Marcia notturna
Venne
intanto la sera, una sera cupa che minacciava una notte di pioggia. Eppure le
Compagnie furono fatte mettere sotto le armi e in marcia, di nuovo come il
giorno avanti sulla via per discendere a Pioppo. Dunque Garibaldi si ostinava
davvero a tentar Palermo da quella parte e con un attacco notturno? Fosse
pure! Gli animi erano ben disposti, perché quello stare con la gran città
alle viste e con le spalle mal sicure cominciava a diventar fastidioso. E
marciarono. Ma là dove la via chinava, dove sul mezzodì avevano visto i
cannoni in batteria, i cannoni non c’erano più, e le Compagnie invece di
scendere, si videro fatte girar a destra per entrare in un sentiero che non
poteva menare se non sulle creste di certi monti, dei quali nei due giorni
passati nel campo di Renda avevano potuto considerare l’asprezza. All’imbocco
di quel sentiero, soldato per soldato ricevevano tre pani da alcuni uomini,
che agli ordini del capitano Bovi, bolognese, facevano fretta ai passanti che
pigliassero e andassero. Quei tre pani volevano dire tre giorni forse di
marcia per le montagne. Erano dunque preziosi; onde i più dei soldati non
sapendo dove se li mettere, inastate le baionette ve li infilzavano, e
tiravano via col fucile in spalla sbilanciato a quel modo, celiando. Ma come
fu notte chiusa e il sentiero venne a mutarsi in sterpeto, si fecero alquanto
tristi. Sennonché a un certo punto trovarono Garibaldi che tribolava a
mandare avanti dei contadini, i quali curvi sotto lunghe stanghe portavano a
spalle appesi a quelle i cannoni smontati, dieci o dodici per ciascun pezzo.
E li esortava, e li metteva sul gioco di moversi ognuno con tutte le sue
forze, li aiutava persino, e per insegnar loro come dovevano stare sotto la
stanga ci si metteva egli stesso. In quel mestiere lo secondavano il
Castiglia, il Rossi, il Burattini, i marinai del Lombardo e del Piemonte, già
sin da Salemi formati in una piccola Compagnia.
Con
quell’esempio la colonna sfilava, un uomo dietro l’altro oramai, ché per due
non c’era più luogo. E cominciò una pioggerella che presto divenne fitta tra
quelle tenebre, dando alla gente il senso di camminare nelle nubi. Ah le
belle vie di Milano, di Venezia, di Genova, tutte inondate di luce, a
quell’ora! I pani, inzuppandosi, cascavano giù dalle baionette, cascava qualche
uomo a ogni passo; tuttavia si rideva ancora, ma, per dir così, d’un
malinconico riso interiore. Metteva un po’ di sgomento il non veder più
nulla, salvo dei gran fuochi indietro nel campo di Renda abbandonato, e un
altro gran fuoco solitario avanti, lontano, verso il quale si accorgevano di
marciare; mentre dal fondo, sulla sinistra, salivano a intervalli i gridi
d’allerta delle sentinelle napolitane. Dalla testa della colonna veniva il
nitrito d’un cavallo, insistente, selvaggio. A un tratto s’udirono due colpi
di fuoco. Fu un fremito per tutta quella sfilata: forse l’avanguardia s’era
imbattuta nel nemico. Ma poi non si udì più nulla. E sempre tirando avanti,
passò la voce che quei colpi erano stati scaricati da Bixio nella testa del
suo cavallo, per farlo smetter di nitrire; atto proprio da Bixio che aveva
voluto far quella marcia del diavolo in sella. Era vero. Andando avanti, i
soldati passavano vicino a un cavallo spianato là morto fuori de’ piedi.
Quando fu
quasi l’alba, le Compagnie si trovarono a calare dalle ultime falde di quei
monti su d’una grossa borgata. Pioveva ancora. Credevano d’aver camminato
lontano, e invece la Conca d’oro era ancora lì davanti ad essi come quando
stavano a Renda, solo che adesso la vedevano da oriente. Mirabile marcia!
Garibaldi che per natura si ricordava così poco delle cose fatte, ebbe
ragione quando, riparlandone dopo molti anni, disse che neppure in America si
era trovato a farne fare una a’ suoi, somigliante a quella del Parco. E non
un uomo si era perduto; qualche ritardatario aveva saputo serrarsi presto
alla colonna; anche i cannoni erano venuti per quelle balze.
Ma in
quale stato, povera gente! Il borgo di Parco sia lodato sempre pel modo come
la accolse. Non ci fu casa che non si aprisse a ristorare qualcuno, a
rasciugare i panni, a rifornirne che non poteva più tener indosso i propri,
ridotti in cenci, a rincalzare chi non aveva più scarpe in piede. Ma ancora
più da lodarsi quel borgo, perché si prese in seno tutta quella gente, e se
la tenne celata tutto quel giorno e la notte appresso, senza che nulla ne
trapelasse ai borbonici, campeggianti nella Conca d’oro.
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