Il XX settembre è sempre per noi massoni una occasione, una delle molte offerteci dal nostro calendario, di pausa e di riflessione. La Tradizione e la ritualità massoniche sono ricche di spunti di meditazione; tuttavia è innegabile che nel nostro calendario si evidenziano momenti particolari tra i quali il XX settembre è forse uno dei più salienti poiché vi confluiscono un evento ricorrente della natura, l’equinozio d’autunno, ed un episodio determinante della nostra storia, il ritorno di Roma a capitale, simbolo di una nascente unità nazionale. Ci piacerebbe pensare che l’equilibrio delle forze della natura esaltino l’intensità della data storica nella quale l’Italia cessò di essere una semplice entità fisica e gli italiani videro realizzarsi il sogno di una patria unificata.
Alle soglie del duemila quando risuonano parole come mondializzazione, globalizzazione e l’uomo si vuole universale e cittadino del mondo, evocare la patria, il rispetto e l’amore che le sono dovuti appare un anacronismo, un fenomeno di pericoloso e frenante tradizionalismo e di un pernicioso nazionalismo. La patria, anche se la si sente, si preferisce non nominarla per non essere tacciati di ristrettezza mentale e di sentimentale attaccamento a qualcosa coperto ormai dalla muffa.
In particolare nel pensiero del massone il concetto di patria potrebbe presentarsi come limitante poiché uno dei valori dominanti della Libera Muratoria è l’universalismo simbolicamente presente nei templi, nei paramenti, nei rituali, nel giuramento quando il neofita prende l’impegno “di dedicarsi al bene ed al progresso della patria, al bene ed al progresso dell’umanità”.
All’iniziando si continua a chiedere nel Testamento quali consideri essere i suoi doveri verso la patria alla quale, nelle agapi rituali, viene dedicata la prima libagione. L’ esaltazione della patria è forse dovuta in parte alla tradizione cavalleresca e militare, al fatto che la rinascita della Massoneria in Italia avvenne con l’unità d’Italia ed anche per opera di chi questa unità aveva voluto e conquistato. Non dimentichiamo che negli anni che precedettero la ricostruzione massonica iniziata nel 1859 la Massoneria era stata per molti più un vivaio di uomini pronti a combattere e morire per la causa italiana che una società esoterica. Quando le logge ripresero a lavorare dopo lo scioglimento decretato dalla legge fascista del 1925 ed il periodo di guerra, molti rituali, distrutti con il saccheggio delle sedi massoniche ad opera della dittatura, furono ricostruiti sul filo della memoria e quello che l’Italia aveva subito non poteva non accentuare la volontà di sentirsi parte di una terra, della terra dei padri così duramente riconquistata.
La rievocazione ripetuta dell’idea di patria che potrebbe, ripeto, suggerire un contrasto con l’universalismo ed il cosmopolitismo della Massoneria in generale e con lo spirito della nostra Obbedienza in particolare che ha sempre voluto essere progressiva, è in verità l’esaltazione dei principi massonici. Patria infatti non si riferisce necessariamente ad un territorio ma può essere un elemento aggregante di un popolo che, per dirla con Manzoni, Patria non ha. Patria può essere una lingua, una fede, un ideale, un principio nei quali si riconoscono e dai quali si sentono uniti coloro che non ne hanno una loro: Patria fu secondo Lorenzo Valla quella lingua latina per la quale molti dei grandi del rinascimento manifestarono un attaccamento altrimenti inspiegabile.
Niente di riduttivo e restrittivo nel concetto contenuto in “patria” derivato da patrius, che appartiene ai padri, a sua volta originato da una radice sanscrita pâ da cui pascere ovvero nutrire. La patria è ciò che fa vivere, è la terra, il cielo, l’acqua, è dovunque ci sia la volta celeste, è il sole, uno e di tutti, che tutti illumina, al quale si dedicava la prima libagione nelle antichissime agapi. Il profano può modificare, far evolvere il contenuto di patria ma non il massone perché ben prima delle Nazioni Unite, della Comunità Europea, di Maastricht… la Massoneria aveva concepito una res publica, una patria universale di uomini liberi e di buoni costumi impegnati nella formazione dell’uomo, nel suo miglioramento morale ma anche materiale cercando di “prevenire i di lui bisogni”, di dare a tutti la dignità del lavoro, di un luogo dove vivere che esso si chiami Italia, Francia, Kossovo o semplicemente terra.
La nostra epoca come tende a dimenticare certi valori o a svuotarli del loro significato passa sotto silenzio o quasi molte celebrazioni storiche. I giovani “studiano” la storia per gli esami ma spesso non la capiscono e soprattutto non riescono a viverla. Siamo noi responsabili di questo disinteresse se siamo i primi a considerare inutili le rievocazioni e gli anniversari che dovrebbero essere un’occasione di ripercorrere certe tappe, di ritornare a determinati episodi, a rivivere fatti cruciali del passato interrogarci su di essi e forse alla luce dei loro insegnamenti comprendere meglio il presente. Poche sono rimaste le date segnate nel calendario civile; si sono volute togliere delle festività, perché allora mantenere quelle strettamente legate alla tradizione cattolica? Inoltre con quale criterio è stato deciso che la liberazione del 1945 sia più importante, per esempio, della fine della grande guerra o del voto del 2 giugno 1946? Vediamo che anche le celebrazioni rimaste sono spesso forzature, compimento meccanico di gesti, commemorazioni fatte con parole vuote senza che sia vivo lo spirito. Inutili pompe, inutili deposizioni di corone, inutili magniloquenti discorsi volti troppo spesso ad un fine immediato e personale.
Il massone che non ha nel suo calendario date storiche segnate, è consapevole, soprattutto quando ha raggiunto specifici punti del percorso iniziatico, quanto conti nella vita umana la rievocazione storica, il richiamo ai contenuti di eventi, alle idee e vita di uomini che hanno forgiato le sorti del mondo, di quell’ universo che diciamo patria sapendo che non è mai inutile tornare indietro, volgersi al passato, interrogarlo, dialogare con esso. Grande lezione ha lasciato Machiavelli, il quale con i grandi del passato dialogava, li interrogava ed otteneva risposte, viveva con loro al punto di “dimenticare ogni affanno e di non essere sbigottito dalla morte”.
R. Galli