, per gli effetti sugli anziani nelle lungodegenze (WHO Preventing and managing covid 19 across Long term care services, luglio 2020), per gli effetti sui pazienti con malattie croniche (giugno 2020 in 155 Paesi) una survey su 156 paesi (Pulse survey on continuity of essential health services during covid 19 agosto 2020) da cui emerge che il 90% dei Paesi riporta una disgregazione e un forte impatto su tutti i servizi essenziali, il 76% dei Paesi ha ridotto o cancellato le visite per pazienti ambulatoriali per altre patologia, il 66% ha cancellato interventi chirurgici o le visite non urgenti (elettive), il 40% ha dovuto convertire lo staff medico da altre discipline a reparti Covid.
Ai primi di ottobre è uscito il report su 133 Paesi dell’impatto Covid sui servizi essenziali di salute mentale, neurologia e abuso di sostanze. In 130 Paesi è emerso che i bambini e gli anziani con malattie neurologiche e mentali sono quelli che maggiormente hanno risentito dell’interruzione dei servizi (in circa il 70% dei Paesi), della mancata distribuzione dei farmaci, per non parlare dell’interruzione dei servizi diagnostici e neurochirurgici in oltre il 65% dei Paesi. In tutte le surveys Oms circa il 70% dei Paesi dice che per mitigare l’effetto della interruzione dei servizi essenziali han fatto ricorso alla telemedicina, ma in questa risposta, tutta da valutare nella sua declinazione, si rileva anche un grande gap tra Paesi ricchi e Paesi poveri dove la carenza infrastrutturale pregressa e presente nelle comunicazioni pesa grandemente. È chiaro quindi che i Paesi dovranno prendere decisioni difficili per bilanciare le richieste di risposta diretta a Covid-19, impegnandosi contemporaneamente nella pianificazione strategica e nell’azione coordinata per mantenere i servizi essenziali per la salute, contrastando il rischio di collasso del sistema.
Credo quindi che si debba considerare questa pandemia come un’occasione per ripensare il nostro tempo. Per indicare il tempo i greci utilizzavano due concetti Kronos e Kairos. Kronos indica il tempo nelle sue dimensioni di passato presente e futuro, lo scorrere delle ore, è dunque un tempo cronologico, quantificabile e dunque misurabile, è tempo che ci scivola addosso, inesorabile, senza sorprese. Kairos è il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio. Kairos è il tempo nuovo, è un tempo non vuoto, un’opportunità di incontrare l’aldilà del tempo, nel nostro tempo. Il tempo del Covid è e deve essere Kairos, non solo per ripensare al nostro mondo, alle nostre organizzazioni sociosanitarie ma anche e soprattutto per decodificare il tempo della nostra esistenza,
Continua Etty Hillesum nella sua lettera che ci parla come fosse stata scritta oggi per noi:
“Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione -, allora non basterà. Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenze dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato, e congiungersi con quelle che là fuori ci si deve ora conquistare con altrettanta pena, e in circostanze che diventano quasi altrettanto difficili. E forse allora, sulla base di una comune e onesta ricerca di chiarezza su questi oscuri avvenimenti, la vita sbandata potrà di nuovo fare un cauto passo avanti. Per questo mi sembrava così pericoloso sentir ripetere: «Non vogliamo pensare, non vogliamo sentire, la cosa migliore è diventare insensibili a tutta questa miseria». Come se il dolore – in qualunque forma ci tocchi incontrarlo – non facesse veramente parte dell’esistenza umana. (lettera A due sorelle dell’Aia-Amsterdam, dicembre 1942).