Massoneria. Un mistero tra musica e silenzio
di Hermes
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Cosa ci resta quando vogliamo capire e non capiamo. Quando si sgretolano certezze e si fa strada il tormento del dubbio. Cosa ci resta quando la lucidità della coscienza entra in uno stato sonnambolico ed una lancinante nostalgia di noi stessi, desiderati migliori di come siamo, si spande nel nostro corpo? A noi umili cercatori d’oro dell’eternità, ierofanti dell’impossibile, inguaribili utopisti, machiavellici artisti del reale. Supremi speculatori del dubbio. Difettosa élite di una sacralità perfettibile.
A noi, quando tutto si spoglia, come i metalli che abbiamo lasciato nel Gabinetto di Riflessione, cosa resta, deposte le iperboli dell’ego?
Resta la nostra nudità. Il silenzio assoluto di un universo abissale. In cui, in questo Tempio, percepiamo un frammento d’armonia. Il senso di continuità e di contiguità dell’uno nell’altro fratello. La possibilità estrema ma non impossibile, a forza di errori e di colpi di scalpello, di migliorare in forma e sostanza, la nostra goffaggine. La speranza operativa di servire a qualcosa in questa vita rapida che adesso e qui, nella forza trattenuta del Rito, ci regala un tempo immoto, eterno.
E resta la possibilità di poter ri-iniziare. Di rinascere alla nostra monotona e cristallizzata esistenza. Qui ed ora, ricordando la nostra iniziazione (dal latino: re-indietro cor cuore. Quindi chiamando in cuore) regaliamoci ancora una volta il silenzio. Un balsamo corrosivo che agirà all’interno
sciogliendo i cristalli di ghiaccio della nostra Anima.
Il silenzio: lo strumento muratorio che martella l’invisibile con i suoi colpi di terra, di acqua, di aria e di fuoco. Il silenzio: uno stato di coscienza di polarizzazione immota, di “passività attiva” che ci può condurre alla plasticità del cambiamento. Questa fortuna che riceve ogni Apprendista, è quello che rimane. E non sarà mai una privazione.
Ma il più grande privilegio di chi incontra l’Arte Reale. Una musica fatta di pause. Di sottintesi. Un bordone impetuoso e trattenuto tutto interno, personale e incomunicabile. Come poteva risuonare fragoroso nella testa del fratello Beethoven, fisicamente sordo ma spiritualmente udente, prima
dell’incipit orchestrale. The sound of silence. Uno stato di grazia dove il direttore d’orchestra non è un singolo, un piccolo ego, ma l’amore che ci
unisce e unisce, senza scalfire la singola identità, come note sulle righe del pentagramma, tutti i fratelli. Per sempre.
Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.