Iscrizioni Greche |
Il santuario di Asclepio a Epidauro (una piccola città-stato su una penisola del golfo Saronico) era famoso per le sue guarigioni. Anche se il tempio fu costruito non prima del IV sec. a.C., sembra che il culto locale di Asclepio fosse più antico. C’era intorno al tempio un intero complesso di altri edifici, alcuni dei quali erano destinati a offrire ospitalità ai malati, i quali spesso soggiornavano a Epidauro anche per settimane o mesi, sperando di ottenere sollievo dal loro male. C’erano portici, bagni, un ginnasio, almeno una locanda e il teatro, che è giunto a noi in un ottimo stato di conservazione. Accanto al tempio c’era un dormitorio speciale, necessario per la procedura dell’«incubazione», procedura che aveva dato grande notorietà a Epidauro, sebbene fosse praticata anche in altri luoghi, come p. es. presso l’oracolo di Trofonio a Lebadea (Livadia). I pazienti che trascorrevano la notte nel dormitorio ricevevano nei loro sogni – forse non immediatamente, ma prima o poi – una visione del dio della guarigione, Asclepio. Il dio si informava sui loro sintomi e indicava la terapia necessaria. In teoria, qualsiasi dio, indipendentemente dal luogo dove si dormiva, poteva apparire a un uomo greco e latino che avesse fede in lui; tuttavia, solo pochi dèi, e solo in pochi luoghi, erano ritenuti capaci di poter fornire una consulenza medica precisa. D’altro canto, l’incubazione poteva mirare ad altri scopi; il dio allora si comportava come un oracolo, rispondendo a domande specifiche – p. es. rivelando all’ospite dove ritrovare un oggetto smarrito. L’incubazione potrebbe essere definita un «sogno in condizioni di controllo»; è tuttora un mistero in che modo i sacerdoti potessero effettivamente garantire sogni di questo genere. L’incubazione implica, in qualche modo, anche una procedura di tipo magico, poiché un dio è evocato e fatto apparire attraverso un rito; questo rito, però, era eseguito nell’ambito di un contesto religioso, sotto la supervisione di sacerdoti, i quali potevano anche possedere qualche conoscenza medica. I particolari del rituale non sono noti. È possibile che ci fossero abluzioni, preghiere, processioni e digiuno: si è detto anche che il paziente, in certi casi, doveva sacrificare un animale e dormire sulla sua pelle. Il senso di speranza e di attesa era accresciuto dalle centinaia di iscrizioni incise sui muri dei vari edifici, le quali attestavano precedenti guarigioni, e dagli inni celebrativi intonati dagli aretologi. È probabile che fossero a disposizione esperti medici, visto che Asclepio era il dio protettore della medicina greca; si è anche sostenuto che il tempio di Asclepio sull’isola di Cos – un’istituzione che rivaleggiava con quella di Epidauro – fosse stato fondato dai discepoli del grande Ippocrate. Ma sembra anche che molti si recassero a Epidauro come estremo tentativo, dopo che la contemporanea medicina tradizionale si era rivelata incapace di fornire loro l’aiuto richiesto. Il dio prescriveva spesso diete specifiche, attività ginnica, abluzioni – esattamente come farebbe oggi il medico di uno stabilimento termale. In effetti, alcuni santuari si trovavano presso sorgenti minerali o radioattive; anche se i poteri risanatori di queste acque non sono stati ancora ben definiti, i Greci e i Romani vi credevano. In certi casi il dio poteva anche prescrivere un farmaco abbastanza comune. Dal momento che la consulenza che il dio offriva era perfettamente comprensibile e, in certi casi, le cure duravano anche a lungo, sarebbe inadeguato definire «miracoli» guarigioni di questo genere, visto che la tipologia del miracolo implica un evento che accade repentinamente e in modo misterioso. Ma i sacerdoti attribuivano le guarigioni all’intervento divino e, in effetti, alcuni episodi – come le gravidanze molto lunghe – hanno un che di miracoloso. L’intera operazione presenta un carattere composito: mentre alcuni tratti sono propri della magia, altre componenti rimandano piuttosto alla medicina; per altri aspetti, invece, il rituale si presenta come propriamente religioso. Viene da chiedersi se persone con disturbi di minor conto andassero a Epidauro per soggiornarvi, nello stesso modo in cui nel secolo scorso ci si recava a Baden-Baden, stazione termale ricca e alla moda. Le iscrizioni di Epidauro qui riportate sono decisamente eloquenti. Non tutti i pazienti erano credenti convinti, ma, evidentemente, la fede non era un requisito indispensabile: il dio agiva e con la sua azione faceva nascere una nuova fede nella persona che aveva guarito; tuttavia, poteva anche punire chi lo aveva defraudato. Come mostra l’iscrizione n. 8, il dio aveva anche il senso dell’ironia. |
1. Dio. Buona Fortuna. Guarigioni di Apollo e di Asclepio. Cleo rimase in stato di gravidanza per cinque anni. Poiché la gravidanza si protraeva già da cinque anni, Cleo si recò supplice dal dio e dormì nel sacrario del tempio. Quando ne uscì e lasciò il santuario, partorì un bimbo che, appena nato, andava a lavarsi alla sorgente e passeggiava con la madre. Per aver ricevuto tale aiuto, Cleo offrì una tavola votiva con l’iscrizione: «Da ammirare non è la dimensione della tavola, bensì l’operato del dio, perché Cleo per cinque anni portò nel ventre il fardello finché dormì nel tempio, e il dio la guarì». 2.Una giovane in stato di gravidanza da tre anni. Itmonica di Pelle si recò al santuario per consultare il dio circa il tempo del parto. Dopo essersi addormentata nel tempio ebbe un sogno: le parve di chiedere al dio di concepire una bimba. Asclepio le rispose che sarebbe rimasta incinta e che avrebbe esaudito ogni altra sua richiesta; ma lei soggiunse di non desiderare null’altro. Rimasta incinta, la gravidanza si protrasse per tre anni, finché si rivolse al dio, supplicandolo per il parto; dopo essersi addormentata nel tempio ebbe una visione: le parve che il dio le chiedesse se non aveva forse ricevuto tutto quanto aveva chiesto e se non era forse incinta; ma a proposito del parto non aggiunse nulla. Quando poi Asclepio le chiese se avesse qualche altra richiesta, assicurò che l’avrebbe pure esaudita. Poiché per questo ora gli si presentava supplice, anche questo diceva che le avrebbe accordato. Dopo il sogno, uscita di fretta dal sacrario, appena fuori dai limiti del santuario, partorì una bimba. 3. Un uomo con tutte le dita di una mano rattrappite, tranne una, si recò supplice dal dio; osservando i quadri del santuario, restava incredulo di fronte alle guarigioni e ne scherniva le scritte; poi, mentre dormiva nel tempio, ebbe una visione: gli sembrava di giocare a dadi nella cella del santuario e, mentre si preparava a un tiro, apparve il dio che si scagliò sulla mano e ne distese le dita; dopo che il dio si fu allontanato, sempre in sogno, dalla mano chiusa l’uomo stendeva, una per una, le dita. Dopo che tutte furono distese il dio gli chiedeva se fosse ancora incredulo nei confronti delle scritte dei quadri del santuario. L’uomo rispose di non esserlo più. «Poiché dunque in passato non credevi a quanto incredibile non era, d’ora in poi» disse «ti chiamerai Incredulo». Venuto giorno l’uomo uscì dal tempio con la mano guarita. 4. Ambrosia di Atene, cieca a un occhio. Costei si recò supplice dal dio; passeggiando nel santuario rideva di alcune guarigioni che riteneva inverosimili e impossibili: zoppi e ciechi guariti semplicemente in seguito a un sogno. Ma dormendo nel tempio ebbe una visione: le sembrava che il dio le si avvicinasse e le promettesse di guarirla; in cambio le chiedeva solo di offrire in voto al santuario un maiale d’argento, a ricordo della sua stupidità. Dopo queste parole le incise l’occhio malato e vi versò una medicina. Venuto giorno Ambrosia uscì dal tempio guarita. 5. Un ragazzo muto. Costui si recò al santuario per recuperare la voce. Dopo che ebbe offerto il sacrificio preliminare ed ebbe assolto il rito, il giovane che porta il fuoco al dio, rivolto al padre del ragazzo, gli chiedeva: «Se tuo figlio vedrà esaudito il desiderio per il quale è venuto qui, ti impegni a fargli offrire entro un anno il sacrificio dovuto come compenso per le cure?». «Mi impegno» disse improvvisamente il ragazzo. Il padre sbalordito lo incoraggiava a parlare ancora; e il ragazzo parlò ancora e da allora recuperò la voce. 6. Pandaro Tessalo che aveva delle macchie sulla fronte. Mentre dormiva nel tempio costui ebbe una visione: gli sembrava che il dio gli fasciasse le macchie con una benda e lo invitasse, dopo essere uscito dal sacrario, a togliersi la benda e ad offrirla in voto al santuario. Venuto giorno si alzò, si tolse la benda; le macchie erano scomparse dal volto. Al santuario lasciò in offerta la benda sulla quale erano rimaste le macchie della fronte. 7. Echedoro, oltre alle proprie, si ritrovò sulla fronte le macchie di Pandaro. A Echedoro Pandaro diede del denaro per un’offerta al dio di Epidauro a proprio nome, ma Echedoro si tenne il ; mentre dormiva nel tempio costui ebbe una visione: gli sembrava che il dio gli si avvicinasse e gli chiedesse se aveva con sé, da parte di Pandaro di Eutene, del denaro che avrebbe dovuto essere offerto al santuario. Echedoro rispose di non aver ricevuto da Pandaro niente del genere, ma che, se il dio lo avesse guarito, gli avrebbe dipinto un quadro e glielo avrebbe offerto. Dopo questo colloquio il dio fasciò le sue macchie con la benda di Pandaro e lo invitava, una volta uscito dal sacrario, a togliersi la benda, a detergersi il volto alla sorgente e a rispecchiarsi nell’acqua. Venuto giorno, Echedoro uscì dal sacrario e si tolse la benda dalla quale erano scomparse le macchie. Si rispecchiò poi nell’acqua e si guardò il volto: alle macchie già esistenti si erano aggiunte anche quelle di Pandaro. 8. Bufane, un bimbo di Epidauro. Affetto da calcolosi, Bufane dormì nel tempio. Gli sembrò allora che il dio gli si avvicinasse e gli dicesse: «Che mi darai, se ti guarisco?». «Dieci dadi» rispose. Dopo una risata il dio assicurò che lo avrebbe guarito. Venuto giorno, Bufane uscì guarito dal tempio. 9. Si recò supplice dal dio un uomo cieco a un occhio. Costui aveva solo le palpebre, nell’orbita completamente vuota mancava il globo oculare. Alcuni presenti nel santuario schernivano la sua ingenuità: credeva di poter recuperare la vista pur non avendo alcuna risorsa visiva, ma solo la cavità. Mentre dormiva nel tempio ebbe una visione: gli sembrava che il dio ponesse a bollire una medicina, e dopo avergli allargato le palpebre la versasse dentro. Venuto giorno l’uomo uscì dal tempio vedendo da entrambi gli occhi. 10. La coppa. Uno schiavo addetto al trasporto dei bagagli trascinandosi faticosamente verso il santuario, giunto nei pressi del Decastadio cadde. Si alzò, aprì il sacco e osservò gli oggetti rotti. Ma come vide in frantumi la coppa da cui il suo padrone era solito bere, si turbò, si sedette e cercò di mettere insieme i pezzi. Lo vide un passante e gli chiese: «Perché, sventurato, ti impegni nell’operazione impossibile di ricomporre la coppa? Nemmeno Asclepio di Epidauro potrebbe risanarla». Dopo queste parole lo schiavo, deposti i cocci nel sacco, si trascinava nel santuario. Quando arrivò, aprì il sacco e ne estrasse la coppa: era intatta. Raccontò al suo padrone l’episodio e ripetè le parole del passante. Dopo aver ascoltato, il padrone offrì in voto al dio la coppa (mancano 18 lettere). |
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