ARALDICA DELLA STRETTA OSSERVANZA
di Angelo Scordo
Parecchi anni fa, in Sicilia, emersero da un archivio privato alcuni “fogli d’album”, delle tavole miniate che i proprietari (dei quali almeno per il momento è opportuno non rivelare l’identità) avevano ritenuto per più generazioni stemmi di alleanza. Il marchese Antonino Mango di Castelgerardo, valente studioso di araldica e di storia nobiliare isolana, vi rinvenne invece traccia inequivoca di simbologia Massonica. Sembra che una o più tavole siano andate smarrite, mentre è purtroppo certo che un membro femminile della famiglia, delicata pittrice di ventagli, negli anni ‘30, ne abbia effettuato un restauro cromatico, arricchendo i bordi, provati dal tempo, di ornati floreali.
Riconosciuto come uno dei maggiori studiosi della storia della Massoneria europea da parte di Carlo Francovich e di Franco Venturi, Pericle Maruzzi, per molti anni bibliotecario della Accademia delle Scienze di Torino, fu un fervente Massone e questa circostanza, nella fattispecie, torna a suo onore e a nostro vantaggio in quanto fu proprio l’appartenenza alla Massoneria a consentirgli di consultare un ragguardevole numero di fonti, sino allora ignoto.
Scoprì infatti, in un archivio di una loggia di Zurigo i documenti del “Capitolo Provinciale di Borgogna”, una circoscrizione territoriale della “Stretta Osservanza” e da tale fonte studio quello che riguardava l’Italia e, in specie, gli Stati Sabuadi, che avevano recitato un ruolo primario nella storia del cosiddetto “Neotemplarismo” del Settecento. Alcune delle fonti citate dal Maruzzi permettono, infatti, una identificazione puntuale solo per una ventina di nomi, cui sono abbinate le “insegne”, cioè l’arma personale assunta dall’appartenente all’atto della sua “iniziazione”, in uno con la “divisa” e la “inscriptio” (in realtà, consistenti più l’”anima”, ripetuta, di una impresa, che non un motto o un grido), mentre la disponibilità del mero “nome nell’ordine”, ad esempio Eques a Floribus non apre le porte che a probabilità di riconoscimenti. Sotto tale ultimo profilo le tavole “siciliane” danno occasione di utili abbinamenti e, in qualche caso, di individuazioni pressoché certe.
La Massoneria settecentesca ebbe molte anime, tra le quali non difettarono quelle di ordine spiritualista, e fu certamente molto diversa da quella dell’ottocento, che volle rifarsi – convintamente o meno – al trinomio “Libertà – Uguaglianza – Fratellanza” e che assunse tono progressivamente improntato a vieto e volgare anticlericalismo. Con ben poche eccezioni, fu istituzione elitaria precipuamente sotto l’aspetto sociale ed alcune sue derivazioni – come appunto la “Stretta Osservanza” – giunsero al punto (specie in Germania) di contabilizzare puntigliosamente i quarti nobiliare degli aspiranti, prima di deciderne l’ammissione e/o la loro promozione a gradi superiori. Anche in Italia, i rari bourjois iniziati rientrano nelle categorie, quanto meno, della nobiltà personale, con rare eccezioni a favore di personaggi eminenti per offici ricoperti.
E’ la cosiddetta “Massoneria dei Principi”, che vedrà, infatti, a capo di essa – e non soltanto nei paesi protestanti – non di rado personaggi di sangue reale: su strofe, forse dovute alla penna del Metastasio, cantavano con tracotante orgoglio gli aristocratici appartenenti alla Gran Loggia del Principe di Sansevero: “ Sono i Massoni liberi – e lo saranno ognora – nostri Fratelli, ancora – i Prenci, i Prenci sono e i Re”.
Il diffondersi della “moda Massonica” nel “primo stato” non a caso è contemporaneo alla nascita del c.d. Scozzesismo. dovuto al Cavaliere de Ramsay, uno Scozzese convertitosi al Cattolicesimo, prima al servizio del pretendente Giacomo Stuart e poi, sembra, passato a quello degli Hannover, segretario ed allievo del grande Fénélon, Vescovo di Cambrai, istitutore di non pochi rampolli della più alta aristocrazia di Francia, tra cui il Dica di Bouillon. diretto discendente del pio Goffredo. Fu, a quel che sembra, il primo a sostenere la derivazione della Massoneria, non dalle “guilde” dei costruttori medioevali di cattedrali, ma dai Crociati, che nella città santa di Gerusalemme erano stati messi a giorno di importanti e non meglio specificati “segreti”. La “missione” incombente ai Sovrani Cattolici d’Europa, sotto la guida della Chiesa di Roma opportunamente rigenerata, sarebbe consistita nella fondazione di uno Stato sovranazionale, spiritualmente retto dalla Chiesa di Roma e teso al concreto del messaggio Evangelico. E’, in embrione, il proposito di Joseph de Maistre.
Dai Crociatio all’Ordine del Tempio il passo era sostanzialmente breve e a colmarlo ci pensò un’altezza reale: Louis de Bourbon-Condé, Conte di Clermont, Gran Maestro delle Logge “regolari” del Regno di Francia, per ironia della sorte discendente diretto anche lui da tanti Cristianissimi Sovrani, ma anche dal persecutore e carnefice dei Templari, Filippo il Bello. Il “Capitolo di Clermont”, cui aderì tutta – si può affermare – la massima nobiltà Francese, aveva come base di fede questa singolare fanfaluca: sarebbero stati i Cavalieri del Tempio, i primi seguaci del Gran Maestro Hugues des Payens, a scoprire, dissotterrandoli dalle fondamenta dei locali loro assegnati come sede da Baldovino di Fiandra, ubicati – come è storicamente noto – nelle rovine di quello che fu il tempio di Re Salomone (da cui il nome dell’Ordine), dei reperti e dei documenti. Essi avrebbero contenuto il segreto Massonico, misteriosa fonte di luce e di salvezza per la Cristianità, che sarebbe stato tramandato per il tramite delle corporazioni dei maestri muratori, architetti e scalpellini per oltre quattro secoli. Da qui, una pioggia di pomposissimi gradi, quali “commendatore del Tempio, “Principe del Real Segreto”, “Cavaliere di Oriente ed Ociidente” e via di questo passo. Quel che non è facile comprendere è come mai essi fossero bramati non da droghieri arricchiti, ma da uomini di qualità, che nel mondo esterno alla Istituzione, potevano a buon diritto fregiarsi del Toson d’Oro, dello Spirito Santo, del San Michele, del San Gennaro, dell’Aquila Nera, delle Croci Gerosolimitane, Stafaniane e Costantiniane.
Così come è difficile rendersi conto come mai facessero parte di una organizzazione due volte folgorata dall’anatema non solo dei cattolici credenti e praticanti, ma anche, addirittura, degli ecclesiastici, malgrado la Massoneria avesse già addosso due scomuniche: la prima, risalente al 1738, emanata da Papa Clemente XII Corsini con la Bolla “In eminenti”, e quella di conferma, seguitele 13 anni più tardi con la Bolla “Providas Romanorum Pontificum” di Benedetto XIV Lambertini. Le condanne canoniche erano motivate dalla tolleranza religiosa e dalla segretezza, in verità non sempre professate dai Massoni, contro i quali, contemporaneamente, Carlo III di Sicilia pubblica l’Editto di messa al bando della Massoneria nei suoi stati del Mezzogiorno, cui Raimondo di Sangro dichiara di conformarsi, sciogliendo (ufficialmente) le sue Logge, aderenti al Capitolo del Conte di Clermont, e scrivendo un’abile lettera in un raffinato latino tacitiano al Papa, nella quale riesce ad evitare pene temporali ai suoi adepti, sostenendo la tesi per la quale la Libera Muratoria avrebbe avuto una sola colpa, quella di consistere in “deliri e chiacchiere puerili”.
Alla Corte di Torino pervengono sia la Bolla di Papa Lambertini che l’Editto di Carlo III, a mani del Cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze, vigile custode del Timor di Dio in Piemonte, devoto al Pontefice e sospettoso – si scrisse – nei confronti del più che cattolico Vittorio Amedeo III, così come lo era stato il Padre, Carlo Emanuele III: Per quel che vale, si legge nel Botta che Vittorio Amedeo, ad un suo cortigiano che lo pregava di non legiferare contro la Massoneria, dicesse: “Lasciami pur stare, che il Cardinale mi sgrida; non voglio brighe co’ preti. Oh, va ed abbi pazienza; che anch’io l’ho”. Il Re di Sardegna assicurò alla Santa Sede ossequio e vigilanza e, nella sostanza, tutto finì lì, sino agli anni ‘80.
La Massoneria Torinese, anche se forse originariamente più antica, si era organizzata grazie al Marchese Francesco de Bellegarde, che sino dal 1739 aveva ottenuto dalla Gran Loggia di Londra, nella persona di lord Raymond, una Patente di Gran Maestro per Piemonte e Savoia. A Chambéry la Loggia “Aux trois Mortiers” raccoglierà i più bei nomi della Savoia (La Chambre, Menthon, La Valdisère, Grandson, Chabod de St-Maurice, Forax, Beuregard, Rochefort, de Malòines, de Montjoie, d’Arvillars) e sino al 1773 avrà giurisdizione anche sul Piemonte, anno in cui il Conte Gabriele Asinari di Bernezzo ottiene (sempre da Londra) Patente di Gran Maestro per il Piemonte, suscitando le ire a Chambéry, tra cui quella vibratamnente espressa in una lettera da Joseph de Maistre.
Asinari è anche il Venerabile della loggia più “in” del Piemonte, che porta il significativo nome di “Saint Jean de la Mysterieuse”. Raccoglie la crème dell’aristocrazia (tra quelli della S.O. pervenuteci, forse per puro smarrimento degli elenchi, non figurano i nomi dei Castellamonte, dei Birago, dei Costa di Polonghera, dei Benso di Cavour, dei Falletti di Villafalletto, che ritroviamo, invece, nel “piè di lista” della “Mysterieuse”. C’è anche qualche borghese, tra cui il Maestro della Cappella Reale Gaetano Pugnani. Il personaggio di maggior spessore Massonico è anche lui un borghese, pur godente la nobiltà personale: il medico pinerolese Sebastiano Giraud, di cui si riparlerà con la sua arma rituale sottocchio. Asinari, assieme al banchiere conte Gamba della Perosa ed a Giraud, si avvicina al gruppo Lyonese di un esoterista, il Martinez de Pasqually, fondatore del gruppo degli “Eletti di Cohen”, cui apparteneva un cospicuo industriale della seta, Giambattista Willermoz, che sarà il tramite tra Torino e la germanica “Stretta Alleanza”.
La “Stretta Osservanza”, nata a Jena nel 1762 ad opera di un truffatore, non privo di genio, specializzato nelle più varie tecniche di escroc e nell’assunzione di falsi nomi, aveva a suo postulato i misteriosissimi “Superiores Incogniti” che intendevano riformare (“rettificare”) l’Ordine Massonico, riportandolo alla “Stretta Osservanza”, che darà la “Vera Luce” ai fratelli ed al mondo:
Entrato nelle buone grazie dei principotti sovrani, che si lasciano abbindolare dal ciurmatore grazie al miraggio della trasmutazione dei metalli, il ciarlatano riuscirà a fare lo stesso con la “Stretta Osservanza”, cui aderiranno entusiasticamente membri della migliore e più doviziosa (il che non gusta affatto) nobiltà di Germania, che si lasciano menare per il naso dal Gran Priore, che ottiene da loro non soltanto espressioni di omaggio devoto, ma anche molte migliaia di talleri e di buon argento a titolo di tasse di ingresso e di promozione a gradi superiori.
Dopo tragiche vicende, il Gran Magistero perviene al barone Karl Gotthelf von Hundt und Grotkau, ricchissimo latifondista in agro di Lipsia, iniziato alla Massoneria nel 1742 a Parigi e quindi immediatamente convertitosi al cattolicesimo. Nella sua convinta psedologia, sostiene di essere stato rivestito dell’abito templare da Lord Kirmarnock (l’eroe della causa giacobita, fatto decapitare dagli Hannover dopo Culloden), alla presenza di un misterioso “Eques a Penna rubra”, che lascia intendere essere non altri che il giovane pretendente al trono d’Inghilterra, S.A.R. Carlo Edoardo Stuart, conte d’Albany, il “Superior Incognitus” per eccellenza. . Hundt ha preso il nome templare di Cavaliere della Spada, “Eques ab Ense”, ed è sicuramente il primo a credere al monte di fole che s’innalza ogni giorno di più. Suo amico e collaboratore è lo Svevo barone Georg August von Weiler, fervido cattolico e già Maggiore delle Armate Imperiali durante la guerra dei Sette Anni. Più volte ferito aveva riportato la tisi ed era, quindi, bisognevole di aria salubre. Hundt riteneva Torino un centro con cui prendere contatto, non solo perché vi opera il “Capitolo di Clermont”, ma anche in quanto era stato sede di precettorie dell’antico ordine Templare,. Interviene in una trattativa con Willermoz, Gamba della Perosa e Giraud, al termine della quali si concorda l’invio a Torino, quale Priore del costituendo Baliaggio di Lombardia e facente funzione di Gran Priore d’Italia, il von Weiler, “Eques a Spica aurea”, che raggiunge la capitale subalpina negli ultimi giorni dell’ottobre 1775. Asinari gli presenta 25 Cavalieri Professi ed il Gran Priore tiene loro subito un sermoncino, il cui succo è, addirittura, la rivelazione del “segreto della Massoneria” (quello stesso che il Massone Federico II di Prussia definì un absolu rien). L’Istituzione, secondo il Weiler, altro non era – nel migliore dei casi – se non l’anticamera dell’Ordine vero, che aveva nome di “Militia Christi Templique Salomonis”: Proprio il mitico Ordine del Tempio, sopravvissuto al rogo che aveva avvolto nel 1314 il Gran Maestro. Jacques de Molay aveva fatto in tempo a designare un suo successore e, da allora, l’Ordine aveva seguitato a vivere, pur nell’ombra, custodendo i preziosi segreti detenuti dal Gran Maestro in carica, il Superiore Sconosciuto.
Le vicende piemontesi della “Stretta Osservanza” si concluderanno di fatto nel 1783.
Nella tavole illustrate figurano armi appartenenti o fondatamente attribuibili ai seguenti personaggi degli Stati Sabaudi:
Conte Gabriele Asinari di Bernezzo
Sebastiano Giraud borghese di Pinerolo
Conte Gian Giacomo Gamba della Perosa
Marchese Alessio San Martino Provana di Parella
Marchese di Rivara, Ignazio Valperga di Masino
Conte Francesco Villata di Piana
Conte Carlo Gianazzo di Pamparato
Principe Alfonso Dal Pozzo della Cisterna
Marchese Carlo Giuseppe Falletti di Barolo
Marchese Giuseppe Ludovico Arborio di Gattinara di Breme
Conte Vittorio Ferdinando Villa della Villa di Villastellone
Marchese di Albaretto, Giovanni Alessandro Valperga di Masino
Conte Joseph Ducloz Duffieney d’Esery
Cavaliere Benedetto Piossasco dei conti di None
Conte Giovan Battista Delfino di Trivero
Marchese Giuseppe Teresio Amoretti d’Osasio
Cavalier Giuseppe Giacinto Ricci d’Andonno
Marchese Ferdinando Tommaso Mossi di Morano
Giuseppe Ignazio Vigna, borghese, Decurione della Città di Torino
Cavalier Felice Luserna dei marchesi di Garsigliana
Vittorio Giuseppe Villanis, controllore gen.le di Casa Reale
Conte Joseph de Maistre
Giovanni Antonio Duruy, negoziante di Torino
Marchese Joseph César Sallun de la Serraz
Louis Galluy, sacerdote di Chambèry
Marchese Giovanni Amedeo Valperga di Caluso
Conte Luigi Avogadro di Valdengo
Marchese Carlo Giuseppe San Martino d’Agliè
Cavalier Alessandro Scarampi dei conti di Cortemiglia
Marchese Adalberto Gioacchino Pallavicino delle Frabose
Cavalier Giuseppe Luigi Antonio Gianazzo di Pamparato, fratello del precedente
Conte Joseph Prosper de Mareschal de Duing de la Valdisere
Cavalier Carlo Francesco de Buttet
Cavalier Maurizio Ignazio Fresia dei conti d’Oglianico.