l lavoro, inteso come attività del Libero Muratore, ha una valenza fortemente simbolica: è assimilato, per antichissima tradizione, all’arte muratoria del costruire il Tempio (nel proprio essere, nella propria capacità di giudizio, quindi nella propria capacità di “agire”, ed infine in senso comunitario, come “senso comune”).
Quindi l’uomo-che-vive è un uomo-che-lavora sempre, mentre la sua esistenza si snoda lungo il sentiero simbolico del viaggio verso una lenta trascendenza ed elevazione. Ed è un lavoro che si opera all’interno della propria ragione e della propria coscienza. Questo è anche l’arte, il mestiere che perpetua una Tradizione.
Ogni Libero Muratore ha anche il lavoro della propria vita profana. Quindi già lui vive, più o meno inconsciamente, un dissidio esistenziale che deriva da una iniziale differenza di valutazione tra lavoro simbolico e lavoro per la sopravvivenza sua e della sua famiglia: dissidio che, come al solito è destinato a dissolversi man mano che riesce a sovvertire i termini di ciò che ritiene più importante per il suo essere.
E’ in questa graduale e lenta maturazione che si viene cosi a invertire l’ordine di importanza da attribuire ai valori dell’uomo, cioè pensiero, azione e lavoro.
Qui sta il vero problema; problema che non può non investire anche la comune Società moderna, dal momento che ciò che avviene nell’uomo-iniziato prima o poi dovrà avvenire anche nell’uomo-sociale.
Nella civiltà occidentale questo ordine ha sempre rappresentato un valore del Lavoro, come di ogni Agire, completamente subordinato al potere della Ragione.
Per il Massone invece, il pensiero cresce con il lavoro. E solo con il lavoro è possibile evolvere la propria ricerca interiore e sociale, ottenendo l’elevazione integrale dell’essere.
Nello svolgimento del suo lavoro il Massone viene abituato a mettere in gioco non soltanto il suo pensiero, già formato, ma a coinvolgervi direttamente anche l’agire. Quando il libero muratore fa una relazione, non enuncia il suo pensiero ma espone un lavoro: la tavola scolpita nella quale egli ha inserito i risultati globali della sua fatica, dall’immaginare, al ricercare, al sentire sino al decidere sulle sue conclusioni. Dopodiché i fratelli esprimeranno il loro parere senza la minima competizione. Il risultato di questo lavoro non comporterà una comune conclusione razionale, ma un intimo gradimento, un giudizio individuale che tuttavia sarà legato sempre a quel comune sentire, il senso comune, che è l’opera del lavoro solidale della Loggia. E ciò di solito non si avverte subito, ma solo dopo che ciascuno, tornato a casa, ha maturato nella propria coscienza il lavoro fatto nella propria Officina/Loggia.
Il lavoro quindi predispone al pensiero. Ma, sia ben chiaro, il pensiero è solo uno degli attributi dell’essere: esso è necessario per accrescere la propria conoscenza, per spiegare e comprendere le leggi dell’Universo e, su queste basi, per elevare nella propria mente le costruzioni più ardite della propria immaginazione. Ma per il Massone non è al pensiero che si debbono far risalire le proprie decisioni. Infatti l’agire deve essere spontaneo e “libero” ed in questo senso non necessita mai di mettere in gioco quell’arma del pensiero che è la volontà, ma gli impulsi sinceri del suo cuore, guidati dal giudizio. Il quale giudizio è un attributo soggettivo dell’essere ma è anche l’appendice che lega ciascun uomo al patrimonio comune dei giudizi dei suoi Fratelli. Attraverso il lavoro, quindi, ogni Massone costruisce anche il senso comune della sua Loggia. Senso comune nel quale ciascuno può riconoscervi sempre la propria soggettività e contemporaneamente, attraverso di esso, entrare nella comunità e uniformarsi alla sua morale rimanendo sempre libero di pensare ed agire secondo il proprio essere.
In conclusione, il lavoro, se è lavoro nella fraternità, acquisisce pari dignità a quello della solidarietà e predispone anche alla socialità. Quindi il Massone deve dedicarsi ad un lavoro complesso. Un lavoro su di sé e, attraverso lui, sulla società e sulle generazioni che seguiranno, per andare incontro a quello che è il vero significato del lavoro nella vita dell’uomo. Non solo nella accezione più vasta di formazione dell’essere, ma anche felicità dell’essere e, forse, principio fondamentale dell’essere stesso.