Marcello Veneziani
Gli evoluzionisti credono di essere Dio
Chi vuol dimostrare scientificamente
l’inesistenza di Dio è, scientificamente parlando, un cretino. Sono pronto a
riconoscere anche l’osservazione inversa: la prova scientifica dell’esistenza
di Dio è rigorosamente stupida. Due atti opposti di demenza militante e
presuntuosa. Credo che di Dio si possa discutere sul piano teologico,
filosofico, poetico, sentimentale, come pensiero, intuizione, atto e fede. Ma
non sul piano scientifico e sperimentale.
Nei giorni di bufera sul Papa e sulla Chiesa in tema di pedofilia, negli anni
dell’ateismo esibizionista, c’è un grosso scimmione che si aggira per i
laboratori, i libri, la tv e i giornali: è lo scimmione di Darwin che
impone con le zampe della scienza e i barriti dei mass media l’indiscutibile
verità evoluzionista. E lo fa non come una teoria scientifica, ma come una
risposta assoluta, irrevocabile e generale al senso della vita, dell’umano e
del divino. Ne sanno qualcosa Piattelli Palmarini e Jerry Fodor che hanno osato
dubitare in un loro testo dell’infallibilità di Darwin. Ne sa qualcosa Roberto
de Mattei, del quale è stato chiesto lo scalpo e la rimozione dagli incarichi
scientifici ai vertici del Cnr perché sostiene argomenti critici verso il dogma
darwiniano. Ma ne sanno qualcosa perfino i religiosi, dal Papa in giù, che nel
nome della scimmia dovrebbero chiudere bottega e dichiarare la chiesa superata
dal laboratorio.
Non dirò una parola sull’evoluzionismo, non ho la minima autorità e competenza né
per gloriarlo né per confutarlo, e nemmeno per spiegarlo. E dunque mi asterrò
rigorosamente dal violento diverbio tra gli scienziati che sta riducendo la
cultura a una disputa tra macachi, bertucce e babbuini.
Parlo soltanto dell’implicazione assurda che la teoria evoluzionista comporta
quando viene applicata oltre i confini della scienza, alla condizione umana,
alla storia, al pensiero e al senso del divino. Nessuna scienza spiegherà
mai perché un tipo di scimmia si è fatta uomo e altre specie no. E nessuna
scienza potrà mai escludere che il seme della differenza, lo specifico
di quella specie che poi è evoluta in umana, sia un misterioso Dna, un
inalienabile destino, insomma un germe o un codice di cui nessuna teoria
scientifica spiegherà mai la genesi, la comparsa e la radicale
differenza. Nessuna scienza potrà mai applicare
l’evoluzionismo alla vita intera, alla storia, al destino umano e all’anima,
facendola debordare dall’osservazione delle specie animali. Perché la realtà,
prima ancora di ogni altra teoria, insegna che l’evoluzione è solo uno
dei moduli in cui si sviluppa la vita; ce ne sono altri opposti come il
declino, la decadenza, il graduale invecchiamento o la degenerazione. O
semplicemente l’alternarsi di stagioni e stati della vita, tra crescita e
decrescita, tra potenziamento e indebolimento, tra piccole rinascite e piccole
morti, tra giorni e notti, primavere e inverni. Ci sono i ritorni o i corsi e i
ricorsi, della storia e della natura; e ci sono le parabole, c’è l’asse delle
ascisse che cresce e quello delle ordinate che decresce, c’è l’acme di una
vita, di un’epoca, di un popolo, situata a cavallo tra un’evoluzione e un
degrado.
La maturità, per esempio, è il punto più alto nella traiettoria umana, situato
nel centro fra una crescita graduale detta progresso e un invecchiamento
altrettanto graduale detto regresso. La storia delle civiltà segue lo stesso
percorso evolutivo e involutivo e si sottrae al determinismo progressista.
Conosce espansioni e decadenze, sviluppi e degradi, incivilimenti e
imbarbarimenti. E sul piano dei saperi e delle arti, ci sono campi, come la
scienza e la tecnica, in cui la crescita sembra progressiva, e altre che hanno
punti di eccellenza situati e seminati in epoche diverse che a volte sembrano
inarrivabili ai posteri: chi ha più eguagliato il pensiero di Platone e di
Aristotele, la scultura di Fidia e di Michelangelo, la concentrazione di un
Sufi o di un Bodhi, l’abilità danzante di un derviscio o la potenza erotica di
un maestro tantrico, la forza fisica di erculei antichi e perfino l’abilità
manuale di alcuni inarrivabili artigiani? E quante scoperte, quante tecniche
hanno accresciuto una sfera di poteri, atrofizzando o mortificando altre? Si
pensi al rapporto tra scrittura e memoria, di cui scriveva già Platone.
Ma anche nell’ambito dell’evoluzione e del progresso, quando si dice che noi
vediamo più dei nostri avi perché siamo nani sulle spalle di giganti,
il taciuto è che se scendiamo dalle spalle dei giganti antichi siamo nani e non
vediamo nulla; ovvero fuori dalla tradizione c’è il nulla. L’evoluzione
spiegata alla luce della tradizione assume altri significati e altre
implicazioni.
L’evoluzione non è una teoria generale e assoluta di vita. Non spiega il
nostro destino, non spiega l’assenza di Dio o dell’anima, come la sua
demolizione non ne spiega la presenza; non si sostituisce il disegno
intelligente con lo schema evolutivo. Si può applicare ad alcuni, anche vasti
contesti. Lo scienziato che scaccia sdegnato il filosofo, il teologo, il
credente dai suoi ambiti e poi si avventura a trasformare una teoria
scientifica in un giudizio universale, vive lo stesso delirio, compie lo stesso
sconfinamento filosofico, teologico e fideistico che condanna. Non si tratta
dunque di essere pregiudizialmente avversi all’evoluzionismo, confesso
candidamente la mia radicale ignoranza in materia; ma quando vedo una teoria
tracimare dal suo ambito, debordare, farsi dogma e schema totale di vita, fino
a generare conformismo e perfino intimidazione verso chi sostiene percorsi opposti,
allora insorgo. Temo per la libertà e per il libero pensiero, per la libera
teologia e la libera fede, ma temo anche per la ricerca scientifica e per la
capacità di rimettere in discussione i saperi acquisiti per proseguire nella
ricerca.
Le teorie vanno continuamente falsificate, come dice Popper, nel senso di
verificate; o revisionate, come dicono gli storici, nel senso di riaprire le
pagine chiuse e proibite. La miscela di relativismo e di intolleranza, di
nichilismo e di fanatismo, mi spaventa più dei vecchi dogmatismi autoritari.
Abbiate passione di verità fondata sul senso della realtà. Lo dico a voi che
vivete la scienza come fede e a voi che vivete la fede come scienza.
(Il Giornale 09/04/2010)